Minime. 89



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 89 del 14 maggio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Pina Nuzzo: Due incontri a Roma per la campagna "50 e 50 ovunque si
decide"
2. Paolo Candelari: Relazione all'assemblea annuale del Mir
3. Fraterna un'obiezione al testo che precede
4. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
5. Maria Teresa Carbone intervista Sandra Cisneros
6. Letture: Fabio Levi, In viaggio con Alex
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. PINA NUZZO: DUE INCONTRI A ROMA PER LA CAMPAGNA "50 E 50
OVUNQUE SI DECIDE"
[Dal sito www.50e50.it riprendiamo il seguente promemoria.
Pina Nuzzo, apprezzata pittrice, e' una delle figure piu' prestigiose
dell'Unione delle donne in Italia (Udi)]

Carissime,
si avvicina il momento dei primi passi ufficiali della nostra campagna.
Invio questo promemoria di sintesi alle donne iscritte all'Udi e a tutte le
interessate.
Venerdi' 18 maggio 2007 alle ore 09 presso la sede dell'Udi a Roma, in via
Arco di Parma 15, si terra' l'incontro del comitato promotore e la partenza
a piedi per passare il Tevere; alle ore 10 in piazza Cavour sit-in "50 e 50
ovunque si decide"; deposito in cancelleria del titolo della proposta di
legge di iniziativa popolare "Norme di democrazia paritaria per le
assembleee elettive".
Sabato 19 maggio 2007, alle ore 11-17, a Roma, in via Zanardelli 34, Sala
Olivetti, assemblea autoconvocata dell'Udi e costituzione del Consiglio
delle donne. L'Udi ha deciso che la prima giornata della sua assemblea
autoconvocata sara' aperta alle donne interessate per presentare
l'articolato e  per costituire il Consiglio delle donne "50 e 50 ovunque si
decide". Ordine dei lavori: Introduzione di Pina Nuzzo, presentazione
dell'articolato di Milena Carone, lettura delle adesioni e interventi.
Invitiamo chi vuole partecipare a inviare una e-mail o a fare una telefonata
per organizzare al meglio i nostri lavori.
Un caro saluto a tutte.

2. DOCUMENTAZIONE. PAOLO CANDELARI: RELAZIONE ALL'ASSEMBLEA ANNUALE DEL MIR
[Ringraziamo Paolo Candelari (per contatti: paolocand at gmail.com) per averci
messo a disposizione il testo della sua relazione introduttiva all'assemblea
annuale del Mir (Movimento internazionale della riconciliazione) svoltasi a
Mondavio, presso Fano, dal 29 aprile al primo maggio.
Paolo Candelari, presidente uscente del Movimento Internazionale della
Riconciliazione (Mir), e' una delle piu' conosciute e stimate figure della
nonviolenza in Italia]

"Gesu' ha fornito lo spirito, Gandhi ci ha mostrato come usarlo...
L'obiettivo finale della nonviolenza deve essere la creazione di una
comunita' in cui regni l'amore. Le tattiche della nonviolenza senza il suo
spirito possono trasformarsi in in una nuova forma di violenza" (Martin
Luther King)

Premessa
Eccoci ad una nuova assemblea nazionale, un appuntamento che  ci permette di
fare un bilancio, una analisi di cosa abbiamo fatto, cosa potremmo e
vorremmo fare, ma soprattutto un momento in cui ritrovarsi, vivere
comunitariamente, riprendere forze ed energie.
Da alcuni anni questo momento riesce a rispondere abbastanza bene a queste
esigenze: ricordo nel passato assemblee noiose ed altre molto tese, come a
volte e' facile fare quando si rimane troppo fissati sulle pur importanti
scadenze istituzionali e organizzative e si dimenticano le ragioni di fondo
per cui siamo qui.
Per questo ho voluto premettere a questa mia relazione la citazione di uno
dei nostri "buoni maestri", che non ha bisogno di ulteriori commenti: e'
importante che l'abbiamo davanti non solo agli occhi, ma al cuore durante
questa nostra assemblea, perche' non dimentichiamo mai il perche' noi
spendiamo tempo, energie, ci muoviamo da un capo all'altro dell'Italia, a
volte felici di farlo, altre piu' per senso del dovere: perche' crediamo
possibile, e vogliamo esserne protagonisti, la creazione di una "societa'
dell'amore": tutto il resto, il Mir, le assemblee, il sito, le circolari, le
campagne, le cariche, sono strumenti per realizzare quel grande obiettivo:
e' importante  non scambiare i fini con gli strumenti per raggiungerli.
Quest'anno l'assemblea capita una settimana dopo l'annuale incontro delle
branche europee dell'Ifor, su cui relazionero' domani; incontro sempre
interessante e "caricante", come un buon "ricostituente", se non altro per
il fatto che ci si trova a discutere tra persone provenienti da paesi e
culture diverse, uniti da quello stesso obiettivo di cui sopra: quest'anno
eravamo in trenta, "rappresentanti" 14 nazioni diverse. In questo incontro
ho trovato diversi spunti utili al nostro lavoro: in particolare ho
conosciuto Hildegard Goss-Mayr, una donna eccezionale, che ci ha raccontato
l'esperienza della sua vita, da cinquannt'anni strettamente legata a quella
dell'Ifor. Alcuni dei suoi pensieri mi sono rimasti particolarmente
impressi: in particolare ha rimarcato l'importanza di trovarsi
personalmente, oltre gli scambi pur utili per via telematica o epistolare.
Ogni incontro dell'ifor dovrebbe essere impostato partendo dall'analisi
della situazione in cui ci troviamo ad operare per chiederci quali sono i
nostri compiti.
Ed e' quello che tentero' di fare io, sperando di trovare in voi degli
attenti critici, perche' penso che questa analisi possa essere fatta solo
collettivamente cosi' come la successiva fase di definizione di come agire.
*
Situazione generale
Essa e' caratterizzata dalla continuazione della "guerra globale al
terrorismo", con sempre maggiori e preoccupanti complicazioni.
Quest'anno c'e' un ulteriore elemento che si sta prepotentemente imponendo
all'attenzione dell'opinione pubblica: il cambiamento climatico ormai in
atto.
Puo' sembrare un elemento frivolo o estraneo alle tematiche che siamo
abituati ad affrontare nei nostri consessi, invece e' un dato estremamente
preoccupante, ben piu', a mio avviso, degli stessi sviluppi della "guerra
globale".
Esso e' il fenomeno di quel complesso di azioni umane chiamato, non sempre
con proprieta' di linguaggio, inquinamento.
Non si tratta infatti solo di inquinamento, nel senso di produzione ed
immissioni nell'ambiente di elementi nocivi e velenosi per la vita, ma di un
complesso di interazioni prodotte da un sistema che ha completamente
dimenticato non il senso, ma l'esistenza dei limiti, che modificano gli
equilibri che da milioni di anni hanno favorito la presenza dell'uomo sulla
Terra.
Da tempo, non i verdi o gli alternativi, ne' gli eterni contestatori
antisistema, ma fior di scienziati, stanno denunciando la pericolosita' di
un sistema economico sociale e di uno stile di vita, che sta producendo
cambiamenti di entita' mai vista nella storia umana, mettendo in guardia che
quando i fenomeni del cambiamento del complesso equilibrio ambientale
avrebbero cominciato ad essere "verificabili" sarebbe stato troppo tardi per
porvi rimedio: e da qui deriva proprio il dato piu' preoccupante della
situazione odierna: e cioe' che quel punto di non ritorno sembra ormai
essere stato superato.
In realta' quando ho parlato di pericolosita' di un sistema
economico-sociale ho usato un linguaggio che e' nostro, non degli
scienziati: infatti questi hanno parlato di emissioni di Co2, di necessita'
di abbatterle, di dati chimico-fisici; ma i provvedimenti proposti
presuppongono un cambiamento di mentalita' tale che difficilmente l'attuale
sistema potra' realizzarlo se non trasformandosi radicalmente.
Molti di noi nonviolenti, sia dentro che fuori dal Mir, abbiamo da tempo
denunciato che questo sistema si sarebbe scontrato con la compatibilita'
ambientale: particolarmente profetiche sembrano, a rileggerle oggi, le
critiche al sistema industriale capitalistico fatte da Gandhi gia' ai primi
del Novecento, e non solo per motivi etico-morali, ma proprio per motivi
"tecnici" (ricordate la domanda: se 25 milioni di inglesi per mantenere il
loro stile di vita devono sfruttare 300 milioni di indiani, cosa dovrebbero
fare questi per raggiungere lo stesso livello degli inglesi?
Distruggerebbero il pianeta, si rispose il mahatma; oggi gli inglesi sono 60
milioni, gli indiani piu' di un miliardo!); cosi' come le parole di Lanza
del Vasto e di tanti altri: noi stessi facemmo un convegno-seminario nel
lontano 1990 dal titolo significativo: "Sviluppo? Basta! A tutto c'e' un
limite".
Sbaglieremmo pero' a crogiolarci in questo patetico ed inutile "l'avevamo
detto"; bisogna capire cosa e' possibile fare e che contributo possiamo dare
noi.
Innanzitutto una osservazione: continuando ad usare la metafora di Gandhi,
alla sua domanda si potrebbe anche rispondere: ma agli indiani non deve
essere permesso di raggiungere i nostri stessi livelli di vita. Ossia, se
c'e' un problema di accesso alle risorse, lo si impedisce ad altri: questo
ovviamente vuol dire forza; dominio su tutte le fonti strategiche di
energia, imperialismo planetario, e di conseguenza guerre, o terrorismo, che
e' semplicemente una tecnica di condurre la guerra da parte di chi non puo'
competere in campo aperto con l'avversario. E questa e' la ragione di fondo
della "guerra globale per le risorse" vero nome di quella che invece viene
denominata, ora "contro il terrorismo", ora "di civilta'", ecc.
Dunque esiste un nesso molto stretto tra guerre, giustizia sociale e
ambiente (pace giustizia salvaguardia del creato, ma guarda un po'!).
Ma qui sorge un grosso problema: questo nesso e' I) poco sentito II) anche
chi ne parla non sembra trarne le dovute conseguenze, III) sono convinto che
chi ce l'ha piu' chiaro davanti agli occhi sono proprio i gruppi dominanti
l'attuale sistema.
E ora veniamo a noi: al punto I: non mi pare ci sia chiara coscienza di
questo nesso, soprattutto non esiste una concezione del mondo, una teoria e
una prassi che sappia legare i fenomeni di cui sopra, ricavarne delle
soluzioni da proporre, individuare i soggetti politici, culturali ma
soprattutto sociali in grado di battersi per esse.
Non mi piace autocitarmi, ma se andate a prendere le mie stesse relazioni
del 2005 e 2006, vedrete come questo, della costruzione di un'alternativa
"globale" al capitalismo "globale" fosse uno dei principali problemi che
individuavo. A distanza di due anni non mi sembra siano stati fatti grossi
passi avanti.
Intendiamoci, esistono, sparsi per l'Italia e per il mondo, diversi gruppi
di ecologisti, nonviolenti, gruppi popolari di "resistenza" allo sviluppo,
tentativi di proporre alternative anche di vita, reti di economia solidale,
commercio equo, ecc. Ma tutto cio', oltre ad essere estremamente eterogeneo,
e' piu' al livello di testimonianza che di alternativa; soprattutto non si
riesce a superare il muro di ostracismo decretato dai mass-media.
L'esperienza dei social forum e' anch'essa estremamente eterogenea: una
ricchezza da una parte, ma che diventa una debolezza se si vuol veramente
opporre e superare l'attuale sistema politico-economico-sociale.
A questo proposito vorrei sottolineare due errori che a mio parere vengono
fatti a questo proposito: uno e' la tendenza da parte nostra a considerare
l'alternativa come somma di tutti quelli che dicono "no" per i motivi piu'
svariati, non ultimo una forte dose di egoismo "particolare", non sempre
frutto di quell'analisi approfondita e neutra (nel senso che non si
esaminano solo le cose che ci tornano comode) che ogni campagna o lotta
nonviolenta dovrebbe prevedere; ma soprattutto, quand'anche fossero tutte
condivisibili, rischiano comunque di essere settoriali, esempi magari di
resistenza a quella distruzione industrialista, ma che non vanno mai oltre
il proprio ambito locale; facendo un paragone ardito potrei dire che come
l'insieme delle lotte salariali di inizio Novecento non erano di per se'
lotta al capitalismo se non si inserivano in un piu' generale quadro
politico-sociale, cosi' oggi la somma dei vari no abbisognerebbe di un
quadro politico e sociale e soprattutto di una coscienza politica per essere
lotta per una nuova societa'.
L'altro errore lo definirei "fatalismo apocalittico". Da diverse parti vedo
ecologisti e nonviolenti che preconizzano una accelerazione della crisi
ambientale e politica odierna, perche' una volta che le risorse si
esauriranno, che l'industrialismo avra' sbattuto contro i suoi limiti,
questa societa' si dissolvera' per lasciare il posto a semplicita'
volontaria ed economia solidale; e compito nostro sarebbe quello di
rifugiarci nell'arca in attesa che il diluvio passi.
Innanzitutto la storia insegna che questi cambiamenti epocali "naturali",
primo: sono estremamente violenti e sanguinosi, secondo: proprio per la
mancanza di alternative portano al caos, all'aumento della violenza, della
brutalita' e dell'intolleranza, con generale indietreggiamento di tutta la
societa'. Ma nel nostro caso abbiamo un occidente, guidato dalla
superpotenza americana, in grado di difendere ancora a lungo il proprio
stile di vita, e ben lontano dal punto di crollo.
Dunque non aspettiamoci nulla di buono dal "naturale corso degli eventi";
siamo noi, inteso come uomini, a poterlo e doverlo determinare e modificare,
affinche' questo momento di crisi possa sfociare in un nuovo e meno violento
assetto sociale.
Quale a questo proposito il nostro compito come nonviolenti e specificamente
come Mir? Non saremo certo noi a poter creare la grande coalizione sociale
che si proponga quanto sopra detto, ne' possiamo avere la pretesa di essere
i teorici di una nuova ideologia: a questo proposito sarebbe bene che anzi
ci rivestissimo di un po' piu' di umilta' e riconoscessimo i nostri errori
di semplicismo e autoreferenzialita'. Ma qualcosa potremmo fare, che non sia
il semplice rifugiarsi nell'arca di Noe', che oltretutto mi sembrerebbe un
po' egoista.
Innanzitutto rendersi coscienti e aiutare il popolo a rendersi cosciente di
cio' che sta succedendo. Poi un contributo di studio e di proposte, anche
parziali ma che possono essere utili, poi la valorizzazione proprio di
quelle esperienze alternative citate sopra. Infine proporre l'aggiunta
nonviolenta, ossia la motivazione di fondo, la ricerca della verita', anche
quando potrebbe essere scomoda.
Una tematica importante da seguire sono quelle reti di economia solidale che
sono qualcosa di piu' che un Gas (gruppo di acquisto solidale) o insieme di
questi; se c'e' una possibilita' di economia alternativa e' da li' che
potra' venir fuori; l'altro tema e' quello dello studio, della solidarieta',
ma soprattutto della condivisione con chi gia' oggi sperimenta diversi stili
di vita; e' l'attivita' che viene fatta attraverso i campi estivi, geniale
intuizione di Beppe Marasso di venti anni fa, che e' secondo me un elemento
prezioso dell'attivita' del Mir italiano, che a volte abbiamo lasciato un
po' troppo a se stesso, ma che deve assolutamente essere seguito e
rafforzato dall'insieme del movimento.
*
Situazione politica
Un breve cenno alla situazione politica mondiale: potrei fare un
copia-incolla dalla relazione dello scorso anno; mi preme sottolineare
comunque i seguenti aspetti: la ripresa della corsa al riarmo: la decisione
di Putin di congelare il trattato sul disarmo, conseguente alla estensione
dello "scudo antimissili", atto gravissimo, preso in tutta segretezza dai
governi Nato, tra cui il nostro, dimostra come ormai si stia andando verso
una situazione estremamente pericolosa.
Fallito il progetto di "new american century" rimane una posizione di
privilegio e minacciosa degli Usa, a cui si oppongono in maniera piu' o meno
diretta, piu' o meno chiara e alternativa, una serie di potenze che cercano
il loro spazio e/o un recupero di posizioni egemoniche.
Quello che pero' e' piu' chiaro oggi di alcuni anni fa e' che non c'e'
nessun nuovo ordine internazionale durevole, e, se e' vero che una
situazione instabile e' piu' aperta a sviluppi positivi, e che non e'
escluso a priori che si possa arrivare ad una gestione "concordata"
dell'assetto mondiale con rivalutazione delle istituzioni internazionali, la
situazione e' aperta anche a sviluppi ben piu' pericolosi, ad un aumento di
tensioni, con il tentativo, da una parte di contrastare la potenza americana
con le armi, dall'altra di difendere con le stesse quella posizione
egemonica da parte Usa, soprattutto quando si e' convinti di avere una netta
superiorita' in questo momento, che pero' potrebbe non durare a lungo. E qui
sorgono i maggiori pericoli.
Non so se sono pessimista, ma in questo momento il secondo scenario,
estremamente pericoloso, lo vedo piu' probabile del primo, per me
auspicabile.
Non e' solo il pericolo di un conflitto Usa-Iran che mi preoccupa, ma
proprio il deterioramento dei rapporti con Russia, domani anche Cina, mentre
in una situazione di caos generalizzato ognuno cerchera' di guadagnarsi in
proprio quella che ritiene l'assicurazione per la sopravvivenza: l'arma
atomica. Dopo Iran (e direi di smetterla almeno noi con questa pantomima del
nucleare civile; che se ne fa del nucleare civile un paese che naviga sul
petrolio, e ha meno fame di energia dell'Italia?), tocchera' ad Arabia
Saudita, Siria, Giappone, e non si sa con precisione cosa abbiano i paesi
dell'Asia centrale.
La ragione della campagna per il disarmo nucleare e' che si tratta
dell'unica via per sfuggire a questo piano inclinato verso l'apocalisse: la
vedo come un episodio per porre al centro dell'attenzione la necessita' di
questo disarmo a livello internazionale, come un possibile inizio di un
disarmo nucleare generalizzato; non servirebbe a molto riuscire a togliere
90 ordigni dal nostro territorio nazionale di fronte allo scenario indicato.
Ora occorre chiedersi: come poter deviare la tendenza verso il primo
scenario? Non e' un compito cui possiamo assolvere noi con le nostre forze,
ma occorre anche qui che dei soggetti, sia a livello popolare e sociale sia
di stato credano e spingano in quella direzione.
All'orizzonte io vedo solo qualche barlume di speranza con molte incertezze:
sono l'Europa, il Sudamerica, l'India.
L'Unione Europea con tutte le sue contraddizioni e' comunque il primo
riuscito tentativo nella storia dell'umanita' di una costruzione ideale dal
basso di una nuova entita' statale, basato sul consenso e non sulla forza:
se pensiamo a cosa era l'Europa, teatro delle guerre piu' sanguinose, con
popoli che da secoli si odiavano e si massacravano, solo 60 anni fa, bisogna
togliersi tanto di cappello a chi ha avuto l'intuizione dell'Europa unita e
l'ha perseguita. Si tratta di uomini che non erano nonviolenti, tutt'altro
che rivoluzionari, ma che su questo, hanno avuto una grande saggezza e reso
un grande servizio alla pace nel mondo. Come nonviolenti ritengo che
dovremmo essere tra i sostenitori dell'Unione Europea come progetto politico
federale, e vigilare su tutti i tentativi di fermarlo o farlo dissolvere.
Un buon progetto politico ma riempito di contenuti sbagliati: la
caratteristica dell'Europa dovrebbe essere proprio quella sensibilita'
sociale, il suo messaggio al mondo quello della sussidiarieta': la
costruzione che si sta facendo e' invece tutta tesa a difendere il liberismo
e ad annullare le conquiste sociali che pur sono costate "lacrime e sangue";
dunque: si' alla costruzione europea, si' ad una costituzione europea, ma no
a questa costituzione. Guai se come nonviolenti ci aggregassimo e non
marcassimo le differenze con chi rifiuta la costituzione dell'Europa per
tutt'altri motivi.
Ma l'Unione Europea potrebbe avere una funzione positiva anche in campo
internazionale, per rivalutare le istituzioni internazionali, per proporre
una politica di pace e non basata sulla forza. E' ovvio che questa non e'
nonviolenza, non possiamo sperare che un domani vicino dei politici
nonviolenti guidino l'Unione Europea e gli stati membri. Ma il nostro ruolo
deve essere anche quello di saper proporre obiettivi che vadano nella giusta
direzione, che unica puo' espellere la guerra dalla storia, se mai cio'
sara' possibile: la nonviolenza. Ma obiettivi che sono parziali e che
possono essere condivisi e sostenuti da un vasto numero di popolo e di
politici; in fondo la grandezza di Gandhi e' stata proprio questa, aver
coinvolto nel satyagraha anche chi nonviolento non era, aver trascinato
politici, persone che erano anche lontano dal suo modo di vedere; e' questo
che dobbiamo capire quando parliamo di sbocchi politici della nonviolenza:
questi possono venire solo se si sapranno proporre questi sbocchi anche a
chi nonviolento non e'.
Ritengo, pertanto, che la funzione dell'Unione Europea per rendere il mondo
piu' pacifico potrebbe essere importante.
Grossi elementi di novita' oggi vengono amche dall'America Latina: gran
parte di quei popoli e di quei paesi stanno avendo un atteggiamento sempre
piu' critico nei confronti del liberismo, e sono sempre meno disposti a fare
gli outsider degli Usa. Con mille contraddizioni, perche' Chavez non e'
comunque il prototipo del politico democratico, in altri paesi continua a
regnare la corruzione, ma qualcosa si sta muovendo e cio' e' positivo.
Potranno questi paesi proporsi un ruolo anche in politica internazionale?
Avevo citato anche l'India, perche', caduto il governo nazionalista, pur
attraverso contraddizioni varie, mi sembra che quel paese possa puntare a
recuperare un ruolo di punto di riferimento per vari paesi del cosiddetto
Terzo Mondo (come era stato ai tempi di Nehru) e perche' la sua politica sia
comunque centrata alla ricerca di soluzione diplomatiche anche nei confronti
del conflitto col Pakistan.
Certo che da qui a dire che stiamo assistendo ad una inversione di tendenza
ce ne passa.
Di fronte a queste cose cosi' grosse e cosi' distanti che ruolo abbiamo noi?
Anche qui, possiamo discutere di grande politica, anzi e' bene farlo, anche
piu' di quanto non abbiamo fatto finora, ma siamo ininfluenti, o meglio, la
nostra influenza e' infinitesimale.
Dovremmo pero' cercare di approfondire i temi sopra accennati, farne dei
seminari di discussione, ricavarne conseguenze coerenti, proporre idee nuove
e innovative che partiti e politici di professione potrebbero prendere a
prestito.
Vedo due grossi pericoli: da una parte il massimalismo, dall'altra l'essere
rinunciatari: con il primo la tendenza e' quella a dire "tanto sono tutti
uguali"; essa porta di fatto a rinunciare a fare qualsiasi azione o al
cercare pervicacemente di porsi obiettivi irraggiungibili, quasi che solo in
questa radicalita' inefficace  possiamo trovare soddisfazione: e' questa la
cosiddetta "cultura antagonista", che poi si riduce a crearsi un ghetto,
dove di fatto non si da' fastidio a nessuno, e cosi' complementare ad un
sistema tollerante-autoritario, che in tal modo puo' dimostrare quanto e'
democratico tollerando appunto anche i piu' ostili al sistema stesso, senza
mai doversi mettere in discussione.
E' un atteggiamento molto poco gandhiano che invece cercava sempre
l'efficacia; dopo ogni campagna nonviolenta, dovremmo sempre chiederci
"abbiamo fatto anche solo un passettino in avanti?".
E' il tema sottostante alle discussioni che ci sono state in rete lo scorso
febbraio. Sara' anche vero che l'attuale maggioranza e' stata estremamente
deludente dal nostro punto di vista, ma rinunceremmo per questo a
pungolarla? O pensiamo di trovare orecchi attenti nell'attuale centrodestra?
Se pensiamo che l'Europa possa svolgere una funzione positiva in campo
internazionale, ne affideremmo la guida a Berlusconi o Fini o Sarkozy,
indifferentemente?
L'altro atteggiamento e' la rinuncia alla politica: dalle istituzioni
cerchiamo solo un po' di finanziamenti per i nostri progetti, e per il resto
continuiamo come se nulla fosse.
*
I nostri compiti
Per tornare al Mir vorrei riprendere sempre dal discorso di Hildegard
fattoci a Strasburgo quelle che lei ci suggeriva come opportunita' del tempo
presente (il riferimento era alle banche europee):
1) l'opportunita' di uno spazio in Europa senza guerre ma con il compito di
recuperarne i valori sociali: dunque lo sforzo per modificarne la
costituzione;
2) l'immigrazione: la necessita' di giuste leggi, il rifiuto del razzismo,
ma anche la grande opportunita' per un lavoro interreligioso;
3) l'importanza del decennio 2001-2010 per l'educazione alla pace e alla
nonviolenza indetto dall'assenblea generale delle Nazioni Unite e
dell'introduzione dell'educazione alla pace in Europa.
Per fare tutte queste cose bisogna pero' misurare le nostre forze: il Mir e'
adeguato ai compiti che gli si pongono davanti?
Assolutamente no: occorre rafforzarlo.
Prima pero' vorrei ricordare i grossi passi avanti fatti in questi anni.
Dopo la campagna di obiezione alle spese militari, secondo me uno dei fiori
all'occhiello dei movimenti nonviolenti italiani, densa di conseguenze
politiche, e dopo la bella iniziativa della marcia "Mai piu' eserciti e
guerre", e' iniziata una fase di stanca del movimento, in cui sembrava
impossibile ritrovare un motivo di azione comune caratterizzante; fase fatta
di ordinaria amministrazione, a cui si e' aggiunta una crisi interna che
aveva fatto allontanare molti amici; fu nel pieno di questa crisi che,
inaspettatamente, venni eletto presidente, e subito mi ritrovai di fronte ad
una situazione in cui si rischiava la fine per esaurimento: ricordo la
lettera ai soci "Sos Mir" in cui insieme alla segreteria lanciai questo
accorato appello.
Da allora, non certo per merito mio, ma anche col mio contributo, inizio'
una fase di lento ma costante recupero.
Lo scorso anno a Gricigliana, ci buttammo nell'impresa di costituirci come
aps (associazione di promozione sociale), ma soprattutto mi parve di leggere
una volonta' di ripresa.
Oggi non basta fermarci qui; i prossimi anni devono essere quelli della
crescita del Mir e del ritorno dei giovani; altrimenti quelle crisi
temporaneamente superate torneranno e, come nelle malattie, le ricadute sono
sempre peggiori.
Due anni fa avevo proposto l'obiettivo dei 500 iscritti: purtroppo siamo
ancora lontani da questo obiettivo, spero che il prossimo presidente possa
essere in questo piu' bravo di me; ma occorre una collaborazione di tutto il
movimento, soprattutto la consapevolezza che senza la nonviolenza
organizzata le idee marceranno di meno.
Dunque chiedo a voi di proporvi il rafforzamento del movimento, in
particolare tra i giovani. Abbiamo un patrimonio enorme da far valere,
metterlo sotto il moggio, come dice il vangelo, sarebbe un peccato grave.
*
Propongo le seguenti linee direttrici
Lavorare per la diffusione della nonviolenza nelle chiese: l'evento del 6
agosto che stiamo preparando deve essere il primo passo, ma deve continuare
il lavoro di approfondimento iniziato tre anni fa su fede, tradizioni
religiose e nonviolenza; vanno coinvolte le chiese, le associazioni, le
parrocchie, le comunita': oggi sono queste che possono dare un grosso aiuto
alla nonviolenza nel mondo; e le prospettive sono positive.
Il lavoro del decennio deve completarsi anche a livello istituzionale: un
grazie di cuore va detto alla sede di Padova, che per alcuni anni da sola, e
nella quasi ignoranza nostra, e di questo voglio fare ammenda a nome di
tutto il movimento, ha lavorato sugli obiettivi del decennio, ha realizzato
convegni e materiale, e oggi stiamo raccogliendo risultati proficui anche
sul piano istituzionale; questo lavoro deve andare avanti e completare gli
obiettivi del decennio, in particolare l'impegno adesso e' per
l'introduzione dell'educazione alla pace nei "curricula" scolastici.
Il lavoro di appoggio ai Ccp (corpi civili di pace): e' l'alternativa agli
interventi armati, la parte propositiva di tutte le nostre campagne per il
disarmo. Siamo stati tra i fondatori e i promotori dell'Ipri - rete Ccp;
questo e' pero' un impegno di lunga durata che richiede costanza ed
attenzione.
I campi: come ho gia' detto sono una delle nostre attivita' piu' importanti,
perseguite con piu' costanza, anche se ci sono stati momenti in cui il
gruppo dei coordinatori e il movimento hanno viaggiato in modo autonomo; ora
va continuato il tentativo di recuperare una piena integrazione tra queste
fantastiche persone del gruppo coordinatori e l'insieme del Mir. E' anche
l'attivita' attraverso cui ogni anno circa cento persone, prevalentemente
giovani, vengono a contatto con il Mir: dunque nell'ottica di un
rafforzamento del movimento vanno seguiti da vicino.
Approfondire il legame con l'ifor: mai il Mir italiano si e' avvicinato
all'Ifor come in questi anni: due rappresentanti italiani al consiglio
mondiale di Tokyo, la costante partecipazione agli incontri europei, la
nostra Maria Antonietta che rappresenta l'Ifor all'Unesco. Il nostro legame
con l'Ifor e' una ricchezza che da' maggior forza alle nostre campagne, che
ci permette un costante contatto con la nonviolenza nel mondo, dunque un
settore quantomai importante.
Curare la comunicazione interna ed esterna: e' il punto attualmente piu'
debole del movimento: io gia' lo scorso consiglio nazionale feci la proposta
di creare un gruppo di lavoro sulla comunicazione che si occupasse dei vari
aspetti: sito, comunicazione interna ed esterna. Ritengo importante che il
movimento sia piu' presente nei media, si dia delle forme di comunicazione
snelle ma efficaci, venga favorita la discussione all'interno. Oserei dire
che per un'associazione la comunicazione (quella che una volta veniva
chiamata stampa) e' il settore piu' importante, ma ho l'impressione che al
Mir questo non sia sufficientemente compreso.
So che per tutto questo occorre uno sforzo grande, ma non e' grande la
pretesa di diffondere la nonviolenza?

3. RIFLESSIONE. FRATERNA UN'OBIEZIONE AL TESTO CHE PRECEDE

Nell'ampia relazione dell'ottimo amico Paolo Candelari all'assemblea annuale
del Movimento internazionale della riconciliazione ci sembra che non si dica
con la necessaria chiarezza, convinzione ed energia una cosa che
un'assemblea di persone amiche della nonviolenza oggi in Italia dovrebbe
dire prima di ogni altra: l'impegno affinche' cessi la guerra in
Afghanistan, ed a tal fine l'impegno qui e adesso perche' cessi l'illegale e
criminale partecipazione italiana a quella guerra terrorista e stragista che
alimenta il terrorismo su scala planetaria.
Enunciare questo impegno a noi sembra necessario.
All'amico Paolo Candelari, persona acuta e generosa e sincero amico della
nonviolenza, ed a tutte le altre persone amiche del Mir, rivolgiamo la
preghiera di un supplemento di riflessione, e una parola chiara.

4. PROPOSTA. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Si puo' destinare la quota del 5 per mille dell'imposta sul reddito delle
persone fisiche, relativa al periodo di imposta 2006, apponendo la firma
nell'apposito spazio della dichiarazione dei redditi destinato a "sostegno
delle organizzazioni non lucrative di utilita' sociale" e indicando il
codice fiscale del Movimento Nonviolento: 93100500235; coloro che si fanno
compilare la dichiarazione dei redditi dal commercialista, o dal Caf, o da
qualsiasi altro ente preposto - sindacato, patronato, Cud, ecc. - devono
dire esplicitamente che intendono destinare il 5 per mille al Movimento
Nonviolento, e fornirne il codice fiscale, poi il modulo va consegnato in
banca o alla posta.
Per ulteriori informazioni e per contattare direttamente il Movimento
Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212,
e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

5. PROFILI. MARIA TERESA CARBONE INTERVISTA SANDRA CISNEROS
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 maggio 2007.
Maria Teresa Carbone, traduttrice, saggista, organizzatrice culturale,
curatrice con Nanni Balestrini del sito di letture e visioni in rete
www.zoooom.it
Sandra Cisneros (Chicago 1954), poetessa, saggista, narratrice, e' una delle
figure maggiori della letteratura chicana. Dal sito
www.festivaletteratura.it riprendiamo la seguente scheda: "Sandra Cisneros
e' nata a Chicago nel 1954 da padre messicano e madre chicana, terza di
sette fratelli e unica figlia femmina. Attualmente vive a San Antonio, in
Texas. E' considerata una delle maggiori scrittrici di letteratura chicana e
portavoce di spicco degli immigrati messicani negli Stati Uniti. Oltre a
numerosi saggi e articoli per giornali e riviste, e' autrice del bestseller
La casa in Mango Street, di tre libri di poesie (Bad Boys, My Wicked Wicked
Ways e Loose Woman), una raccolta di racconti (Woman Hollering Creek and
Other Stories) e un libro per bambini (Hairs/Pelitos). Molti dei suoi
racconti o estratti delle sue opere sono stati pubblicati in antologie e
volumi di storia della letteratura. Ha anche lavorato nelle scuole superiori
come insegnante e assistente scolastica, ha tenuto corsi di scrittura
creativa e un ciclo di conferenze presso l'Universita' della California a
Berkeley. Numerosi e significativi riconoscimenti costellano la sua
carriera, tra questi la prestigiosa borsa di studio della MacArthur
Foundation nel 1995; il premio Texas Medal of the Arts nel 2003; una laurea
ad honorem in Studi Umanistici dall'Universita' Loyola di Chicago nel 2002 e
un'altra in Lettere dall'Universita' Statale di New York nel l993; due borse
di studio dal National Endowment of the Arts per la narrativa e la poesia. I
suoi libri sono stati tradotti in piu' di dodici lingue tra cui spagnolo,
francese, tedesco, italiano, olandese, norvegese, giapponese, cinese, turco
e, recentemente, greco, thai e serbo-croato"]

Quando nel 2004 i lettori italiani scoprirono la prosa scintillante della
chicana Sandra Cisneros, di cui la piccola casa editrice La Nuova Frontiera
aveva pubblicato il romanzo piu' recente, Caramelo, furono in pochi a
ricordare che, in realta', il nome della scrittrice non avrebbe dovuto
suonarci nuovo: gia' nei primi anni '90, infatti, era uscito per Guanda il
suo testo di esordio, La casa di Mango Street, ma era passato del tutto
inosservato.
"Ebbi la sensazione che qui in Italia non ci fosse un pubblico per i miei
libri, ma forse semplicemente i tempi non erano maturi", commenta la stessa
Cisneros, appena approdata in Italia per la Fiera del libro di Torino dove
partecipera' oggi a un incontro nell'ambito della rassegna "Lingua Madre".
Ma i tempi sono cambiati: e cosi', dopo l'ottima accoglienza ricevuta da
Caramelo e da Fosso della strillona (uscito in originale nel '91 e qui da
noi nel 2005), La Nuova Frontiera riporta adesso in libreria anche La casa
di Mango Street (la traduzione, splendida, e' di Riccardo Duranti, pp. 119,
euro 14), un'opera singolare, a meta' fra il romanzo breve e la raccolta di
racconti, che si compone di una serie di storie corte e cortissime
accomunate dalla voce narrante, la giovane Esperanza, e dal suo sguardo
insieme fresco e lucido sulla comunita' latinoamericana di un quartiere
povero di Chicago. Uscito negli Stati Uniti nel 1984, il libro ha conosciuto
un successo crescente tanto da venire adottato come libro di testo in molte
scuole - un risultato di cui l'autrice e' particolarmente orgogliosa, anche
per la passione con cui si dedica all'insegnamento.
*
- Maria Teresa Carbone: In questi anni lei ha partecipato a numerosi
incontri con il pubblico, in Italia e in altri paesi. Non teme che si tratti
di occasioni effimere, che poco hanno a che fare con la pratica della
lettura?
- Sandra Cisneros: Per me scrivere ha rappresentato a lungo un lavoro
parallelo, notturno. Prima di entrare a far parte di quell'un per cento di
autori che riescono a vivere solo dei loro libri - una prospettiva che non
avrei neanche immaginato - ho insegnato in un liceo e poi all'universita',
mi sono occupata del reclutamento degli studenti per un college e ho persino
partecipato alla realizzazione di una piccola fiera del libro a San Antonio,
in Texas. Proprio per la mia esperienza personale, quindi, sono convinta che
momenti di incontro come questi siano utilissimi. E a tutti quelli che
storcono il naso vedendo le folle di visitatori occasionali o le classi di
studenti che passano il loro tempo flirtando o sgranocchiando patatine,
rispondo che anche impressioni momentanee e all'apparenza superficiali (una
frase colta al volo, una copertina attraente) possono rappresentare semi che
fioriranno in seguito. Vedere come anche agli scrittori si possa tributare
un'attenzione riservata di solito alle cosiddette celebrities puo' avere
un'influenza duratura su questi ragazzi, anche se sono stati trascinati qui
con la forza.
*
- Maria Teresa Carbone: La sua passione per l'insegnamento e per quello che
si potrebbe definire come una sorta di "apostolato della scrittura" ha anche
preso forma nel progetto di Macondo, ancora a San Antonio. Ce ne vuole
parlare?
- Sandra Cisneros: L'idea di questo progetto, che e' poi una comunita' molto
informale di persone dedite alla scrittura, l'ho avuta tanti anni fa, quando
insegnavo all'universita': insegnare in se' mi piaceva, ma trovavo
fastidioso che la maggior parte degli studenti pensassero solo ai voti o al
titolo di studio. Non potevo lasciare quell'impiego, perche' mi dava i soldi
per vivere, ma lavorare in quelle condizioni mi faceva sentire una sorta di
prostituta. E' stato allora che ho cominciato a pensare a una classe
composta solo da studenti davvero meritevoli, una specie di squadra di cui
sarei stata il coach. E quando ho cominciato a guadagnare meglio con i miei
libri quel sogno e' riemerso, e ho preso a invitare a casa mia gli studenti
piu' bravi, all'inizio quindici, poi venti, poi sempre di piu': era pertito
come un progetto autofinanziato, e adesso e' diventata una fondazione no
profit, con piu' di cento membri e articolata in diversi workshop. Ma quel
che non e' cambiato e' l'idea di mettere insieme persone di eta' e di ambiti
diversi (narratori, poeti, storici, giornalisti), accomunate dalla scrittura
ma anche dalla convinzione di quanto sia importante condividere cio' che si
possiede, prendendosi cura gli uni degli altri.
*
- Maria Teresa Carbone: Sono passati piu' di vent'anni da quando nel 1984 La
casa su Mango Street usci' per la prima volta per l'editrice americana Arte
Publico Press: anni in cui - come dimostra fra l'altro anche la successiva
ripubblicazione del libro per Random House - e' profondamente cambiata la
percezione della cultura chicana negli Stati Uniti.
- Sandra Cisneros: In effetti la situazione e' oggi molto diversa. Proprio
nel periodo immediatamente successivo alla prima pubblicazione del libro, il
censimento del 1985 rivelo' agli occhi del pubblico piu' vasto quello che
nella comunita' latina degli Stati Uniti gia' sapevamo: che eravamo in
tanti, che moltissimi di noi parlavano correntemente l'inglese, dunque
rappresentavamo fra l'altro un potenziale mercato di grande interesse.
Deriva anche da qui l'attenzione rivolta, nel corso degli anni, ai chicani:
un'attenzione che riflette una vicinanza, una porosita' profonda nel confine
fra Stati Uniti e Messico molto maggiore di quanto solitamente si pensi. Al
tempo stesso, e forse per lo stesso motivo, nei momenti di crisi i politici
e i media tendono a sottolineare il "pericolo messicano", la corruzione che
gli immigrati porterebbero nella cultura americana: una fobia volutamente
accentuata dopo l'11 settembre e che dimentica come dall'altra parte del
confine si teme - con maggiore fondamento - la corruzione indotta dalla
cultura statunitense.
*
- Maria Teresa Carbone: Per questi motivi, immaginando una ipotetica "casa
di Mango Street", troveremmo un quadro del tutto differente rispetto a
quello di vent'anni fa.
- Sandra Cisneros: Certo, e non solo perche' la situazione e' cambiata.
Anche io sono una scrittrice diversa, se non altro perche' da allora mi sono
confrontata con strutture narrative molto piu' complesse, che ai tempi del
mio primo libro non avrei saputo maneggiare. D'altra parte, La casa di Mango
Street rivela un desiderio di sperimentazione molto vivo in me in quel
periodo, da un lato perche' prima di cimentarmi con questi racconti avevo
scritto soprattutto poesia, dall'altro perche' mi premeva moltissimo trovare
forme narrative nuove. Ma non era un desiderio di sperimentazione fine a se
stesso: quando cominciai a comporre le storie che avrebbero dato origine a
questo libro avevo ventun anni, e insegnando a leggere e a scrivere agli
immigrati illegali avevo appena scoperto come la classe sociale di
appartenenza fosse un fattore determinante nel rapporto con i libri e la
lettura. Fu un vero shock, da cui ebbe origine un breve momento di
depressione e poi una grande, utilissima rabbia. Decisi di scrivere un libro
che fosse una risposta a quel sistema cosi' ingiusto, un libro dove i
chicani potessero finalmente trovare la loro vita e la loro cultura: una
cultura ben diversa e ben piu' complessa di come era stata rappresentata
fino ad allora e nella quale potevano avere posto i fumetti e le arie
liriche ascoltate alla radio, i classici e le chiacchiere. Il libro che
avevo in mente doveva scandirsi in testi brevi, da leggere anche al di fuori
di un ordine preciso, quasi ad apertura di pagina, un libro che avesse una
lingua tanto semplice da poter essere capita anche da chi non aveva
consuetudine con la lettura, ma senza neanche una parola fuori posto,
proprio come in una poesia. E quel libro e' diventato La casa di Mango
Street.

6. LETTURE. FABIO LEVI: IN VIAGGIO CON ALEX
Fabio Levi, In viaggio con Alex. La vita e gli incontri di Alexander Langer
(1946-1995), Feltrinelli, Milano 2007, pp. 240, euro 14. Una bella
biografia, tenera, commossa, di una persona indimenticabile. Un libro che
vivamente raccomandiamo (e di cui su questo foglio torneremo a parlare piu'
ampiamente).

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 89 del 14 maggio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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