Perugia-Assisi: una critica della guerra



Non so quanti eravamo alla Perugia-Assisi. Mi sono fermato dopo dieci chilometri, a Collestrada, e lì per cinque ore ho visto passare un fiume ininterrotto di manifestanti; e quando sono ripartito il fiume si andava ancora ingrossando. Ho incontrato tanti pugliesi sparsi dappertutto (cito a caso: gli "antagonisti" e il Social Forum di Lecce, i boy scouts di Bari, il comune di Mola, i giovani comunisti di Terlizzi). Non ho visto le contestazioni contro i dirigenti dell'Ulivo e dei Ds che hanno votato per la guerra. Penso che siano state un fattore di democrazia e un esercizio del diritto di critica. Ho visto però molti manifestanti con i simboli dei Ds e della Cgil marciare tranquilli e in perfetta sintonia con l'oceano in cui erano immersi, dove il senso comune era un No alla guerra grande come una casa, e senza eccezioni. Ho visto pochi striscioni o cartelli "antimericani", ma tantissimi - praticamente tutti - contro la guerra e non solo contro il terrorismo; contro questa guerra degli americani, contro questi bombardamenti sull'Afghanistan. Ho ascoltato slogan e letto cartelli inequivocabili, segni di un livello altissimo di consapevolezza sui problemi del mondo, della globalizzazione, della giustizia internazionale. Uno per tutti: "Chi fa l'elemosina ai poveri è chiamato benefattore; chi spiega le ragioni della povertà è chiamato sovversivo". Dopo l'immensa marcia Perugia-Assisi, la critica alla guerra e la critica alla globalizzazione neoliberista hanno più forza e più speranza.
                                Pasquale Martino