Nonviolenza. Femminile plurale. 131



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 131 dell'11 ottobre 2007

In questo numero:
1. Cynthia Boaz e Shaaka Beyerle: La rivoluzione color zafferano
2. Aunohita Mojumdar: Se la liberta' e' morte
3. Carlotta Mismetti Capua: La guerra del cibo
4. Vandana Shiva: Cucinare
5. Aminata Traore': Dico basta
6. Hannah Arendt: L'amore e'...

1. BIRMANIA. CYNTHIA BOAZ E SHAAKA BEYERLE: LA RIVOLUZIONE COLOR ZAFFERANO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo del 7
ottobre 2007.
Cynthia Boaz e' docente di scienze politiche e studi internazionali
all'Universita' di New York.
Shaaka Beyerle e' consigliera anziana del Centro internazionale per la lotta
nonviolenta]

Solo perche' non vediamo piu' dimostranti, non significa che siano
scomparsi. Il regime birmano vuole farci credere di aver "ripristinato la
normalita'" nel paese. Vogliono che noi si deduca che la repressione ha
avuto successo e che la resistenza e' stata distrutta. Ma non e' questa, la
vera storia che viene dalla Birmania.
Nessuno dovrebbe essere sorpreso di come il regime ha reagito: dopo tutto,
questo e' cio' che i regimi fanno quando devono affrontare il dissenso. Gli
effetti della protesta possono essere piu' profondi e durare piu' a lungo
degli effetti del terrore scatenato contro i cittadini birmani. Leader
democratici esiliati, monaci e studenti, tutti dicono che il movimento e'
vivo e che, secondo le parole di un rifugiato, la gente comune "sta
dedicando se stessa alla lotta per la vittoria in Birmania". Ci sono alcuni
segnali incoraggianti che indicano come questo impegno si stia traducendo in
una sistematica strategia di indebolimento delle fonti di sostegno e
controllo della giunta.
Sin dall'inizio, il movimento ha appreso come coordinare "linee" o liste di
persone guida, cosi' quando uno dei leader e' stato arrestato o
neutralizzato in altro modo, un'altra persona ha rapidamente preso il suo
posto. E' esattamente cio' che e' accaduto dopo la prima ondata di arresti,
e dopo la seconda, e dopo la terza. Osservatori presenti in Birmania
sostengono che ve ne sono altri, molti altri, pronti a farsi avanti.
Inoltre, mettendo i monaci all'avanguardia, il movimento ha svelato
l'intrinseca mancanza di legittimita' politica e di autorita' morale del
regime. Reprimendo duramente la parte piu' rispettata ed onorata della
societa', il regime ha ferito la vera anima della Birmania. Questo ha reso
attivi segmenti di popolazione che sino ad allora erano rimasti ai margini
della protesta, inclusi insegnanti, abitanti dei villaggi e persino
funzionari governativi. Un corrispondente dallí'Asia per la Bbc ha
recentemente osservato: "E' ovvio che nonostante i loro enormi sforzi per
soffocare qualsiasi tipo di opposizione, la domanda a cui i generali che
governano la Birmania devono rispondere non e' 'se' le proteste
antigovernative ritorneranno, ma 'quando'".
Non ci e' voluto molto tempo. Gia' ora, giungono notizie che i cittadini di
Rangoon sono impegnati in "proteste silenziose", come il non guardare
l'emittente televisiva di stato, o spegnere le luci, che simboleggiano il
loro rigetto della propaganda di regime. Gente comune ha sottratto il
proprio consenso al regime ed e' decisa ad impegnarsi nelle azioni di
protesta che vengono loro proposte, creative e a basso rischio. I loro passi
seguiranno quelli dei coraggiosi resistenti nonviolenti che si opposero alla
giunta di Pinochet in Cile, al regime dell'apartheid in Sudafrica, e al
dittatore Marcos nelle Filippine. Tutti costoro dovettero affrontare la
repressione, pure trovarono azioni nonviolente atte a smantellare il sistema
dell'oppressione ed a mobilitare le persone.
I membri di basso livello dell'esercito e della polizia si trovano ora in un
dilemma. Non tener conto degli ordini che ricevono potrebbe metterli nei
guai, ma obbedire a tali ordini mette a rischio la loro anima, in questo
devoto paese buddista. Se il movimento riesce a raggiungere una massa
critica, alcuni soldati e poliziotti esiteranno ad impegnarsi nella
repressione, perche' sapranno che persone delle loro stesse comunita' e
famiglie potrebbero essere ferite. Questo e' stato il caso della Serbia,
durante la sollevazione nonviolenta contro Slobodan Milosevic, conosciuto
anche come "il macellaio dei Balcani". Quando ai poliziotti serbi fu chiesto
perche' non obbedivano completamente agli ordini, alcuni risposero che non
potevano sparare sulla folla, perche' non sapevano se la' in mezzo c'erano
anche i loro figli.
Un segno decisivo della pianificazione operata dal movimento birmano e della
sua forza e' la capacita' che sta dimostrando di saper mantenere la
disciplina nonviolenta. Nonostante gli orrori commessi dal regime nei giorni
scorsi, non un singolo dimostrante ha risposto con la violenza. E perche'
dovrebbero? Cio' darebbe solo al regime piu' scuse per la repressione, e
forse permetterebbe ad alcuni militari e poliziotti di razionalizzare degli
atti che altrimenti non si sognerebbero mai di commettere. Il mantenimento
della disciplina nonviolenta, assieme al crescente numero di differenti
soggetti che si impegnano a resistere in Birmania, ha guadagnato al
movimento molta simpatia internazionale, e sara' un fattore cruciale per
costruire la sua stessa legittimazione.
Le ultime notizie che serpeggiano fra i vicoli e le strade di Rangoon dicono
che la moglie del generale Than Shwe, il capo della giunta militare, sta
comprando casa a Dubai. Invece che chiedersi se la repressione della
rivoluzione color zafferano ha avuto successo, forse e' piu' intrigante
porsi questa domanda: "Chi e' che ha piu' paura, e di chi?".

2. AFGHANISTAN. AUNOHITA MOJUMDAR: SE LA LIBERTA' E' MORTE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo.
Aunohita Mojumdar, giornalista indiana, corrispondente per We News,
attualmente lavora a Kabul, in Afghanistan; ha coperto con i suoi reportage
la regione dell'Asia del sud per 17 anni, ed e' stata corrispondente locale
durante il conflitto in Kashmir e nel dopoguerra nel Punjab]

Kabul, Afghanistan. Ogni anno, la festivita' di Eid, che chiude il periodo
del Ramadan, viene commemorata con l'amnistia presidenziale per i
prigionieri. E' un far mostra di benevolenza culturale, giacche' il Ramadan
viene tradizionalmente celebrato con le famiglie riunite. Ma mentre questa
festa di Eid si avvicina con la data del 13 ottobre, gruppi femminili e ong
internazionali stanno mettendo sull'avviso che molte prigioniere, se
rilasciate, diventeranno delle vagabonde senza casa, ostracizzate e
vulnerabili allo sfruttamento sessuale. Altre potrebbero tornare
immediatamente in prigione perche' donne "non accompagnate". Altre ancora
saranno vittime dei loro parenti, che desiderano punirle piu' severamente,
spesso con la morte.
"Le donne muoiono, dopo aver lasciato la prigione", dice la dottoressa Anou
Borrey, consulente per la giustizia di genere del Fondo per lo sviluppo
delle donne delle Nazioni Unite in Afghanistan.
"Le afgane in prigione potremmo dirle fortunate, almeno sono vive", dice
Carla Ciavarella, coordinatrice del programma legale dell'ufficio delle
Nazioni Unite che si occupa di droga e criminalita' in Afghanistan.
L'ufficio ha lavorato con il sistema penitenziario afgano per quattro anni.
"Non sappiamo quante donne vengano uccise e abusate nelle loro stesse case,
ogni giorno".
Gli avvertimenti seguono un rapporto dello stesso ufficio dei primi di
settembre, in cui si documentava come circa meta' delle donne presenti nelle
maggiori prigioni afgane sono detenute per i cosiddetti "crimini morali":
adulterio, fuga da casa, l'essere state trovate in compagnia di un uomo che
non era loro parente, e persino l'aver dato rifugio ad una donna in fuga.
Christina Orguz, rappresentante afgana dell'agenzia delle Nazioni Unite,
dice che nella maggior parte degli altri paesi del mondo queste detenute
sarebbero considerate vittime di crimini, e non criminali.
I dati del rapporto riecheggiano la ricerca sullo status delle donne in
Afghanistan diffusa nel gennaio 2007 da Medica Mondiale, un gruppo che si
occupa del sostegno a donne e bambine traumatizzate nelle zone di guerra o
di crisi, e che ha lavorato moltissimo con le prigioniere afgane: "Il caos
giudiziario fa si' che le donne vengano ritenute responsabili dei crimini
anche se ne sono vittime, e i casi vengono giudicati in base a leggi tribali
o tradizioni, invece che in base al codice penale vigente. In particolare,
viene perseguito il reato detto 'zina', o contatto sessuale al di fuori del
matrimonio, senza neppure accertarne la realta', e le donne vengono
condannate alla prigione anche se hanno subito uno stupro".
*
Il rapporto redatto dall'ufficio delle Nazioni Unite si e' avvalso delle
interviste alle prigioniere, fra cui 56 delle 69 detenute della prigione di
Pul-e-Charki, situata alla periferia di Kabul. Una di esse ha narrato agli
intervistatori che suo marito ha ucciso un altro uomo durante una disputa
per il possesso di certi terreni, e per farla franca ha detto di aver
commesso l'omicidio a causa dell'adulterio della moglie. Poiche' la donna
non aveva testimoni che dicessero che non l'aveva commesso, e' stata
imprigionata. Analfabeta e povera, dovra' scontare sei anni di galera
assieme al figlioletto. La sentenza iniziale era di un anno, ma e' stata
aumentata dopo che la donna ha chiesto il divorzio, una richiesta che ella
ritiene abbia maldisposto il giudice nei suoi confronti.
Alcuni dei "crimini" delle donne non sono presenti neanche nell'attuale
codice penale afgano, che pure si basa sulla sharia, o legge islamica. Il
sistema giudiziario basato sulla sharia, ed anche sui tradizionali consigli
degli anziani (che spesso sono ancora piu' duri), vede le donne come
proprieta' della famiglia estesa del marito, una visione che distorce
l'interpretazione delle leggi penali.
Essendo "proprieta'", per esempio le donne non hanno il diritto di andarsene
da casa, perche' non hanno il diritto di uscirne senza il permesso del
marito o di un parente maschio, un costume che preserva gli uomini
dall'essere privati dei loro "possedimenti". Le donne sono anche le custodi
dell'onore familiare, ed ogni erosione percepita di tale onore puo' essere
considerata pericolosa e punibile dalle famiglie. Uno studio di Unifem del
maggio 2006 stima che l'82% degli atti di violenza contro le donne afgane
venga commesso da membri delle loro famiglie.
La violenza domestica e' comune, ma lo e' di piu' all'interno dei matrimoni
imposti, inclusi quelli che coinvolgono spose minori di 16 anni d'eta'. La
"Commissione indipendente afgana per i diritti umani" stima che la
maggioranza dei matrimoni nel paese (tra il 60 e l'80%) siano forzati, e
molti includono spose di sei anni. Le leggi afgane permettono ad una ragazza
di sposarsi a 15 anni con il consenso paterno, ma in pratica si considera
che i padri abbiano titolo a garantire il consenso delle figlie qualsiasi
sia la loro eta'. I matrimoni e i divorzi sono spesso non documentati, in
Afghanistan. Cio' significa che una donna che si risposa dopo un divorzio
puo' essere accusata di adulterio se solo il marito sostiene di non aver mai
divorziato da lei. I costumi sociali e le tradizioni rendono qui molto piu'
difficile ad una donna dare inizio alle procedure di divorzio, e la mancanza
di documentazione formale sulle nascite, i matrimoni ed i divorzi rende
difficile procurarsi evidenze legali. In una disputa in cui vi sia la parola
di un uomo contro la parola di una donna, usualmente e' l'uomo ad essere
creduto. Alcuni ex mariti si avvalgono di questa mancanza di prove rispetto
ai loro divorzi per ottenere compensi in denaro dal secondo marito, che
avrebbe preso le loro "proprieta'". Le donne vengono date per pagare debiti,
per siglare accordi, per raddrizzare torti.
Amina, che come molte donne afgane usa sola il suo primo nome, e' membro del
locale Consiglio di donne per la pace a Ghazni, una citta' nell'Afghanistan
del sud. Incontrando a Kabul la deputata del suo distretto, ha ricordato con
rabbia la storia di una vedova di 46 anni, da lei conosciuta, che era stata
costretta a sposare il cognato di nove anni, perch' gli "usi e costumi"
dicono che una vedova deve risposarsi all'interno della famiglia del marito.
Zahira Mawlai, la deputata, ha sottolineato che secondo l'Islam il consenso
della donna e' obbligatorio per ogni matrimonio, e che usare la forza e'
considerato peccato. Ma in pratica, ha aggiunto, le donne afgane mancano
spesso del potere di prendere decisioni. Un primo passo per mettere fine ai
matrimoni di minorenni ed ai matrimoni forzati, ha suggerito, e' denunciare
tali pratiche come illegali, poiche' tali sono.
I rappresentanti delle Nazioni Unite e i gruppi di donne come Medica
Mondiale stanno lavorando per fornire alle donne prigioniere quelle
capacita' che le aiuteranno a sopravvivere ed a stabilire condizioni per un
rilascio sicuro. Cio' include l'alfabetizzazione, la formazione
professionale e lo studio delle leggi vigenti. I volontari e le volontarie
stanno anche lavorando per sottoporre delle linee guida a breve e a lungo
termine al Ministero afgano per la Giustizia, per il trattamento e la
riabilitazione delle detenute. In questo processo stanno raccomandando delle
"case di transizione", la cui creazione non e' ancora stata stabilita.
*
Per maggiori informazioni:
United Nations Office on Drugs and Crime, "Female Prisoners and Their Social
Reintegration":
www.unodc.org/pdf/criminal_justice/Afghan_women_prison_web.pdf
Medica Mondiale: www.medicamondiale.org

3. ESPERIENZE. CARLOTTA MISMETTI CAPUA: LA GUERRA DEL CIBO
[Dal supplemento del quotidiano "La Repubblica" "D Donna" del 22 settembre
2007 riprendiamo il seguente articolo li' apparso col titolo "La guerra del
cibo" e il sommario "Stop alle multinazionali, si' alla biodiversita'
dell'agricoltura. L'indiana Vandana Shiva e l'africana Aminata Traore'
combattono le stesse battaglie".
Carlotta Mismetti Capua e' giornalista e saggista.
Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti
istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni
Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa
dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di
riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli,
di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia
di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti
pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo,
Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino
1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze,
DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta
di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano
2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003; Le nuove guerre della
globalizzazione, Utet, Torino 2005; Il bene comune della Terra, Feltrinelli,
Milano 2006.
Aminata Traore', scrittrice, intelelttuale, militante per i diritti umani,
e' stata funzionaria delle Nazioni Unite, ministra delle cultura in Mali e
una delle principali animatrici del Forum sociale mondiale. Tra le opere di
Aminata Traore': L'immaginario violato, Ponte alle Grazie, 2002; La morsa.
L'Africa in un mondo senza frontiere, ibis, 2003]

Vandana Shiva con il sari arrotolato intorno al corpo e il bindi rosso sulla
fronte. Aminata Traore' con il copricapo in testa e il boubou colorato fino
ai piedi. Vestiti tradizionali e un carisma fuori dall'ordinario: cosi'
queste due donne girano il mondo per difendere la loro terra, raccontando
altre verita'.
*
L'una, Vandana Shiva, voce autorevole dell'India dei contadini. L'altra,
Aminata Traore', leader radicale dell'Africa di chi non ha voce. Sono due
combattenti, volano da un continente all'altro come ambasciatrici contro la
globalizzazione. Parlano forte e chiaro, e lo fanno in Paesi dove le donne
non parlano affatto. Le loro sono battaglie diverse ma in fondo simili
perche' combattute con strumenti identici. Il nemico e' lo stesso: i governi
corrotti, le multinazionali, il Wto, l'Occidente dei monopoli e del
capitalismo col turbo. Vandana Shiva e' una fisica e una delle scienziate
piu' note del suo Paese: attivista lo e' diventata dopo. Si batte per la
biodiversita' in agricoltura, contro i semi geneticamente modificati che
vengono venduti agli agricoltori indiani e che li mandano in rovina.
Coordina una comunita' che fa il possibile per aiutare i coltivatori dei
villaggi a liberarsi dalla schiavitu' della multinazionale Monsanto.
Ma lavora con i governi di tanti Paesi, in Italia con la Regione Toscana (al
progetto di San Rossore, luogo di elaborazione del pensiero new global). "Il
suicidio dei contadini indiani, che hanno seminato i loro campi con gli Ogm
venduti dagli americani", racconta, "e' il mio dolore, il mio pensiero
quotidiano. Nell'ultimo decennio, in India, piu' di quarantamila agricoltori
si sono suicidati - anche se sarebbe piu' esatto parlare di omicidio, o
addirittura di genocidio", racconta Shiva, che con la sua organizzazione ha
salvato cinque villaggi, convincendo i loro abitanti a riconvertirsi ai semi
biologici. "La vita dei contadini e' diventata molto difficile. Perche' le
politiche economiche del governo non li aiutano. Vedo le donne che non sanno
come sopravvivere, che vedono il proprio lavoro distrutto".
Per cercare soluzioni a questi problemi macroeconomici Shiva parte dalle
piccole cose. Per esempio si preoccupa del compost, il fertilizzante che
viene preparato partendo dagli escrementi delle mucche. "Le donne indiane
hanno sempre avuto il compito di preparare il compost per nutrire i terreni.
Oggi invece le multinazionali vendono veleni: fertilizzanti che promettono
miracoli. Ma che come primo risultato di fatto estromettono le donne dal
lavoro nei campi. Il loro ruolo viene cancellato dalla chimica. Una chimica
guerrafondaia per origine e vocazione: i fertilizzanti furono inventati in
campo militare, e usati in Vietnam contro la popolazione. Fanno male alla
terra, fanno male alla salute, fanno male alle donne".
Vandana e' convinta che la biodiversita' dell'agricoltura, i semi, i sistemi
di lavorazione, gli aratri, i trattori, i campi, i vigneti, il granoturco
potranno cambiare il mondo. "Certo, non e' un risultato al quale si arriva
senza lottare", dice. "Credo che oggi sia in corso una nuova Guerra
mondiale: quella del cibo".
*
Aminata Traore' e' un'intellettuale, una scrittrice. Ha la bellezza
imponente di molte donne africane: la voce e' potente, rotta dalla rabbia
spesso, qualche volta dall'emozione. Quando parla e' come se stesse
arringando le folle, come fosse sempre su un palcoscenico. E' stata ministro
della Cultura del Mali, il suo Paese natale, poi consulente economica di
tantissime organizzazioni internazionali. Ha studiato psicologia a Parigi,
ha scritto molti libri di denuncia, tutti tradotti nelle varie lingue
europee, italiano compreso.
Ha anche inventato e creato il Forum sociale africano, ed e' stato un
successo: si e' tenuto, nella prima edizione, a Bamako, prima di sbarcare
quest'anno a Nairobi. "Un'altra Africa e' possibile" era lo slogan delle
duemila persone che vi si sono ritrovate. Lo scopo era quello di parlare,
conoscere e dare obiettivi comuni agli attivisti sociali africani. Le
battaglie che li hanno uniti sono state quelle contro la poverta' assoluta,
la corruzione, l'assenza di sicurezza sociale, le politiche per l'Aids. "Ma
soprattutto abbiamo dato al mondo un'immagine diversa dell'Africa, un'Africa
pronta a combattere e a difendersi", racconta, sistemandosi ogni tanto il
turbante che porta come una corona. "Abbiamo bisogno di costruire una
politica diversa, libera, che parta dal basso", sostiene. "In Africa non
abbiamo la possibilita' di spiegare, di far comprendere alla gente cosa
succede e perche'. Le cose accadono senza che se ne conosca il motivo. E'
questa la cosa piu' terribile".
*
Vandana Shiva e' una scienziata che ha deciso di fare politica, Aminata e'
un'intellettuale dalle teorie estreme: "Oggi il pianeta vive le stesse
difficolta', ovunque: la sofferenza di un giovane africano non e' cosi'
diversa, ne' lontana, da quella di un giovane italiano. Forse e' utopico
pensare che il Terzo mondo salvera' i primi due", dice, "ma quel che e'
certo e' che la soluzione, la strada per la salvezza del pianeta, non
arriveranno da chi comanda ora. Io ho diritto alla mia utopia, ovvero che
l'Africa possa indicare a ogni Paese la via di salvezza da questo mondo
cosi' tormentato. Penso all'Africa delle relazioni umane, pacifiche,
solidali, semplici: se il continente da cui provengo non e' precipitato nel
caos piu' totale e' proprio grazie a questi legami deboli ma costanti tra la
gente". Nel libro L'immaginario violato (Ponte alle Grazie) Aminata Traore'
ha esposto chiaramente le sue teorie. E prima di tutto ha sottolineato che
l'Africa, per le violazioni dei colonizzatori che ha dovuto subire, non ha
imparato a pensarsi. A immaginare un futuro per se stessa, senza
colonizzatori. Perche', secondo la Traore', le colonizzazioni in Africa non
sono mai finite.
Aminata Traore' racconta di "provare dolore quando guardo la televisione,
non a casa mia, ma in Europa, nelle stanze d'albergo. Perche' nei
telegiornali vedo cose che nel mio Paese non si vedono. Per strada, seduta
sulla mia veranda, vedo le donne andare al mercato, i bambini a scuola. Non
la miseria e la morte che viene mostrata in Occidente. Certo, vedo i
gommoni, le carrette, i naufragi in mare, i nostri giovani che annegano. I
figli dell'Africa ci vengono tolti. Partono per pulire i cessi dei Paesi
ricchi. Siamo depredati delle nostre risorse: l'oro, i diamanti, il cotone.
Non vivo in un Paese in guerra, produciamo cotone di prima qualita', del
quale siamo i primi esportatori al mondo. Eppure restiamo poveri. Tutto ci
viene tolto. Ma piu' di ogni altra cosa siamo depredati della risorsa piu'
grande, i nostri ragazzi". La parola preferita di Aminata e' "speranza".
*
Quella di Vandana e' "shanti", pace. "l'India e' il Paese della pace, della
tolleranza. Sono valori che l'India puo' insegnare al mondo. Anche
l'incertezza, che ti spinge ad aprirti, ad adattarti, e' un valore. E' la
condizione primaria della vita in India, e l'incertezza genera speranza". Le
chiediamo infine cosa farebbe se fosse lei a guidare il mondo. "Per prima
cosa deciderei che non esistono "capi del mondo". E, se anche cosi' fosse,
non vorrei essere il capo del mondo", scuote la testa. "Voglio invece
centinaia, milioni di capi del mondo. Tutti diversi. Di legge ne farei una
sola: vietato fare la guerra".

4. RIFLESSIONE. VANDANA SHIVA: CUCINARE
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sul supplemento del quotidiano "La
Repubblica" "D Donna"]

Un tempo credevo che cucinare fosse soltanto l'anello di una catena. Adesso
mi rendo conto che questo e' un atto che induce la meditazione, che nutre lo
spirito ed e' pacifico nei confronti del mondo. Perche' diventi davvero
un'azione liberatoria, pero', occorre che tutti - uomini e donne - cucinino.
Anche i padri devono potersi dedicare a questa pratica con amore.
L'industria ha fatto del cibo una gabbia, in grado di nuocere alla salute
del mondo e dei corpi. La vera liberta', ormai, e' poter decidere cosa
piantare, innaffiare, mangiare, vendere.
C'e' una guerra in atto. Dichiarata contro il pianeta terra. E riguarda
proprio il cibo. L'industria, le multinazionali vogliono controllare il modo
in cui si alleva il bestiame e si coltivano i campi. La chimica dei
diserbanti e' nata dagli studi sugli esplosivi. Sostanze create per uccidere
le persone, che ci fanno ammalare e continuano a uccidere in altri modi. La
questione riguarda soprattutto le donne. Perche' gli additivi che assorbiamo
abbassano la fertilita', sono legati all'insorgere del cancro, provocano
disturbi neurologici. Come se non bastassero queste conseguenze, esistono
anche gravi risvolti economici: le donne, nelle culture agricole, preparano
composti per nutrire in modo naturale il terreno. Gli additivi chimici li
eliminano e vanificano il ruolo femminile nell'agricoltura tradizionale,
rendendo le donne inutili e mettendole ai margini. La guerra al cibo diventa
anche una guerra diretta ai nostri corpi. L'obesita' e' in aumento in tutto
il mondo. Utilizziamo prodotti che non sono nati per essere mangiati, come
lo sciroppo di mais o l'olio di soia.
Non dobbiamo credere che la globalizzazione sia un percorso naturale, che ci
rende tutti fratelli. Al contrario e' un progetto pianificato di esclusione,
che risucchia risorse ed economie dei piu' poveri, distruggendo vite e
culture dietro il paravento della crescita dell'economia planetaria.
Produrre cibo e' dunque un'assunzione di responsabilita' etica. Si tratta di
fabbricare nutrimento. Per tutti. In questa ottica il profitto diventa una
voce non necessaria e la rivendicazione del diritto ad avere campi senza
organismi geneticamente modificati, produzioni alimentari tradizionali,
condizioni ambientali senza la presenza costante dell'inquinamento, risorse
rinnovabili e compatibili, potranno diventare realta'. Solo allora la
rivoluzione del cibo sara' completata.

5. RIFLESSIONE. AMINATA TRAORE': DICO BASTA
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sul supplemento del quotidiano "La
Repubblica" "D Donna"]

Dopo aver decolonizzato l'Africa bisogna liberare anche le menti degli
africani. agli europei chiedo pero' meno arroganza e slealta' nei nostri
confronti. Siamo tutti migranti. Gli uomini e le donne si spostano da
sempre. Il mondo e' nato cosi'. Con gruppi di esseri umani che si sono messi
in viaggio verso altri continenti. Oggi la mia gente si muove di nuovo e non
puo' essere una cosa illegale. Il problema non e' l'emigrazione, ma
l'immagine che se ne da'. In televisione vedo un'Africa sofferente,
disperata, affamata. Violenze, morti e guerre: si mostra soltanto questo. Ma
l'Africa e' anche altro e vorrei che agli europei fosse mostrata la gente
che lavora, i mercati affollati, le donne e i bambini che studiano. I flussi
migratori piu' rilevanti non arrivano dal mio continente, eppure sembra che
siamo noi africani la causa di tutti i mali. Siamo diventati un simbolo. Ma
gli africani non sono passivi. Anche loro cercano il benessere. Quei barconi
che partono dalle nostre coste - e a volte affondano - non sono che la
dimostrazione di questo: c'e' una generazione che possiede volonta', sogni e
forza. Che vuole combattere le difficolta'. Perche' siamo un popolo che si
batte e che vuole un posto nel mondo.
Al Forum sociale africano ho visto donne commosse, intense, arrabbiate,
volenterose: pronte ad alzarsi in piedi e a combattere per un'Africa degna,
prospera. Noi continuiamo a guardare voi occidentali, vi seguiamo. Ma
nemmeno voi siete un modello da seguire. I nostri leader sono sudditi
dell'Occidente, le nostre politiche vengono condizionate e decise dalle
grandi istituzioni internazionali, la nostra economia e' strutturata per
garantire ricchezze ad altri. Saremmo ricchi e invece siamo poveri. Perche'?
Ci si congratula con il Kenya: produce frutta e fiori che chi vi abita non
mangia e non consuma. Con Paesi divenuti grandi produttori di te', dove
pero' gran parte della popolazione non ha accesso all'acqua. Nel Mali
produciamo cotone di qualita': eppure continuiamo a vestirci con gli stracci
che arrivano dall'Europa.
Agli africani dico basta. Agli occidentali dico basta. Il liberismo sta
distruggendo il "continente nero"; non soltanto le sue risorse ambientali ed
economiche, ma anche le relazioni sociali legate al rapporto con la natura.
Pensare a un'altra Africa e' possibile. Bisogna pero' svincolarsi dalle
catene dei potenti, lottare per un mercato dal volto umano e capace di
imporre democrazia e diritti umani. Cosa ci manca? Abbiamo carbone, te',
cotone, oro e diamanti. Manca la fiducia, perche' ce l'hanno distrutta.
Credo che soltanto l'informazione e l'istruzione possano cambiare finalmente
l'immagine che gli africani hanno di loro stessi.

6. MAESTRE. HANNAH ARENDT: L'AMORE E'...
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 ottobre 2007 riprendiamo il seguente
estratto dai "Diari" di Hannah Arendt, e precisamente dal Quaderno XVI,
Maggio 1953 - giugno 1953, sul quotidiano riportato col titolo "Grandezza e
tragedia all'inizio di un mondo nuovo".
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo
líanno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dellíedizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004, e la recente Antologia, Feltrinelli,
Milano 2006. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di
Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra
gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995;
Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?,
Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma
1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli,
Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto
Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt,
Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina,
Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi
legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con
ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt,
Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv,
Muenchen 2000]

L'amore e' una potenza e non un sentimento. Si impadronisce dei cuori, ma
non nasce dal cuore. L'amore e' una potenza dell'universo, nella misura in
cui l'universo e' vivo. Essa e' la potenza della vita e ne garantisce la
continuazione contro la morte. Per questo l'amore "supera" la morte. Appena
si e' impossessato di un cuore, l'amore diventa una potenza ed eventualmente
una forza.
L'amore brucia, colpisce l'infra, ovvero lo spazio-mondo fra gli uomini,
come il fulmine. Questo e' possibile soltanto se vi sono due uomini. Se si
aggiunge il terzo, allora lo spazio si ristabilisce immediatamente.
Dall'assoluta assenza di mondo (= spazio) degli amanti nasce il nuovo mondo,
simboleggiato dal figlio. In questo nuovo infra, nel nuovo spazio di un
mondo che inizia, devono stare ora gli amanti, essi vi appartengono e ne
sono responsabili. Proprio questa e' pero' la fine dell'amore. Se l'amore
persiste, anche questo nuovo mondo viene distrutto. L'eternita' dell'amore
puo' esistere soltanto nell'assenza di mondo (dunque: "e se Dio vorra', ti
amero' anche di piu' dopo la morte" - ma non perche' allora io non "vivro'"
piu' e di conseguenza potro' forse essere fedele o qualcosa del genere, ma a
condizione di continuare a vivere dopo la morte e di aver perduto in essa
soltanto il mondo!) o come amore degli "abbandonati", non a causa dei
sentimenti, ma perche', assieme agli amanti, e' andata perduta la
possibilita' di un nuovo spazio mondano.
In quanto potenza universale (dell'universo) della vita, l'amore non ha
propriamente una origine umana. Nulla ci inserisce in modo sicuro e
inesorabile nell'universo vivente piu' dell'amore, al quale nessuno puo'
sfuggire. Appena pero' questa potenza si impadronisce dell'uomo e lo getta
verso un altro e brucia l'infra del mondo e del suo spazio fra i due,
proprio l'amore diventa "cio' che vi e' di piu' umano" nell'uomo, ovvero
un'umanita' che persiste senza mondo, senza oggetto (l'amato non e' mai
oggetto), senza spazio. L'amore consuma, consuma il mondo, e da' un'idea di
che cosa sarebbe un uomo senza mondo. (Percio' lo si pensa spesso in
relazione a una vita in "un altro mondo", ovvero in una vita senza mondo).
L'amore e' una vita senza mondo. In quanto tale, si manifesta come creatore
di mondo; esso crea, genera un mondo nuovo. Ogni amore e' l'inizio di un
mondo nuovo; e' questa la sua grandezza e la sua tragedia. Infatti, in
questo mondo nuovo, nella misura in cui non e' soltanto nuovo, ma anche
appunto mondo, l'amore soccombe.
L'amore e' dunque in primo luogo la potenza della vita; noi apparteniamo al
vivente poiche' sottostiamo a questa potenza. Chi non ha mai subito questa
potenza non vive, non appartiene al vivente. In secondo luogo, esso e' il
principio che distrugge il mondo e indica cosi' che l'uomo e' ancora senza
mondo, che egli e' "piu'" del mondo, benche' senza mondo non possa durare.
Cosi', l'amore rivela proprio cio' che e' specificamente umano nell'universo
vivente. Il discorso degli amanti e' cosi' vicino alla poesia perche' e' il
discorso puramente umano. E, in terzo luogo, l'amore e' il principio
creativo che oltrepassa il semplice fatto di essere vivi, poiche' dalla sua
amondanita' nasce un nuovo mondo. In quanto tale, "supera" la morte, o ne e'
il vero e proprio principio opposto. Soltanto perche' crea esso stesso un
mondo nuovo, l'amore rimane (oppure sono gli amanti che tornano indietro)
nel mondo. L'amore senza figli o senza un mondo nuovo e' sempre distruttivo
(antipolitico!); ma proprio allora produce cio' che e' propriamente umano in
tutta la sua purezza.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 131 dell'11 ottobre 2007

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