La domenica della nonviolenza. 101



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 101 del 4 marzo 2007

In questo numero:
1. Nicola Calipari, due anni dopo
2. Benito D'Ippolito: Sulla strada dell'aeroporto
3. Benito D'Ippolito: Alcuni altri omissis da un rapporto
4. Giuliana Sgrena: La mia testimonianza (un articolo del 6 marzo 2005)
5. Giuliana Sgrena: Un anno dopo (un articolo del 4 marzo 2006)
6. Sandro Provvisionato: Ciao, Nicola (un ricordo del marzo 2005)

1. MEMORIA. NICOLA CALIPARI, DUE ANNI DOPO
[Nicola Calipari (Reggio Calabria, 1953 - Baghdad, 2005), laureato in
giurisprudenza, con una straordinaria e prestigiosa esperienza nelle forze
dell'ordine con ruoli di grande responsabilita' nella lotta contro il
crimine, da due anni funzionario del Sismi, e' l'eroe che ha salvato la vita
a Giuliana Sgrena; e' stato ucciso il 4 marzo 2005 a Baghdad. Opere su
Nicola Calipari: AA. VV., Nicola Calipari ucciso dal fuoco amico, Nuova
iniziativa editoriale, Roma 2005]

Salvare le vite, questa e' una buona idea.
Salvare le vite, questo faceva Nicola Calipari.
Salvare le vite, questo ogni essere umano dovrebbe fare.

2. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: SULLA STRADA DELL'AEROPORTO
[Riproponiamo ancora questo testo]

Sulla strada dell'aeroporto
attende sbigottito il cacciatore
nel buio attende franco il cacciatore
sulla strada dell'aeroporto.

E tu non sai che sei la selvaggina.

Sulla strada dell'aeroporto
attende nel buio la nera
signora che parla rafficando
e riga i volti di lacrime di sangue.

E non c'e' ombrello che fermi questa pioggia.

Sulla strada dell'aeroporto
la guerra terrorista ti raggiunge
la guerra, che e' sempre terrorista
il terrorismo, che nella guerra culmina.

Denti di drago seminava Giasone.

Sulla strada dell'aeroporto
dove tu sei la selvaggina
dove l'alito del male ti fa cenere.

Ah buon Nicola, che salvavi il mondo,
tu, buon amico della nonviolenza.

3. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: ALCUNI ALTRI OMISSIS DA UN RAPPORTO
[Riproponiamo ancora questo testo]

La notte era assai buia
l'auto aveva quattro ruote
i nostri ragazzi sono impetuosi
gli italiani e' difficile distinguerli
dagli arabi, dai terroristi, dai cani.

La notte era assai buia
sparano i mitra, servono a questo
ve lo avevamo detto mille volte
di starci dietro, dietro e non di fronte
di starvene accucciati, come tutti.

La notte era assai buia
per questo mancammo gli altri due.

4. MEMORIA. GIULIANA SGRENA: LA MIA TESTIMONIANZA (UN ARTICOLO DEL 6 MARZO
2005)
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 marzo 2005 riproponiamo ancora questo
testo.
Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e
pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane
dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande
importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe,
durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A
Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo,
sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in
cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo
liberatore Nicola Calipari. Dal sito del quotidiano "Il manifesto"
riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in
provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a
Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da
Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella
redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno
d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in
Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i
bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del
lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di
raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con
professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese.
Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le
fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a
parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista". Opere
di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri,
Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola
dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma
2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005]

Sto ancora nel buio. E' stata quella di venerdi' la giornata piu' drammatica
della mia vita. Erano tanti i giorni che ero stata sequestrata. Avevo
parlato solo poco prima con i miei rapitori, da giorni dicevano che mi
avrebbero liberato. Vivevo cosi' ore di attesa. Parlavano di cose delle
quali soltanto dopo avrei capito l'importanza. Dicevano di problemi "legati
ai trasferimenti". Avevo imparato a capire che aria tirava
dall'atteggiamento delle mie due "sentinelle", i due personaggi che mi
avevano ogni giorno in custodia. Uno in particolare che mostrava attenzione
ad ogni mio desiderio, era incredibilmente baldanzoso. Per capire davvero
quello che stava succedendo gli ho provocatoriamente chiesto se era contento
perche' me ne andavo oppure perche' restavo. Sono rimasta stupita e contenta
quando, era la prima volta che accadeva, mi ha detto "so solo che te ne
andrai, ma non so quando". A conferma che qualcosa di nuovo stava avvenendo
a un certo punto sono venuti tutti e due nella stanza come a confortarmi e a
scherzare: "Complimenti - mi hanno detto - stai partendo per Roma". Per
Roma, hanno detto proprio cosi'.
Ho provato una strana sensazione. Perche' quella parola ha evocato subito la
liberazione ma ha anche proiettato dentro di me un vuoto. Ho capito che era
il momento piu' difficile di tutto il rapimento e che se tutto quello che
avevo vissuto finora era "certo" ora si apriva un baratro di incertezze, una
piu' pesante dell'altra. Mi sono cambiata d'abito. Loro sono tornati: "Ti
accompagniamo noi, e non dare segnali della tua presenza insieme a noi
senno' gli americani possono intervenire". Era la conferma che non avrei
voluto sentire. Era il momento piu' felice e insieme il piu' pericoloso. Se
incontravamo qualcuno, vale a dire dei militari americani, ci sarebbe stato
uno scontro a fuoco, i miei rapitori erano pronti e avrebbero risposto.
Dovevo avere gli occhi coperti. Gia' mi abituavo ad una momentanea cecita'.
Di quel che accadeva fuori sapevo solo che a Baghdad aveva piovuto. La
macchina camminava sicura in una zona di pantani. C'era l'autista piu' i
soliti due sequestratori. Ho subito sentito qualcosa che non avrei voluto
sentire. Un elicottero che sorvolava a bassa quota proprio la zona dove noi
ci eravamo fermati. "Stai tranquilla, ora ti verranno a cercare... tra dieci
minuti ti verranno a cercare". Avevano parlato per tutto il tempo sempre in
arabo, e un po' in francese e molto in un inglese stentato. Anche stavolta
parlavano cosi'.
*
Poi sono scesi. Sono rimasta in quella condizione di immobilita' e cecita'.
Avevo gli occhi imbottiti di cotone, coperti da occhiali da sole. Ero ferma.
Ho pensato... che faccio? comincio a contare i secondi che passano da qui ad
un'altra condizione, quella della liberta'? Ho appena accennato mentalmente
ad una conta che mi e' arrivata subito una voce amica alle orecchie:
"Giuliana, Giuliana sono Nicola, non ti preoccupare ho parlato con Gabriele
Polo, stai tranquilla sei libera".
Mi ha fatto togliere la "benda" di cotone e gli occhiali neri. Ho provato
sollievo, non per quello che accadeva e che non capivo, ma per le parole di
questo "Nicola". Parlava, parlava, era incontenibile, una valanga di frasi
amiche, di battute. Ho provato finalmente una consolazione quasi fisica,
calorosa, che avevo dimenticato da tempo. La macchina continuava la sua
strada, attraversando un sottopassaggio pieno di pozzanghere, e quasi
sbandando per evitarle. Abbiamo tutti incredibilmente riso. Era liberatorio.
Sbandare in una strada colma d'acqua a Baghdad e magari fare un brutto
incidente stradale dopo tutto quello che avevo passato era davvero non
raccontabile. Nicola Calipari allora si e' seduto al mio fianco. L'autista
aveva per due volte comunicato in ambasciata e in Italia che noi eravamo
diretti verso l'aeroporto che io sapevo supercontrollato dalle truppe
americane, mancava meno di un chilometro mi hanno detto... quando... Io
ricordo solo fuoco. A quel punto una pioggia di fuoco e proiettili si e'
abbattuta su di noi zittendo per sempre le voci divertite di pochi minuti
prima.
L'autista ha cominciato a gridare che eravamo italiani, "siamo italiani,
siamo italiani...", Nicola Calipari si e' buttato su di me per proteggermi,
e subito, ripeto subito, ho sentito l'ultimo respiro di lui che mi moriva
addosso. Devo aver provato dolore fisico, non sapevo perche'. Ma ho avuto
una folgorazione, la mia mente e' andata subito alle parole che i rapitori
mi avevano detto. Loro dichiaravano di sentirsi fino in fondo impegnati a
liberarmi, pero' dovevo stare attenta "perche' ci sono gli americani che non
vogliono che tu torni". Allora, quando me l'avevano detto, avevo giudicato
quelle parole come superflue e ideologiche. In quel momento per me
rischiavano di acquistare il sapore della piu' amara delle verita'.
Il resto non lo posso ancora raccontare.
*
Questo e' stato il giorno piu' drammatico. Ma il mese che ho vissuto da
sequestrata ha probabilmente cambiato per sempre la mia esistenza. Un mese
da sola con me stessa, prigioniera delle mie convinzioni piu' profonde. Ogni
ora e' stata una verifica impietosa sul mio lavoro. A volte mi prendevano in
giro, arrivavano a chiedermi perche' mai volessi andar via, di restare.
Insistevano sui rapporti personali. Erano loro a farmi pensare a quella
priorita' che troppo spesso mettiamo in disparte. Puntavano sulla famiglia.
"Chiedi aiuto a tuo marito", dicevano. E l'ho detto anche nel primo video
che credo avete visto tutti. La vita mi e' cambiata. Me lo raccontava
l'ingegnere iracheno Ra'ad Ali Abdulaziz di "Un Ponte per" rapito con le due
Simone, "la mia vita non e' piu' la stessa", diceva. Non capivo. Ora so
quello che voleva dire. Perche' ho provato tutta la durezza della verita',
la sua difficile proponibilita'. E la fragilita' di chi la tenta.
Nei primi giorni del rapimento non ho versato una sola lacrima. Ero
semplicemente infuriata. Dicevo in faccia ai miei rapitori: "Ma come, rapite
me che sono contro la guerra?!". E a quel punto loro aprivano un dialogo
feroce. "Si', perche' tu vai a parlare con la gente, non rapiremmo mai un
giornalista che se ne sta chiuso in albergo. E poi il fatto che dici di
essere contro la guerra potrebbe essere una copertura". E io ribattevo,
quasi a provocarli: "E' facile rapire una donna debole come me, perche' non
provate con i militari americani?". Insistevo sul fatto che non potevano
chiedere al governo italiano di ritirare le truppe, il loro interlocutore
"politico" non poteva essere il governo ma il popolo italiano che era ed e'
contro la guerra.
*
E' stato un mese di altalena, tra speranze forti e momenti di grande
depressione. Come quando, era la prima domenica dopo il venerdi' del
rapimento, nella casa di Baghdad dove ero sequestrata e su cui svettava una
parabolica, mi fecero vedere un telegiornale di Euronews. Li' ho visto la
mia foto in gigantografia appesa al palazzo del Comune di Roma. E mi sono
rincuorata. Poi pero', subito dopo, e' arrivata la rivendicazione della
Jihad che annunciava la mia esecuzione se l'Italia non avesse ritirato le
sue truppe. Ero terrorizzata. Ma subito mi hanno rassicurata che non erano
loro, dovevo diffidare di quei proclami, erano dei "provocatori". Spesso
chiedevo a quello che, dalla faccia, sembrava il piu' disponibile che
comunque aveva, con l'altro, un aspetto da soldato: "Dimmi la verita', mi
volete uccidere". Eppure, molte volte, c'erano strane finestre di
comunicazione, proprio con loro. "Vieni a vedere un film in tv", mi
dicevano, mentre una donna wahabita, coperta dalla testa ai piedi girava per
casa e mi accudiva.
I rapitori mi sono sembrati un gruppo molto religioso, in continua preghiera
sui versetti del Corano. Ma venerdi', al momento del mio rilascio, quello
tra tutti che sembrava il piu' religioso e che ogni mattina si alzava alla
cinque per pregare, mi ha fatto le sue "congratulazioni" incredibilmente
stringendomi fortemente la mano - non e' un comportamento usuale per un
fondamentalista islamico -, aggiungendo "se ti comporti bene parti subito".
Poi, un episodio quasi divertente. Uno dei due guardiani e' venuto da me
esterrefatto sia perche' la tv mostrava i miei ritratti appesi nelle citta'
europee e sia per Totti. Si' Totti, lui si e' dichiarato tifoso della Roma
ed era rimasto sconcertato che il suo giocatore preferito fosse sceso in
campo con la scritta "Liberate Giuliana" sulla sua maglietta.
*
Ho vissuto in una enclave in cui non avevo piu' certezze. Mi sono ritrovata
profondamente debole. Avevo fallito nelle mie certezze. Io sostenevo che
bisognava andare a raccontare quella guerra sporca. E mi ritrovavo
nell'alternativa o di stare in albergo ad aspettare o di finire sequestrata
per colpa del mio lavoro. "Noi non vogliamo piu' nessuno", mi dicevano i
sequestratori. Ma io volevo raccontare il bagno di sangue di Falluja dalle
parole dei profughi. E quella mattina gia' i profughi, o qualche loro
"leader", non mi ascoltavano. Io avevo davanti a me la verifica puntuale
delle analisi su quello che la societa' irachena e' diventata con la guerra
e loro mi sbattevano in faccia la loro verita': "Non vogliamo nessuno,
perche' non ve ne state a casa, che cosa ci puo' servire a noi questa
intervista?". L'effetto collaterale peggiore, la guerra che uccide la
comunicazione, mi precipitava addosso. A me che ho rischiato tutto, sfidando
il governo italiano che non voleva che i giornalisti potessero raggiungere
l'Iraq, e gli americani che non vogliono che il nostro lavoro testimoni che
cosa e' diventato quel paese davvero con la guerra e nonostante quelle che
chiamano elezioni.
Ora mi chiedo. E' un fallimento questo loro rifiuto?

5. MEMORIA. GIULIANA SGRENA: UN ANNO DOPO (UN ARTICOLO DEL 4 MARZO 2006)
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 marzo 2006 riproponiamo ancora questo
testo]

Un anno fa scrivevo sul "Manifesto" Il mese piu' lungo, il racconto del mio
sequestro. E' passato un anno: mesi di sofferenze fisiche e non solo, di
speranze di uscire dal ruolo di "ostaggio", di tentativi di elaborare il
lutto.
Quando, improvvisamente, nell'anniversario del mio sequestro, il 4 febbraio,
l'orologio si e' messo a correre all'indietro, all'impazzata. Di colpo e'
come se i mesi trascorsi fossero svaniti: ogni giorno di febbraio mi ha
riportato indietro, a un anno fa, mi sono tornati alla mente momenti
assolutamente insignificanti della mia prigionia, che pensavo ormai sepolti.
Ogni gesto e' diventata l'occasione per ricordare, persino l'andare a letto
e avvolgermi nelle coperte, per proteggermi dal freddo, dalla paura.
Per cercare di non pensare ho attraversato l'Italia e la Germania in lungo e
in largo per parlare del mio libro Fuoco amico, che non e' altro che la mia
drammatica esperienza intrecciata con la situazione irachena, quella si'
veramente sempre piu' drammatica. Come allora anche oggi non posso parlare
di me senza parlare dell'Iraq.
*
Intorno a me in questo vagare ho trovato tanta gente, tanta solidarieta',
tanta commozione. Giovani e donne che scoppiano in lacrime di fronte alle
mie emozioni, ai miei ricordi di Nicola Calipari, al fatto che la mia
tragedia mi impedisce di sentirmi completamente libera. La mia vita e'
cambiata. Come? Mi chiedono in molti. Sono cambiata dentro, e' difficile da
spiegare: insicurezze, paure, incubi, che mi portano a vivere alla giornata,
incapace di fare progetti. E anche fuori: per strada la gente mi guarda, mi
saluta, o semplicemente sorride. Qualcuno mi fissa con uno sguardo truce,
magari non sa nemmeno chi sono, ma io tremo. Una notorieta' improvvisa che
non avrei mai desiderato, condizionante. A volte mi fa sentire investita di
un ruolo che non posso assolvere.
Cosa devono fare i pacifisti? A volte rispondo che il mio sequestro ha dato
loro una spinta per tornare in piazza, quel 19 febbraio di un anno fa erano
in 500.000, mi hanno raccontato. Ma poi? Sembra che nessuno abbia saputo
raccogliere questa opportunita' di tornare a essere protagonisti. Speriamo
che la manifestazione del 18 marzo sia l'occasione. Ci sono tanti giovani
studenti che hanno fatto la tesi sul mio sequestro, su di me, sulla guerra e
l'informazione. Mi dicono che io sono per loro un "modello". Una bella
soddisfazione dopo le critiche di alcuni colleghi. Ma anche una grande
impotenza. In Iraq non si puo' piu' andare per informare, l'informazione e'
stata completamente militarizzata con l'istituzionalizzazione dei
giornalisti "embedded". Che fare? Dovrei sconsigliarli a intraprendere
questa strada, ma invece rispondo che non possiamo arrenderci, che
l'informazione puo' servire a sconfiggere la logica della guerra.
L'entusiasmo dei giovani deve essere alimentato e indirizzato piuttosto che
depresso. Negli anni scorsi quando andavo in giro a presentare i miei libri
trovavo gli aficionados, era difficile riempire le sale, c'era sempre
qualche motivo che limitava la partecipazione: pioggia, coincidenza con
altre iniziative, orario, etc. Ora invece le sale sono sempre piu' grandi e
sempre piu' piene, tante facce nuove, tante attese, tante speranze e
curiosita'. Non solo nei miei confronti. Cosa succede veramente in Iraq?
*
Purtroppo gli avvenimenti di questi giorni confermano quello che avevo
scritto basandomi semplicemente sull'osservazione della realta'. Come la
guerra civile strisciante che ora e' esplosa con tutta la sua violenza e che
sembra sorprendere ipocritamente chi l'ha favorita.
E poi, si sapra' mai la verita' sulla morte di Nicola Calipari? L'emozione
per la sua morte e' ancora viva tra la gente. E anche la richiesta di
verita'. La magistratura ha fatto un primo passo, importante, incriminando
Mario Lozano, l'unico soldato che secondo il rapporto della commissione
militare americana avrebbe sparato contro di noi, per omicidio volontario.
Perche' l'operato della magistratura abbia un seguito occorre pero' una
collaborazione delle autorita' Usa che puo' essere ottenuta solo con una
forte pressione politica. Che non possiamo aspettarci da questo governo
visto che il ministro Castelli non ha mai fatto nulla per ottenere una
risposta alle rogatorie. E ieri il ministro della difesa Antonio Martino,
durante la commemorazione di Calipari, e' arrivato a dire che e' stato il
fato a uccidere il dirigente del Sismi. Non il fuoco americano. Martino ha
osato piu' del comando Usa che aveva parlato di "fatale incidente". Poi, per
fortuna, Gianni Letta lo ha smentito.
*
Oggi, 4 marzo, torno con la mente a Baghdad, ripenso al fuoco che ci ha
colpito, alla breve gioia seguita dal grande dolore per la morte di Nicola.
Non possiamo arrenderci, finche' non sveleremo la verita'. Scoprire la
verita' fa parte del nostro lavoro e la mia speranza e' di poter tornare
presto a fare la giornalista come ho sempre fatto.

6. MEMORIA. SANDRO PROVVISIONATO: CIAO, NICOLA (UN RICORDO DEL MARZO 2005)
[Da "La newsletter di Misteri d'Italia", anno 6, n. 98 dell'11 marzo 2005
(sito: www.misteriditalia.com) riproponiamo ancora questo testo.
Sandro Provvisionato e' un prestigioso giornalista e saggista autore di
rilevanti inchieste, da sempre impegnato contro i poteri criminali. Tra le
opere di Sandro Provvisionato: Lo sport in Italia, Savelli, Roma 1978; (con
Adalberto Baldoni), La notte piu' lunga della Repubblica. Destra e sinistra:
ideologie, estremismi, lotta armata, Serarcangeli,1989; Misteri d'Italia. 50
anni di trame e delitti senza colpevoli, Laterza, Roma-Bari 1993; Segreti di
mafia, Laterza, Roma-Bari 1994; Giustizieri sanguinari. I poliziotti della
Uno bianca. Un altro mistero di Stato, Pironti, Napoli 1995; (con Gian Paolo
Rossetti), Il mostro, il giudice e il giornalista, Theoria, 1996; (con
Ferdinando Imposimato e Giuseppe Pisauro), Corruzione ad alta velocita'.
Viaggio nel governo invisibile, Koine', 1999; Uck: l'armata dell'ombra.
L'Esercito di liberazione del Kosovo. Una guerra tra mafia, politica e
terrorismo, Gamberetti, Roma 2000; Il giallo del Petruzzelli, Sigma, 2001;
(con Adalberto Baldoni), A che punto e' la notte?, Vallecchi, 2003; (con
Vittorio Di Cesare), Servizi segreti e misteri italiani, Editoriale Olimpia,
2004; (con Vittorio Di Cesare), Vaticano rosso sangue, Editoriale Olimpia,
2006]

Di Nicola Calipari e' stato scritto molto, moltissimo. La retorica ormai
inevitabile, in questo Paese senza piu' certezze, non e' riuscita ad evitare
un termine ormai tristemente inflazionato: eroe.
Chiunque muoia in circostanze drammatiche, come per incanto, diventa un
eroe: un poliziotto durante una rapina, una vittima della mafia o del
terrorismo, un ostaggio caduto nelle mani piu' insaguinate.
Io non so se Nicola (permettetemi di chiamarlo cosi', perche' lo conoscevo
da tempo) sia stato un eroe. So solo che e' morta una delle persone piu'
belle che abbia mai conosciuto nella mia lunga carriera di giornalista. Un
uomo semplice, schivo, che non amava i riflettori, ma soprattutto un uomo
competente che adorava il suo lavoro.
Conobbi Nicola all'inizio del 2000 quando era al vertice dello Sco, Il
servizio centrale operativo della polizia. Dopo la guerra del Kosovo, la
"guerra umanitaria" della Nato scatenata - con il pieno avallo del governo
di centro-sinistra, guidato da Massimo D'Alema - per "liberare" la provincia
serba, oggi finita nelle mani di un criminale di guerra, grande trafficante
di droga, avevo deciso di scrivere un libro che pero' non raccontasse la mia
esperienza di inviato di guerra, ma la realta' di un paese vocato a
diventare uno narcostato, una Colombia infilata come un cuneo nei Balcani.
La storia di questi anni sembra aver dato ragione a quel libro (usci' sempre
nel 2000 con il titolo: Uck, l'armata dell'ombra. Una guerra tra mafia,
politica e terrorismo). E Nicola in quel libro ebbe un ruolo determinante:
non volle essere citato, Nicola, ma tutte o quasi le notizie sui
narcotrafficanti albanesi del Kosovo vennero da lui, da Nicola che proprio
sulle filiere del traffico della droga era un vero esperto.
Tovai in lui sensibilita' e competenza, ma soprattutto una grande
diponibilita' a ragionare.
Alla mia domanda: perche' la Nato ha fatto una guerra per questa banda di
criminali e trafficanti che e' l'Uck? Lui mi rispose: "Me lo sto chiedendo
dall'inizio della guerra".
Il nostro rapporto e' continuato negli anni. Nei momenti di dubbio su fatti
che via via accadevano lo chiamavo. E lui aveva sempre un modo di
interpretare gli avvenimenti originale ed intelligente, mai banale, mai
scontato. Sapeva analizzare gli accadimenti con una lucidita' che legava un
fatto ad un altro, fino a tessere una tela degna del migliore di quelli che
oggi e' di moda chiamare con disprezzo "dietrologi".
Scherzavamo spesso su questo termine. Gli dicevo: "Lo dicono a me, ma guarda
che il vero dietrologo sei tu...". Lui rideva e ripeteva sempre: "Ma se non
vai dietro a quello che succede hai solo una visione frontale che ti da'
solo un'immagine parziale della realta'".
Lo avevo sentito un paio di settimane prima della sua morte. Gli avevo
esposto dubbi su un'operazione condotta lo scorso anno dal Sismi (e quindi
da lui) in Libano: un attentato sventato all'ambasciata italiana di Beirut
con l'appoggio dei servizi segreti siriani (vedi la "Newsletter di Misteri
d'Italia" n. 93). Si era un po' innervosito della mia insinuazione, ma poi,
come sempre, aveva riso e mi aveva detto: "Lo sai che il dubbio che i
siriani ci abbiano tirato un bidone e' venuto anche a me...".
Ci eravamo ripromessi di vederci per parlarne meglio. Non c'e' stato tempo.
Ciao, Nicola.

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