Minime. 665



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 665 del 10 dicembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Necessita' della nonviolenza
2. Malcom Pagani intervista Theo Angelopoulos
3. Antonio Ferrari intervista Vassilis Vassilikos
4. La doppia truffa del mega-aeroporto
5. Angelo Morino: Gabriel Garcia Marquez
6. Ilde Mattioni ricorda Angelo Morino
7. Armando Torno: Classici
8. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
9. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009"
10. L'Agenda dell'antimafia 2009
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. NECESSITA' DELLA NONVIOLENZA

Nelle relazioni internazionali, nei conflitti sociali, nelle scelte
politiche, negli ordinamenti giuridici, nelle relazioni tra le persone,
nelle relazioni tra l'umanita' e il mondo: la nonviolenza e' la scelta
politica, morale, civile, esistenziale necessaria.

2. GRECIA. MALCOM PAGANI INTERVISTA THEO ANGELOPOULOS
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 9 dicembre 2008 col titolo "Intervista a Theo
Angelopoulos" e il sommario "I manganelli non servono. Nel Paese c'e' vero
disagio"]

Il tema nascosto di tutto il suo cinema, l'enfasi di un potere inadeguato a
relazionarsi col circostante, deflagra in immagini disperanti. Oltre i fumi
delle barricate, i 73 anni di Theo Angelopoulos appaiono una convenzione. La
voce toccata, l'attenzione desta. "Sono molto preoccupato, triste,
spaventato, deluso. Passano i decenni, non impariamo nulla". A Monaco di
Baviera per lavoro, il maestro greco gia' palma d'oro a Cannes nel '98,
segue senza sospensioni il passo degli eventi. "La responsabilita' di cio'
che sta accadendo e' interamente del governo greco e del premier Karamanlis.
Impressiona lpuniversalita' della risposta, sempre la stessa, dai tempi dei
colonnelli. Davanti a un disagio reale, ecco entrare in scena manganelli e
lacrimogeni. Una grande nazione, quando possiede anticorpi che derivano
dalla sua stessa storia, utilizza altri sistemi".
*
- Malcom Pagani: La protesta sta travalicando i confini.
- Theo Angelopoulos: Non poteva essere altrimenti. A Berlino hanno occupato
il consolato, osservo in tv fotogrammi spaventosi. La faccia di quel
ragazzino a terra, Grigoropulos, i suoi quindici anni buttati via, i sogni
sul selciato, la violenza che non sa ascoltare altra ragione che la propria.
Elementi che getterebbero nella preoccupazione chiunque, non soltanto chi ha
lottato per la democrazia.
*
- Malcom Pagani: Gli scontri sono ripresi anche a Salonicco, set di tanti
suoi film.
- Theo Angelopoulos: Mi hanno chiamato anche da li', la rivolta non finira'
in poche ore, questo e' certo. Ma l'aggressivita' giovanile va letta in
controluce. E' la spia di una collera che trova radici nella situazione
economica della Grecia, nella sua classe politica squalificata, nella
cristallizzazione dell'esistente. Per recedere da quest'immobilita', invece
degli idranti, bisognerebbe mettere in campo una proposta, una concreta
volonta' di cambiamento, un segnale di discontinuita'.
*
- Malcom Pagani: Come spesso accade, i primi fuochi si sono accesi tra i
banchi di scuola.
- Theo Angelopoulos: L'universita' e l'educazione sono le radici su cui
edificare il sentire comune. Pensare di derubricarli a questioni secondarie,
denuncia la miopia e l'arroganza di chi e' abituato a trattare ambiti cosi'
importanti con consumato disprezzo.
*
- Malcom Pagani: C'e', in queste ore difficili, un dato che la inquieta piu'
di altri?
- Theo Angelopoulos: L'incapacita' di capire la gioventu'. Dovrebbe essere
la discussione principe su cui pianificare il futuro, la problematica che
soppianta la vacuita' del quotidiano e l'inseguirsi scontato di notizie
inutili. Invece nulla, solo parole vuote e imbarazzato silenzio. Una
sconfitta totale, l'ennesima cui assisto nella mia vita.

3. GRECIA. ANTONIO FERRARI INTERVISTA VASSILIS VASSILIKOS
[Dal "Corriere della sera" del 9 dicembre 2008 col titolo "Vassilis
Vassilikos: E' la rabbia di un Paese intero" e il sommario "Lo scrittore
Vassilikos: Un test per il governo e per la sinistra"]

- Antonio Ferrari: E' stato un assassinio, Vassilis? Il poliziotto ha
sparato per uccidere?
- Vassilis Vassilikos: Si', Antonio. E' stato un assassinio.
*
- Antonio Ferrari: Ne e' sicuro?
- Vassilis Vassilikos: Non solo. Annoti bene: assassinio a sangue freddo.
Per questa ragione Alexis Grigoropoulos, neppure 16 anni, un bel ragazzo
ribelle, e' diventato un eroe. Non so cosa accadra' nel mio paese.
*
Non ha perso la passione civile Vassilis Vassilikos, il celebre scrittore
greco autore del libro Z, l'orgia del potere, la storia vera dei soprusi che
precedettero la dittatura dei colonnelli, culminati con l'assassinio di
Grigoris Lambrakis. Storia resa popolare dall'omonimo film di Kostas Gravas,
interpretato da Yves Montand, Irene Papas e Jean-Louis Trintignant. A 72
anni, dopo decine di libri di successo e l'incarico di ambasciatore
all'Unesco di Parigi, Vassilikos si specchia nelle reazioni di sua figlia,
non ancora maggiorenne e per nulla estremista, che partecipa alle proteste
dopo l'uccisione di Alexis, diventato l'icona di tutti i blog della Grecia.
*
- Antonio Ferrari: Qual e' la principale ragione della rivolta degli
anarchici del quartiere di Exarchia?
- Vassilis Vassilikos: Non mi risulta che vi sia stata una rivolta. Vi e'
stato un episodio gravissimo, una fiammata improvvisa. Insomma, l'assassinio
di Alexis e' stato il detonatore di una frustrazione, di una rabbia
compressa che tutti avvertivamo ma che non eravamo in grado di esprimere.
*
- Antonio Ferrari: Rabbia contro chi?
- Vassilis Vassilikos: Sa bene che cos'e' accaduto nell'ultimo anno. Il
tentativo di suicidio di Zachopoulos, il potente direttore generale del
ministero della cultura che si e' lanciato dal quarto piano ed e' ancora
vivo; il caso di Vatopedi, con proprieta' dello stato cedute, con uno
scambio derisorio, al monastero di padre Efrem; e poi quei 22 milioni di
euro dati alle banche invece di darli a chi soffre per la crisi. Accumula
oggi, accumula domani, alla fine vi e' stato il detonatore dell'assassinio.
*
- Antonio Ferrari: Lei continua a chiamarlo assassinio.
- Vassilis Vassilikos: Giudichi lei. Arriva l'auto della polizia, sabato
alle 21, nel quartiere di Exarchia. La gente, nei bar, beve il caffe' o
l'ouzo. I poliziotti avvistano tre ragazzi, che li affrontano, vola qualche
insulto.
*
- Antonio Ferrari: Tre o trenta ragazzi?
- Vassilis Vassilikos: Tre! Tra loro c'e' Alexis. Forse e' un po' esagitato.
Appartiene a una famiglia delle medio-alta borghesia ateniese. Il padre e'
un noto gioielliere. Il ragazzo, con idee rivoluzionarie, studiava al liceo
Moraitis, uno dei piu' prestigiosi della capitale. Aveva combinato qualcosa,
gli avevano dato tre giorni di sospensione. Ha il sangue caldo, indirizza
agli agenti parole sconvenienti. I due poliziotti vanno a parcheggiare
l'auto e, a piedi, inseguono i tre. Volano parolacce, d'accordo. Pero' nulla
giustifica che uno degli agenti estragga la rivoltella e spari, ad altezza
d'uomo. Le testimonianze di chi ha seguito la scena dai bar sono precise.
"Visto tutto. Pensavamo si trattasse di colpi a salve". Il ragazzo cade, i
compagni credono che sia scivolato sul selciato, ma dopo un attimo si
rendono conto che e' stato colpito a morte. I due agenti se ne vanno,
apparentemente tranquilli. Si attiva internet, la democrazia dell'immediato,
che arriva prima della tv. Partono i primi sms. In un attimo la Grecia sa
quanto e' accaduto. Il ministro dell'Interno Prokopis Pavlopoulos, presenta
immediatamente le dimissioni, che il premier rifiuta. Karamanlis ha fatto
bene a rifiutarle.
*
- Antonio Ferrari: Perche'?
- Vassilis Vassilikos: Perche' Pavlopoulos e' un uomo onesto, un galantuomo!
Da un anno gli era stato assegnato, oltre all'Interno, il ministero
dell'Ordine pubblico che era guidato dal discusso Vyron Polidoras.
*
- Antonio Ferrari: In che senso?
- Vassilis Vassilikos: Nel senso che aveva definito i poliziotti "pretoriani
dello stato", convincendoli che, se affrontati, avrebbero potuto reagire
severamente, tanto nessuno li avrebbe messi sotto accusa.
*
- Antonio Ferrari: Lei va sul pesante.
- Vassilis Vassilikos: E' la verita'. Pavlopoulos, che si e' caricato il
fardello sulle spalle, e' un galantuomo.
*
- Antonio Ferrari: Il governo rischia di doversi dimettere?
- Vassilis Vassilikos: Non deve. Ma Karamanlis sia piu' presente.
*
- Antonio Ferrari: E l'opposizione? E la sinistra?
´- Vassilis Vassilikos: La sinistra! Ha problemi dappertutto. In Francia, in
Italia, e anche il Grecia. Quanto accadra' e' imprevedibile. Non penso agli
anarchici, non solo agli studenti. Penso che ormai sia coinvolta l'intera
societa', anche i giovani del partito di governo, Nuova democrazia.
L'assassinio di Alexis e' stato il detonatore di un serio disagio. Nessun
paragone con il passato. E' il presente che dobbiamo studiare e dal quale
dobbiamo imparare e capire.

4. RIFLESSIONE. LA DOPPIA TRUFFA DEL MEGA-AEROPORTO

Il nocivo e distruttivo mega-aeroporto per voli low cost del turismo "mordi
e fuggi" per Roma a Viterbo non puo' essere realizzato.
E la lobby che lo ha propagandato fin dall'inizio mentiva sapendo di
mentire. Ingannava sapendo di ingannare. Imbrogliava sapendo di imbrogliare.
Truffava sapendo di truffare.
*
Da alcuni mesi a questa parte le istituzioni in cui erano e sono tuttora
incistati i personaggi, i gruppi e i comitati d'affari che hanno mestato per
condannare Viterbo alla catastrofe ambientale e sanitaria del mega-aeroporto
hanno dovuto ammettere, in una sorta di crescendo rossiniano, le magagne e
le malefatte di una operazione lobbistica e speculativa irresponsabile e
scandalosa; hanno dovuto confessare gli insormontabili impedimenti sia de
jure che de facto che rendono quell'opera devastante semplicemente
irrealizzabile.
*
Ad esempio: il Consiglio comunale di Viterbo ha confessato che per
realizzare il mega-aeroporto bisogna fare carta straccia del Piano
territoriale paesaggistico regionale e delle relative norme di salvaguardia,
che bisogna cioe' violare i vincoli a protezione dell'ambiente naturale, di
rilevanti beni culturali, di beni comuni che per nessun motivo dovrebbero
essere devastati e distrutti.
Ad esempio: il vicepresidente della Regione Lazio ha confessato che l'opera
impatta su un'emergenza archeologica. E la normativa in vigore
fortunatamente tutela i monumenti e la memoria del passato.
Ad esempio: l'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac) ha confessato che
l'opera e' irrealizzabile stante l'attuale infrastruttura dei trasporti
ferroviari tra Viterbo e Roma.
*
E non e' finita qui.
Poi hanno confessato che la pista dell'attuale sedime viterbese e' del tutto
insufficiente e inadatta.
Poi hanno confessato che lo stesso orientamento della pista impedisce la
realizzazione del mega-aeroporto.
Poi hanno confessato che manca del tutto la Valutazione d'impatto
ambientale.
Poi hanno confessato che manca addirittura la progettazione, sia pure di
massima.
Poi hanno confessato che manca addirittura un vero studio di fattibilita'
preliminare.
Poi hanno confessato che non erano state mai neppure espletate le procedure
europee vincolanti e propedeutiche previste per un'opera di tali dimensioni.
*
Non solo.
Nel frattempo anche strutture della stessa lobby aeroportuale, strutture
come il Centro studi "Demetra" di cui fanno parte "pezzi da novanta" del
governo e dell'Enac, hanno evidenziato che quando un anno fa una decisione
ministeriale scellerata e insensata volle condannare Viterbo al
mega-aeroporto furono adottate procedure decisionali scorrette e irregolari
che configurarono vere e proprie flagranti violazioni della normativa
vigente.
*
A questo si aggiunge cio' che tutti i viterbesi gia' sapevano, anche se una
ignobile propaganda menzognera e truffaldina cercava di occultarlo:
- che il mega-aeroporto devasterebbe irreversibilmente l'area termale del
Bulicame, uno dei beni naturalistici, culturali, terapeutici, economici,
sociali, identitari fondamentali dell'Alto Lazio e della comunita'
viterbese;
- che il mega-aeroporto provocherebbe oltre all'inquinamento atmosferico
anche un insopportabile inquinamento acustico che colpirebbe duramente
popolosi quartieri della citta';
- che il mega-aeroporto danneggerebbe l'Orto botanico dell'Universita', e le
colture agricole di qualita' dell'area ad esso prossima;
- che il mega-aeroporto provocherebbe ingenti danni alla salute e alla
sicurezza dei cittadini;
- che il mega-aeroporto provocherebbe forti rischi di ulteriore penetrazione
dei poteri criminali nell'Alto Lazio (lo ha denunciato ad esempio Enzo
Ciconte, presidente dell'Osservatorio tecnico-scientifico per la sicurezza e
la legalita' della Regione Lazio - cfr. "Il messaggero" del 14 maggio 2008);
- che il mega-aeroporto non favorisce ma danneggia l'economia locale ed uno
sviluppo sostenibile e adeguato per l'Alto Lazio (lo conferma ad esempio
anche la presa di posizione contro il mega-aeroporto esplicita ed energica
del segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani).
- che il mega-aeroporto costituirebbe un immenso sperpero di pubbliche
risorse e un'ingente devastazione di beni pubblici.
*
Ed ancora:
- il trasporto aereo contribuisce in rilevante misura al surriscaldamento
del clima, ed occorre quindi ridurlo, non incentivarlo;
- i territori, i centri abitati e le comunita' che gia' subiscono l'impatto
dei mega-aeroporti, ad esempio Ciampino, dimostrano incontrovertibilmente
come queste opere siano nocive e devastanti;
- Viterbo e l'Alto Lazio hanno bisogno di una mobilita' sostenibile basata
sul potenziamento delle ferrovie (oggi in uno stato peggio che pietoso);
- Viterbo e l'Alto Lazio hanno bisogno di opere adeguate a un modello di
sviluppo autocentrato con tecnologie appropriate che rispetti e valorizzi i
beni ambientali e culturali, le vocazioni produttive del territorio, la
qualita' della vita; e non di ulteriori distruttive servitu'.
*
Il mega-aeroporto e' un'opera palesemente illecita alla luce della vigente
normativa, e un'opera palesemente irrealizzabile alla luce delle conoscenze
disponibili.
Averla voluta imporre e continuare in questa aggressione e' quindi un
crimine e una follia.
E la sua scandalosa propaganda ha costituito una grave mistificazione, una
vergognosa prepotenza, un'ignobile soperchieria. E una vera e propria
truffa.
Anzi: una doppia truffa.
Una truffa alla popolazione viterbese: ingannata facendole credere che fosse
fattibile e addirittura benefica un'opera che invece sarebbe un disastro per
la popolazione locale, un'opera nociva e distruttiva, un'opera fuorilegge.
E una truffa ancora piu' grave alla popolazione di Ciampino: ingannata
facendole credere che solo la realizzazione del mega-aeroporto a Viterbo -
realizzazione fraudolentemente spacciata per certa, e prossima - avrebbe
consentito di liberare Ciampino dall'ingente attivita' aeroportuale che la
avvelena. Propalando questa menzogna si e' evitato di assumere i
provvedimenti necessari e urgenti: ovvero la drastica e immediata riduzione
dei voli a Ciampino, non delocalizzandoli ma abolendoli tout court come e'
giusto e necessario.
*
Una doppia truffa. Che amministratori irresponsabili e affaristi senza
scrupoli stanno cercando tuttora di portare avanti nonostante sia stata
ormai smascherata.
Una doppia truffa. Della quale i responsabili devono essere chiamati a
rispondere nelle competenti sedi istituzionali.
Una doppia truffa. Sulla quale devono intervenire le competenti
magistrature.

5. PROFILI. ANGELO MORINO: GABRIEL GARCIA MARQUEZ
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 agosto 2008 col titolo "Un'altra
solitudine. Il mondo lontano dal mondo" e il sommario "Gabriel Garcia
Marquez visto attraverso la lente di uno dei suoi principali traduttori
italiani. La difficolta' e la necessita' di rendersi invisibili, di
mantenersi nell'ombra senza nutrire amore per il proprio buon nome. Alla
continua ricerca delle insidie nascoste tra le pieghe dei dizionari"]

Gabriel Garcia Marquez e' nato in un paesino che si chiama Aracataca.
Inutile cercare questo nome sulle nostre mappe della Colombia: non se ne
trova traccia. Se lo si cerca in una mappa piu' dettagliata, si scoprira'
che Aracataca si trova nell'entroterra della costa colombiana, la' dove
scorre il fiume Magdalena. A quaranta metri sul livello del mare, con una
temperatura media di ventotto gradi centigradi. Fra l'altro, quando vi nasce
Garcia Marquez, nel 1928, Aracataca esiste da soli quarantatre anni e da
soli sedici ha dignita' di municipio. Sono piccoli segni, ma marcano la
distanza - distanza che non e' solo temporale - da cui viene Garcia Marquez,
rispetto a noi. Viene da quasi ottant'anni fa e soprattutto da un pezzo di
mondo senza storia, da quello che era irrimediabilmente un altro mondo.
*
Fuori dal centro
Il suo primo romanzo - quello che in italiano si intitola Foglie morte -
risale al 1955. Non si immagini la comparsa di questo titolo come un evento
celebrato con tanto di grancassa. Un evento lo sara' stato per Garcia
Marquez, nella misura in cui la comparsa del primo libro e' sempre un evento
per chi l'ha scritto. Foglie morte esce lontano dalla Colombia. Esce a
Buenos Aires, in Argentina, dove l'autore non era mai stato. Pero', basta
leggere la sua autobiografia, Vivere per raccontarla, per capire come, agli
occhi del nostro giovane scrittore, Buenos Aires si aureolasse di luci
prestigiose. Mi riferisco alla rievocazione della figura di quel
rappresentante di novita' librarie che, partito da Buenos Aires, dopo mesi
di viaggio, dopo aver attraversato mezzo continente, arrivava sulla costa
colombiana e permetteva ai giovani come Garcia Marquez di leggere i libri di
William Faulkner o quelli di Albert Camus.
E' una figura che da' l'idea della distanza che separava dal centro del
mondo letterariamente produttivo e di come una metropoli - comunque
marginale o, se si vuole, "neocoloniale" - quale Buenos Aires si stagliasse
al centro invece che ai margini. All'epoca, in Colombia, non esisteva
un'editoria in grado di diffondere quanto veniva pubblicato in Europa o
negli Stati Uniti. Di qui, il fascino esercitato da Buenos Aires.
Negli anni successivi al 1955 e al primo romanzo, Garcia Marquez esce dai
confini della Colombia. Dapprima, e' corrispondente in Europa del giornale
colombiano "El Espectador". Poi, a Cuba, integra l'equipe di "Prensa
Latina", la prima agenzia giornalistica latinoamericana, che liberava la
stampa dell'America Latina dall'egemonia statunitense. Intanto Garcia
Marquez pubblica un altro romanzo, La mala ora, e diversi racconti che, in
qualche modo, preludono alla sua opera maggiore: Cent'anni di solitudine,
uscito nel 1967, a Buenos Aires pure questo.
Per essere il romanzo di uno scrittore sconosciuto in Europa, trova subito
una diffusione eccezionale. Basti pensare che la traduzione italiana e'
dell'anno successivo, il '68. Sono anni in cui l'America Latina e' al centro
dell'attenzione di tutti. A Cuba, nel '59, Fidel Castro e il suo esercito
rivoluzionario sono entrati all'Avana. In Cile, Salvador Allende sta per
essere eletto presidente e dare l'avvio all'esperienza socialista. Tutti
questi eventi hanno sicuramente a che vedere col successo immediato di
Cent'anni di solitudine, primo romanzo - come si dice - sudamericano a
godere del favore dei lettori, italiani e non solo italiani. Cosi' come
hanno a che vedere col successo uno slogan - e tutto quanto vi si
ricongiunge - come "la fantasia al potere", che riecheggiava proprio in
quegli anni. Tuttavia, quello che piu' interessa ricordare, e' altro. E'
qualcosa che non c'entra con la congiuntura politica dell'epoca.
Innanzitutto, il panorama letterario all'interno del quale, alla fine degli
anni '60, irrompe Cent'anni di solitudine. All'epoca, in Italia come
altrove, non si faceva che parlare di un singolare fenomeno: la morte del
romanzo. Si', il romanzo, se non era gia' morto, stava morendo.
Naturalmente, per romanzo, si intendeva quello ottocentesco, in cui la
classe borghese aveva trovato la sua piu' congeniale forma di
rappresentazione. Quella classe borghese che, sempre negli anni '60, si
voleva fosse pure lei, se non morta, moribonda. Insomma, tutta un'estrema
agonia o un funerale da celebrare: classe borghese e romanzo. Un'estrema
unzione all'una come all'altro. In questa situazione, le avanguardie avevano
buon gioco a scatenarsi. In Italia, c'era stato il "Gruppo 63". In Francia,
l'"Ecole du Regard", per esempio.
*
Esili trame
Certo e' che, fra una cosa e l'altra, di bei romanzi - quelli da cui, una
volta iniziato a leggerli, non si riesce a staccarsi - ne giravano proprio
pochi. Quelli in circolazione erano come sottoposti a una drastica dieta
dimagrante. Asciutte le vicende, ridotti i personaggi, esili gli intrighi.
Cosi' stando le cose, ecco che, venuto da un altrove non ben localizzabile,
fa irruzione Cent'anni di solitudine, con tutti quei personaggi, quella
famiglia numerosissima, sull'arco di tre o quattro generazioni. Con tutte
quelle pagine cosi' fitte di accadimenti, con quell'alternarsi di amore e
morte secondo la piu' classica tradizione, con tutti quei pezzi di realta'
riflessi come in uno specchio magico. Una vera e propria dimostrazione della
vitalita' del romanzo. Che, se non in Europa, da qualche altra parte godeva
di ottima salute. Uno dei primissimi saggi - forse il primo in assoluto - su
Cent'anni di solitudine e' italiano. Lo scrisse Cesare Segre, pubblicandolo
all'interno di un suo libro intitolato I segni e la critica, del 1969, a
solo due anni dalla comparsa del romanzo. Il titolo dell'intervento di Segre
e' "Il tempo curvo di Garcia Marquez" e - in ottica fra strutturalismo e
semiologia, come si usava allora - vi si analizzano la misura fantastica dei
cent'anni di Macondo, la solitudine in quanto situazione mentale e
l'endofilia ai limiti dall'incesto che caratterizza la famiglia Buendia. Un
saggio che dice molto ancora oggi, ma che qui cito soprattutto come
testimonianza del successo non solo di pubblico subito riscosso in Italia da
Cent'anni di solitudine. Gia', perche' la stessa accademia italiana,
attraverso un suo stimato esponente, interveniva con parole di elogio, dando
cosi' precoce prova di vedere nel romanzo un'opera destinata a trovare posto
nelle storie della letteratura.
Anche se e' giusto ricordare che, in quegli anni, si levava pure qualche
voce dissenziente, fra cui quella di Pier Paolo Pasolini. Il quale definiva
il romanzo di Garcia Marquez "scritto con grande vitalita' e spreco di
tradizionale manierismo barocco latinoamericano". Con Garcia Marquez e i
suoi Cent'anni di solitudine, si e' cominciato a parlare, fuori dai confini
latinoamericani, di realismo magico. A ben vedere, pero', e' un fenomeno che
risale a quasi vent'anni prima di Garcia Marquez e a uno scrittore molto
amato e spesso da lui indicato come uno dei suoi maestri: il cubano Alejo
Carpentier. Alejo Carpentier e' uno dei classici della letteratura
ispanoamericana del Novecento, tradotto anche in italiano, ma purtroppo da
noi poco letto. Nel 1949 Carpentier pubblico' un bel romanzo, Il regno di
questa terra, e lo faceva precedere da una premessa-manifesto in cui
definiva quello che lui chiamava il reale meraviglioso. Agli esperimenti
esangui del surrealismo, a cui aveva preso parte in prima persona a Parigi,
Carpentier contrapponeva la realta' latinoamericana che, senza che ci fosse
bisogno di sottoporla a nessun esperimento di laboratorio, si presentava da
se' nei termini del meraviglioso. La premessa-manifesto si chiudeva con un
interrogativo oramai divenuto celebre: "che cos'e' la storia dell'America
tutta se non una cronaca del reale-meraviglioso?".
Dal reale meraviglioso di Carpentier al realismo magico di Garcia Marquez,
il passo e' breve. Sempre ammesso che ci sia un passo da fare e che reale
meraviglioso e realismo magico non siano altro che due modi per dire la
stessa cosa. Sempre ammesso che realismo magico non sia una traduzione con
scarso spirito filologico di reale meraviglioso.
*
Una lingua-mondo
Quanto a Garcia Marquez, tradurlo in italiano significa restituire in
italiano il suo stile. Uno stile fatto di una certa serie di ingredienti che
il traduttore dovra' individuare, con un paio di particolarita'. Una e' di
ordine generale e riguarda Garcia Marquez come tutti gli scrittori americani
di lingua spagnola, gli scrittori ispanoamericani, per intenderci. Lo
spagnolo e' una lingua uscita dai suoi confini nazionali che, nel corso
degli ultimi cinque secoli, si e' diffusa in tutta l'America. Soprattutto
nell'America centrale e meridionale, ma anche nell'America settentrionale
(la sua presenza negli Stati Uniti e' sempre piu' forte). Nel contatto con
lingue autoctone o con altre lingue europee, lo spagnolo non ha dato forma a
nuove lingue, come pensava che dovesse avvenire il grammatico venezuelano
Andres Bello.
Nell'Ottocento, Bello pensava che lo spagnolo nelle Americhe avrebbe giocato
il ruolo avuto a suo tempo dal latino in Europa. Ma non e' andata cosi'. In
Colombia si parla lo spagnolo e non il "colombiano". In Argentina si parla
lo spagnolo e non l'"argentino". In Messico si parla lo spagnolo e non il
"messicano". E' pur vero che ogni nazione presenta particolarita' nella
pronuncia, nel lessico, nella sintassi. Ci sono anche casi in cui lo
spagnolo si e' conservato nella sua forma piu' classica, cinquecentesca. E
altri casi in cui lo spagnolo non e' piu' considerato la lingua nazionale,
bensi' la seconda lingua.
In Bolivia, attualmente, le lingue nazionali sono l'aymara e il quechua, le
lingue parlate prima dell'arrivo degli spagnoli. Una situazione sicuramente
complessa e che rende complesso il lavoro di un traduttore che si ritrovi a
lavorare su un testo prodotto fra tali confini. Perche' - il problema e'
questo - non esiste un dizionario che riesca a prendere in considerazione i
cosiddetti americanismi. Esistono dizionari, piu' o meno buoni, di
peruvianismi, di venezuelanismi... ma neppure questi garantiscono un aiuto
esaustivo.
E' vero che la Real Academia de Espana, in un suo comunicato dell'anno
scorso, ha messo fine all'ostruzionismo nei confronti degli americanismi, li
ha riconosciuti patrimonio della lingua spagnola e ha promesso un dizionario
che ne renda conto. Ma, per il momento, questa e' solo una promessa della
cui realizzazione si rimane in attesa... La prima cosa che viene da pensare
e' che, se una certa parola non si trova nei dizionari, ci si rivolge
all'autore. Quando internet non c'era, cioe' fino a ieri, la soluzione era
che si avesse a portata di mano un colombiano a cui chiedere lumi.
Accadeva spesso, pero', che persino un colombiano rimanesse a bocca aperta.
Per esempio, un colombiano di Bogota' poteva rispondere in merito a una
certa parola: "mai sentita, sai, Garcia Marquez e' uno della costa, sara' un
termine che usano da quelle parti". Se poi si aveva la fortuna di avere a
portata di mano un colombiano della costa, poteva accadere comunque che
rimanesse pure lui a bocca aperta. Finiva che ci si sentiva rispondere: "mai
sentita, sai, deve essere di uso molto locale, magari e' un'espressione che
usava sua zia Winifreda, una parola che lui sentiva da piccolo, a
Aracataca". Intanto, a quella casa dell'infanzia e a quelle donne
dell'infanzia, in un modo o nell'altro, si fa sempre ritorno. Sono li' le
radici dello scrivere di Garcia Marquez, non ci sono dubbi. Comunque sia, il
traduttore, in simili casi, cosa faceva? La soluzione variava da caso a
caso, da parola a parola. Adesso, con internet, si butta la famigerata
parola in un motore di ricerca ed e' veramente difficile che non salti fuori
qualcosa. Per un certo tempo, sono stato in contatto con uno scrittore
colombiano conosciuto a Torino, Hector Abad Faciolince, che lavorava per un
giornale all'epoca fondato e diretto proprio da Garcia Marquez. Gia' che si
incontravano per lavoro, Hector Abad aveva buon gioco nel dirgli: sai, un
mio amico sta traducendo un tuo libro, ma ha dei problemi con la tal parola
eccetera eccetera. Ovviamente, Hector si rivolgeva a Garcia Marquez nel caso
di parole che risultavano oscure persino a lui.
Una volta era il caso di un termine che intuivo legato all'ambito della
farmacia, non riportato dai dizionari, sconosciuto allo stesso colombiano
Abad. La risposta di Garcia Marquez fu: "di' al tuo amico italiano di
consultare un dizionario e vedra' che quella parola indica i piccoli pesi
che si mettono su una bilancia da farmacista". Inutile dire che, di
dizionari, fra me e Hector Abad, ne avevamo consultati una decina.

6. MEMORIA. ILDE MATTIONI RICORDA ANGELO MORINO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 agosto 2008 col titolo "La traduzione
come ultima prova di stile. Angelo Morino, quel lungo giro attorno a un
universo di parole"]

E' passato un anno dalla scomparsa improvvisa di Angelo Morino. Scrittore,
professore di letterature ispanoamericane all'universita' di Torino,
traduttore infaticabile. Molte le lingue padroneggiate da Morino: il
portoghese, il francese (fu tra i piu' attenti traduttori di Marguerite
Duras), lo spagnolo soprattutto. Molti, anzi moltissimi anche gli autori da
lui affrontati: da Jose' Lezama Lima a Borges, da Mario Vargas Llosa a
Clarice Lispector, da Manuel Puig a Roberto Bolano. Proprio Bolano, a cui lo
legava un rapporto di reciproca stima e amicizia, incluse Morino fra i
personaggi principali del suo romanzo postumo, 2666 (Adelphi, pp. 433, euro
19). Nella prima parte del romanzo, Bolano si immagina inoltre un Morino
costantemente immerso nella lettura del "Manifesto".
Il testo presentato in questa pagina venne scritto da Morino per una
conferenza tenuta poi nel giugno del 2007, a Milano. Il tema, ovviamente, lo
vede alle prese con una di quelle "letture pericolose" a cui faceva risalire
la sua passione per la letteratura: Cent'anni di solitudine. Oltre che come
lettore, Morino - nato a Torino nel '49 - si confronto' presto con Gabriel
GarcÌa Marquez anche come traduttore. Sue, infatti, le versioni di Foglie
morte edito da Feltrinelli nel '77, e dei volumi, tutti da Mondadori, Occhi
di cane azzurro (1983), La mala ora (1984), Il generale nel suo labirinto
(1989), Dodici racconti raminghi (1992), Dell'amore e di altri demoni
(1994), Notizia di un sequestro (1996), Memoria delle mie puttane tristi
(2005) e dell'autobiografia dello scrittore colombiano Vivere per
raccontarla (2003). Come scrittore, Morino ha pubblicato per Sellerio In
viaggio con Junior e Rosso taranta.

7. LIBRI. ARMANDO TORNO: CLASSICI
[Dal "Corriere della sera" del 7 dicembre 2008 col titolo "Da Omero a
Orazio, i padri dell'Occidente" e il sommario "La guerra e la morte, l'amore
e l'odio: trenta capolavori della letteratura antica proposti in una nuova
veste. L'attualita' degli autori che hanno dato un pensiero (e una
coscienza) all'uomo"]

Walter Benjamin sosteneva nel saggio dedicato al collezionismo dei libri che
non sono i lettori a preservarli nel tempo ma, al contrario, i tomi
accantonati conserveranno la memoria degli uomini che li hanno raccolti. Non
salviamo i libri ma siamo salvati dal ricordo che abbiamo lasciato tra le
pagine, perche' noi "viviamo in loro". Applicando questo felice paradosso al
mondo greco e latino, potremmo credere che tutti quegli autori che vanno da
Omero alla caduta dell'impero romano, fioriti nell'aureo millennio e mezzo
dell'intelligenza occidentale, consentono ancora a noi oggi di avere un
pensiero, un gusto, un'anima. Senza saperlo, ogni giorno ripercorriamo le
strade battute dalle loro emozioni che misteriosamente non riescono a
svanire. Chi desidera fare a meno della letteratura antica assomiglia a un
tale che ha deciso di non credere piu' a se stesso.
Per questi semplici motivi, e per altri piu' complessi, una collana di
autori greci e latini che riproponga trenta volumi essenziali, che vanno
cronologicamente dall'Iliade di Omero al Libro dei sogni di Artemidoro di
Daldi, non rappresenta un recupero archeologico di curiosita' o di ricordi
scolastici ma piu' semplicemente uno specchio dove e' possibile osservare
noi stessi. Quando vi capitera' di leggere nell'Odissea la vicenda dei
compagni di Ulisse trasformati in porci da Circe, ricordatevi che non e'
avvenuto alcun sortilegio: la dea-maga ha semplicemente riconosciuto la loro
natura. E se siete innamorati, avrete senz'altro rivissuto l'impulso
egoistico che Catullo trasformo' nei Carmina in poesia per sempre: "Vivamus,
mea Lesbia, atque amemus,/ rumoresque senum severiorum/ omnes unius
aestimemus assis./ Soles occidere et redire possunt:/ nobis cum semel
occidit brevis lux,/ nox est perpetua una dormienda". Parole che diventano,
tradotte senza poter ricreare i sussurri e gli ammiccamenti del testo
latino: "Viviamo, mia Lesbia, e amiamo,/ e le prediche dei vecchi severi/
stimiamole, tutte, quanto un soldo bucato./ I soli possono tramontare e
tornare;/ noi, una volta caduta la nostra breve luce,/ abbiamo davanti il
sonno di una notte perpetua" (V, 1-6).
E che dire di Petronio e di quel Satyricon che Nietzsche amava piu' dei
Vangeli? In quelle pagine non si descrivono gli uomini come angioletti, anzi
questo narratore latino di cui sono rimaste scarsissime notizie biografiche
e che aveva scelto di vivere di notte, ritrae impietosamente - tra le
infinite situazioni - gli arricchiti di ogni tempo, dei quali Trimalcione
resta patrono e simbolo. La volgarita' riesce a tracimare dalle pagine,
diventa lingua, odore, ideologia. Alla fine dell'episodio della cena un
lettore potrebbe concludere: senza il porco non si ragiona, se manca il
maiale per intere categorie sociali e' la fine.
Non c'e' stato grande spirito dell'Occidente che abbia ignorato i classici.
Niccolo' Machiavelli messo in disparte trovo' le sue ragioni di vita in Tito
Livio, Napoleone viaggiava sempre con un'edizione portatile delle Vite di
Plutarco, Voltaire aveva nella sua biblioteca tutti i possibili classici
antichi e si dimentico' di completare l'Encyclopedie, alla quale diede idee
e articoli. E che dire di Beethoven? Teneva sul suo tavolo un busto di
Bruto, pugnalatore di Cesare, come simbolo di liberta'. Michel de Montaigne,
una delle piu' fascinose anime del Rinascimento, rinuncio' alle cariche
pubbliche e agli onori di corte per chiudersi nel suo castello a meditare i
classici antichi. Credeva, quasi sicuramente con ragione, che in essi
fossero presenti tutte le notizie necessarie per conoscere l'uomo.
Ma per quanto possa continuare il nostro elenco non sara' possibile
esaurirlo. Copernico ebbe l'intuizione che fonda il mondo moderno in alcuni
scritti greci che non sono ancora ben identificati; quasi sicuramente egli
parti' dai testi pitagorici, da Archita in particolare, dove il sistema
eliocentrico era una realta'. Non potremmo immaginare ne' Shakespeare ne'
Leopardi ne' Erasmo senza le loro letture di autori antichi, ne' pensare
alla filosofia contemporanea senza far ricorso a quello che si discusse ad
Atene circa due millenni e mezzo fa. E quando ascoltiamo discorsi di persone
tronfie che si credono indispensabili, vale la pena meditare su quanto
scrisse l'imperatore Marco Aurelio in quella breve operetta privata che
conosciamo impropriamente con il nome di Ricordi: "Tra poco avro'
dimenticato tutto, tra poco tutti mi avranno dimenticato". E chi non ha
verificato almeno una volta nella vita quei singhiozzi che un deluso Ovidio
lascio' con impareggiabile grazia nelle sue pagine? Se volessimo riassumerli
in una frase per compendiare le diverse situazioni, potremmo scrivere:
finche' sarai fortunato conterai molti amici, quando le cose cambieranno
resterai solo.
Poi c'e' Orazio, con quella sua morale autosufficiente che nelle Odi invita
l'uomo a cogliere l'attimo fuggente. E' lui l'inventore di quel "carpe diem"
che non riesce a tramontare (e che ispira ancora pellicole di successo). Di
piu': a volte irrita il lettore per taluni atteggiamenti deliziosamente
insulsi, ma e' attualissimo quando scrive dopo "carpe diem" le seguenti
parole: "quam minimum credula postero", ovvero: "confidando il meno
possibile nel futuro". Sembrano concetti coniati pensando ai crolli di Borsa
o a obbligazioni che si trasformano nel volgere di poche ore in polvere.
Certo, nei trenta titoli che dicevamo ci sono anche i tragici e gli storici
greci, c'e' Cicerone, non mancano San Paolo e tanti altri. In questa pagina,
pur saltellando tra autori ed emozioni, non riusciamo che a ribadire la loro
utilita' per vivere e per capirsi. E a sorridere pensando che, nonostante
gli sforzi dei professori, non sono ancora morti.
Per concludere: quando sentite i politici parlare di patria e di sacrifici
necessari, quando taluni esaltano quelle urgenze che non fanno abbassare le
tasse, ricordatevi che Aristofane nel suo Pluto scrisse: "Patria e' sempre
dove si prospera". Manzoni riprese il concetto nell'ultimo capitolo de I
promessi sposi e ribadi' - in pieno Risorgimento - per bocca di don
Abbondio: "La patria e' dove si sta bene".

8. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito
sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e
15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

9. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009"

Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano
per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita',
per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla
forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione
tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno
dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della
nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata.
E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009".
- 1 copia: euro 10
- 3 copie: euro 9,30 cad.
- 5 copie: euro 8,60 cad.
- 10 copie: euro 8,10 cad.
- 25 copie: euro 7,50 cad.
- 50 copie: euro 7 cad.
- 100 copie: euro 5,75 cad.
Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946,  e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it

10. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009

E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne
nella lotta contro le mafie e per la democrazia.
E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di
Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani.
Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro
Impastato o all'editore.
*
Per richieste:
- Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa
Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail:
csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it
- Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax:
923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito:
www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 665 del 10 dicembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
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