Voci e volti della nonviolenza. 94



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 94 del 7 agosto 2007

In questo numero:
1. Diana Napoli: Marc Bloch, o delle virtu' della storia
2. Diana Napoli: Un profilo di Marc Bloch
3. Et coetera

1. DIANA NAPOLI: MARC BLOCH, O DELLE VIRTU' DELLA STORIA
[Ringraziamo Diana Napoli (per contatti: e-mail: mir.brescia at libero.it,
sito: www.storiedellastoria.it) per questo saggio]

Marc Bloch, insigne medievista, scrisse tra il 1941 e il 1943, anno in cui
decise di entrare in clandestinita' affiliandosi al movimento della
Resistenza Franc-Tireur, un testo sulla storia dal titolo Apologia della
storia o mestiere di storico e il cui senso, al di la' delle indicazioni
metodologiche o delle riflessioni preziosissime sul "laboratorio" dello
storico, e' ben riassunto dall'incipit: "Papa', spiegami allora a cosa serve
la storia".
Questa domanda, apparentemente banale, non e' solo un modo particolarmente
accattivante attraverso cui l'erudito si mette in discussione in presenza
del pubblico dei lettori, professionisti come lui o semplici appassionati
della materia. Si tratta infatti di una domanda tragica che si pone lo
storico Marc Bloch, storico e cittadino francese, ad armistizio firmato,
dopo non solo una disastrosa campagna militare (la drole de guerre) e il
dissesto della Francia, ma soprattutto dopo un decennio di progressiva
disgregazione della societa' francese e di crisi della democrazia che egli,
al pari di tanti altri studiosi, uomini di cultura, intellettuali, non aveva
esitato a definire come una crisi di civilta', e piu' precisamente della
civilta' europea. E, non da ultimo, dopo due interi decenni in cui egli
aveva costantemente ribadito quanto la storia potesse essere strumento
efficace per condurre l'azione, grazie a virtu' che le erano proprie e che,
convenientemente insegnate, avrebbero permesso, come lui stesso si esprime,
all'incontro tra le realta' umane di essere fraterno.
*
Come tutti sanno, Marc Bloch, insieme al collega Lucien Febvre, aveva
fondato nel 1929, dall'universita' di Strasburgo in cui insegnava, la
rivista "Annales d'histoire economique et sociale".
Rispetto alla scuola (dato che poi lo e' diventata) delle "Annales", si e'
molto insistito sulle novita' metodologiche che hanno consentito un
allargamento del campo di indagine della storia, fino ad allora ristretta
generalmente al dominio propriamente politico-diplomatico o all'affresco
biografico-psicologico.
Bloch inizia ad utilizzare i metodi della sociologia, insieme a Febvre
smonta la rigidita' delle periodizzazioni, rende estremamente fecondo il
dialogo con la geografia, difende il metodo comparativo come metodo
privilegiato d'indagine e tuttavia non e' verosimile attribuire solo a
queste "invenzioni" in se' (o alla ripresa di intuizioni di qualche
precedente maestro, come Fustel) il successo che, soprattutto a partire dal
secondo dopoguerra, ha arriso alle "Annales".
La fortuna e la fecondita' dell'insegnamento di Bloch si devono soprattutto
a due ordini di idee (invero collegate): il primo riguarda la convinzione,
da lui espressa in piu' sedi, che la storia dovesse indagare la "realta'
umana", perche' suo principale obiettivo era capire i bisogni dell'uomo,
bisogni che non avrebbero potuto certo essere colti osservandolo solo nella
contingenza; il secondo afferisce alla capacita' propria della storia di
comprendere, di discernere il vero dal falso, di insegnare lo spirito
critico, vera "pulizia dell'intelligenza" e quindi di permettere,
finalmente, di orientare l'azione. Scriveva ad esempio nel 1931, rispetto ad
uno dei temi scottanti del periodo, il comunismo: "[tra] i potenti gruppi
interessati a combattere il comunismo, ve n'e' qualcuno che abbia avuto
l'idea di studiare anzitutto obiettivamente questo movimento, che, prima di
tutto, e' un fatto? La dottrina o i miti sono semplici e chiari. Ma gli
elementi umani, e i bisogno profondi, piu' o meno inconsci, lo sono meno...
Ora, questo gusto per l'analisi umana, a grandi linee, cosi' necessario
all'azione, da dove attingerlo se non dalla storia - convenientemente
compresa e insegnata?" (M. Bloch, Cultura storica e azione economica,
"Ahes", 1931, IX, pp. 1-4, articolo ripreso in Storia e storici, testi
riuniti a cura di Etienne Bloch, Einaudi, Torino 1997, p. 33).
E le "Annales", organo ne' di una scuola ne' di un partito, dirette da un
medievista e un modernista, si occupavano infatti principalmente di storia
contemporanea, cui fino alla seconda guerra mondiale vennero dedicati piu'
della meta' degli articoli, trattando tutte le questioni all'ordine del
giorno della politica e dell'economia: la grande depressione, il New Deal, i
pieni quinquennali sovietici... E' vero che in questo senso la ragion
d'essere della rivista era essenzialmente politica: rivendicare il valore
politico della disciplina storica che aveva senso solo se riusciva, al
riparo dalle ingerenze delle ideologie, condotta la ricerca da storici di
professione (piuttosto somiglianti, anche se mai lo avrebbero detto i due
storici in questione, al "clerc" di Benda che ricerca giustizia e verita' e
che l'autore della Trahison aveva ritrovato, per esempio, nella purezza
dell'azione di Zola), a contribuire alla coscienza politica della societa':
l'erudizione fine a se stessa, illuminante solo angusti archivi di documenti
ammassati secondo l'ordine casuale del tempo, era il contrario della storia,
sempre in cerca del "vivente" come, parafrasando le parole dello stesso
Bloch, l'orco laddove sente odore di carne umana.
*
Tuttavia, proporre un ruolo politico (nel senso etimologico) della storia,
considerata in questi termini, non era in se' una novita', anzi si trattava
di una tendenza tipica della storiografia francese per cui, almeno dai tempi
di Bossuet, storia, memoria, politica e Nazione tendevano a coincidere in un
tentativo sempre grandioso (basti anche solo pensare ad alcune pagine di
Michelet) di delineare, trovare, cercare "la Francia". E, in effetti,
nemmeno Bloch si sottrae al compito di spiegare e mostrare l'identita' della
Nazione. Quello che in Bloch, nondimeno, costituisce una piacevole sorpresa
e un insegnamento ogni volta da imparare (ogni volta che si pensa alla
storia), e' la capacita' di ritrovare, dietro le linee degli avvenimenti, la
famigerata "realta' umana", gli uomini con le loro necessita', dietro le
alleanze elettorali le speranze, se si tratta delle "foules" (come scrisse
riferendosi al Fronte Popolare), di migliori condizioni di vita, dietro un
trattato, un giuramento, una "carta" dell'epoca feudale, addirittura il
"germe" della democrazia europea, l'idea di reciprocita' del potere e il
diritto di resistenza da far valere ancora, dopo secoli, nel 1939 (si tratta
della conclusione de La societe' feodale, pubblicata nel 1939-'40, in cui
scrive relativamente al diritto di resistenza e alla reciprocita' del
potere: "Con cio', per quanto duro sia stato tale regime [il feudalesimo]
con gli umili, esso ha veramente lasciato in retaggio alle nostre civilta'
qualcosa  di cui desideriamo ancora vivere").
Contribuire alla coscienza politica della societa' significava insegnare e
diffondere questo gusto, di cui aveva parlato, dell'analisi umana e non
nutrire vanagloriosi sogni anacronistici o rinforzare la causa nazionale con
uno sciovinismo a basso costo, come pure negli anni precedenti gli storici
avevano fatto, scambiando l'emergenza  nazionale per la causa cui la storia
avrebbe dovuto, anima e corpo, votarsi: durante la prima guerra mondiale (e
questo Bloch lo depreco' piu' volte nel corso della sua opera) gli storici
avevano ceduto anch'essi alla causa dell'Union Sacree ed avevano
baldanzosamente scritto delle "storie" in cui lo sviluppo delle vicende
europee si svolgeva, fin dai tempi di Vercingetorige, sulla falsariga dello
scontro tra i dispotici e militaristi e aberranti tedeschi e gli illuminati
francesi faro dell'umanita'. Lucien Febvre, inaugurando la ripresa del ciclo
accademico a Strasburgo, nell'Alsazia riconquistata, aveva dovuto iniziare
la sua lezione con le parole: "Jamais l'histoire serve".
Gli storici, per Bloch, dovevano si' porsi all'interno della societa', "en
signe de guerre", come aveva annotato in un carnet durante il primo
conflitto mondiale riportando una frase di Renan ("Ce qu'on dit des
paisibles etudes et des temples sereins de la science est un honnete lieu
commun. Non, nous sommes poses en signe de guerre, et la paix n'est pas
notre sort"; la citazione si trova in un carnet ancora inedito concessomi
gentilmente dal professor Massimo Mastrogregori), ma per diffondere le
"virtu'" della storia senza mettersi al servizio di una causa politica
specifica.
*
In verita' poi lo stesso Bloch, con piu' o meno successo, cerchera' delle
forme di intervento politico piu' dirette, non perche' col tempo venisse
meno (questo non accadra' mai) la sua fiducia verso questa forma cosi'
particolare di intendere il valore politico del mestiere di storico, ma
perche' piu' volte gli eventi nel corso degli anni Trenta lo indussero
quantomeno a pensare un impegno piu' esplicito e immediato di quello che
poteva essere condotto con le armi della storia. Senza addentrarci nelle
riflessioni blochiane sulla politica francese (di cui precisa e documentata
testimonianza e' costituita sia dalla corrispondenza con Febvre - M. Bloch
et L. Febvre, Correspondance, 3 tomes, Paris, Fayard, 1994-2003 - sia
dall'opera La strana disfatta), si puo' tracciare una linea, non diritta e
non senza tentennamenti, che va dalla firma nel 1934 del manifesto che
segno' la nascita del Cvia (benche' Bloch opponesse numerose e fondate
riserve sulle analisi condotte dalla sinistra francese relativamente ai
fatti del febbraio 1934 che videro un tentativo, fallito a meta', di colpo
di Stato), al rifiuto di presenziare in Austria, dopo l'Anschluss e proprio
a causa della politica nazista, ad una cerimonia in onore di un collega, pur
stimato, al numero speciale delle "Annales" dedicato al nazismo nel 1937,
alla possibilita', poi non realizzatasi, di candidarsi nel 1938 alla
direzione dell'Ecole Normale Superieure, per accedere ad una posizione da
cui indicare delle linee politiche chiare, alla decisione di arruolarsi, pur
potendo essere esonerato, allo scoppio della seconda guerra mondiale (tra
l'altro Bloch era stato da sempre un partigiano della fermezza nei confronti
di Hitler, anche a costo della guerra), alla decisione, infine, di entrare
nella Resistenza, nelle fila del movimento Franc-Tireur, dove lo ritroviamo
col nome di M. Blanchard, poi Narbonne, per essere poi catturato,
imprigionato e alla fine fucilato dai nazisti nel 1944.
*
Ma nonostante questi "sconfinamenti", potremmo dire, nella politica piu'
diretta, la storia rimase sempre per Bloch il terreno in cui investire nella
speranza che potesse indicare una direzione per l'avvenire; senza falsi
anacronismi, come scriveva ne La strana disfatta, "il mondo appartiene a
coloro che amano il nuovo". Eppure, nonostante questa professione di fede
verso il futuro (e i giovani), affinche' il futuro non fosse semplicemente
atteso (o addirittura ostacolato invano, come pure qualcuno si ostinava a
fare), ma anche preparato (come accadeva nel caso della Resistenza),
occorreva la capacita' di osservare gli uomini, di capirli attraverso un
fecondo "va-et-vient" tra passato e presente: come si poteva avere la
pretesa di capirli, gli uomini, se guardati solo "nelle loro reazioni
dinanzi alle circostanze particolari di un momento"? Al contrario, lo
storico, sa che "di cio' che puo' contribuire alla conoscenza del passato,
niente merita di essere considerato inattuale: poiche' i tempi trascorso ci
offrono la sola esperienza grazie a cui possiamo sperare, un giorno, di
conoscere meglio questa umanita' di cui, in questo momento, vediamo solo
l'incapacita' di comprendersi e, di conseguenza, di condursi da sola...
Quanti errori storici all'origine dello spaventoso marasma in cui viviamo,
dalla pace di Versailles, fino al razzismo!" (brano tratto da un testamento
che Bloch scrisse nel 1938, in occasione di una mobilitazione parziale
indetta a causa della crisi dei Sudeti e riportato in "Cahiers Marc Bloch",
1995, 2).
*
Ed e' cosi' che ritorniamo all'incipit dell'Apologia della storia. A cosa
serve la storia?
Non piu' nel 1938, ma oramai con la Francia divisa e occupata insieme a gran
parte dell'Europa e la Gran Bretagna assediata, Bloch pone la domanda e si
risponde con parole che io trovo particolarmente toccanti (che meritano
d'esser riportate, nonostante la lunghezza) e che sintetizzano tutta la
volonta' e la passione investite nel suo mestiere, perche' sono una nuova
dichiarazione di fede, appunto una apologie pour l'histoire, disciplina il
cui senso viene compendiato da un unico proposito e un'unica parola, carica
di speranza: comprendere. "Una parola, per dirla in breve, domina e illumina
i nostri studi: comprendere. Non diciamo che il bravo storico e' estraneo
alle passioni: ha almeno quella. Parola, non nascondiamocelo, gravida di
difficolta', ma anche di speranza. Parola, soprattutto, carica di amicizia.
Perfino nell'azione, noi giudichiamo troppo. E' comodo gridare: al patibolo!
Noi non comprendiamo mai abbastanza. Chi e' diverso da noi - straniero,
avversario politico - passa quasi necessariamente per un malvagio. Anche per
condurre le lotte inevitabili, un po' di intelligenza delle anime sarebbe
necessaria; a maggior ragione per evitarle, quando si e' ancora in tempo. La
storia, a condizione di rinunciare alle sue false arie da arcangelo, deve
aiutarci a guarire da questo difetto. Essa e' una vasta esperienza delle
varieta' umane, un lungo incontro tra gli uomini. La vita, cosi' come la
scienza, ha tutto da guadagnare dal fatto che questo incontro sia fraterno"
(Apologie pour l'histoire ou metier d'historien, in. M. Bloch, L'histoire,
la guerre, la Resistance, Paris, Gallimard, 2006, p. 950 - trad. di chi
scrive).
*
Eppure evidentemente qualcosa, in questo insegnare la storia, non era andato
a buon fine, e in effetti sulle responsabilita' che gli storici, per non
aver "comunicato" abbastanza, per non essere stati in grado, non
sufficientemente, di sortire impavidamente dall'uscio dei propri archivi,
portavano, a piu' riprese lo stesso Bloch si dilunga, raccontando anche
della propria, personale, "cattiva coscienza".
Tuttavia, piu' che sui sensi di colpa presunti di un'intera generazione,
puo' essere interessante soffermarsi su un altro aspetto.
Paradossalmente, nell'entre-deux-guerres, la storia era stata al centro di
numerose polemiche intellettuali in cui la si accusava non, come sosteneva
Bloch, di non essere riuscita ad evitare la catastrofe, ma di averla
addirittura provocata.
Le citazioni al proposito si potrebbero sprecare; le riflessioni pero' piu'
conosciute, incisive ed anche acute, per certi versi, si devono a Paul
Valery. Gia' nel 1919 aveva pronunciato l'oracolo: "Nous autres,
Civilisations, nous savons maintenant que nous sommes mortelles", indicando
nella memoria troppo carica dell'uomo europeo (ogni Nazione poteva nutrirsi
degli eroici sogni del suo Napoleone o Carlo Magno) una delle principali
cause dell'incapacita' di relazionarsi al tempo presente. Queste parole,
pronunciate come furono poco dopo la fine della prima guerra, erano state un
po' l'annuncio della nuova era che si stava spalancando per l'Europa, quella
di un declino e di un'irrimediabile crisi degli ideali politici elaborati
nel lungo corso della tradizione europea. La "crise de l'esprit" non era che
una crisi delle categorie politiche, umane, economiche... oramai sorpassate
e  con cui tuttavia l'uomo si ostinava ad ingabbiare la sua
contemporaneita'. Anche la dittatura era per Valery, in un certo senso, una
"crise de l'esprit": ogni uomo incapace di trovarsi nel mondo e di
relazionarsi ad esso, privo del pensiero necessario alla comprensione, era
"un dictateur a' l'etat naissante".
Proprio all'inizio degli anni Trenta, Valery era stato piu' esplicito: causa
della crisi e' la storia che riporta e radica continuamente l'uomo nel suo
passato, sottraendolo, nutrito di sogni velleitari, al presente e al futuro
in cui pure (suo malgrado o meno) e' collocato: la storia era niente di meno
che "il prodotto piu' pericoloso che la chimica dell'intelletto abbia
elaborato".
*
E tuttavia, e' proprio sul tono delle riflessioni di Valery, per quanto
possa apparire strano, che Bloch si inserisce. Nel senso che, come la si
volesse chiamare, crise de l'esprit, crise de civilisation (questa e'
l'espressione che diverse volte Bloch utilizza), restava innegabile (ed
evidente soprattutto nella terza decade del secolo) l'inettitudine di tutta
una classe politica della Terza Repubblica a gestire le relazioni
internazionali, gli effetti della grande depressione, la riforma
istituzionale che pure tutti invocavano. Si potrebbero riportare episodi di
impasse per tutti i gusti, fallimentari tentativi di riforma, scacchi della
politica estera, ma non e' necessario poiche' l'attenzione va focalizzata su
quello che Valery chiamava esprit, cosi' come sui valori fondanti la
democrazia che avevano cessato di essere condivisi dalla Nazione.
Per dirla con Bloch, le classi dirigenti, i politici, i "borghesi" (parola
che peraltro egli utilizza con precisione ma senza alcun afflato marxista,
pur se indica in fin dei conti le classi dirigenti) erano non carichi di
storia (con una memoria troppo carica di storia, come aveva scritto Valery),
ma senza storia. Avevano scordato e cessato di studiare la storia della
Francia, incapaci di comprendere la vitalita' per il futuro della democrazia
(e come avevano dimostrato i fatti, per l'esistenza della stessa Francia e
dell'Europa) dei valori di solidarieta' e fraternita' rivoluzionaria che
erano stati, nella storia, l'originale declinazione francese del concetto di
liberta'. Non si trattava di preferenze politiche; non era in discussione la
destra o la sinistra, ma la solidarieta' e la legittimita' degli urti
sociali che la Terza Repubblica aveva sancito anche da un punto di vista
legislativo, con le leggi sindacali. L'immagine della Festa della
Federazione (insieme alla cerimonia di Reims; e gia' questo abbinamento
meriterebbe una lunga digressione che non e' il caso qui di affrontare),
cosi' come i richiami alla solidarieta' come unico possibile collante della
comunita' nazionale, e' una delle costanti nell'opera di Bloch e si
potrebbero citare numerosi passaggi, dalle lettere, i carnets, La strana
disfatta... Ebbene, in Francia era successo qualcosa per cui una parte della
Nazione aveva smesso non solo di credere alla solidarieta', ma anche di
riconoscere la legittimita' delle aspirazioni, per esempio delle masse
popolari, a migliori condizioni di vita oppure ad una piu' piena
partecipazione alla vita politica... i borghesi avevano smesso, senza tanti
giri di parole, di apprezzare la democrazia: a questo Bloch dava il nome di
"grande malinteso dei francesi".
Era accaduto, ad esempio, in occasione del Fronte Popolare, rispetto a cui i
"borghesi" avevano tenuto un atteggiamento pregiudizialmente ostile,
soprattutto in seguito alle grandi manifestazioni di gioia che
attraversarono la Francia in concomitanza della vittoria elettorale e che
solo uno sguardo ottuso pote' scambiare per un tentativo rivoluzionario,
piu' o meno occultamente preparato dai "rossi" per gestire l'esistente.
Nel testo de La strana disfatta Bloch non risparmia, fondatamente e con
un'analisi profonda e sferzante, nemmeno la sinistra, in particolare
sindacalisti e Pcf, ma il comportamento della "borghesia" e' da lui
ritenuto, sopra di tutto, "inexcusable".
Anche se storicamente questa era stata, in Europa, la promotrice della
democrazia, a partire dalla fine della prima guerra mondiale aveva smesso di
credere nelle "virtu'" di quello che aveva semplicemente interpretato come
un sistema di governo tra gli altri (e, nel XIX secolo, quello che le
consentiva la partecipazione). Come aveva gia' scritto Tocqueville, la
democrazia era un cambiamento dello stato sociale impossibile da arrestare,
era un "mondo", una nuova "umanita'", e invece la borghesia aveva tentato
proprio questo: frenare l'inarrestabile e condannare attraverso le categorie
del presente (comunismo/fascismo) un processo che invece andava compreso
(compreso magari grazie ad un uso corretto dell'informazione storica) e che
era stato il senso ultimo dell'ideologia repubblicana, ovvero la
possibilita' di riconciliazione. Ma la borghesia aveva disimparato a
studiare seriamente, a "juger les valeurs" senza irretirsi nel conformismo
imperante, ad informarsi e ad analizzare con spirito critico (altra
conquista, per Bloch, della storia) le informazioni di cui veniva in
possesso e dunque non era stata in grado di compiere nessuno sforzo di
analisi umana per comprendere, nel '36, la gioia delle 'foules au poing
leve'" e in mancanza della comprensione le aveva condannate.
*
Se abbiamo riportato sommariamente queste considerazioni di Bloch sul Fronte
Popolare e la crisi della democrazia, cio' si deve al fatto che indicano uno
dei modi in cui, a suo avviso, la storia poteva essere utile a guidare
l'azione politica.
Nessuno dei manifestanti del 1936 aveva in mente di fare la rivoluzione (e
anzi era la destra che andava dicendo: "la revolution est a' refaire", ma
per scalzare il Fronte) e le richieste di aumenti salariali o di ferie
pagate che furono all'ordine del giorno della politica, rispondevano ad un
desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita, non solo legittimo,
ma che stava anche nelle cose, nel processo storico. Se le classi dirigenti
si fossero presa la briga di meditare i famosi "bisogni dell'uomo", se
avessero avuto la pazienza e il gusto dell'"analisi umana" (tutte attitudini
che Bloch considerava conquiste della storia), avrebbero compreso tutto
questo e forse l'incontro tra le aspirazioni contrastanti nel paese, non
sarebbe stato un urto, una disfatta della Nazione precedente quella
militare, ma una mediazione fraterna o "une rencontre fraternelle".
Non bisogna cedere a particolari utopie per comprendere in questo caso
Bloch, a cui il senso della realta' non mancava di certo. Semplicemente, una
comprensione, che solo la storia poteva dare della Francia (la Francia
rivoluzionaria, la memoria repubblicana, la storia della Terza
Repubblica...) e della democrazia (di cosa effettivamente fosse la
democrazia, al di la' della scheda elettorale messo nelle mani dell'operaio
piuttosto che del contadino), avrebbe probabilmente impedito che la nazione
si disgregasse fatalmente sotto i primi colpi delle dittature. Non come
diceva Valery, il cui uomo era dittatore allo stato nascente perche'
inebriato da troppa storia. Per Bloch era, caso mai, dittatore per assenza
della storia e delle sue virtu', incapace di esercitare lo spirito critico,
di giudicare le informazioni di cui veniva in possesso, di sottrarsi al
conformismo del giudizio.
*
La storia, come sappiamo, non e' stata a lieto fine. Nel senso, almeno, che
Bloch affido' alla penna queste considerazioni in modo chiaro e compiuto,
sistematico, solo dopo il 1940, lasciando alle ultime pagine de La strana
disfatta il gia' citato mea culpa degli storici per non averlo fatto prima e
non riuscendo nemmeno a terminare l'Apologie.
Ed egli stesso si decise infine ad entrare nella Resistenza, per cercare
altri modi, diversi da quelli dell'erudito, per ricomporre una storia,
quella della Francia, che pareva essersi interrotta, anche se l'idea di
abbandonare la storia per cercare indicazioni non lo sfiorava affatto.
Convenientemente insegnata permetteva la comprensione, ma convenientemente
studiata la si ritrovava abitata, perche' era la storia della Francia e
della Rivoluzione, da un progetto d'avvenire. Conclude infatti La strana
disfatta con queste parole: "Hitler diceva, un giorno, a Rausching:
'Facciamo bene a speculare piu' sui vizi che sulle virtu' degli uomini. La
Rivoluzione francese si richiamava alla virtu'. Sara' meglio per noi fare il
contrario'. Si perdonera' a un Francese, cioe' a un uomo civile - che e' la
stessa cosa - di preferire, a questo insegnamento, quello della Rivoluzione
e di Montesquieu: 'In uno Stato popolare e' necessaria una forza, che e' la
virtu''".

2. DIANA NAPOLI: UN PROFILO DI MARC BLOCH
[Nuovamente riproponiamo questo profilo gia' apparso sul nostro foglio]

Marc Bloch nasce a Lione nel 1886. Trasferitasi la famiglia, di origini
ebraiche, a Parigi per la nomina del padre, Gustave Bloch, storico
dell'antichita', all'Ens, anche Marc Bloch intraprende studi storici.
Conclude il percorso accademico all'Ens, poi ottiene una borsa di studio per
trascorrere due semestri in Germania, soggiorno imprescindibile per l'enorme
considerazione di cui godeva la scuola tedesca, in seguito un'altra borsa di
tre anni della Fondazione Thiers e viene nel frattempo, avendo ottenuto
anche l'agregation (potremmo tradurre con abilitazione) nominato professore
di storia e geografia prima in un liceo di Montpellier e poi ad Amiens.
Mobilitato in occasione della prima guerra mondiale (di cui ci lascera' un
carnet, in parte ancora inedito, e in seguito un prezioso saggio "Sulle
false notizie di guerra", considerato da storici come Annette Becker e
Stephane Audoin-Rouzeau come un vero anticipatore di tutta l'attuale
impostazione storiografica sulla grande guerra - cfr, di questi due autori,
La violenza, la crociata, il lutto, Einaudi, Torino 2002, in particolare
l'introduzione), potra' discutere la sua tesi (Re e servi, un capitolo di
storia capetingia) di dottorato solo nel 1920. Terminata la guerra, viene
anche incaricato del corso di storia medievale all'Universita' di
Strasburgo, nell'Alsazia appena riconquistata.
Gli anni Venti sono anni di intenso lavoro. Egli stesso, ne La strana
disfatta, ammettera' che dopo quattro anni di guerra erano tutti ansiosi di
riprendere gli strumenti del mestiere, tralasciando forse (o non
attribuendogli la dovuta importanza), l'evolversi della situazione politica.
Per esempio, si rimproverera', in quanto storico, di non aver a sufficienza
protestato contro lo sciagurato trattato di Versailles. In ogni modo nel
1924 esce il suo libro (gros enfant, come lui stesso dira') I re
taumaturghi, uno studio sulla regalita' medievale e in particolare sull'idea
della sacralita' regale, in Francia e in Inghilterra. Collabora a
prestigiose riviste di storia e storiografia (la maggior parte dei suoi
articoli e delle sue recensioni sono raccolti nei Melanges historiques) e
soprattutto stringe amicizia col collega Lucien Febvre, docente di storia
moderna, col quale fonda nel 1929 la rivista "Annales d'histoire economique
et sociale".
Negli anni Trenta oltre che allo studio, le energie di Bloch sono
concentrate sullo sforzo di trasferirsi a Parigi, da dove sperava, sempre
insieme a Febvre, di poter meglio contribuire al rinnovamento degli studi
storici. Sperava di poter lavorare fianco a fianco con l'amico e, nella
corrispondenza, non mancano espressioni come il desiderio di far prendere
aria agli "ammuffiti ambienti accademici". In effetti Febvre riesce a
trasferirsi gia' nel 1932, ottenendo l'elezione al prestigioso College de
France. Invano (anche a causa di pregiudizi antisemiti) Bloch tenta di
raggiungere il collega al College gia' nel 1933; dovra' attendere il 1936
per ottenere una cattedra di storia economica alla Sorbona.
Gli anni Trenta costringono anche Bloch a confrontarsi in modo diretto con
la situazione politica. Nel 1934, in occasione dei tragici avvenimenti del
febbraio, Bloch si trova in Gran Bretagna, ma al suo ritorno firma il
manifesto che segna la nascita del Comitato di vigilanza degli intellettuali
antifascisti. Nel 1937 i due storici preparano un numero delle "Annales"
interamente dedicato al fascismo e questo causa la rottura del contratto col
loro editore, Colin, che pretende almeno un articolo favorevole al regime
politico tedesco. Proprio questo conformismo (incapacita' di "giudicare i
valori", come si esprime altrove, insieme all'antisemitismo da "bon ton") e'
una delle ragioni del profondo malessere intellettuale di Bloch. Tuttavia
non sono molte le prese di posizione politiche dirette. Nel 1938 si rifiuta
di partecipare ad un cerimonia in onore di un collega austriaco, per non
andare nell'Austria dell'Anschluss; pensa di potersi candidare alla
direzione dell'Ens. Pero' il tempo, cosi' come lo srotolarsi drammatico
della situazione europea, scorre. Sempre nel 1938 viene mobilitato in
occasione della crisi dei Sudeti e scrive, durante i giorni di allerta, un
testamento in cui oltre alle considerazioni sulla storia, esprime la
volonta' di veder pubblicata la sua ultima fatica, La societa' feudale,
libro al quale aveva lavorato per quasi tutto il decennio.
Il testo viene pubblicato, nelle sue due parti, nel 1939-1940 e, nonostante
alcuni rilievi critici espressi da alcuni colleghi, Febvre in primis, rimane
un affresco di straordinaria chiarezza sulla societa' feudale (e sulle
trasformazioni per cui un semplice elemento giuridico, com'era il contratto
vassallatico-beneficiario, combinandosi con le mentalita', i bisogni, le
trasformazioni politiche, diventa una "societa'", appunto), imprescindibile
punto di riferimento ancor oggi di tutti i medievisti e appassionati al
tema.
Nel 1939 scoppia il secondo conflitto mondiale. Bloch, benche' potesse
essere esonerato, decide di combattere ugualmente e dunque ritorna
nell'esercito col grado di capitano, grado che aveva acquisito durante la
precedente guerra. L'armistizio lo coglie a Rennes, da dove riesce
fortunosamente a sottrarsi alla cattura da parte dei tedeschi per poi
rifugiarsi in un paesino della zona sud, dove si trovava la sua famiglia.
Impossibilitato dalle leggi dell'occupante a ritornare a Parigi e in
pericolo anche per la pubblicazione dello Statuto degli ebrei (che vietava
agli ebrei numerose professioni, compresa l'insegnamento, tranne pochissime
eccezioni per meriti particolari resi alla patria), Bloch riesce, pur con
molte difficolta' (e per l'intercessione di un allievo del padre) a
continuare l'insegnamento univeritario, prima a Clermont-Ferrand (dov'era
stata trasferita l'Universita' di Strasburgo), poi a Montpellier (dove
partecipa all'organizzazione di Combat e collabora al Centre de Montpellier,
un gruppo di studio tra quelli che, una volta unificati, daranno vita al Cge
incaricato di progettare la Francia del dopoguerra). In un primo momento
tenta di trasferirsi negli Stati Uniti, ma non riuscendo ad ottenere i visti
per tutti i membri della sua famiglia (moglie, sei figli, piu' la madre),
rimane in Francia.
In questi anni un duro colpo per lui e' costituito anche dalle vicende della
rivista "Annales" che, in base allo statuto degli ebrei, deve cessare le
pubblicazioni, a meno che Bloch non rinunci alla sua quota di proprieta'.
Bloch finisce per cedere alle pressioni di Febvre e di altri colleghi, che
considerano la rivista l'unico loro mezzo di espressione nella Parigi
occupata. Bloch invece, al contrario, crede proprio che continuare a
pubblicare sottomettendosi alla legislazione antisemita sia un cedimento
morale inaccettabile. Ma alla fine concede, a malincuore, la sua parte di
rivista (pur continuando a collaborare anonimamente).  Anche se con Febvre
vengono scambiate parole talvolta dure, l'amicizia tra i due non viene messa
in discussione: e infatti proprio all'amico Bloch dedica l'opera che elabora
in quegli anni: Apologia della storia o mestiere di storico.
Nel novembre 1942 i tedeschi invadono anche la zona sud. Bloch e' minacciato
da un ordine d'arresto, lascia Montpellier e si rifugia con la famiglia a
Fougeres. Nel marzo 1943 entra a far parte del movimento partigiano
Franc-Tireur e nel luglio dello stesso anno e' nominato rappresentante del
movimento nel direttivo regionale dei Mur. Partecipa alla redazione de "Les
Cahiers politiques", organo del Cge, e infatti gli ultimi due numeri non
vedono la luce proprio perche' Bloch, che ne e' il responsabile, viene
arrestato. Il movimento Franc-Tireur faceva uscire un omonimo giornale
clandestino, e due riviste: "Le Pere Duchesne" e "La Revue Libre",
quest'ultima diretta proprio da Bloch e Altmann.
Arrestato l'8 marzo 1944 dai tedeschi, imprigionato e torturato a Montluc,
e' fucilato in un campo il 16 giugno a Saint-Didier-de-Formans.
Nel 1946 appare, per le edizioni del movimento della Resistenza Franc
Tireur, la prima edizione del testo (rocambolescamente salvatosi) de La
strana disfatta, che Bloch aveva composto di getto subito dopo l'armistizio
(operando solo dei rintocchi negli anni successivi) e che costituisce una
preziosissima testimonianza sul modo in cui venne condotta la campagna
militare, un'analisi puntuale delle cause tecniche, morali e intellettuali
della disfatta e ancora una riflessione della storia nella societa', in un
affresco della crisi della democrazia nella Francia dell'entre-deux-guerres
rimasto a lungo, per profondita' e acutezza, ineguagliato.
*
Una bibliografia essenziale
La bibliografia sarebbe sterminata. Di seguito riportiamo solo l'ultima
edizione o ristampa italiana di alcuni dei principali scritti di e su Bloch.
Sono citati in lingua originale solo i testi che non sono stati tradotti.
a) Scritti di Marc Bloch: Monografie: I re taumaturghi, Torino, Einaudi,
2005; La societa' feudale, Torino, Einaudi, 1999. Libri pubblicati dopo la
morte: La strana disfatta, Torino, Einaudi, 1995; Apologia della storia o
mestiere di storico, Torino, Einaudi, 1998. Raccolte di scritti e articoli:
Melanges historiques, Paris, Ehess, 1983; Storici e storia, Torino, Einaudi,
1998; Rois et servs, un chapitre d'histoire capetienne et autres ecrits sur
le servage, Paris, La Boutique de l'histoire, 2004; La guerra e le false
notizie. Ricordi (1914-1915) e riflessioni (1921), Donzelli, 2004; I
caratteri originali della storia rurale francese, Torino, Einaudi, 2006;
Marc Bloch. L'histoire, la guerre, la Resistance, Paris, Gallimard, 2006
(contiene, oltre all'Apologia e La strana disfatta, numerosi articoli e
contributi di Bloch relativi alla Grande Guerra, alla storia, alcuni scritti
clandestini, testimonianze, foto...). Carteggi: Marc Bloch -  Lucien Febvre:
corrrespondance, Paris, Fayard, 1994-2003; Marc Bloch a' Etienne Bloch,
lettres de la drole de guerre, Paris, Les Cahiers de l'Ihtp, dec. 1991;
Ecrire la societe' feodale: lettres a' Henri Berr 1924-1943, Paris, Imec
Ed., 1992.
b) Scritti su Marc Bloch. Veramente i contributi sulla figura e l'opera di
Bloch sono numerosissimi. Mi limito a proporre solo le principali
monografie, di facile reperibilita', alle quali (soprattutto quelle di
Mastrogregori) si rimanda per la completezza dell'apparato bibliografico: C.
Fink, Marc Bloch. Biografia di un intellettuale, Firenze, La Nuova Italia,
1999 (ed. orig. 1989); U. Raulff, Ein Historiker im 20. Jahrhundert: Marc
Bloch, Frankfurt, 1995 (Marc Bloch un historien au XX siecle, Maison de
science de l'homme, 2005); O. Dumoulin Marc Bloch, Paris, Presses de Science
Po, 2000; M. Mastrogregori, Il manoscritto interrotto di Marc Bloch,
Pisa-Roma, 1995; Id, Introduzione a Bloch, Roma-Bari, Laterza, 2001; F.
Touati, Marc Bloch et l'Angleterre, F Touati, Paris, La boutique de
l'histoire, 2007.

3. ET COETERA

Diana Napoli, laureata in storia presso l'Universita' degli studi di Milano,
e' attualmente volontaria presso il Centro per la nonviolenza di Brescia.
*
Marc Bloch, iIllustre storico, nato a Lione nel 1886, docente universitario
a Strasburgo e alla Sorbona, fondatore con Lucien Febvre delle "Annales
d'histoire economique et sociale" che hanno cosi' potentemente contribuito
al rinnovamento della storiografia. Impegnato nella Resistenza, fu
assassinato dai nazisti nel 1944. Opere di Marc Bloch: tra i suoi lavori
segnaliamo almeno I re taumaturghi, La societa' feudale, Apologia della
storia, tutti editi da Einaudi. Opere su Marc Bloch: per un avvio cfr.
Massimo Mastrogregori, Introduzione a Bloch, Laterza, Roma-Bari 2001.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 94 del 7 agosto 2007

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