Telegrammi. 430



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 430 del 9 gennaio 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Un noioso

2. Marco Ambrosini e Marco Graziotti intervistano Antonio Vigilante

3. Luisa Muraro: Migranti e streghe

4. Luisa Muraro: La gentilezza e' un distillato

5. Luisa Muraro: Felice senza matrimonio

6. Virginia Woolf: Le parole, la loro liberta'

7. Si e' svolto l'8 gennaio a Viterbo un incontro di studio

8. Per sostenere il Movimento Nonviolento

9. "Azione nonviolenta"

10. Segnalazioni librarie

11. La "Carta" del Movimento Nonviolento

12. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. UN NOIOSO

 

Della guerra assassina e del colpo di stato razzista ancora vuoi parlare?

Ancora parlare voglio del colpo di stato razzista e della guerra assassina.

Ancora voglio dire che chi non si oppone alle stragi e alle persecuzioni, delle persecuzioni e delle stragi e' complice.

 

2. RIFLESSIONE. MARCO AMBROSINI E MARCO GRAZIOTTI INTERVISTANO ANTONIO VIGILANTE

[Ringraziamo Marco Ambrosini (per contatti: agrcasetta at inventati.org) e Marco Graziotti (per contatti: graziottimarco at gmail.com) per averci messo a disposizione questa intervista ad Antonio Vigilante.

Marco Ambrosini e Marco Graziotti fanno parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.

Per un breve profilo di Antonio Vigilante riportiamo la seguente notizia autobiografica che estraiamo dall'ampia intervista apparsa nel n. 291 dei "Telegrammi della nonviolenza in cammino": "Sono nato a Foggia, dove vivo, nel '71. Insegno scienze sociali nei licei e collaboro con l'universita' di Bari. Circa dieci anni fa ho cominciato a studiare con qualche sistematicita' la nonviolenza ed i suoi problemi. Ho cominciato scrivendo un libro su Capitini, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini (Edizioni del Rosone, Foggia 1999), poi una presentazione d'insieme del pensiero nonviolento (Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004), infine due libri su Gandhi: nel primo, Il Dio di Gandhi. Religione, etica e politica (Levante, Bari 2009), analizzo criticamente le sue convinzioni religiose, mentre nel secondo, La pedagogia di Gandhi (Edizioni del Rosone, Foggia 2010), studio le sue convinzioni e le sue pratiche educative. Attualmente sono impegnato in uno studio su Danilo Dolci.Ho un blog personale all'indirizzo: http://minimokarma.blogsome.com"; Antonio Vigilante e' direttore scientifico della rivista "Educazione Democratica" (www.educazionedemocratica.it)]

 

- Marco Ambrosini e Marco Graziotti: Nella storia del Novecento la nonviolenza ha caratterizzato importanti esperienze, dalle lotte condotte da Gandhi dapprima in Sudafrica e successivamente in India, alle esperienze di resistenza nonviolenta contro il nazifascismo, alle lotte di Martin Luther King contro il razzismo, fino alla lotta di Aung San Suu Kyi. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza alla storia degli ultimi cento anni?

- Antonio Vigilante: In un mio libro su Gandhi ho evocato due immagini: quella dello studente che ferma il carro armato in piazza Tiananmen piazzandosi davanti ad esso, e quella di Rachel Corrie, la pacifista americana che invece e' stata travolta da un bulldozer mentre cercava di impedire che gli israeliani distruggessero delle case di palestinesi a Rafah. Chi parla di nonviolenza usa spesso toni trionfalistici, usando espressioni come "forza delle nonviolenza". C'e' anche una certa tendenza a ipotizzare delle leggi della storia, sostenendo che la violenza rivoluzionaria conduce inevitabilmente ad altra violenza, e che solo la nonviolenza puo' cambiare radicalmente le cose. Io penso che il contributo dei movimenti nonviolenti sia stato e sia straordinario ed indichi al mondo intero una via praticabile, razionale, sensata per affrontare i problemi comuni. Non credo pero' nella sua infallibilita', ne' nella sua inevitabilita'. La nonviolenza non deve diventare una dogma, ne' degenerare nella retorica e nello slogan. Ci sono vittorie della nonviolenza, ma anche sconfitte. Un solo esempio: Danilo Dolci riusci' ad ottenere, grazie ad una imponente pressione nonviolenta, la costruzione della diga sullo Jato, un'opera pubblica che considerava indispensabile per affrontare la disoccupazione nelle campagne e combattere la mafia, che si arricchiva con il monopolio delle risorse idriche. Ma la mafia si infiltro' nell'appalto per la costruzione della diga, e l'acqua della stessa fu adoperata per le necessita' di Palermo piu' che per quelle delle campagne. Ancora oggi, a distanza di decenni, la gente della zona lamenta l'abbandono della diga, con la meta' dell'acqua che si disperde per la mancata manutenzione delle tubature. Non ando' meglio la lotta per il riconoscimento dei diritti della popolazione terremotata della Valle del Belice, che vide impegnato Dolci e, in modo anche piu' radicale, Lorenzo Barbera. Lo Stato oppose al dolore della gente di quella zona una beffarda indifferenza. L'ultima grande iniziativa di Dolci, la creazione del centro educativo di Mirto, non ebbe miglior sorte. Dopo l'inaugurazione, ci si trovo' di fronte ad un problema strutturale: la strada che conduceva al centro era malmessa, ed attraversava un ponte che rischiava di crollare. I semplici lavori di sistemazione di quella strada si protrassero per un decennio, mandando in crisi il lavoro educativo. Ecco, quel ponticello pericolante - "Il ponte screpolato" e' il titolo di un'opera di Dolci - mi sembra una buona immagine per descrivere la situazione della nonviolenza.

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- Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La riflessione nonviolenta si e' intrecciata con varie tradizioni del pensiero politico, ha apportato contributi fondamentali, ed ha costituito e costituisce una delle esperienze maggiori della filosofia politica odierna. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero politico?

- Antonio Vigilante: Per come la interpreto io, la nonviolenza e' molto prossima all'anarchismo. Vi sono due aspetti della nonviolenza: la sua opposizione alla violenza ed alla guerra come metodo per la soluzione dei conflitti tra paesi o all'interno di uno stesso paese, e la costruzione di una societa' liberata dalle diverse forme di violenza (fisica, culturale, strutturale). Questo secondo aspetto mi interessa di piu', per quanto consideri importantissimo combattere il militarismo e lavorare affinche' si diffonda l'idea che dell'esercito e' possibile fare a meno, liberando risorse economiche da impiegare per l'istruzione o la sanita' (come ha fatto il Costarica gia' nel '49). La nonviolenza italiana da' un contributo che considero importante al ripensamento del potere. Per Capitini e Dolci si tratta di passare dal potere-su di pochi (che Dolci chiama dominio) al potere-di, che deve appartenere a tutti. Una societa' e' violenta quando ad alcuni sono concesse possibilita' che ad altri sono negate; e quando alcuni possono limitare le possibilita' di altri. Potere e' possibilita' di fare. In una societa' democratica, tutti possiedono la medesima liberta' e possibilita' di fare, di realizzare se stessi, di accedere alle risorse, di essere riconosciuti. Non e' questa la societa' in cui viviamo, democratica solo di nome, ma che di fatto mantiene fortissime disparita' sociali, e condanna sempre piu' soggetti all'impotenza. Per cercare il potere di tutti occorrono strutture che siano alternative a quelle gerarchiche, di dominio. Strutture come i Cos di Capitini o i gruppi maieutici di Danilo Dolci, che per il loro valore di opposizione sarebbe meglio chiamare contro-strutture. La sperimentazione di queste contro-strutture, e la riflessione che le accompagna e le fonda, mi sembra il maggior contributo della nonviolenza al pensiero politico.

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- Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La riflessione nonviolenta si e' intrecciata anche con la ricerca e la riflessione sociologica, dando contributi rilevantissimi. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero sociologico e alla ricerca sociale?

- Antonio Vigilante: Come ho accennato, sto attualmente lavorando ad uno studio su Danilo Dolci. Per via delle sue grandi inchieste degli anni Cinquanta, Dolci e' stato definito un sociologo; non pochi pero' hanno obiettato che una simile definizione non e' del tutto adeguata, perche' un sociologo e' uno studioso che cerca di interpretare scientificamente la realta' sociale, non di cambiarla. Ma e' davvero solo questo un sociologo? Quale e' il compito delle scienze sociali? La conoscenza e' vera solo se si mette al servizio della trasformazione sociale, se aiuta gli uomini e le donne a cercare un mondo migliore. Oltre ad offrire alla riflessione ed all'analisi sociologica nuovi fatti, nuove strutture da considerare, la nonviolenza e' caratterizzata, mi sembra, soprattutto da una diversa concezione dell'intellettuale e dello scienziato sociale, che e' si' un tecnico, ma un tecnico al servizio della comunita', in dialogo con la gente, capace di interpretarne i bisogni e di fornire gli strumenti per esercitare il potere. Lo scienziato sociale ha tre possibilita': mettersi al servizio di chi comanda, chiudersi nelle universita' oppure aprirsi alla comunita' e dialogare con la gente. E' emblematico il caso dei pedagogisti. Alcuni si sono messi al servizio del governo e cercano di dare giustificazioni pedagogiche ad una pseudo-riforma che e' in realta' uno smantellamento della scuola pubblica; altri dall'alto delle loro cattedre universitarie lanciano strali tanto polemici quanto sterili, poiche' chi governa non riconosce alcuna autorevolezza al sapere ed ai suoi detentori (o presunti detentori) all'interno delle universita'. Ma dove sono i pedagogisti capaci di comunicare con la gente? Perche' non aiutano nei quartieri di periferia, nelle cosiddette zone a rischio, i genitori ed i figli a comprendersi? Perche' non aiutano la comunita' ad attivare autoanalisi? Perche' non si fanno promotori di cambiamento sociale, invece di limitarsi a scrivere saggi condensando cose lette in altri saggi, senza alcun contatto reale con qualsiasi esperienza realmente educativa?

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- Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La riflessione e le esperienze nonviolente hanno potentemente investito anche l'economia sia come realta' strutturale sia come relativo campo del sapere. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero economico?

- Antonio Vigilante: C'e' oggi un anticapitalismo diffuso, che vede uniti ecologisti, persone di sinistra, femministe, fautori della decrescita, qualche cattolico. I nonviolenti - o gli amici della nonviolenza, per dirla con Capitini - si ritrovano in questo schieramento tanto ampio quanto un po' vago. Ho l'impressione che in questo campo non vi sia una grande radicalita'. Si pensa che il capitalismo sia il male, ma quanto alle alternative, ci si limita a suggerire il cambiamento di certi aspetti dello stile di vita. Sia chiaro: cambiare alcune abitudini e' essenziale, e certo la societa' e l'economia dipendono anche dalle nostre scelte quotidiane. Ma non e' cosi' che si abbattera' il capitalismo; e non sono nemmeno sicuro che esso possa implodere da solo, come sostiene Galtung. I maestri della nonviolenza, da Tolstoj a Gandhi ed a Capitini, hanno in comune una visione socialistica, che non e' riducibile al marxismo poiche' tiene conto anche dei bisogni post-materialistici, ma che nemmeno si puo' relativizzare e considerare secondaria. Come pensare una societa' non capitalistica che non sia la replica del totalitarismo comunistico? Rispondere a questa domanda e' una delle principali sfide attuali della teoria della nonviolenza. E, ancora, credo che la risposta possa essere cercata esplorando la prossimita' tra nonviolenza ed anarchismo, una concezione politica che da sempre unisce all'opposizione al capitalismo il rispetto piu' rigoroso della liberta' individuale.

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- Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La teoria-prassi nonviolenta ha recentemente avuto uno svolgimento importantissimo nel campo del diritto e specificamente del diritto penale, con l'esperienza sudafricana della "Commissione per la verita' e la riconciliazione" e con le numerose altre iniziative e successive teorizzazioni che ad essa si sono ispirate. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero giuridico e alla pratica del diritto?

- Antonio Vigilante: Capitini usava l'espressione "chiudere in un giudizio", per indicare una pratica irrispettosa della realta' sempre aperta che e' un essere umano. Era uno dei suoi motivi di opposizione alla Chiesa cattolica, poiche' non poteva accettare che un qualcuno venisse dannato in eterno - chiuso appunto in un giudizio, senza possibilita' di cambiamento, di crescita. Pensando la compresenza, Capitini ha cercato di pensare una unita' intima di tutti coloro che vivono e sono vissuti, aperta e viva nell'esperienza del valore; ed e' una unita' che comprende anche coloro che operano il male. Ci si puo' chiedere come mai. La risposta e', mi sembra, nel fatto che separarsi da qualcuno, escluderlo, anche in base alla ragione apparentemente ottima che e' uno che opera il male, vuol dire essere gia' nel male. Il bene e' essenzialmente inclusivo. Se si condivide questa visione dell'uomo come realta' costantemente aperta, allora non si puo' che considerare inaccettabile l'attuale sistema del diritto penale - che, non dimentichiamolo, funziona secondo criteri classisti, se non altro perche' le leggi sono fatte da un parlamento nel quale non si trovano che rappresentanti della classe borghese. Di questi tempi la gente, sotto il martellamento televisivo, principale strumento del fascismo di ritorno, si sta incattivendo: si sente ovunque minacciata da criminali (anche se i reati sono in diminuzione da diversi anni); una volta che un criminale vero o presunto finisce in galera, per lui e' la morte civile. E spesso non solo civile. Nelle nostre carceri i detenuti si suicidano a decine per via delle condizioni inaccettabili legate al sovraffollamento e ad altre negazioni dei diritti. Una strage silenziosa, invisibile, taciuta dalle televisioni e quindi inesistente. Bisogna lavorare affinche' in Italia il detenuto torni ad essere un uomo. Almeno questo.

 

3. MAESTRE. LUISA MURARO: MIGRANTI E STREGHE

[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso su "Metro" del 3 novembre 2010.

Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici femministe, ha insegnato all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997"]

 

Cresce il numero dei migranti che si stabiliscono in Italia e cresce l'ostilita' della popolazione autoctona nei loro confronti. La situazione e' critica e a tutti e' chiesto di pensarci per il bene di tutti. Daro' un mio contributo alla riflessione comune. E' sbagliato gridare al razzista davanti alle manifestazioni di insofferenza verso gli immigrati ma bisogna riconoscere che c'e' un pericolo di deriva, come si dice delle barche trascinate in fondo al mare dalle correnti marine. Percio' e' due volte sbagliato, da parte dei politici, cercare voti facendo leva sulla insofferenza popolare. La storia dimostra che questo e' un comportamento molto pericoloso. Per secoli in Europa gli abitanti delle campagne credevano nei malefizi delle streghe ma le autorita' religiose e civili non davano corda a queste superstizioni e cercavano, al contrario, di eliminarle. Poi, un brutto giorno, gli uomini al potere pensarono invece di approfittarne e di alimentare la paura: qualche libro, qualche processo, qualche predica dal pulpito.

E fu il disastro, si scateno' la caccia alle streghe, un circolo infernale di sospetti, accuse, processi, con migliaia di vittime innocenti, la pagina piu' nera della storia europea prima del nazismo. I problemi posti dalle massicce migrazioni esistono, sebbene dovremmo mettere in conto anche i vantaggi che ne vengono. Che la pensiamo cosi' o cola', dimostrarsi compiacenti verso i malumori e i pregiudizi per avere piu' voti e' da irresponsabili e, alla lunga, da criminali.

 

4. MAESTRE. LUISA MURARO: LA GENTILEZZA E' UN DISTILLATO

[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso su "Metro" del 12 novembre 2010]

 

Per chi vuole coltivare in se' e intorno a se' la gentilezza, questi sono tempi eroici. A formare una persona gentile contribuiscono il suo temperamento, l'educazione ricevuta e la cultura circostante: nella nostra societa' non mancano persone spontaneamente inclini alla gentilezza cosi' come non manca l'educazione di base nelle famiglie e nelle scuole, ma e' franata la cultura sociale. Le nemiche della gentilezza, villania e volgarita', trionfano sulla scena sociale. Non e' colpa di nessuno, le cose sono andate cosi'. Tutti invocano un po' di gentilezza, pochi la offrono. D'altra parla, non si puo' comprarla (quella che si compra e' finta). Si riceve in regalo e si ricambia. Si puo' anche cercare di produrla in proprio e offrirla a chi non la conosce. E' contagiosa, ma meno delle sue nemiche. Come posso insegnare la gentilezza ai miei alunni, mi ha chiesto una prof. Come si insegna un'arte marziale, le ho risposto: le mosse giuste, il senso della misura, la nobilta' d'animo; alle alunne, insegna a non imitare i villani e a coltivare la differenza femminile insieme alla forza: nessuno si permetta di crederle deboli perche' gentili, tutto al contrario.

Confesso che, personalmente, non sono sempre gentile con le persone che conosco: con queste esprimo a volte la violenza congenita che ho dentro, fidando nel nostro rapporto. In compenso, sono gentile con le persone sconosciute in cui ci si imbatte nel caotico mondo di oggi. Dicono che per essere gentili ci vorrebbe del tempo e noi non ne abbiamo, io mi sono specializzata in una gentilezza mordi e fuggi: un sorriso e uno sguardo d'intesa, a chi? A un essere umano. Quello che propongo non e' certo un buon esempio, ma un'idea: concediamo alle nostre vite e alle nostre citta' il lusso di essere ogni tanto gentili per la pura gioia di esserlo.

 

5. MAESTRE. LUISA MURARO: FELICE SENZA MATRIMONIO

[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso su "Metro" del 21 dicembre 2010]

 

Anch'io sono una lettrice della rubrica di Maria Beatrice De Caro. Mi fa conoscere storie matrimoniali di una complicazione che non immaginavo. Alle pendici dell'Himalaya esiste un popolo che non conosce l'istituzione del matrimonio. Come fanno? A queste domande risponde il libro di Francesca Rosati Freeman, Benvenuti nel paese delle donne. Un viaggio alla scoperta dei Moso una societa' matriarcale senza violenze ne' gelosia. Quando una ragazza diventa adulta, ha una camera tutta sua dove riceve il suo innamorato che la mattina se ne va per tornare nella famiglia d'origine. I doveri di lui sono verso quest'ultima. Qui fa da padre ai figli delle sorelle, i suoi figli crescono nella famiglia materna. Le coppie durano quanto il loro amore. Finche' durano, la fedelta' e' richiesta anche se non imposta. In quel popolo non ci sono regole rigide, ma la gelosia e' vista male.

Dobbiamo imitare i Moso? No, non sarebbe possibile perche' una cultura non si cambia come un vestito. Ma possiamo imparare da loro il valore della fedelta', per esempio: finche' sei impegnato con una persona, restarle fedele, valorizza l'uno e l'altra. Piu' di ogni altra cosa dai Moso viene un messaggio che non ci e' nuovo: la potenza della relazione materna. I Moso, forse piu' saggi di noi, ne hanno fatto l'asse portante della loro civilta'.

 

6. MAESTRE. VIRGINIA WOOLF: LE PAROLE, LA LORO LIBERTA'

[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente testo dal titolo "Virginia Woolf alla radio: L'arte delle parole", li' preceduto dalla seguente nota introduttiva: "Nel 1937 la Bbc mando' in onda una serie di conversazioni dal titolo 'Le parole mi sfuggono', il 20 aprile venne trasmesso l'intervento di Virginia Woolf, che possiamo riascoltare andando al sito:

http://atthisnow.blogspot.com/2009/06/craftsmanship-virginia-woolf.html Qui riportiamo la traduzione in italiano fatta da Valentina Dolciotti e Silvia Giordano".

Virginia Woolf, scrittrice tra le piu' grandi del Novecento, nacque a Londra nel 1882, promotrice di esperienze culturali ed editoriali di grande rilievo, oltre alle sue splendide opere narrative scrisse molti acuti saggi, di cui alcuni fondamentali anche per una cultura della pace. Mori' suicida nel 1941. E' uno dei punti di riferimento della riflessione dei movimenti delle donne, di liberazione, per la pace. Opere di Virginia Woolf: le sue opere sono state tradotte da vari editori, un'edizione di Tutti i romanzi (in due volumi, comprendenti La crociera, Notte e giorno, La camera di Jacob, La signora Dalloway, Gita al faro, Orlando, Le onde, Gli anni, Tra un atto e l'altro) e' stata qualche anno fa pubblicata in una collana ultraeconomica dalla Newton Compton di Roma; una pregevolissima edizione sia delle opere narrative che della saggistica e' stata curata da Nadia Fusini nei volumi dei Meridiani Mondadori alle opere di Virginia Woolf dedicati (ai quali rinviamo anche per la bibliografia). Tra i saggi due sono particolarmente importanti per una cultura della pace: Una stanza tutta per se', Newton Compton, Roma 1993; Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano 1987 (ma ambedue sono disponibili anche in varie altre edizioni). Numerosissime sono le opere su Virginia Woolf: segnaliamo almeno Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti, Milano 1974; Mirella Mancioli Billi, Virginia Woolf, La Nuova Italia, Firenze 1975; Paola Zaccaria, Virginia Woolf, Dedalo, Bari 1980; Nadia Fusini, Possiedo la mia anima. Il segreto di Virginia Woolf, Mondadori, Milano 2006; Liliana Rampello, Il canto del mondo reale. Virginia Woolf, la vita nella scrittura, Il saggiatore, Milano 2005. Segnaliamo anche almeno le pagine di Erich Auerbach, "Il calzerotto marrone", in Mimesis, Einaudi, Torino 1977]

 

... parole, le parole inglesi sono piene di echi, di memorie, di associazioni.

Sono state in giro e hanno circolato sulle labbra della gente, nelle loro case, nelle strade, nei campi per cosi' tanti secoli. Ed e' proprio quella una delle principali difficolta' nella scrittura di oggi: che le parole sono ammassate con altri significati, con altre memorie, e hanno contratto matrimoni tanto celebri nel passato. La splendida parola "vermiglio" per esempio: chi potrebbe farne uso senza ricordare gli "innumerevoli mari"? Una volta, certamente, quando l'inglese era una lingua nuova, gli scrittori potevano inventare nuove parole, adoperarle. Oggigiorno e' abbastanza facile inventare parole nuove, salgono sulle labbra ogni volta che abbiamo una nuova visione o proviamo una nuova sensazione, ma non possiamo servircene a causa del lungo retaggio della lingua inglese. Non e' possibile usare una parola nuova di zecca all'interno di una lingua antica per l'ovvio e misterioso fatto che una parola non e' un'entita' a se stante, ma parte di altre parole. In realta' non e' parola fino a quando non diventa parte di una frase. Le parole appartengono le une alle altre anche se, certamente, solo un grande poeta sa che la parola "vermiglio" appartiene a "innumerevoli mari". Combinare parole vecchie con parole nuove e' fatale per la costituzione della frase. Per utilizzare propriamente nuove parole bisognerebbe inventare un intero nuovo linguaggio; e questo, sebbene lo approfondiremo, non riguarda per ora la nostra indagine. Nostro interesse e' vedere quel che possiamo fare con il vecchio inglese per quello che e'. Come possiamo combinare le vecchie parole in nuovi ordini cosi' che sopravvivano, cosi' che creino bellezza, cosi' che dicano la verita'? Ecco la domanda.

E la persona che sapesse rispondere a questa domanda meriterebbe qualsiasi corona di gloria che il mondo abbia da offrire. Pensate cosa potrebbe significare se voi poteste insegnare, o se poteste apprendere l'arte della scrittura. Perche', ogni libro, ogni quotidiano che aprireste, direbbe la verita', o creerebbe bellezza. Ma detto cio', tuttavia si porrebbero, comparirebbero inevitabilmente degli ostacoli lungo la via, un impedimento nell'insegnare le parole. Eppure in questo momento almeno un centinaio di professori stanno tenendo una lezione sulla letteratura passata, almeno un migliaio di critici stanno commentando letteratura del presente, e centinaia su centinaia di giovani uomini e donne staranno sostenendo esami in letteratura inglese a pieni voti, e tuttavia: scriviamo meglio, leggiamo meglio di come abbiamo letto e scritto quattrocento anni fa quando noi eravamo senza senso critico, senza conferenze, senza istruzione? La nostra moderna letteratura georgiana e' una toppa su quella elisabettiana?

Dunque, a chi daremo la colpa? Non ai nostri professori; non ai nostri critici; non ai nostri scrittori; ma alle parole. Sono le parole che vanno incolpate. Sono le piu' selvagge, le piu' libere, le piu' irresponsabili e meno educabili fra le cose. Naturalmente le puoi acchiappare e classificare e piazzarle in ordine alfabetico nei dizionari. Ma le parole non vivono nei dizionari; loro vivono nella mente. Se volete una prova di questo, considerate quanto spesso in momenti di emozione, quando abbiamo piu' bisogno di parole non ne troviamo nessuna. E il dizionario c'e', a nostra disposizione sono mezzo milione di parole tutte in ordine alfabetico. Ma le sappiamo usare? No, perche' le parole non vivono nei dizionari, vivono nella mente. Guardate ancora una volta ai dizionari. Li', al di la' di ogni dubbio giacciono opere ancora piu' splendide di Antonio e Cleopatra, poesie piu' amabili di Ode all'usignolo, novelle davanti alle quali Orgoglio e Pregiudizio e David Copperfield sono grossolani pasticci da dilettante. E' solo questione di trovare le parole giuste e metterle nell'ordine esatto. Ma non possiamo farlo perche' non vivono nei dizionari; vivono nella mente. E come vivono nella mente? Variamente e stranamente, come molti degli esseri umani vivono gironzolando qui e la', innamorandosi, accompagnandosi. E' vero che loro sono molto meno legate da cerimonie e convenzioni di quanto siamo noi. Parole regali si accoppiano con le comuni. Parole inglesi sposano parole francesi, parole tedesche, parole indiane, parole nere, se gli viene il ghiribizzo. In verita' quanto meno noi indaghiamo nel passato della nostra cara Madrelingua Inglese meglio sara' per la reputazione di quella signora. Perche' e' diventata una bella passeggiatrice.

Cosi' porre qualsiasi legge per delle cosi' incorreggibili vagabonde e' peggio che inutile. Poche insignificanti regole di grammatica e di ortografia sono tutti i vincoli che possiamo porre loro. Tutto quello che possiamo dirne - mentre le sbirciamo da sopra l'orlo di quella profonda, nera e solo a intermittenza illuminata caverna nella quale vivono - tutto quello che possiamo dirne e' che sembrano preferire le persone che pensano prima di usarle, e che sentono prima di usarle, ma pensare e sentire non a loro, ma a qualcosa di diverso. Sono molto sensibili, facilmente intimidite. Non amano che la loro purezza o impurezza venga discussa. Se fondate un'associazione per l'inglese puro, loro vi mostreranno il loro risentimento fondandone un'altra per l'inglese impuro - da qui l'innaturale violenza di gran parte del linguaggio moderno; e' una protesta contro i puritani. Sono molto democratiche, anche; credono che una parola sia tanto buona quanto un'altra; le parole maleducate sono buone quanto le parole educate, le parole incolte sono buone quanto le parole colte, non ci sono ranghi o titoli nella loro societa'. Nemmeno amano essere sollevate con la punta del pennino ed esaminate separatamente. Stanno insieme, in frasi, paragrafi, talvolta per intere pagine contemporaneamente. Loro detestano essere utili; detestano fare denaro; odiano tenere conferenze pubbliche. In breve, detestano qualsiasi cosa che le marchi con un significato o che le confini a una posa, perche' la loro natura e' cambiare. Forse quella e' la loro caratteristica piu' sorprendente: la loro necessita' di cambiamento. E' perche' la verita' che cercano di catturare ha tanti lati, e la trasmettono rimanendo sfaccettate, illuminando prima in un modo poi nell'altro. Cosi' significano una cosa per una persona, un'altra cosa per un'altra persona; sono inintelligibili a una generazione, chiare come la luce del sole alla successiva. Ed e' a causa di questa complessita', questo potere di significare differenti cose per differenti persone, che sopravvivono. Forse allora una ragione per cui oggi non abbiamo grandi poeti, novellisti o critici letterari e' che ci rifiutiamo di lasciare alle parole la loro liberta'. Le fissiamo a un significato solo, il loro significato vantaggioso, il significato che ci permette di prendere il treno, il significato che ci permette di passare gli esami...

 

7. INCONTRI. SI E' SVOLTO L'8 GENNAIO A VITERBO UN INCONTRO DI STUDIO

 

Sabato 8 gennaio 2011 a Viterbo, presso la sede del "Centro di ricerca per la pace", si e' svolto un incontro di studio.

L'incontro e' stato dedicato allo studio della storia dell'arte cristiana dei primi secoli.

L'incontro si e' svolto nell'ambito di un'iniziativa, in corso da mesi, di promozione del diritto allo studio.

 

8. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.

Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

9. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"

 

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.

Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.

E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".

 

10. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Nicola Abbagnano, La saggezza della vita, Rusconi, Milano 1985, 1994, pp. 336.

- Nicola Abbagnano, La saggezza della filosofia, Rusconi, Milano 1993, pp. 238.

- Ludovico Geymonat, Paradossi e rivoluzioni, Il Saggiatore, Milano 1979, pp. VIII + 152.

- Ludovico Geymonat, La societa' come milizia, Marcos y Marcos, Milano 1989, pp. 152.

- Ludovico Geymonat, La liberta', Rusconi, Milano 1993, pp. 190.

- Ludovico Geymonat (con Carlo Sini e Fabio Minazzi), La ragione, Piemme, Casale Monferrato (Al) 1994, pp. XVIII + 214.

*

Riedizioni

- Jerome Seymour Bruner, Roger William Brown, Il pensiero. Strategie e categorie, Armando, Roma 1969, 1973, Fabbri - Rcs Libri, Milano 2007, pp. 462, euro 9,90.

-Edward Gibbon, Storia della decadenza e caduta dell'impero romano, Einaudi, Torino 1967, 1987, Mondadori, Milano 2010-2011, 3 voll. per complessive pp. XXXVIII + 2916, euro 12,90 per ciascun volume (in supplemento a vari periodici Mondadori).

- Maria Cristina Maiocchi, Toulouse-Lautrec e il suo tempo, E-ducation.it, Firenze 2007, 2010, pp. 312, euro 14,90 (in supplemento a "La Repubblica" e a "L'espresso").

- Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, Rcs Rizzoli Libri, Milano 2007, 2011, pp. 336, euro 7,50 (in supplemento al "Corriere della sera").

 

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

12. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 430 del 9 gennaio 2011

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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