Minime. 663



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 663 dell'8 dicembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
2. Giuseppe Pontiggia: Scrivere. Decalogo per me stesso
3. Alberto Melloni ricorda Achille Ardigo'
4. Alessandra D'Andria intervista Moustapha Safouan
5. Roberto Carnero presenta "Gli anni Edison" di Ermanno Olmi
6. Bruno Gravagnuolo presenta "Umberto Terracini" di Lorenzo Gianotti
7. Stella Morra: Uno sguardo esterno
8. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009"
9. L'Agenda dell'antimafia 2009
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito
sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
Per in,formazioni e contatti/ redazione, direzione, amministrazione: via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e
15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

2. RIFLESSIONE. GIUSEPPE PONTIGGIA: SCRIVERE. DECALOGO PER ME STESSO
[Dal mensile "Letture", n. 543, gennaio 1998, col titolo "Scrivere. Decalogo
per me stesso", il sommario "I consigli di uno scrittore per chi vuole
misurarsi con l'arte del racconto: non stai risolvendo i mali del mondo. Non
dimenticare il lettore, perche' stai scrivendo per quel se' che coincide
idealmente con gli altri. Il narratore la Storia la fa" e la nota
redazionale "Riportiamo l'intervento di Giuseppe Pontiggia al convegno di
'Letture': 'Per la narrativa tra Novecento e nuovo millennio', tenutosi
nell'ottobre scorso. Benche' lo scrittore ci tenga a sottolineare, a partire
dal titolo, che quanto afferma in questo elenco di regole e' rivolto
soprattutto a se stesso, riteniamo oltremodo utile offrirlo alla riflessione
di quanti, a loro volta, vogliono provare a scrivere un racconto"]

1) Ricordati che la parola e' il mezzo di comunicazione piu' antico, il
primo dopo il gesto, e comprensibilmente il piu' logoro. Defraudata,
degradata, decrepita, defunta, la parola puo' pero' rinascere. Scrivere e'
trovare il punto di intersezione tra la paura di ripetere e l'avventura di
scoprire.
*
2) Alle soglie del terzo Millennio le tradizioni si moltiplicano, si
attraversano, si dissolvono. L'Europa e' diventata Africa, Asia, America,
Australia. Non ancora Antartide, ma perche' e' disabitata. Una volta la
tradizione classica dominava l'Occidente, oggi convive con le altre. Non
propone piu' modelli, ma esempi. E' finita l'idea di tradizione cara a Hegel
e a Sainte-Beuve, a Croce e a Eliot e a Curtius e ai molteplici canoni, dal
Medioevo a Steiner e a Bloom. E' scomparso un miraggio. Sono rimasti i
classici. Il problema non e' se siano attuali, loro lo sono a priori (basta,
a posteriori, leggerli), il problema e' se siamo attuali noi. Leggi Apuleio
e il Satyricon. Vedrai che non siamo noi a visitarli, ma loro a visitare
noi.
*
3) Evadere dalla gabbia dei generi letterari. Non alla maniera di Croce, che
ne aveva creati altri due, la poesia e la non poesia, ne' alla maniera della
contaminatio latina e del bricolage contemporaneo, che li conservano
mescolandoli. Semmai una prosa come intersezione di piani che hanno
dimenticato di appartenere a un genere.
*
4) Non si e' mai aspirato tanto al romanzo come nell'epoca in cui si e'
tanto parlato del suo declino o del suo decesso. Lascialo a chi abbia un
progetto che diventi struttura e linguaggio. Liberati dall'ossessione
stupida sia di farlo sia di distruggerlo, non meno rovinosa della prima.
*
5) La narrativa rischia di essere soffocata dall'ipertrofia della critica,
che occupa - come una piovra mostruosa e inevitabile, temibile e utile -
qualsiasi spazio. La colpa e' della narrativa, che la osserva ipnotizzata e
nei casi peggiori, i piu' frequenti, la segue anziche' precederla. Spesso lo
fa anche l'avanguardia, il reparto che dovrebbe precedere le truppe.
*
6) Ricordati che quando scrivi non stai risolvendo i mali del mondo e
neanche quelli del tuo Paese. Chi vuol essere ricordato per le buone
intenzioni sara', nei casi migliori, ricordato per queste. Goffredo Mameli
c'e' riuscito. I narratori di solito hanno ambizioni meno altruistiche e i
posteri, come diceva Jules Renard, hanno un debole per lo stile.
*
7) La critica di solito rimprovera a un artista di non essere un altro.
Cosi' molti rimproverano alla narrativa di non essere giornalismo o
sociologia o politica o esotismo o consolazione o Storia. Il romanzo
nell'Ottocento ha creduto in questi equivoci e sappiamo quanto l'equivoco
possa essere fecondo, se pensiamo ai matrimoni riusciti. Oggi il romanzo
deve scoprire ogni volta la propria identita'. Lo si scrive anche per
questo.
*
8) Non dimenticare il lettore. Non il lettore massa da accudire nel suo
legittimo bisogno di qualche ora di distrazione, ne' il lettore snob da
accontentare nelle sue piccole voglie da gravidanza isterica. Non si scrive
per se', come ti dice l'esordiente quando ti porge il manoscritto, ne' si
scrive per gli altri, come dicono gli apologeti della letteratura
commerciale o i missionari della letteratura sociale. Si scrive per quel se'
che coincide idealmente con gli altri.
*
9) Eversione linguistica e innovazione dissimulata non sono tanto distanti
come si suppone. Sembrano opposti ma, visti piu' da vicino, vogliono la
stessa cosa, l'una fingendo di distruggere, l'altra di conservare.
*
10) Il Novecento ha visto il trionfo e insieme il naufragio della Storia.
Tutto diventa Storia, ma questo riguarda il passato. Il narratore non
racconta la Storia, il narratore la fa.

3. MEMORIA. ALBERTO MELLONI RICORDA ACHILLE ARDIGO'
[Dal "Corriere della sera" dell'11 settembre 2008 col titolo "E' morto
Achille Ardigo', un 'laico cattolico'" e il sommario "Addii. Aveva 87 anni.
E' stato uno dei padri fondatori della sociologia italiana"]

Se ne e' andato a 87 anni il professor Achille Ardigo', considerato - lo
diranno tutti oggi - un padre della sociologia italiana. In realta' e' stato
anche qualcosa di piu', quando insieme con Andreatta, Alberigo e Matteucci
impianto' nella facolta' di Scienze politiche di Bologna un modello nel
quale discipline che la pigrizia degli accademici tiene lontane si fondevano
in una sinergia che, vista con gli occhi di oggi, appare un mito di
creativita'. Nella pratica di quella scienza gli studi di Ardigo' sulla
teoria del soggetto, sul concetto di empatia, sulla dimensione cognitiva
dell'ambivalenza metodologica rimangono e rimarranno come dei riferimenti.
Ma e' un'altra la dimensione alla quale la parabola esistenziale del
professore rinvia: ed e' quella di una intelligentia cattolica formatasi
nella convinzione di poter e dover produrre cultura politica. Salvatore
Lupo, uno dei piu' acuti storici italiani, sostiene da tempo che la classe
dirigente dell'Italia unitaria s'e' quasi sempre formata sulle estreme e ha
visto emergere chi da quelle estreme si spostava verso il centro: tesi
intrigante, che spiega come, con la fine delle ideologie, sia finita anche
la classe dirigente in Italia. Unica eccezione - o estremismo sui generis se
si vuole - e' quello rappresentato dal cattolicesimo democratico al quale
Ardigo' viene iniziato da Dossetti in quella straordinaria fucina che e' la
rivista "Cronache sociali", di cui oggi si presentera' la riedizione
anastatica proprio nella sua Bologna. Da li' e' iniziata una parabola che ha
visto questo illustre sezionatore dei mondi vitali impegnarsi per una idea
aperta della societa', dei servizi, dei consorzi umani che formano le citta'
e per quella forma di coabitazione - i quartieri - che descrisse nel Libro
Bianco su Bologna del 1956 (edito da Edb) e che diventarono uno dei cavalli
della buona amministrazione. Il suo libro piu' studiato e' Governabilita' e
mondi vitali (Cappelli) ma fu autore di tanti studi, come Famiglia,
solidarieta' e nuovo welfare (Franco Angeli) o Volontari e globalizzazione
(Edb).
Strenuo difensore dell'eredita' conciliare contestava, ancora di recente, le
formule sull'"etsi Deus non daretur" e quelle opposte, perche' facevano
torto alla realta' della rivelazione. Con quel piglio del credente che
considera la fede e la competenza due parti di una sola persona. Come si usa
dire oggi con un pizzico di nostalgia autocritica, un laico cattolico, o
come ha detto ieri Romano Prodi un "appassionato partecipante ed
anticipatore delle evoluzioni e dei problemi della societa' e della politica
italiana".

4. RIFLESSIONE. ALESSANDRA D'ANDRIA INTERVISTA MOUSTAPHA SAFOUAN
[Dal quotidiano "Il Riformista" del 5 dicembre 2008 col titolo "Safouan, il
Corano e' tollerante, siamo noi a non essere liberi" e il sommario
"L'intellettuale franco-egiziano, psicanalista e traduttore arabo di Freud,
ci racconta i legami tra politica della scrittura (sacra) e terrorismo
religioso"]

"Non e' l'Islam ad essere incompatibile con la democrazia ma la
strumentalizzazione di questa religione da parte delle elite al potere".
Pronuncia ogni singola parola con lentezza Moustapha Safouan, come se
volesse imprimerla nella mente di chi lo ascolta. Perche' la sua e' una
convinzione profonda, che nasce da anni di studio sulla questione - sempre
attuale - del rapporto tra Corano e liberta'. Tema a cui lo psichiatra
franco-egiziano - famoso tra le altre cose per aver tradotto in arabo
L'interpretazione dei sogni di Freud - ha dedicato il saggio Perche' il
mondo arabo non e' libero, appena pubblicato da Spirali. Un titolo
provocatorio. Del resto, Safouan - in Italia per un ciclo di presentazioni -
non ha timore di turbare la sensibilita' degli "oltranzisti del
politicamente corretto". L'anziano medico - abituato a indagare nei meandri
dell'inconscio - ama demolire falsi miti e luoghi comuni. Safouan e' un
intellettuale "senza mezze misure". Proprio come il suo nuovo libro, dal
titolo controcorrente.
*
- Alessandra D'Andria: Safouan, perche' il mondo arabo non e' libero?
- Moustapha Safouan: Devo fare una puntualizzazione. Il titolo originario -
con cui l'opera e' stata pubblicata in Gran Bretagna - e' Perche' gli arabi
non sono liberi. L'editore francese, temendo di ferire la sensibilita' dei
Paesi islamici, ha trovato questa forma edulcorata. La nuova traduzione
araba si chiamera' Perche' noi non siamo liberi - che mi sembra il titolo
piu' adatto - dato che e' un arabo a parlare. Quanto alle motivazioni
dell'assenza di liberta' nel mondo arabo queste derivano da ragioni
storiche. Ben piu' antiche della colonizzazione. Spesso i nostri governanti
puntano il dito contro gli stranieri - che di certo hanno sfruttato le
colonie per i loro interessi - ma non si assumono le loro responsabilita'.
*
- Alessandra D'Andria: Quali sarebbero?
- Moustapha Safouan: La religione islamica non delinea una forma di
organizzazione politica. E', pero', vero che il Corano lascia irrisolta una
questione fondamentale: quella della successione. Maometto e' l'ultimo
Profeta, nessuno puo' sostituirlo. Tale affermazione si iscrive in un
contesto politico in cui ancora non esiste la "forma stato" come la
conosciamo ora. I popoli della regione, dunque, si sono dovuti ispirare
all'unica forma di governo che conoscevano, ovvero il modello persiano
dell'Imperatore-Dio. Una modalita' di organizzazione del potere importata da
fuori e, dunque, estranea all'Islam come religione. Il punto e' che la
divinizzazione del potere s'e' conservata nei secoli, ha plasmato la
mentalita' dei popoli musulmani. Grazie alla manipolazione dei testi sacri
operata dai vertici dei regimi. In Egitto, ad esempio, da Nasser in poi, il
presidente nomina i rappresentanti del potere religiosi, i responsabili
della fatwa, i rettori universitari.
*
- Alessandra D'Andria: In che modo e' stata realizzata questa
mistificazione?
- Moustapha Safouan: La lingua ha un ruolo fondamentale in questo. L'arabo
e' una lingua "duale". Da una parte c'e' l'idioma dei testi sacri, quello
letterario, fisso e immutabile, dall'altra c'e' la lingua parlata dal
popolo. La prima resta, pero', inaccessibile per il popolo. D'altra parte,
chi detiene il potere non ha interesse a diffonderne la conoscenza. "Il
Corano dice questo", ripetono i governanti ma la gente ignora che cosa
realmente affermino le scritture. Si realizza, cosi', quella che io
definisco una "censura non dichiarata". Perche' il Corano e' molto piu'
tollerante di come i regimi arabi ce lo fanno apparire.
*
- Alessandra D'Andria: Perche' allora, specie negli ultimi tempi, sembra
prevalere l'estremismo?
- Moustapha Safouan: Il fondamentalismo e' il prodotto della repressione
operata dai governi islamici. L'opposizione non ha modo di esprimersi,
l'unico canale che ha per affermarsi e' la violenza. Una violenza assoluta e
brutale quanto - o spesse volte di piu' - quella dei sistemi politici che si
trovano a combattere. Anche questi movimenti di resistenza "manipolano" il
Corano per legittimarsi. Utilizzano gli stessi meccanismi dei governi al
potere. Che vengono definiti "infedeli", mentre gli estremisti si
autoproclamano i detentori "dell'ortodossia". Non a caso, l'integralismo
colpisce non solo l'Occidente ma anche i regimi arabi. La religione,
tuttavia, non c'entra. E' una lotta per il potere.

5. FILM. ROBERTO CARNERO PRESENTA "GLI ANNI EDISON" DI ERMANNO OLMI
[Dal mensile "Letture" n. 651 del novembre 2008 col titolo "Gli esordi di
Olmi nell'Italia di una volta"]

Ermanno Olmi, Gli anni Edison, dvd + libro I volti e le mani a cura di
Benedetta Tobagi (pp. 184), Feltrinelli, Milano 2008, euro 16,90.
*
Volti d'altri tempi e mani d'altri tempi: volti e mani di un'Italia che non
c'e' piu', e che per questo e' suggestivo riscoprire attraverso un cofanetto
pubblicato da Feltrinelli nella collana "Real Cinema". I volti e le mani
presenta infatti un dvd contenente una selezione di cortometraggi, operata
personalmente dal regista, tra quelli da lui diretti negli anni Cinquanta,
quando lavorava presso la Edison. Chiunque conosca il percorso artistico di
Ermanno Olmi - e chi non ricorda un film come L'albero degli zoccoli (Palma
d'oro a Cannes nel 1978)? - sa bene come un po' tutto il suo cinema sia,
prima di tutto, "narrazione del reale". Non stupisce dunque che all'origine
della sua carriera di cineasta ci siano proprio dei documentari, in cui la
sua "fame di realta'" aveva modo di esprimersi in maniera diretta e senza le
barriere dovute alle convenzioni narrative del cinema maggiore.
I cortometraggi qui raccolti sono innanzitutto documentari veri e propri,
volti a illustrare l'attivita' della Edison, che era allora (cioe' prima
della nazionalizzazione del settore dell'energia elettrica con l'Enel),
soprattutto al Nord Italia, una delle principali aziende di produzione di
energia elettrica (principalmente idroelettrica). La pattuglia del Passo San
Giacomo (1954), La diga del ghiacciaio (1955), Manon finestra 2 (1955), Tre
fili fino a Milano (1958), Il grigio (1958) raccontano la dura vita degli
operai del settore idroelettrico, chiamati alcuni a riparare le linee
elettriche quando sono interrotte, trasportando in alta quota, sulle proprie
spalle o magari con il solo aiuto di una slitta, tralicci e pezzi di
ricambio, altri a sviluppare le costruzioni di gallerie e bacini artificiali
di dimensioni mastodontiche, un'attivita' in cui l'uomo ingaggia una dura
sfida con la natura.
Michelino prima B (1956) e' invece un filmato in cui l'autore illustra la
vita di un ragazzino che, per meriti scolastici e dopo una serissima
procedura di selezione, viene ammesso, dopo la licenza elementare, alle
scuole professionali della Edison. La sua vuole essere una vicenda
esemplare: abituato a vivere in un paesino di mare e di pescatori (il cui
nome non viene specificato, forse per rendere piu' emblematica la sua
storia), si trasferisce in citta' (Voghera o Pavia, i cui scolari sono
ringraziati nei "crediti") per frequentare un istituto che gli dara' un
mestiere per la vita. Scuole professionali con annesso convitto, in cui il
livello della disciplina e dei programmi di studio, quanto a serieta' e a
gradi di approfondimento, non sembrano avere nulla da invidiare a quelli
degli attuali istituti superiori.
Ma forse i due pezzi piu' belli, due autentici piccoli gioielli, sono quelli
meno legati all'attivita' della Edison. Il primo, del 1954, si intitola
Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggiere ed e' la
trasposizione, in salsa contemporanea e milanese, dell'omonima operetta
morale di Giacomo Leopardi. I dieci minuti del film cominciano con un breve
viaggio dalle campagne al centro della citta', dove due tradizionali
zampognari si trovano a confrontarsi, un po' in cagnesco, con un suonatore
di organetto, che alla fine avra' la meglio su di loro. Questo e' un po' il
prologo, e poi la scena si sposta in un grande magazzino del centro (la
Rinascente?), dove il "passeggiere" (un bravo e impeccabile Enzo Tarascio)
dialoga con il venditore di lunari e calendari (Paolo Pampurini), che con
spiccato accento meneghino cerca di rispondere, imbarazzato, al fuoco di
fila delle domande dell'acquirente, il quale prova a dimostrargli il
carattere illusorio di ogni aspettativa di felicita' per il futuro. L'altro
cortometraggio, Il pensionato (1958), mette in scena un ex operaio
specializzato che, uscito per raggiunti limiti d'eta' dal mondo del lavoro,
trascorre stancamente e nervosamente le proprie giornate, annoiato e
insofferente. Finche' non si trova a prestare il suo aiuto e i suoi consigli
ad alcuni giovani che hanno aperto una tipografia in uno stanzone collocato
nel cortile del suo condominio. La morale e' scoperta: mettendo la propria
esperienza al servizio degli altri, e' possibile dare un senso all'eta'
della pensione, continuando a sentirsi utili. Ma l'aspetto piu' interessante
e' la documentazione di modi di vivere e di parlare (in un dialetto, ricco
di mimica e di interiezioni, oltre che di popolari espressioni idiomatiche,
che ormai e' stato travolto dalla storia).
In comune i diversi cortometraggi hanno l'attenzione dell'autore al mondo
degli umili, a quegli "uomini comuni" che poi sono quelli che fanno la
storia. Dice Olmi in un'intervista a Sergio Toffetti (compresa nel volume,
dove sono raccolti contributi critici di diversa natura e provenienza sul
cinema del regista lombardo, e soprattutto su questa prima fase della sua
carriera in cui, dal 1953 al 1961, realizzo' ben diciotto cortometraggi e un
mediometraggio): "Io appartengo sia al mondo contadino che al mondo operaio
e ho sempre pensato fortemente che la storia si faccia con i 'grandi
numeri', dunque che i veri protagonisti siano i contadini, gli operai, gli
impiegati e oggi gli operatori dei computer, dei telefonini... la storia
passa soprattutto li'".
*
Nella riunione di "Letture" i membri del comitato scientifico rilevano
questo aspetto, evidenziando come le immagini parlino proprio di tale
interesse del regista per volti anonimi, colti pero' nell'intensita' delle
espressioni: viceversa, come nota Marina Verzoletto, il commento sonoro,
spesso retorico e didascalico, non di Olmi, finisce oggi per risultare
datato, se non un po' fastidioso. Don Antonio Rizzolo sottolinea il
"mecenatismo" di un'azienda come la Edison, che certamente diede a Olmi
mandato di realizzare filmati in qualche misura "pubblicitari", ma lo fece
con un'attitudine generosamente illuminata che andava al di la' delle
intenzioni propagandistiche. Aldo Giobbio ritiene che questo genere di opere
fosse rivolto piu' "all'interno" (per motivare i dipendenti e far conoscere
loro la complessa realta' aziendale, oltre che per costruire una "cultura
aziendale") che "all'esterno" (per fare cioe', volgarmente, "pubblicita'"
all'azienda).
Tutti rilevano l'attenzione di Olmi alla realta' italiana di quegli anni,
con un'acuta capacita' di osservazione di un Paese in rapida trasformazione
da contadino a industriale. Lo nota anche Toffetti nello scritto
introduttivo del volume: in questi film "c'e' sempre il momento in cui i
contadini intenti ai mestieri tradizionali si fermano, per un attimo, a
guardare gli operai, anzi a rispecchiarsi in loro stessi divenuti operai,
come vedessero il loro futuro, e come se l'autore volesse farci vedere
quello che fin da subito ha intuito: Olmi filma in un momento di eccezionale
equilibrio tra sistemi, durante un passaggio epocale, quando l'industria
mantiene ancora un sostanziale equilibrio con la natura".
Quest'ultimo aspetto e' evidente ad esempio nelle riprese montane, con le
dighe, le turbine, i pali dell'alta tensione, che sembrano armonizzarsi, dal
punto di vista estetico, con la realta' paesaggistica. "Mentre oggi", nota
don Rizzolo, "la tecnologia sembra estraniarci dal mondo, avendo perso la
dimensione materiale dell'esistenza, quell'aspetto pratico che significava
rapporto diretto con il mondo".

6. LIBRI. BRUNO GRAVAGNUOLO PRESENTA "UMBERTO TERRACINI" DI LORENZO GIANOTTI
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 5 dicembre 2008 col titolo "Quel no di
Terracini a Lenin" e il sommario "A 25 anni dalla morte, con 'l'Unita'' la
biografia di Renzo Gianotti riapre un capitolo chiave della storia del Pci.
Si chiama Umberto Terracini. La passione di un padre della repubblica, il
libro in edicola domani a euro 7,50 piu' il prezzo del giornale. Lo ha
scritto Lorenzo Gianotti, gia' segretario del Pci di Torino e poi senatore,
autore di saggi storici sull'Ottobre ungherese e sugli operai Fiat"]

Imbattersi in Umberto Terracini, per quelli che si avvicinavano alla
politica a fine anni '60 era esperienza assai singolare. Conferenziere
perfetto, dall'eloquio forbito e millimetricamente preciso, senza sbavature.
E dotato di una consequenzialita' geometrica, che faceva scaturire le
conclusioni del discorso da passaggi e approdi definiti. Mai appesantiti da
citazioni retoriche, fatti salvi certi riferimenti indispensabili di storia
o di dottrina giuridica.
Sembrava un professore di diritto, sbarcato per caso in una di quelle
affollate e fumose sezioni di partito. Ma ancor piu' straordinario era il
silenzio, che avvolgeva quelle parole. E la vena giuridizzante ma chiara,
che faceva apparire quegli interventi come usciti dalla sapienza di un
costituzionalista, benche' del tutto congrui con l'urgenza del momento. Chi
era quel "professore"? E come era capitato li', in mezzo a operai,
artigiani, commercianti, impiegati, militanti spesso riottosi, di la' della
devozione al Partito? E invece non era una bizzarria. Perche' le cose che
Terracini diceva, erano parte integrante della linea di quel partito, erano
in fondo la sua anima formale di fondo, il suo metodo. Tradotti in
linguaggio alto ma comprensibile a tutti. Erano la stessa "via italiana al
socialismo", intesa come gradualismo costituzionale, attraverso le leggi e
l'ampliamento sociale e sostanziale di esse.
E il tutto senza rinnegare l'antica filiazione rivoluzionaria che aveva
visto nascere quel Pc tra le bufere del secolo e a partire dall'Ottobre 1917
e dal 1921, con la scissione di Livorno (di cui Terracini fu uno dei
protagonisti). Certo tutto questo, allora per noi, non era affatto chiaro, e
rimaneva l'effetto di "stranezza" dinanzi a quello stile. Lo stesso effetto
di anomalia e anche di "eresia" un po' indecifrata, che fecero poi di
Terracini, a lungo, un caso a se', e a volte un isolato nel Pci. Non troppo
interessante alla fine, nemmeno per noi giovani.
*
Anomalia di liberta'
Destino ingiusto, che e' venuto il momento di rovesciare per intero, per
amore di verita' e di memoria che e' base di verita'. E l'occasione e' il
venticinquennale della scomparsa del grande dirigente, Presidente comunista
dell'Assemblea Costituente, nato a Genova nel 1895, e avvenuta il sei
dicembre 1983 a Roma. In concomitanza con la quale uscira' domani il volume
delle "Chiavi del tempo" de "l'Unita'" a lui dedicato: Lorenzo Gianotti,
Umberto Teracini. La passione civile di un padre della Repubblica (pp. 280,
euro 7,50 piu' il prezzo del quotidiano). E' un libro affascinante, un libro
di storia del Pci, costruito sullo sfondo di un affresco piu' vasto: il
passaggio sociale otto-novecentesco dell'Italia, il socialismo italiano, la
nascita del Pci, il fascismo, l'antifascismo, le vicende tragiche
dell'Internazionale comunista a Mosca. E poi l'antifascismo, il patto
Molotov-Ribbentropp, la guerra, la Resistenza, e il radicarsi via via del
Pci di Togliatti. Fino al compromesso storico e all'ascesa di Craxi. Un
libro completo, che e' di per se' un romanzo d'epoca, costruito attraverso
una biografia straordinaria, quella di Terracini.
Impossibile riassumerlo tutto. E pero' possiamo darvene una chiave. Eccola:
"l'eretico fedele". L'ostinato rivoluzionario sempre controcorrente,
approdato con la sua testa e pagando di persona alla democrazia come
rivoluzione. Senza l'ausilio di Gramsci e Togliatti, l'uno in carcere come
lui (rispettivamente 20 e 22 anni di condanna dal Tribunale speciale),
l'altro a Mosca o in Spagna.
Dunque, ecco la parabola di Terracini. Giovane intellettuale medioceto,
ebreo laico, socialista, ordinovista. Poi comunista, ostile alla pace nel
"fronte unico" coi socialisti, e avverso su questo a Lenin e Zinoviev.
Quindi, da bordighista si avvicina a Gramsci e trascina con se' anche
Togliatti. E ancora: ostile alla svolta staliniana del 1928 e alla teoria
del socialfascismo, nonche' favorevole alla fase intermedia democratica.
Nemico nel 1939 del patto Molotov-Ribbentropp, e cacciato dal partito per
questo nel 1941. Vi verra' riammesso nel 1945, a patto di non fare storie
sul passato, e benche' dieci anni prima il VII Congresso dell'Ic gli avesse
dato ragione in pieno. Riappproda al "suo" partito dopo l'isolamento in
carcere dai compagni, e dopo essere stato segretario della Repubblica
partigiana della Val d'Ossola. Togliatti lo riaccoglie a Roma, e gli fa poco
a poco strada verso l'alto, fino a proiettarlo verso la Presidenza
dell'Assemblea Costituente, contro i piu' settari Longo, Secchia e
Scoccimarro che pure lo avevano espulso nel 1941. Ecco allora perche'
Teracini fu un "eretico fedele", sempre gravato dall'ombra del sospetto,
malgrado la tempra e il suo valore immensi. Malgrado il sentirsi, e sempre,
un comunista figlio dell'Ottobre. E non finisce qui. Perche' Terracini non
smise mai di "crearsi problemi". Dissente infatti sul piano Marshall Usa,
che voleva accogliere. Dissente sulla fedelta' geopolitica a Mosca nel 1947
e sui richiami ortodossi della "casa madre". Dissentira' sulla guerra dei
sei giorni nel 1967, affermando il diritto di Israele. E dissentira' sia sul
"compromesso storico", sia sulla "guerra" di Berlinguer con Craxi. Insomma
un terremoto costante, pur nella assoluta fedelta'. Un ossimoro vivente.
Interamente coincidente con quella anomalia che fu il Pci. Anomalia di
liberta', malgrado tutto.

7. LIBRI. STELLA MORRA: UNO SGUARDO ESTERNO
[Da "Letture" n. 652 del dicembre 2008, col titolo "Uno sguardo esterno per
capire meglio"]

"Nella frattura delle epoche, degli spazi, delle interpretazioni, la verita'
non si realizza principalmente nella sua affermazione imposta
autoritariamente o nel consenso incondizionato, nella coincidenza di
orizzonti, ma piuttosto come quel confermarsi nella giustizia che lascia
spazio anche all'altro che io capisco poco o addirittura per niente e che mi
fa comprendere che egli vede altre cose o le stesse realta' diversamente.
La' dove non c'e' nulla da affermare e nemmeno da conciliare, ma solo
l'approvazione dell'altro pur senza rinunciare a cio' che e' proprio. In
questo caso puo' emergere dopo tutto anche cio' che e' comune, cioe' quel
poco ma fondamentale che gli uomini hanno in comune in quanto uomini, quando
piangono e ridono, quando sono bimbi e gia' prossimi alla morte, ispirati o
spaventosamente limitati"
(E. Salmann, Presenza di spirito)

Siamo davvero convinti che sia cosi': ci troviamo in una frattura di epoca e
di interpretazione, e mai come in un tempo come questo e' necessario
assumere uno sguardo da fuori, uno sguardo dal confine, uno sguardo
apparentemente vagante e svagato, che circolando intorno ci dica di noi
attraverso l'altro. Come ci ha consigliato Calvino nelle Lezioni americane,
serve uno sguardo lieve e indiretto, come quello di Perseo che guarda nello
specchio dello scudo per sconfiggere la Medusa.
Cosi' vorremmo questa volta offrire alcuni "libri della fede" che in fondo
non lo sono propriamente, che circondano le questioni offrendo prospettive
trasversali, divagazioni lievi, che ci dicono della fede dal di fuori, dalla
ricchezza dei mondi, della simbolica, delle dimensioni della vita.
*
La vita, fino alla morte
Cominciamo con due testi di e su un filosofo cristiano ormai noto, Paul
Ricoeur, piccoli e poco costosi (Paul Ricoeur, Vivo fino alla morte, seguito
da Frammenti, traduzione di Daniela Iannotta, Effata', 2008, pp. 112, euro
10; Paul Ricoeur in dialogo. Etica, giustizia, convinzione, a cura di
Daniela Iannotta, Effata', 2008, pp. 256, euro 13); ma ne' la loro mole, ne'
il loro costo corrispondono alla densita', pacata e pensosa, che ci offrono.
Nel primo ci viene offerta una bellissima meditazione, quasi un dialogo tra
se' e se', quanto alla speranza di sopravvivere, meditazione di un uomo
anziano e prossimo alla chiusura del suo tempo, ma che non per questo smette
di chiedersi (e chiederci) ragione con rigore.
Nessuna visione ingenua, ne' spiritualismo a buon mercato, piuttosto un
serrato interrogare da una parte la Scrittura nella interpretazione di un
buon esegeta, Xavier Leon-Dufour, e dall'altra la nostra Storia attraverso
testi di sopravvissuti ai campi di sterminio. Quasi come una "applicazione"
di questa riflessione filosofica, troviamo nella seconda parte del libro i
Frammenti, pensieri sparsi su se' scritti da Ricoeur negli ultimi tempi
della propria vita (l'ultimo testo e' del 2005, un mese prima della morte).
Nel secondo volume, invece, a partire ogni volta da un testo di Ricoeur,
inedito fino a ora in italiano, vari studiosi intessono una specie di
colloquio ideale con quello che considerano il loro maestro sull'etica,
sulla memoria, sulla riconoscenza e la convinzione, intorno cioe' a nodi
decisivi dello spessore dell'esistenza. Il saggio finale (La gaiezza del
pensare) ci conduce alla logica di fondo di questo abitare la vita fino alla
morte: la logica della sovrabbondanza e del suo eccesso.
*
Due sguardi frontali
Paolo Legrenzi, docente di psicologia, ci guida invece a una ricognizione
dei meccanismi del credere (Credere, Il Mulino, 2008, pp. 144, euro 8,80):
dagli scettici, ai creduloni e ai fanatici, ma  anche nelle descrizioni di
meccanismi ben piu' equilibrati, siamo condotti a scoprire come non si
potrebbe vivere senza esercitare una qualche forma del credere, sia
individuale che collettivo. E insieme ci viene illustrato come opinioni,
credenze e aspettative si amalgamano alle emozioni, fino a generare paure e
speranze.
Un piccolo testo dissacrante? Ma non bisogna aver paura di sentirci
descritti da altri, da coloro che non condividono i nostri presupposti,
piuttosto interrogarci sul modo di funzionare della mente umana e su come
questo interpella la fede in Gesu' Cristo.
All'opposto, quasi, della descrizione di Legrenzi che si sforza di essere
distaccata e non partecipata, il testo di Ernesto Olivero (Sogno che fra
cent'anni, Effata', 2008, pp. 212, euro 9,50) una specie di Regola del
Sermig, il movimento e una fraternita' che non hanno bisogno di
presentazioni. Lo spirito di questa Regola, ci viene detto, e' che possa
ispirare uomini e donne di buona volonta', credenti di ogni religione e non
credenti che, al di la' di ogni diversita', scelgono di sognare e poi
realizzare l'utopia del diverso capito, dell'altro come persona da amare.
E' un testo che nasce da una storia viva, totalmente schierato, e che chiede
partecipazione a chi lo legge, che nasce dal collocarsi al cuore stesso
dell'esperienza di una fede vivente; ma proprio per questo finisce per
essere per noi uno sguardo "altro" anch'esso, dal confine di una radicalita'
che saremmo tentati di ammirare, ma pensandola fuori portata, estranea.
*
Le icone ci guardano
Sempre a partire da un centro e da una collocazione credente che si fa
sguardo lieve e trasversale troviamo il libro di Enzo Bianchi sulle icone
(Immagini del Dio vivente, Morcelliana, 2008, pp. 83, euro 10). Anche la sua
origine (si tratta della trascrizione di alcune puntate della serie
radiofonica "Uomini e profeti" di Radio 3) lo colloca in un territorio che
non e' quello proprio della fede, ma ci offre uno sguardo denso e
interrogante: immagini antiche per invitarci a riflettere sull'invisibile e
sul rapporto che ha con noi, sulla sua rappresentabilita', sulla nostra
modalita' di metterci in relazione con cio' che alcuni chiamano Dio e per
altri e' l'insondabile segreto della vita umana. Ed Enzo Bianchi, oltre che
studioso, e' uno che percorre questi solchi, che li tocca, li scruta, li
attraversa; da monaco sa che la vita trova la sua ragione e il suo respiro
in una bellezza che non sia puro estetismo, ma piuttosto una bellezza che
sopporta anche le ferite, le lacerazioni, le disperazioni. Cosi' ci conduce
in un sentiero che attraverso gli occhi chiama a nuova percezione il cuore,
la ragione e la volonta'.
*
Ridare corpo a Lutero
Per ultimo, un libro dichiaratamente teologico (Henry Mottu, Il gesto e la
parola, traduzione di Laura Marino, Qiqajon, 2008, pp. 408, euro 24), per
tornare a un libro della fede che si fa esplicitamente attraversare dal
sapere e dal capire degli altri. L'autore, pastore e professore alla
facolta' teologica protestante di Ginevra, parte esplicitamente dalla
convinzione che il protestantesimo (grande servitore della Parola e delle
parole) debba riprendere contatto con la comunicazione gestuale, simbolica,
con l'ambito del corpo, del gesto, della mano, e si domanda: "Quando si
potra' finalmente festeggiare la riconciliazione dei protestanti con la
corporeita', la sensibilita', la carne dei segni?".
Ma la sfida che egli prova ad affrontare si arricchisce immediatamente: non
vuole semplicemente ritrovare il corpo e i gesti come una generica
manifestazione di sacralita' rituale, piuttosto come il luogo proprio della
carne profetica del cristianesimo: dunque deve tenere insieme l'insistere
sul corpo con la ragione, la gestualita' senza separarla dalla Parola che la
fonda, la carne del messaggio senza perdere la trascendenza.
Sfida ardita che gli fa attraversare i gesti simbolici dei profeti e quelli
di Gesu', e poi una fenomenologia del rito per poter trovare alla fine i
gesti dell'esistenza cristiana. Dal confine dunque, per tornare a noi stessi
diversi.

8. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009"

Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano
per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita',
per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla
forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione
tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno
dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della
nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata.
E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009".
- 1 copia: euro 10
- 3 copie: euro 9,30 cad.
- 5 copie: euro 8,60 cad.
- 10 copie: euro 8,10 cad.
- 25 copie: euro 7,50 cad.
- 50 copie: euro 7 cad.
- 100 copie: euro 5,75 cad.
Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946,  e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it

9. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009

E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne
nella lotta contro le mafie e per la democrazia.
E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di
Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani.
Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro
Impastato o all'editore.
*
Per richieste:
- Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa
Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail:
csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it
- Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax:
923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito:
www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 663 dell'8 dicembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
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