Voci e volti della nonviolenza. 309



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 309 del 6 marzo 2009

In questo numero:
1. Rosa Luxemburg: Rimanere umani
2. Agnese Ginocchio: Noi donne per la pace
3. Paola Mancinelli: Una mistica di liberazione
4. Adriana Perrotta Rabissi: Una storia lunga un secolo
5. Massimo Romano: Gianni Celati

1. MAESTRE. ROSA LUXEMBURG: RIMANERE UMANI
[Da Rosa Luxemburg, Lettere 1893-1919, Editori Riuniti, Roma 1979, pp.
212-213 (e' un frammento da una lettera scritta dal carcere il 28 dicembre
1916 a Mathilde Wurm)]

... Ne hai ora abbastanza come auguri per l'anno nuovo? Procura allora di
rimanere un essere umano. Rimanere un essere umano e' la cosa principale. E
questo vuol dire rimanere saldi e chiari e sereni, si' sereni malgrado
tutto, perche' lagnarsi e' segno di debolezza. Rimanere umani significa
gettare con gioia la propria vita "sulla grande bilancia del destino" quando
e' necessario farlo, ma nel contempo gioire di ogni giorno di sole e di ogni
bella nuvola; ah, non so scrivere una ricetta per essere umani, so soltanto
come si e' umani...

2. OTTOMARZOTUTTOLANNO. AGNESE GINOCCHIO: NOI DONNE PER LA PACE
[Ringraziamo Agnese Ginocchio (per contatti: agnese.musica at katamail.com) per
questo intervento]

Noi donne di pace ci mettiamo in movimento e ci impegniamo in prima persona
a rompere il muro di indifferenza e di omerta' che si crea con le mafie dei
comportamenti, a superare l'oppressione che viviamo come donne, per
affermare che la dominazione, lo sfruttamento, l'egoismo e la ricerca
sfrenata del piacere e del profitto economico, profanano l'alta dignita'
femminile, che invece rappresenta l'immagine per eccellenza dell'unita', dei
ponti arcobaleno, della vita, dell'amore, della speranza e della pace.
Ci proponiamo quindi di costruire un altro mondo dove lo sfruttamento,
l'oppressione, l'intolleranza e le esclusioni sociali cessino di esistere.
Un altro mondo dove prevalga il diritto alla giustizia, il diritto alla
salute, il diritto alla vita e il diritto ad un ambiente sicuro. Un altro
mondo dove l'incolumita', le diversita', i diritti e le liberta' di tutte e
di tutti siano rispettate.
Questo mondo, in cui noi - come donne testimoni e ambasciatrici di pace -
crediamo fortemente, si basa sui seguenti valori: uguaglianza, fratellanza e
sorellanza, speranza, liberta', solidarieta', nonviolenza, giustizia,
legalita', mondialita', difesa dell'ambiente, difesa e tutela delle fascie
sociali piu' deboli, tutela dell'infanzia.
Questa e' la nostra cultura, ovvero la cultura della pace. Non c'e' pace
senza una civilta' e quindi una comunita' basata sulla cultura della pace.
Come la madre che da' la vita per la prole e per chi ama, cosi' noi siamo
impegnate perche' possa prevalere la pace e la giustizia senza confini.
Nel nome della pace camminiamo, per seminare la speranza e per costruire un
mondo nuovo piu' giusto, piu' vero e piu' solidale, affinche' vinca la vita
e dunque la pace.
Nel segno biblico dell'arcobaleno. Shalom.

3. OTTOMARZOTUTTOLANNO. PAOLA MANCINELLI: UNA MISTICA DI LIBERAZIONE
[Ringraziamo Paola Mancinelli (per contatti: mancinellipaola at libero.it) per
questo intervento]

Nella ricorrenza dell'8 marzo vorrei consacrare la mia attenzione di
studiosa di filosofia e teologia a come il femminile sia stato depositario
di una notevole ermeneutica delle Scritture Sacre, vivendo la religione come
forma di emancipazione, volta a sottolineare la singolare, imprescindibile
dignita' umana espressa in particolare nella liberta'.
Mi riferisco all'esperienza mistica ecumenicamente intesa, ossia come appare
nell'ambito dell'elaborazione di fede propria di ogni religione. In primis,
pero', vorrei soffermarmi su quella che campeggia nelle figure femminili
bibliche e mi si perdoni se, per ragioni di spazio, pongo l'accento solo su
quelle emblematiche del Nuovo Testamento (o Secondo Testamento, dato l'humus
ebraico in cui i Vangeli affondano, che ci fa chiamare l'Antico, con piu'
esattezza, Primo Testamento). La prima figura, indubbiamente, e' Maria, la
seconda la profetessa Anna, la cui comparsa per la verita' e' quasi fugace,
ma non per questo meno pregnante.
*
Maria e' l'archetipo della donna che aderisce all'onda d'amore creativo di
Dio, di per se' contemplativa, ma di una contemplazione che si pone in linea
con il retaggio profetico e con l'annuncio di un novum messianico tradotto
nell'efficacia della Promessa di Dio.
Cerchero' di tratteggiare la sua figura limpida e mirabile a partire da quel
capolavoro della poesia biblica che, assieme ai Salmi, e' il Magnificat.
Sulla bocca della giovane scelta come Madre del Messia i versi si sciolgono
in lode e stupore per il Dio che rovescia i potenti dai troni e innalza gli
umili, laddove la categoria dell'umile come privo di diritti si riferisce in
modo speciale, nella cultura semitica, alla donna, la cui testimonianza e'
addirittura nulla da un punto di vista giuridico e da un punto di vista
culturale costretta ad un rigido codice che sottende la sua condizione di
sottomessa. Ripercorrendo l'allure lirica di quei versi si puo' evincere un
rapporto libero e vitale con la Parola, una capacita' di traduzione nella
propria vita della riserva di memoria biblica nel senso di una possibilita'
critica; da ultimo possiamo certamente dedurre la capacita' di rapportarsi
liberamente alla Tradizione, dando un contributo personale a vivificarla.
Forse non e' un caso che l'iconografia dell'Annunciazione di stampo
rinascimentale ci presenta spesso una Maria intenta nella lettura delle
Scritture, ove la lettura stessa si fa lectio, intimita' della Parola
assaporata, quasi a sancire la condizione di superamento della
sottomissione, in nome di un'eguaglianza nella dignita' che mette la donna
in condizione di rispondere Ecco-mi, la stessa risposta ricorrente nei
racconti di vocazione profetica. Se la lettura e' una metafora, dato che
nessuno dei racconti evangelici dell'Annunciazione attesta questa azione da
parte della Vergine, si evince certo che si tratti di un'interpretazione
pittorica, pero' non ci sembra cosi' impossibile ravvisarvi il significato
suddetto.
*
La profetessa Anna vive nel Tempio, servendo Dio, secondo il racconto
dell'Evangelo lucano, ed esprime l'idea stessa di un culto in Spirito che si
traduce nella conoscenza concreta della manifestazione messianica di Dio
nella forma di un bambino, contraddicendo in un certo senso quell'idea di
distanza della donna dal sacro gia' ravvisabile nelle codificazioni piu'
arcaiche quali per esempio quelle dei tabu' religiosi. Il ruolo di servizio
al tempio implica una possibile indipendenza, un affrancamento da una
potesta' maschile e l'inventio (nella radice latina) di un ruolo altro da
qualsivoglia subalternita', capace di inaugurare la possibilita' di
un'adorazione scevra dal legalismo, ma contrassegnata da quella stessa linea
profetica che tanto spesso contraddistingue Dio come maternita' misericorde
mentre ricrea sempre, dalla Sua Alleanza, la condizione dell'umanita' nuova.
Questa idea credo ci possa aiutare a comprendere come l'esperienza di Dio
del femminile si coniuga subito nell'ottica di una liberazione, di un
servizio che di fatto inaugura una comunita' di eguali e che in ultima
analisi sancisce, secondo la stessa traditio biblica, la possibilita' di
un'umanita' come partner dell'Alleanza con Dio.
*
Un'istanza, quella della mistica come liberazione del potenziale femminile,
che ricorre, oggi,  allo stesso modo in tante correnti meno note ma non
certo meno notevoli dell'Islam. Sono proprio i versi poetici di una donna ad
evidenziare questa liberta' di essere del femminile dinanzi non ad un Dio
della legge e dei codici rigidi ma ad un Dio della Vita e dell'accoglienza
che si contrassegna come gratuita' e liberta':
"Mio Dio se ti servo perche' Tu mi dai il Paradiso,
non darmi il Paradiso; se ti servo perche' ho paura
dell'inferno, mandami all'inferno;
ma se ti servo solo perche' Tu sei il mio Dio, o Signore
lascia che Ti serva".
Si tratta di una mistica araba vissuta prima dell'anno mille della nostra
era cristiana, di cui non si riporta il nome, ma il cui anonimato, tipico di
una cultura della sottomissione, assurge oggi a possibilita' di riassumere
tutte le donne capaci di prendere in mano la loro vita e di farsi carico di
un generoso servizio, rispondendo liberamente ad ogni desiderio di
accoglienza e riconoscimento. Per questo la cultura della pace si puo'
declinare in modo precipuo al femminile.

4. OTTOMARZOTUTTOLANNO. ADRIANA PERROTTA RABISSI: UNA STORIA LUNGA UN SECOLO
[Ringraziamo Adriana Perrotta Rabissi (per contatti:
adriana.perrotta at gmail.com) per questo intervento]

L'8 marzo e' una data senz'altro controversa: l'istituzionalizzazione
progressiva, che ha raggiunto il culmine negli ultimi vent'anni, con punte
di festeggiamenti sovente di cattivo gusto, ha eliminato dal suo orizzonte i
dati di conflitto che l'avevano ispirata, riducendola da un lato a una
leziosa pacificazione tra donne e uomini, che in questa occasione regalano
mimose cerimoniosamente, arricchendo i fiorai, dall'altro a un
rivendicazionismo da parte delle donne del tutto mimetico di forme e
modalita' di socializzazione maschili: cena tra sole donne (come le cene tra
soli uomini) con contorno di spogliarello maschile: l'importante e' la
reificazione e mercificazione del corpo, per 364 giorni e' quello delle
donne, per un giorno e' quello degli uomini, finalmente la parita'...
Non a caso nella percezione comune e' sentita, e pubblicizzata, come festa,
e non come giornata di lotta, e via con celebrazioni, sempre piu' improntate
al consumismo; mentre nel dopoguerra e per tutti gli anni Cinquanta e
Sessanta e' stata considerata una iniziativa di parte, socialista e
comunista, comunque dell'Udi e non generale.
La sua popolarita' e' effetto del diffondersi del femminismo negli anni
Settanta, e della vivacita' del movimento delle donne.
Eppure le femministe, non tutte, ma in buona parte, l'hanno avuta spesso in
antipatia, anche se non hanno rinunciato a essere presenti nei vari luoghi
dove sono state richieste di parlare, proprio per quel portato di
emancipazionismo acritico e quella sfumatura di modernizzazione dei costumi
di cui l'andavano tingendo i mezzi di comunicazione di massa, impegnati a
celare in questo modo i contenuti di lotta che aveva espresso e continuava,
loro malgrado, a esprimere.
*
Proprio in questi giorni e' stato pubblicato, con finanziamento dell'Unione
Femminile di Milano, il libro 8 Marzo. Una storia lunga un secolo, di Tilde
Capomazza e Marisa Ombra, Roma, Iacobelli, 2009, che riprende una
pubblicazione degli anni Ottanta delle stesse autrici.
Il libro e' un'accurata ricostruzione storica dell'origine internazionale
della giornata dell'8 Marzo, e spazza via i miti che l'hanno circondata:
dalla sua istituzione attribuita a Clara Zetkin nel 1910, all'episodio che
l'avrebbe ispirata: l'incendio di una fabbrica a mano d'opera femminile (con
cifre di vittime varianti da 29 a 129) scoppiato a New York, piuttosto che a
Boston o Chicago; inoltre e' ricco di documenti, italiani e di altri paesi,
sulle motivazioni che spinsero le donne a promuoverla, sulle trasformazioni
delle manifestazioni che si sono susseguite nel corso del tempo e sugli
obiettivi di lotta di volta in volta individuati.
La ricerca si ferma al 1980, proprio all'inizio dell'opera di espropriazione
di contenuti e forme di lotta esercitata dal conformismo di massa che si e'
andato affermando a partire da quegli anni, a causa della caduta di tensione
generale verso gli aspetti conflittuali e libertari che hanno animato la
societa' e la cultura degli anni precedenti; proprio in ragione di questi
fenomeni mi ha colpito, mentre sfogliavo il libro appena arrivato, il fatto
che negli slogan preparati per le manifestazioni dell'8 marzo 1980
campeggiassero quelli contro la violenza sessuale, maschile, alle donne: 29
anni fa, quando di immigrati non si parlava ancora in Italia.
Riprendiamoci in mano questo 8 marzo, ce n'e' ancora bisogno.

5. PROFILI. MASSIMO ROMANO: GIANNI CELATI
[Dal mensile "Letture", n. 654 del febbraio 2009 col titolo "Gianni Celati"
e il sommario "Singolare scrittore nel panorama del secondo Novecento
italiano, scoperto da Calvino e a sua volta riferimento per autori come
Tondelli, la figura di Gianni Celati sembra vagare tra fabulazione,
comicita' e scrittura"]

Gianni Celati e' una delle voci piu' importanti della letteratura italiana
nell'ultimo scorcio del Novecento e una sentinella profetica affacciata sul
terzo millennio. Marco Belpoliti lo ha definito, senza mezzi termini, "il
piu' importante narratore italiano vivente". Forse ha ragione, forse no, ma
per esserne certi bisognera' attendere la decantazione del tempo.
Celati e' uno scrittore ipercolto e un narratore in apparenza sgangherato,
"uno che gioca non solo con se stesso e con noi lettori", ha scritto
Belpoliti, "ma anche con la letteratura, fa il verso ai libri, li prende in
giro, cosi' come dice di prendere in giro se stesso". Bisogna partire di
qui, da questa falsa contraddizione che lo colloca ai margini della
letteratura attuale e insieme lo pone in avanti rispetto al suo tempo.
Praticamente sconosciuto al lettore di massa, occupa uno spazio appartato,
estraneo ai circuiti ufficiali, alla cultura consumistica del marketing, dei
premi letterari, dei best-seller. Non sopporta il "romanzo industriale",
fatto di libri invendibili e per lo piu' invenduti, che riflettono "un mondo
della noia assoluta". La sua idea di racconto, che nasce dalla casualita' e
dalla ripetitivita' quotidiana, ma deve essere sempre "una promessa
d'emozione", lo colloca nettamente al di fuori della tradizione dello
scrittore-araldo di grandi visioni tragiche o consolatorie. Come scrive
nella pagina finale di Lunario del paradiso, "e' ora di piantarla con questi
pensatori che non ti lasciano mai farti una storia senza rompere le balle
[...] Caro pensatore, [...] prova anche tu a farti delle storie".
Per lui la cosa piu' importante non e' scrivere, ma leggere e ascoltare. In
un'intervista con Severino Cesari sul "Manifesto" dell'11 marzo 1989 ha
dichiarato: "Leggere o ascoltare e' una delle cose piu' difficili della
vita, perche' non si ascolta mai abbastanza bene quello che dicono le
parole". Cio' che conta e' il ritmo delle frasi e del racconto, e in questo
Celati e' inconfondibile nel panorama della letteratura italiana del secondo
Novecento: "La condizione d'esercizio della scrittura dipende senza dubbio
da un andamento inerziale delle parole, che portano dove vogliono loro, mai
dove vogliamo noi".
Le storie di Celati sono popolate di personaggi strambi e lunatici, goffi,
assurdi, tipici della linea ariostesca emiliana, da Zavattini a Cavazzoni,
da D'Arzo a Delfini. Lontani dalle geometrie combinatorie di Calvino e
Perec, i suoi romanzi degli anni Settanta innescano meccanismi onirici,
isterici e paranoici, vicini al nonsense di Lewis Carroll e di Collodi e ai
lazzi della Commedia dell'Arte, mentre i libri degli ultimi vent'anni
mostrano una scrittura piu' distesa e controllata nella sintassi, attenta al
trascolorare della luce e ai silenzi, sulla linea di Walser e Handke.
*
L'utopia degli anni Settanta
Capita un giorno a Celati di leggere scritture manicomiali trovate in un
ospedale psichiatrico. Isolato in casa per quaranta giorni per una epatite
virale, si mette a scrivere testi ispirati al linguaggio dei matti. Letti da
Maurizio Spatola, esponente del Gruppo '63, vengono pubblicati su una
rivista. Calvino li legge e propone a Celati di farne un libro.
Nasce cosi' il suo libro d'esordio, Comiche (1971), che esce da Einaudi
nella collana sperimentale "La ricerca letteraria", dalla copertina fucsia,
con una nota finale di Italo Calvino. Il romanzo denuncia fin dal titolo le
intenzioni dell'autore, quelle di creare una comicita' tutta affidata ai
gesti. Il protagonista, Otero Aloysio, e' uno stilizzato Charlot, magro, con
baffetti, cappello, giacca, ghette e ombrello. E' tormentato da tre maestri
elementari, Bevilacqua, Mazzitelli, Macchia, che vogliono convincerlo a
sposare la direttrice della scuola, Lavinia Ricci, un donnone grasso e
peloso che ha un debole per il professore, e cercano di impedirgli di
possedere la signorina Virginia, oggetto dei desideri di tutti,
un'infermiera che spinge su una carrozzella un paralitico, Bartelemi'.
Il titolo allude al cinema muto, alle gags di Stan Laurel e Oliver Hardy, di
Buster Keaton e Ridolini, e ai lazzi della Commedia dell'Arte. Il
protagonista, che ha diversi nomi, Otero, Corindo', Breviglieri, e' un
professore che in una "casa di cartone", la pensione Bellavista dove
trascorre una vacanza marina di quindici giorni, scrive su un quaderno
vicende improbabili sue o altrui, incalzato da spietati persecutori, maestri
elementari, giardinieri, compagni di pensione, un fantasma o doppio a nome
Fantini. Nel finale smarrisce la valigia, perde tempo per cercarla e il
pullman dei villeggianti non lo aspetta. Quando la ritrova, tutta ammaccata,
se ne va su un ciclomotore che vola e la valigia si apre sparpagliando
nell'aria gli indumenti sporchi e i fogli del suo quaderno.
Celati innesca un "diavolerio", termine usato piu' volte nel romanzo, "una
bagarre di voci", un frenetico balletto dove i personaggi si mescolano e si
scambiano le parti in bizzarri accoppiamenti provocati dallo spostamento dei
cartellini sulle porte delle stanze della pensione. Protagonista assoluto
del romanzo e' il linguaggio, un parlato anomalo, onirico e grottesco, che
lancia sberleffi sia all'italiano della scolarizzazione di massa, sia alla
lingua letteraria dalla sintassi e dal lessico inappuntabili. Nelle sue
pagine sembra risuonare il monito di Mark Twain in Huckleberry Finn: "Chi
cerchi di trovare uno scopo in questa narrazione sara' perseguito a termini
di legge; chi cerchi di trovare una morale verra' bandito; chi di trovare un
intreccio sara' fucilato".
Danci, il protagonista del secondo romanzo, Le avventure di Guizzardi
(1973), e' un emarginato, incapace di qualsiasi attivita' o mestiere. Dopo
un litigio con i genitori fugge di casa e si rifugia presso l'amico
Piccioli, figlio di "loschi merciai", che lo vendono a Ida Coniglio, una
vedova che lo ingozza di cibo e lo soffoca nel letto col suo corpo
straripante. Recluso nel suo alloggio, riesce a fuggire travestito da donna
calandosi dal balcone con una corda. Seguono altre avventure in cui
trasforma un funerale in una rissa, diventa apprendista ladro di mendicanti
ciechi, finisce in una stia di polli.
Danci-Guizzardi e' un lunatico, un imbroglione, un trickster inseguito da
figure ossessive. Tutto il romanzo e' caratterizzato dalla corporalita' del
linguaggio, deformato e contratto in cortocircuiti verbali di straordinario
effetto comico. Celati sembra qui recuperare il filone picaresco, quello
originario della letteratura spagnola, dal Lazarillo de Tormes a Vita del
pitocco di Quevedo. L'autore lo ha definito "un libro di espurgazione delle
malinconie attraverso il riso, come insegna Rabelais".
*
Un critico fuori dal coro
Dopo i primi due romanzi Celati pubblica un volume di saggi letterari, che
rimarra' l'unico, ma e' davvero illuminante: Finzioni occidentali (1975),
che ha per sottotitolo "Fabulazione, comicita' e scrittura", non a caso i
tre perni della sua poetica. Il primo, che da' il titolo al volume, affronta
la disputa tra novel e romance, sorta nel Settecento in Inghilterra e vera
chiave di volta del romanzo europeo. Il romance, che riguarda le storie
meravigliose e inverosimili, le avventure cavalleresche e amorose, trionfa
sino al Seicento, quando e' di moda il romanzo galante, e ha i suoi ultimi
grandi interpreti in Rabelais e Cervantes, mentre il novel, caratterizzato
da storie realistiche e quotidiane, nasce nel Settecento con l'affermazione
della classe borghese. Robinson Crusoe di De Foe e' un romanzo non fiction,
ma history of facts. Il romanzesco, che scatena avventure in zone proibite,
diventa un segno di pericolosita' sociale per la morale borghese. De Foe in
Moll Flanders mette in scena personaggi fuori dalla norma, ladre,
prostitute, marinai, pirati, ma il buon uso della favola e' salvato dalle
prefazioni, che assumono una funzione di controllo e attuano una distanza
critica rispetto alle trasgressioni dei personaggi, in modo che possano
venir accettati dal comune lettore. L'originalita' del saggio sta anche nel
prendere le distanze dai maggiori teorici del novel inglese settecentesco,
Lubbock, Beach, Watt, Forster, Booth.
A partire dal Settecento, il romance decade e sopravvive soltanto presso un
pubblico di bambini e adulti delle classi basse. L'idea diffusa nella
letteratura seria, gia' anticipata da Cervantes, e' che l'immaginazione
delle lettrici possa venir pervertita, mediante il meccanismo della
identificazione, che instilla idee stravaganti sulla realta', dalle chimere
del romance, il cui successo era dovuto a ignoranza e superstizione.
Il secondo saggio, Beckett, l'interpolazione e il gag, sembra quasi una
teorizzazione di Comiche e analizza le gags verbali che sostituiscono la
trama, la spartizione della parola tra voci contrastanti e il legame di
Beckett con il mondo delle comiche cinematografiche.
Il terzo, Dai giganti buffoni alla coscienza infelice, affronta la questione
del riso in epoca moderna e mette a confronto il carnevalesco di Bachtin
ripreso da Rabelais con l'humour nero di Breton che si ricollega a Swift.
Il quarto, Mitologie romanzesche americane, riprende le tesi di Fiedler nel
saggio Amore e morte nel romanzo americano e analizza la ricezione del tema
della seduzione diffuso dal romanzo sentimentale di Richardson nell'America
puritana, dove il culto della donna determina eroi maschili che non si
realizzano sessualmente, dalla perversione necrofila di Poe alla lotta col
mostro marino in Moby Dick di Melville, dall'adolescenza protratta di Peter
Pan per sottrarsi al matrimonio all'amicizia con un altro maschio in
Huckleberry Finn di Twain.
L'ultimo saggio, Il tema del doppio parodico, affronta, sulla scorta di un
saggio di Marthe Robert, L'ancien et le nouveau, l'interpretazione del Don
Chisciotte, visto come manuale della passione romanzesca che esalta il
piacere della fabulazione. Il Cavaliere dalla Triste Figura e' visto nel suo
ruolo di lettore e di possibile autore: "La scrittura libresca che con Don
Chisciotte invade il mondo e' come un'antica nave dei pazzi, dove ognuno
puo' riconoscere nell'altro la copia parodica della propria follia, senza
poter trovare un'identita' buona, un volto naturale non mascherato dalla
follia. Ognuno vede intorno a se' gesti assurdi, facce stravolte, come nel
quadro di Bosch dove questa nave dei pazzi procede sul mare, come la nave
del mondo, di tutti gli uomini eguali nella follia: ora non piu' nave, ma
libri pullulanti di finzioni, dove tutti gli uomini trovano i loro falsi io,
mai la loro identita'". E' una visione tutta celatiana di Don Chisciotte, in
cui si rispecchiano anche i suoi personaggi, Otero, Danci, Garibaldi,
Giovanni.
*
Dalla Lake alla "fatina nordica"
La banda dei sospiri (1976) e' lo stralunato ritratto di un'infanzia vista
come un sogno pieno di riso e di lacrime, in cui Celati descrive il mondo
con gli occhi e le parole di un bambino. Il tema principale e' quello della
famiglia, "un luogo concentrazionario come il manicomio, la fabbrica, la
prigione, il servizio militare" ma anche un teatro, "uno spettacolo di
varieta', fatto di tanti numeri fissi secondo le specialita' degli attori",
come scrive Celati nella quarta di copertina. Il protagonista, chiamato
Garibaldi perche' corre sempre, figlio di un guardiano notturno e di una
sarta, ha un fratello piu' grande, detto Michele Strogoff, che fa il liceo e
si rifugia in soffitta per leggere libri d'avventure. Oltre allo zio magro e
a suo fratello Orso Nero, capomastro, s'impone la figura del padre, Federico
Barbarossa, "sbraitone e nevrastenico", che riempie di legnate la moglie e i
figli. A creare i maggiori sconquassi in famiglia e' Veronica Lake, detta
cosi' per il ciuffo sull'occhio come la mitica attrice americana, bionda
lavorante della madre che eccita le voglie di tutti i componenti maschi
della famiglia e ha un fratello, Alan Ladd, ladro e rubacuori, ricercato
dalla polizia.
Garibaldi e' un "predone nomade" un po' sbalestrato, con pochi soldi in
tasca e tanti sogni in testa, come tanti ragazzini nell'Italia del
dopoguerra: va al cinema, ai comizi, legge fumetti, gioca a calcio, e'
attratto dalle case chiuse. Espulso da scuola, diventa aiutante garzone
dello zio calzolaio e vaga per le strade "come un viaggiatore incantato" con
le scatole di scarpe da consegnare alle clienti.
Lunario del paradiso (1978), ambientato all'inizio degli anni Sessanta, ha
per protagonista Giovanni, un giovanotto squattrinato che viene mandato,
grazie a una colletta di amici, nel Nord della Germania ad Amburgo, citta'
mai nominata ma chiaramente riconoscibile, per raggiungere una ragazza,
Antje, "fatina nordica" che ha conosciuto su una spiaggia italiana e di cui
si e' infatuato. Parte in treno con lo zaino e alloggia in casa di Antje, il
cui padre, Schumacher, ex sergente nazista, e' un rappresentante di
lampadine, fissato con le luci colorate al punto da considerarle una sorta
di paradiso in terra. In una birreria conosce un turco piu' squattrinato di
lui che gli scrocca denaro e si fa ospitare nella casa della famiglia
tedesca. Giovanni corteggia con scarso successo Antje, che sembra piu'
interessata alle avances del turco; ha una storia con Gisela, una ragazza
ricca, padrona di una villa, che poi parte per l'Inghilterra. Va ad abitare
in un'altra casa, ospite di due bambine che gli preparano torte di ogni tipo
e sognano di raggiungerlo in Italia dove sono andati i loro genitori. Nel
quartiere del peccato, dove ci sono le puttane in vetrina, incontra Tino,
"re dei magliari", e si ubriaca di birra con Schumacher in un locale del
porto, dove gli rubano lo zaino. Da' un appuntamento ad Antje, che fa
l'amore con lui in una Volkswagen prima di lasciarlo per un altro. Giovanni
soffre le pene d'amore e torna in Italia sconfitto. La sua passione
avventurosa "va alla conquista della principessa lontana. Senza pero'
riuscire a salvarla: lei chiusa nella torre inaccessibile, nel bosco
incantato dei misteri, con la maledizione della settima fata che fa
addormentare la principessa per cent'anni".
Scritto sul ritmo sincopato del jazz, Lunario e' insieme il racconto di un
viaggio e il viaggio di un racconto, un "lunario" appunto, che Celati scrive
in Italia quindici o sedici anni dopo, quando quel flusso immaginativo di
emozioni e pensieri si e' decantato. E' un romanzo fatto di "pezzi di
vecchie storie, frasi di lettere, versi di canzoni, avventure a caso; resti
insomma che restano li' come parole". Giovanni, studente un po' anarchico e
rivoluzionario, e' uno specchio della giovinezza dello scrittore nell'Italia
del "boom" economico. A pagina 50 c'e' un ritratto di se', la proiezione di
Gianni in Giovanni, dell'autore nel personaggio, che ci sembra un perfetto
identikit dello scrittore: "Io sono malinconico, ve lo dico subito. Ho la
malinconia che mi gorgoglia in basso, viene su dalla pancia, fa il giro
delle budelle, poi si piazza nello stomaco e allora diventa magone. E col
magone non sto piu' fermo da nessuna parte; mi alzo, mi siedo, mi muovo,
fumo come un camino, tutti mi stanno sui coglioni. Ah, con la mia malinconia
ne ho fatti di viaggi all'estero; viaggi bellissimi devo dire. Me la porto
sempre dietro, non so cosa farci. Ma e' prima, prima dei viaggi che viene;
e' quando sto in un posto e mi guardo i piedi e mi dico: cosa ci faccio qui?
Dov'e' l'amore? Dov'e' la vita? Quand'e' che muoio?". Che ci faccio qui?
(1989) e' anche la domanda che si fara' Bruce Chatwin nel titolo del suo
ultimo libro, scritto pochi mesi prima di morire, la domanda che angoscia i
nomadi viaggiatori malinconici.
Nel 1989 Celati ha riunito in un trittico Le avventure di Guizzardi, La
banda dei sospiri e Lunario del paradiso sotto il titolo di Parlamenti buffi
e lo ha definito "un libro di recite e sciocchezze" in rotta con la "grande
scrittura" del Serio. Parlamenti sta a significare "colloqui e convegni per
far ragionamenti e raccontare storie", scatenando nel racconto un carosello
di gags verbali, deliri della mente e acrobazie linguistiche.
*
Un sguardo disincantato
Nel 1981 Celati conosce il fotografo Luigi Ghirri, che gli chiede di
scrivere qualcosa sul nuovo paesaggio italiano, post-industriale. Gira con
lui per le campagne e da questa esperienza nasce Narratori delle pianure
(1985), trenta novelle trascritte sulla base di una tradizione orale, un po'
sul modello del Novellino, ambientate da Gallarate a Porto Tolle, sul delta
del Po. Annota brani di conversazioni sentite nei bar, rimane affascinato,
come Zavattini, dalle voci dei narratori orali. Questo libro, scritto dopo
sette anni di silenzio, segna una svolta rispetto alla sua narrativa
precedente e riflette l'amore di Celati per la fotografia, in cui scopre il
gioco di realta' e finzione che e' tipico della letteratura, la realta'
trovata e la costruzione della realta' attraverso l'immagine. Lo stesso
Ghirri, recensendo il libro su "Panorama", paragono' questi racconti ai
quadri di Brueghel, "brulicanti di personaggi che si muovono in ogni
direzione nello spazio che li contiene, tanto da riempirlo".
In copertina c'e' una stupenda fotografia di Luigi Ghirri, che ritrae Celati
di spalle rivolto verso il Po con gli argini innevati e lambiti da un
pallido sole. C'e' una luce malinconica che accarezza la neve che si sta
sciogliendo, mentre quella figura solitaria nel paesaggio pare essersi
fermata un istante per scrivere un appunto.
Celati e' attento a cogliere lo smarrimento dell'uomo di fronte al tempo che
passa. Il suo e' un "tempo sospeso", non lineare, senza nessuna direzione e
nessuna meta, simile al passaggio delle nuvole in cielo.
Questa Padania ripresa da una macchina fotografica e' la descrizione di un
viaggio dell'anima alla ricerca della propria madre, la terra. Un paesaggio
piatto, apparentemente poco significativo, in realta' misterioso e mobile,
con case basse diroccate, terreni devastati, macerie, bar, negozi, centri
commerciali, grigi capannoni industriali, prati pieni di immondizie, lattine
vuote, pezzi di termosifone, brandelli di una vecchia valigia. Celati non
giudica, si limita a guardare con uno stupore disincantato le cose, gli
oggetti, le persone. Stupendo il racconto di due bambini che, convinti che
gli adulti siano tutti noiosi, si mettono alla ricerca di qualcuno che non
faccia venire loro la malinconia, finche' si smarriscono nella nebbia:
"Avevano fatto tanta strada venendo da lontano in cerca di qualcosa che non
fosse noioso, senza mai trovar niente... Allora e' venuto loro il sospetto
che la vita potesse essere tutta cosi'". O quello della donna che, quando
torna dal lavoro in macchina, si mette ad ascoltare il tempo che passa.
Ogni racconto, anche se sembra fluido e libero, naturale come la vita, in
realta' soggiace a regole precise e i narratori di storie ne sono
consapevoli perche', come dice un personaggio, "non inventano quello che
vogliono, devono attenersi a quello che dice la storia". Si avverte in
queste pagine il disincanto di certi film di Wenders come Nel corso del
tempo, del primo Handke, di Robert Walser. Ogni tanto il suo sguardo sembra
estraneo alle immagini ed e' qui che fulmina l'orrore del mondo con sottile
ironia. Gli uomini chiusi nelle scatole delle automobili sembrano colti
dallo scatto di una fotografia: "Appena ho tentato di attraversare la strada
tutti gli automobilisti suonavano i loro clacson con grande foga. Ho avuto
la certezza che quegli automobilisti non andassero da nessuna parte,
soltanto circolassero all'infinito con i piu' miserabili pretesti, nel
terrore d'essere immobili".
*
Storie fatte di niente
"Le apparenze, che sono il supporto della rappresentazione esterna",
scriveva Celati nel 1984, "ci stanno a cuore piu' d'ogni interpretazione
complessiva del mondo: infatti sono tutto cio' che abbiamo per orientarci
nello spazio". Anche se lo scrittore e' consapevole che nascondono il vuoto,
l'assenza, l'inutilita', la menzogna.
E' questo il tema che diventa centrale nel libro successivo, Quattro novelle
sulle apparenze (1987). Nella novella d'apertura Baratto, giocatore di rugby
e insegnante di ginnastica, smette di parlare perche' e' rimasto senza
pensieri. In questo sembra un fratello dello scrivano Bartleby di Melville,
e il suo silenzio e' una risposta all'ovvieta' della comunicazione sempre
piu' dilagante. La seconda novella, "Condizioni di luce sulla via Emilia",
e' la storia di un "dipintore di insegne" che vive sulla via Emilia,
ingorgata dal traffico di auto e camion che ammorba l'aria. Cerca un luogo
in cui la luce, come ha scritto Manganelli, "faccia grazia alle cose, non le
torturi, le lasci consistere immobili".
Il racconto piu' bello, "I lettori di libri sono sempre piu' falsi",
riguarda i libri, la lettura e la scrittura, e celebra a rovescio il fascino
della letteratura, inutile e ingannevole ma sempre inseguita come una
chimera. C'e' una parola-spia in questo libro per cogliere la poetica di
Celati: "disfazione", un termine che risale a Leonardo da Vinci e viene
ripreso da Beckett nel saggio su Proust, e sta a indicare il disfacimento
dell'io nei dispersi frammenti del reale.
Verso la foce (1989) e' un reportage sulla solitudine urbana nelle campagne
moderne e raccoglie quattro diari di viaggio nelle campagne della Valle
Padana e lungo gli argini del Po. Viaggi compiuti a piedi, in corriera, in
automobile, in treno tra l'83 e l'86. Non e' un libro di storie, ma di
epifanie, di momenti catturati dallo sguardo che insegue i movimenti della
luce, accarezza le superfici delle cose, ne coglie le schegge di grazia e di
orrore. Forse anche per questo, per la bellezza e il ritmo della frase,
Alfredo Giuliani lo ha definito "un libro d'amore".
Celati e' il contrario del turista di massa, attratto dall'esotico e dal
pittoresco, e' un nomade insofferente della stanzialita' borghese. Se sta
fermo gli viene la malinconia. Scopre che l'amore per l'ignoto puo' nascere
anche in luoghi familiari: la valle del Po rappresenta per lui quello che e'
"il paese dei laghi" per Walser. Il suo atteggiamento e' simile a quello del
protagonista de La passeggiata di Walser: una disposizione ad accogliere il
mondo in tutta la sua infinita varieta' come una fonte incessante di
incanto. Cio' che lo angoscia maggiormente nel suo osservare i luoghi, le
persone, gli oggetti e' la perdita della memoria, del rapporto con cio' che
svanisce.
Nella prefazione alla sua traduzione di Bartleby lo scrivano di Melville
(1991), Celati scrive: "La potenza della scrittura non sta in questa o
quella cosa da dire, bensi' nel poco o nel niente da dire, in una condizione
in cui si annulla il dovere di scrivere". Si sente qui l'impronta dello
scrittore classico, e credo che sottoscriverebbe l'idea di Flaubert, che
voleva scrivere "un libro fatto di niente, che si reggesse soltanto per la
forza dello stile".
Vite di pascolanti (2006) raccoglie tre racconti che in parte recuperano i
personaggi bizzarri e strani del primo Celati. Sono storie di ragazzi,
studenti non troppo diligenti che vanno a zonzo senza meta, stupidi ma
vitali, ribelli alle regole sociali, narrate con la sua voce e il suo stile
inconfondibili. Sono racconti che dovrebbero far parte di un libro piu'
vasto, dal titolo leopardiano Costumi degli italiani, quadro antropologico
contenente storie della sua famiglia, idiozie dell'adolescenza, osservazioni
sui comportamenti umani e sociali. Cio' che lo differenzia rispetto ai primi
romanzi e' il linguaggio, piu' disteso e fluido, meno spezzato e nervoso.
L'ambiente e' una citta' di provincia di fine anni Cinquanta, forse Ferrara,
con i pettegolezzi, i bar, le tabaccherie, i pensionati che chiacchierano e
guardano le donne che passano.
*
Non solo romanzi
Non esistono, a quanto ci risulta, saggi critici in volume sull'opera di
Celati, scoperto e lanciato da Italo Calvino, ma soltanto articoli su
riviste, recensioni e interviste sui giornali. Un'utile e ricca miniera di
informazioni per una conoscenza sfaccettata dello scrittore e' il volume
monografico della rivista "Riga", n. 28, "Gianni Celati", a cura di Marco
Belpoliti e Marco Sironi (Marcos y Marcos, 2008), a lui dedicato per i suoi
settant'anni. Il volume raccoglie testi inediti, una breve autobiografia
scritta dall'autore, racconti, saggi, recensioni e fotografie.
Opere:
Comiche (Einaudi, 1971).
Le avventure di Guizzardi (Einaudi, 1973).
Finzioni occidentali (Einaudi, 1975).
La banda dei sospiri (Einaudi, 1976).
Lunario del paradiso (Einaudi, 1978).
Narratori delle pianure (Feltrinelli, 1985).
Quattro novelle sulle apparenze (Feltrinelli, 1987).
Verso la foce (Feltrinelli, 1989).
Tre documentari: Strada provinciale delle anime (1991), realizzato
attraverso un viaggio nel delta del Po di un gruppo di trenta persone,
vecchi zii e zie, cugini, parenti e amici; Il mondo di Luigi Ghirri (1999),
un omaggio all'amico fotografo scomparso; Visioni di case che crollano
(2003), uno studio sulle case abbandonate nelle campagne della valle del Po.
Cinema naturale (2001).
Fata morgana (2005), finalista al Campiello, una ricostruzione antropologica
dell'immaginario popolo africano dei Gamuna, che considera la realta' un
miraggio.
Vite di pascolanti (Nottetempo, 2006).
Costumi degli italiani (2008), che comprende due testi, Un eroe moderno e Il
benessere arriva in casa Pucci.
Traduzioni:
Gerhardie, Futilita', Einaudi, 1969.
Celine, Colloqui con il professor Y, Einaudi, 1971, cotraduzione con Lino
Gabellone.
Celine, Il ponte di Londra, Einaudi, 1971, cotraduzione con Lino Gabellone.
Barthes di Roland Barthes, Einaudi, 1980.
Celine, Guignol's band (Einaudi, 1982).
London, Il richiamo della foresta (Einaudi, 1986).
Swift, Favola della botte (Einaudi, 1990).
Melville, Bartleby lo scrivano (Feltrinelli, 1991).
Stendhal, La certosa di Parma (Feltrinelli, 1993).
Hoelderlin, Poesie della torre (Feltrinelli, 1993), cotraduzione con Giorgio
Messori.
*
Una vita di viaggi, letture, appunti, fotografie
1937 Nasce a Sondrio, figlio di un usciere di banca e di una sarta.
1947-1951 Trascorre l'infanzia e l'adolescenza in provincia di Ferrara.
1952-1956 Frequenta il liceo a Bologna.
1957-1960 Dopo il servizio militare, grazie a un amico psichiatra, si
concentra a studiare le scritture dei matti. Si laurea in letteratura
inglese con una tesi su James Joyce.
1969-70 Va a Londra con una borsa di studio e legge gli antropologi, Frazer,
Malinovsky, Il mondo magico di De Martino, rimanendo affascinato dai
racconti sui popoli primitivi. Scrive il suo primo libro, Comiche, che
Calvino legge su una rivista e fa pubblicare da Einaudi nel 1971.
1971-1972 Trascorre due anni negli Stati Uniti alla Cornell University.
1973-1978 E' professore di Letteratura angloamericana al Dams di Bologna.
Nell'anno scolastico 1976-77 tiene un corso sulla letteratura vittoriana
minore e da un seminario su Lewis Carroll nasce Alice disambientata (L'erba
voglio, 1977), che contiene anche gli interventi degli allievi, tra i quali
ci sono i futuri scrittori Palandri, Piersanti e Tondelli. Il clima
culturale dell'epoca nella Bologna del '77 si puo' ricostruire nei loro
romanzi: Boccalone (1979) di Palandri, Casa di nessuno (1981) di Piersanti e
Altri libertini (1980) di Tondelli.
1979-1980 Trascorre due anni in Normandia.
1981-1989 Torna all'Universita' di Bologna. Conosce Luigi Ghirri ed esplora
la valle padana con i fotografi.
1990 Lascia l'Italia e si trasferisce a Brighton, sulla costa meridionale
dell'Inghilterra, con la moglie Gillian Haley.
1997 Accompagna l'amico Jean Talon in un viaggio nell'Africa occidentale,
prima in Mali e poi in Senegal e Mauritania, per girare un documentario sui
metodi dei guaritori dogon. I taccuini di quel viaggio verranno raccolti nel
libro Avventure in Africa.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 309 del 6 marzo 2009

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