Dimenticare l'Afghanistan, ancora una volta





Dopo lo "sviluppo democratico", l'amministrazione
Bush e i media ad essa affiliati celano le
terribili condizioni in cui versa il paese

Negli ultimi due anni i media degli Stati Uniti
hanno drasticamente ridotto la copertura rispetto
alla situazione afgana. Secondo l'American
Journalism Review soltanto tre produttori di news
- Newsweek, Associated Press e Washington Post -
hanno inviati di stanza a Kabul. Quel poco che
viene pubblicato sull'argomento riguarda quasi
esclusivamente belle storie a lieto fine, qualche
cambiamento del tutto superficiale o le
dichiarazioni dell'Amministrazione Bush offerte
in modo del tutto acritico. Non esiste alcun
esame dei reali effetti della presenza politica e
militare statunitense. Per esempio, il 18 marzo,
Joel Brinkley e Carlotta Gall del New York Times,
hanno riferito della visita in Afghanistan di
Condoleeza Rice e la sua dichiarazione: "non ci
potrebbe essere storia migliore dello sviluppo
democratico dell'Afghanistan". Brinkley e Gall,
in pratica, hanno avvallato quanto detto dalla
Rice, non facendo menzione di come
l'amministrazione afgana stia legittimando i
signori della guerra sostenuti dagli Usa, che
stanno strangolando qualunque possibile
democrazia.

Questa faccenda non è una novità. Già all'inizio
degli anni '90, le atrocità commesse dai
combattenti Mujahadeen (alcuni dei quali si
trovano ora al governo) hanno provocato, in 4
anni e nella sola Kabul, decine di migliaia di
morti tra i civili e centinaia di migliaia di
rifugiati. In quello stesso periodo, la copertura
offerta dai media è calata vertiginosamente.
Verso la fine degli anni '90, quando i talebani
hanno promulgato leggi oppressive, i media hanno
in gran parte ignorato la questione. Nel 2000,
quando decine di migliaia di rifugiati afgani
sono stati intrappolati, in condizioni orribili,
nei campi profughi al di là del confine
pachistano, ancora lo stesso silenzio. Solo
quando le statue dei Buddha di Bamiyan sono state
fatte saltare, o quando vi sono stati gli
attacchi dell'11 settembre, l'Afghanistan è
apparso degno di essere raccontato.

Perchè i media, oggi, non verificano la
dichiarazione di Bush su "libertà e democrazia"?
E' vero, la maggior parte degli afgani ha
accettato di tutto cuore la promessa che era
stata loro fatta di poter scegliere i propri
leader alle urne, nonostante si trattasse di una
democrazia imposta da un paese straniero. Ma il
potere dei signori della guerra, tiranni
antidemocratici, ha soffocato tutte le
aspirazioni del popolo afgano. Quando ho visitato
l'Afghanistan, un mese fa, ho parlato con gli
attivisti politici indipendenti, come Malalai
Joya, persone che lottano per un Afghanistan
democratico. Si trovano costretti a operare in
segreto per timore degli attacchi dei signori
della guerra. Usano nomi falsi e viaggiano
travestiti o circondati da guardie del corpo. Ho
incontrato giornalisti che stanno rischiando la
vita per denunciare i crimini dei signori della
guerra e le minacce del governo.

La maggioranza degli afgani ha votato per Hamid
Karzai, anche se è chiaramente un fantoccio degli
Stati Uniti. L'hanno fatto perché aveva promesso
loro che non avrebbe accettato alleanze con i
signori della guerra. Ma dopo l'elezione, Karzai
ha nominato Ministro dell'Energia l'ex
governatore di Herat, Ismail Khan, un signore
della guerra misogino e fondamentalista. Karzai,
poi, ha di recente nominato un ben noto criminale
di guerra, Abdul Rashid Dostum, a capo
dell'esercito nazionale. Queste scelte sono state
elogiate dall'ambasciatore degli Stati Uniti
Zalmay Khalilzad, che le ha definite "sagge",
anche se la commissione indipendente per i
diritti umani aveva appena reso noto un sondaggio
che rivelava un desiderio profondo fra gli afgani
di tutto il paese di ottenere giustizia per i
crimini di guerra, commessi da personaggi come
Khan e Dostum. Tutti gli afgani con i quali sono
entrata in contatto erano desiderosi di vedere i
signori della guerra disarmati e accusati per i
loro crimini, non gratificati con posizioni di
prestigio al governo.

A parte lo "sviluppo democratico",
l'amministrazione Bush rifiuta di menzionare le
terribili condizioni di vita e la mortalità
altissima degli afgani. Obbedienti, i media non
informano sull'atroce lotta per la sopravvivenza,
in questo paese. Nel 2004 un report delle Nazioni
Unite rilevava che l'Afghanistan è 173esimo su
178 paesi per quanto riguarda i fattori di
sviluppo umano. Soltanto cinque paesi, tutti
nell'Africa sub-Sahariana, registrano condizioni
peggiori: il Burundi, il Mali, il Burkina Faso,
il Niger e la Sierra Leone. I rifugiati, il cui
ritorno (a volte forzato) è stato ampiamente
elogiato dall'Amministrazione Bush come prova
della ritrovata libertà afgana, ora sono nomadi
nel loro stesso paese e hanno trasformato zone di
Kabul in accampamenti abusivi. Non hanno casa e
poca o nessuna istruzione, non hanno possibilità
d'impiego, nè assistenza sanitaria. La mortalità
dovuta al parto, particolarmente nelle province
più densamente popolate, è fra le più alte al
mondo. Come lo era prima dell'11 settembre,
quando i media ignoravano l'Afghanistan.
L'istruzione - tante volte usata come argomento
dall'amministrazione Bush per dare prova dei
propri successi politici in Afghanistan - è
ritenuta dall'Onu la "peggiore nel mondo". Fuori
Kabul non ci sono, praticamente, possibilità di
accesso all'istruzione per le ragazze e per le
donne afgane. In città, mi è stato detto, la
maggior parte delle scuole ha un programma
limitato agli studi islamici.

La maggior parte delle donne indossa ancora il
burqa, o lo hijab. E' un modo semplicistico per
misurare lo stato di oppressione delle donne in
un paese, ma la questione è stata sfruttata,
dall'amministrazione Bush e dai media dopo l'11
settembre, per render conto del livello di
brutalità dei talebani nei confronti del sesso
femminile. Per di più la dismissione del burqa,
dopo la caduta dei talebani, è stata per i media
la dimostrazione dell'avvenuta "liberazione"
delle donne. Oggi nelle città e nelle province,
la maggior parte delle donne si veste esattamente
come faceva sotto il regime dei talebani.
Nasreen, 18 anni, è una rifugiata tornata in
Afghanistan e che vive ora a Herat. Mi ha detto
che non vorrebbe portare lo hijab, ma è
terrorizzata perchè attirerebbe troppa attenzione
e l'atmosfera continua a essere ostile.

C'è un modello ricorrente: prima dell'11
settembre i media non consideravano degni di
copertura l'Aghanistan e i suoi innumerevoli
problemi (la maggior parte dei quali iniziati a
causa della politica degli Stati Uniti negli anni
'80 e '90). Dopo l'11 settembre, quando
all'amministrazione Bush è convenuto mettere in
evidenza l'oppressione e la povertà come
giustificazioni per una guerra, i media hanno
aderito al progetto. Ora, nonostante esistano
ancora oppressione e povertà, Bush e la Rice ci
hanno informati che l'Afghanistan è stato
"salvato" dal nostro intervento militare e
dall'installazione della "democrazia", così il
paese non necessita più della nostra attenzione.
I media continuano a servire i voleri del governo.

Le stesse persone che il popolo americano,
compassionevolmente e generosamente, sosteneva
dopo l'11 settembre stanno ora soffrendo ancor di
più a causa della mancanza di attenzione e
interesse. Le donazioni per i progetti salvavita,
come ospedali, cliniche, scuole, sono crollate.
Le milizie armate guidate dai signori della
guerra sostenuti dagli USA hanno sostituito i
talebani, finanziando i loro eserciti con la
vendita di eroina. Nel breve periodo questo
atteggiamento ha avuto tangibili conseguenze sul
popolo afgano. Nel lungo periodo la mancanza di
copertura mediatica e di interesse e l'ascesa e
l'arricchimento di gruppi armati avrà orribili e
scioccanti conseguenze, come lo furono gli
attacchi dell'11 settembre.

(Sonali Kolhatkar)

Sonali Kolhatkar è co-produttrice di Uprising, un
programma radiofonico mattutino in onda su KPFK
Pacifica Radio a Los Angeles

Fonte: http://www.counterpunch.org/sonali03282005.html
Traduzione di Nuovi Mondi Media:
http://www.nuovimondimedia.com/sitonew/modules.php?op=modload&name=News&file
=article&sid=1066&topic=27