Minime. 19



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 19 del 5 marzo 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Due crimini
2. Tariq Ali: Perche' ritirarsi dall'Afghanistan
3. Elena Poniatowska ricorda Ryszard Kapuscinski
4. Riletture: Svetlana Aleksievic, Ragazzi di zinco
5. Riletture: Alessandro Dal Lago, Non-persone
6. Riletture: Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, Vinoba o il nuovo
pellegrinaggio
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. DUE CRIMINI

La partecipazione militare italiana alla guerra afgana e' un abominevole
crimine. Essa rende il nostro paese complice delle stragi che li' si
consumano. Essa viola la Costituzione della Repubblica Italiana.
Cessi la partecipazione italiana alla guerra terrorista e stragista; si
persuadano il governo e il parlamento che la pace si costruisce con la pace,
la sicurezza comune si edifica con l'umana solidarieta', la democrazia si
difende con la democrazia.
*
Ed e' un crimine orribile l'esistenza in Italia di veri e propri campi di
concentramento, i cosiddetti "Centri di permanenza temporanea", in cui sono
recluse e sottoposte a maltrattamenti persone che non hanno commesso alcun
reato, persone innocenti e bisognose di aiuto, persone cui la Costituzione
italiana garantisce accoglienza e assistenza. L'esistenza di questi campi
rende il nostro paese complice dell'apartheid planetario, complice delle
mafie assassine, complice dei persecutori da cui quegli esseri umani
fuggono. L'esistenza dei cosiddetti "Centri di permanenza temporanea" viola
la Costituzione della Repubblica Italiana.
Cessi questa infame violenza razzista; si persuadano il governo e il
parlamento del dovere di riconoscere tutti i diritti umani a tutti gli
esseri umani.

2. RIFLESSIONE. TARIQ ALI: PERCHE' RITIRARSI DALL'AFGHANISTAN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 marzo 2007.
Tariq Ali, storico, saggista politico e culturale, romanziere, regista
cinematografico, autorevole figura dei Cultural Studies, direttore della
prestigiosa rivista "New Left Review"; nato nel 1944 a Lahore, citta' oggi
in territorio pakistano che all'epoca faceva parte dei possedimenti
britannici in India, si trasferi' ventenne in Inghilterra, studi a Oxford,
impegnato nei movimenti per la pace e i diritti delle persone e dei popoli,
e' una delle figure di maggior rilievo della sinistra critica
internazionale. Tra le opere di Tariq Ali: Lo scontro dei fondamentalismi,
Rizzoli, 2002, poi Fazi, 2006; Bush in Babilonia. La ricolonizzazione
dell'Iraq, Fazi, 2004; Un sultano a Palermo, Baldini Castoldi Dalai, 2006]

E' l'anno sesto dell'occupazione Nato in Afghanistan sotto l'egida dell'Onu,
una missione congiunta Usa-Europa. Il 26 febbraio alcuni attentatori suicidi
talebani hanno cercato di assassinare Dick Cheney, in visita alla base aerea
di Bagram considerata "sicura" (l'ex base aerea sovietica, considerata
altrettanto sicura durante un precedente conflitto). Nell'attacco sono morti
due soldati americani e un mercenario ("contractor"), nonche' altre venti
persone che lavoravano nella base.
Questo episodio da solo avrebbe dovuto far capire al vicepresidente Usa le
dimensioni della debacle afghana. Nel 2006 le perdite sono aumentate in modo
sostanziale: le truppe Nato hanno perso quarantasei soldati in scontri con
la resistenza islamica o per l'abbattimento di elicotteri.
Ora i ribelli controllano almeno venti distretti nelle province di Kandahar,
Helmand e Uruzgan, dove le truppe Nato hanno preso il posto dei soldati
americani. E non e' certo un segreto che in queste zone molti quadri
dirigenti sostengono sottobanco i guerriglieri. La situazione e' fuori
controllo. All'inizio della guerra la signora Bush e la signora Blair sono
apparse in numerosi programmi televisivi e radiofonici, sostenendo che lo
scopo della guerra era liberare le donne afghane. Provate a ripeterlo oggi,
e le donne vi sputeranno in faccia.
*
Chi e' responsabile di questo disastro? Perche' il paese e' ancora
sottomesso? Quali sono gli obiettivi strategici di Washington nella regione?
Qual e' la funzione della Nato? E per quanto tempo un paese puo' restare
occupato contro la volonta' della maggioranza della popolazione?
Quando sono caduti i talebani in pochi hanno pianto, in Afghanistan e
altrove, ma le speranze alimentate dalla demagogia occidentale non sono
durate troppo a lungo.
E' apparso presto evidente che la nuova elite trapiantata nel paese si
sarebbe messa in tasca il grosso degli aiuti stranieri e avrebbe creato le
proprie reti criminali di corruzione e clientelismo.
La popolazione ha sofferto. Una capanna di fango col tetto di paglia per
ospitare una famiglia di profughi senzatetto costa meno di cinquemila
dollari. Quante ne sono state costruite? Quasi nessuna. Ogni inverno
centinaia di persone muoiono di freddo perche' non hanno una casa. Invece,
si e' preferito che societa' di pubbliche relazioni occidentali
organizzassero in tutta fretta e a caro prezzo il voto elettorale,
sostanzialmente a beneficio dell'opinione pubblica occidentale.
I risultati non hanno favorito il sostegno alla Nato nel paese. Hamid
Karzai, il presidente fantoccio, ha rappresentato simbolicamente il suo
isolamento e il suo istinto di autoconservazione rifiutando le guardie
addette alla sua sicurezza, che erano della sua stessa etnia pashtun. Ha
preferito i marines americani, con l'aria dura da Terminator, e li ha avuti.
L'Afghanistan sarebbe stato reso piu' sicuro con un intervento limitato,
stile Piano Marshall? Naturalmente e' possibile che la costruzione di scuole
e ospedali gratuiti e di alloggi per i poveri, e la ricostruzione
dell'infrastruttura sociale distrutta dopo il ritiro delle truppe sovietiche
nel 1989, avrebbero stabilizzato il paese. Sarebbero anche serviti dei
contributi statali all'agricoltura e al lavoro a domicilio per ridurre la
dipendenza dalla coltivazione di oppio. Il 90% della produzione mondiale di
oppio e' in Afghanistan. Secondo stime Onu, all'eroina si deve il 52% del
prodotto interno lordo del paese, e il settore dell'agricoltura dedicato
all'oppio continua a crescere in fretta. Tutto questo avrebbe richiesto uno
stato forte e un diverso ordine mondiale. Solo un utopista un po' folle
avrebbe potuto aspettarsi che i paesi Nato, occupati a portare avanti le
privatizzazioni e la deregulation nei loro paesi, si lanciassero in
esperimenti sociali illuminati all'estero.
E cosi' la corruzione delle elite e' cresciuta, come un tumore non curato. I
fondi occidentali che avrebbero dovuto contribuire alla ricostruzione sono
stati usati per costruire le residenze lussuose delle elite locali.
Nell'anno secondo dell'occupazione le case sono state l'oggetto di uno
scandalo gigantesco. I ministri del governo si sono concessi, per se' e per
i propri amici fidati, immobili di pregio. A Kabul i prezzi dei terreni
hanno raggiunto un picco dopo l'occupazione, perche' gli occupanti e i loro
tirapiedi dovevano vivere nello stile a cui si erano abituati. I colleghi di
Karzai si sono costruiti le loro grandi ville, protette dalle truppe Nato,
sotto gli occhi dei poveri.
Si aggiunga a questo che il fratello minore di Karzai, Ahmad Wali Karzai, e'
diventato uno dei piu' grandi signori della droga nel paese. A un recente
incontro con il presidente del Pakistan, quando Karzai si e' messo a
frignare sull'incapacita' del Pakistan di fermare il traffico di frontiera,
il generale Musharraf gli ha suggerito che forse dovrebbe dare il buon
esempio richiamando all'ordine suo fratello.
*
Se le condizioni economiche non sono migliorate, gli attacchi militari della
Nato hanno preso spesso di mira civili innocenti. Cio' ha portato a violente
proteste antiamericane nella capitale, lo scorso anno. Quella che
inizialmente era ritenuta da alcuni abitanti un'azione di polizia necessaria
contro al-Qaeda a seguito degli attacchi dell'11 settembre, ora e' percepita
da una maggioranza sempre maggiore di persone nell'intera regione come
un'occupazione imperiale vera e propria. I talebani stanno crescendo e
costruendo nuove alleanze, non perche' le loro pratiche religiose settarie
godano di maggiore consenso, ma perche' essi sono l'unico ombrello a
disposizione per la liberazione nazionale. Come hanno scoperto a proprie
spese gli inglesi e i russi negli ultimi due secoli, agli afghani non e' mai
piaciuto essere occupati.
In nessun modo la Nato puo' vincere questa guerra ora. Inviare piu' truppe
significherebbe piu' morti, ed eventuali combattimenti su larga scala
destabilizzerebbero il vicino Pakistan. Musharraf si e' gia' preso la colpa
per un raid aereo su una scuola musulmana in Pakistan. Dozzine di bambini
sono stati uccisi e in Pakistan gli islamisti hanno organizzato
dimostrazioni di massa per protestare. Secondo alcune fonti, in realta' il
raid "preventivo" sarebbe stato effettuato da aerei militari Usa. Questi
avrebbero mirato a una presunta base terroristica, ma il governo pakistano
ha preferito assumersi la responsabilita' dell'accaduto per evitare
un'esplosione di rabbia antiamericana.
Il fallimento della Nato non puo' essere attribuito al governo pakistano.
Casomai, la guerra in Afghanistan ha creato una situazione critica in due
province pakistane. La maggioranza pashtun dell'Afghanistan ha sempre avuto
legami stretti con i pashtun del Pakistan. La frontiera fu un'imposizione
dell'impero britannico ed e' sempre stata porosa. Nel 1973 io stesso,
indossando indumenti pashtun, la attraversai senza alcuna difficolta'. E'
praticamente impossibile costruire uno steccato come in Messico o un muro
come in Israele lungo i 2.500 chilometri di confini montagnosi e in larga
misura non segnati che separano i due paesi. La soluzione e' politica, non
militare. Gli obiettivi strategici di Washington in Afghanistan appaiono
inesistenti, a meno che gli Usa non abbiano bisogno di questo conflitto per
mettere in riga gli alleati europei che li hanno traditi sull'Iraq.
Certo, i leader di al-Qaeda sono ancora alla macchia, ma la loro cattura
sara' il risultato di un efficace lavoro di polizia, non della guerra, ne'
dell'occupazione. Che effetto avra' il ritiro della Nato? Qui l'Iran, il
Pakistan e gli stati dell'Asia centrale saranno fondamentali nel garantire
una costituzione confederale che rispetti le differenze etniche e religiose.
L'occupazione Nato non ha reso questo compito facile. Il suo fallimento ha
rafforzato i talebani, e i pashtun si stanno unendo sempre di piu' sotto il
loro ombrello.
*
Qui come in Iraq, la lezione e' fondamentale. E' molto meglio che i
cambiamenti di regime vengano dal basso, anche se cio' comporta una lunga
attesa come in Sudafrica, in Indonesia o in Cile. Le occupazioni distruggono
le possibilita' di un cambiamento organico e creano problemi molto maggiori
di prima. L'Afghanistan non ne e' che un esempio.
Il discorso del ministro degli esteri italiano, secondo il quale questa
sarebbe una guerra giusta perche' legale, ossia sancita dal Consiglio di
sicurezza dell'Onu, e' un argomento debole. Il Consiglio di sicurezza non e'
eletto, ne' risponde all'Assemblea generale. E' dominato con il pugno di
ferro da cinque stati che sono i vincitori della seconda guerra mondiale. Le
sue decisioni non riflettono il punto di vista di quasi nessun continente.
Se gli Usa avessero imposto al Consiglio di sicurezza di appoggiare
l'avventura imperiale in Iraq, D'Alema sarebbe stato favorevole alla sua
occupazione? L'unica domanda da porre e' questa: i soldati europei devono
essere mandati a uccidere e a farsi uccidere per proteggere gli interessi
egemonici dell'Impero americano?

3. MEMORIA. ELENA PONIATOWSKA RICORDA RYSZARD KAPUSCINSKI
[Dalla rivista mensile diretta da Goffredo Fofi "Lo straniero", n. 81, marzo
2007 (disponibile anche nel sito: www.lostraniero.net).
Elena Poniatowska e' una celebre scrittrice e giornalista messicana, di
forte impegno civile. Dal sito www.arabafenice.it riprendiamo la seguente
scheda a cura di Giovanna Minardi: "Nata a Parigi, nel 1933, figlia di madre
messicana e padre francese d'origine polacca, vive in Messico dal 1942. E'
una delle maggiori scrittrici messicane e di fama internazionale. Inizio' la
sua carriera giornalistica nel 1954, scrivendo per il giornale "El
Excelsior" un'intervista al giorno. E' stata la prima donna messicana a
ricevere, nel 1978, il Premio nazionale di giornalismo. Ha insegnato
giornalismo e ha realizzato cortometraggi su personaggi letterari, artistici
e su vari temi socio-politici. Un buon numero delle sue interviste a
personalita' del mondo intellettuale messicano e straniero sono state
riunite nel libro Palabras cruzadas (1961). Opere di Elena Poniatowska:
Lilus Kikus (1954); Meles y Teleo (1956); Palabras cruzadas (1961); Todo
empezo' el domingo (1963); Hasta no verte Jesus mio (1969); La noche de
Tlatelolco (1970); Querido Diego te abraza Quiela (1978); De noche vienes
(1979); Fuerte es el silencio (1980); La casa en la tierra (1980); Domingo 7
(1982); El ultimo guajolote (1982); Ay vida, no me mereces! (1986); La "flor
de Lis" (1988); Nada, nadie, las voces del temblor (1988); Juchitan de las
mujeres (1989); Tinisima (1992); Luz y lunas de lunitas (1994). In Italia
sono stati tradotti: Fino al giorno del giudizio, Giunti, Firenze, 1993;
Caro Diego, ti abbraccia Quiela, Giunti, Firenze 1993; Tinissima,
Frassinelli, Milano, 1996".
Ryszard Kapuscinski (1932-2007) e' stato un illustre scrittore e giornalista
polacco. Riportiamo la motivazione dell'attribuzione del Premio Grinzane
Cavour per la Lettura 2003 a Ryszard Kapuscinski: "Grande maestro di
giornalismo, Ryszard Kapuscinski, nato a Pinsk nella Polonia orientale nel
1932, ha lavorato come corrispondente estero dell'Agenzia di stampa polacca
Pap fino all'inizio degli anni '80. Viaggiatore instancabile, curioso e
partecipe testimone dei destini dei diseredati in Africa e in America
Latina, Kapuscinski ha scritto numerosi libri-reportage che sono diventati
veri e propri classici del genere, una 'straordinaria mistura di arte e
reportage', come ebbe a dire Salman Rushdie. La sua penna mette a fuoco con
estrema lucidita' fin dagli anni '60 la complessita' del continente
africano, registrando fenomeni politici e culturali, contraddizioni e
tragedie umane, in un'epoca in cui l'Occidente guardava con preoccupazione
all'Africa per l'incognita rappresentata da 300 milioni di individui in
procinto di entrare nel panorama politico mondiale. Storia e drammatica
quotidianita' si mescolano felicemente nelle sue pagine, in opere come Il
Negus (1982), La prima guerra del football e altre guerre di poveri (1990)
fino al piu' recente Ebano (2000, Premio Viareggio-Repaci), raccolta di
articoli che riassumono quarant'anni di esperienza come inviato nei paesi
africani. La sua e' l' Africa dei dannati della terra, vissuta con i poveri
delle bidonville, i contadini della savana, i camionisti del Sahara.
Kapuscinski esula da ogni forma di colore od esotismo locali: vuole andare
alla radice dei fatti, individuare le leggi, vecchie e nuove che li
governano. E' l'ottica che lo guida anche altrove: ad esempio in un testo di
grande successo come Shah-in-Shah (1982) che narra un momento cruciale della
storia dell' Iran tra la fine della monarchia sanguinaria di Reza Pahlevi e
l'avvento religioso di Khomeini nel 1979. Anche il tramonto e il
dissolvimento dell' Unione sovietica e' diventato con Imperium (1994), un
libro di intensa ed efficace testimonianza. Perche' gli eventi, grandi o
piccoli che siano, rappresentano per Kapuscinski l'occasione per
vivisezionare, con il tratto felice e disinvolto dello scrittore, storia,
politica e societa' di un paese. Cittadino del mondo, portavoce delle
minoranze, Kapuscinski ha saputo conciliare curiosita' e responsabilita'
morale, impegno e vivacita' di scrittura in nome di coloro per i quali e'
data la speranza, perche', come disse una volta Walter Benjamin, non ne
conoscono alcuna". Opere di Ryszard Kapuscinski: in edizione italiana cfr.
La prima guerra del football e altre guerre di poveri, Serra e Riva, poi
Feltrinelli; Shah-in-Shah, Feltrinelli; Il Negus, splendori e miserie di un
autocrate, Feltrinelli; Imperium, Feltrinelli; Lapidarium, Feltrinelli;
Ebano, Feltrinelli. Cfr. anche il libro di interviste e colloqui (a cura di
Maria Nadotti), Il cinico non e' adatto a questo mestiere. Conversazioni sul
buon giornalismo, Edizioni e/o, Roma 2002; e il volume antologico
Autoritratto di un reporter, Feltrinelli, Milano 2006]

"Con il cognome che hai non ti daro' un'intervista se non parli in polacco".
"Allora non me la darai mai, perche' il polacco e' una lingua diabolica che
oltre tutto si declina come il latino". A Ryszard Kapuscinski non andava che
di polacco io non sapessi piu' di quattro parole, pero' mi sorrideva. Nel
corso della sua vita trattava tutti come se al girare l'angolo dovessero
cadere morti e lui non avrebbe potuto vederli mai piu'. Sentendosi cosi'
apprezzato, uno gli raccontava in tutta fiducia la storia della sua vita, e
"Kapu" ascoltava con rispetto, con attenzione, con gentilezza perche' era un
uomo pieno di umana compassione. Come dovremmo essere noi giornalisti. L'ho
visto l'ultima volta a New York a un incontro del Pen Club. Salman Rushdie
lo apprezzava molto e disse che Ebano (che in Francia aveva avuto il premio
del miglior libro del 2000) era un'abbagliante mescolanza di reportage e di
arte, e che secondo lui era il libro meglio riuscito del grande scrittore
polacco: "un capolavoro". "Die Zeit" e il "Frankfurter Allgemeine Zeitung"
lo hanno esaltato e giudicato come il maggior giornalista dei nostri tempi.
A New York scrittori come Paul Auster, Margaret Atwood e Breyten Breytenbach
lo consideravano loro pari e lo cercavano per poterci parlare.
Nato nel 1932 a Pinsk, in Polonia, si trasferi' a 13 anni a Varsavia e negli
anni Cinquanta l'agenzia di stampa polacca non si rese conto che, spedendo
questo giovincello dalla faccia tonda, rosso e sorridente, come
corrispondente in Medio Oriente, Africa e America Latina essa contribuiva a
dar vita a un nuovo Marco Polo, che era stavolta un giornalista. Kapuscinski
non smise mai di viaggiare e di appassionarsi ai popoli della terra, l'unico
continente cui non ha dedicato la sua vita e' stato l'Oceania.
L'italiana Maria Nadotti, della rivista "Linea d'ombra", organizzo' a Milano
nel novembre del 1994 per una serie di conversazioni su "Vedere, ascoltare,
spiegare: letteratura e giornalismo alla fine di un secolo", un dialogo tra
John Berger e Kapuscinski. La mia amica Maria fece da moderatrice. L'inglese
e il polacco si piacevano moltissimo perche' avevano molto in comune, e non
voglio pensare a come deve aver sofferto Berger della scomparsa di
Kapuscinski. Quel dialogo fu cosi' interessante da venir pubblicato come
libro: Il cinico non e' adatto a questo mestiere (e cioe' non e' adatto al
buon giornalismo). Diceva Kapuscinski: "Oggi, per capire dove stiamo
andando, non solo e' necessario osservare la politica, ma anche l'arte. E'
l'arte, infatti, che da sempre, con grande anticipo e molta chiarezza, ha
indicato la rotta che il mondo stava prendendo e le grandi trasformazioni
che si preparavano. E' piu' utile entrare in un museo che parlare con cento
personaggi politici. Oggi giorno, come l'arte ci insegna, la storia si sta
postmodernizzando. Se applichiamo alla storia le categorie interpretative
che abbiamo elaborato per l'arte, forse riusciremo a comprenderla meglio e
avremo degli strumenti di analisi meno obsoleti di quelli che utilizziamo
abitualmente".
Siamo molti in Messico ad amare colui che e' stato il migliore tra noi
giornalisti. A Pablo Espinosa, che gli fece una bella intervista per "La
Jornada", disse che una cattiva persona non avrebbe mai potuto essere un
buon giornalista e deploro' che i media fossero sempre di piu' in mano a
commercianti. Uomo semplice come pochi, Kapuscinski non corse appresso ai
riconoscimenti e tantomeno alla ricchezza. Divise sempre le condizioni di
vita delle persone che intervistava, e se loro non avevano da mangiare
neanche lui mangiava, se dormivano per terra anche lui dormiva per terra, se
non avevano da bere soffriva anche lui la sete. In Africa si uni' ai bambini
(incaricati di questo) per il trasporto dell'acqua. Affronto' grandinate e
insolazioni, viaggi su camion sfasciati e in India su treni strapieni e
maleodoranti; fu povero tra i poveri. Lascia l'esempio di un giornalista
come non ce ne sono piu', un uomo che esercitava la sua professione come un
uomo qualsiasi, lontano da tutto e di ritorno da tutto, al servizio di
tutti.
Avrebbe compiuto 75 anni a marzo, piu' vecchio di me di due mesi. Diceva che
la nostra non e' una professione adatta agli egoisti. Ci insegno' a vedere
l'Africa, il continente che in qualche modo ci somiglia, perche' anche se
noi messicani non siamo neri ci si considera oggi come tali. Tradotto in
tante lingue trasformo' in libri i suoi grandi reportage, convertendoli in
grande letteratura. Il suo libro sull'imperatore d'Etiopia Haile' Selassie'
(che sembrava un'ombra che cammina e che io vidi quando venne in Messico e
passo' per l'avenida Juarez tutto perso nella sua tristezza) e' ormai un
classico, come lo e' un suo libro che ci riguarda da vicino, La prima guerra
del football.
Chi puo' venirgli accostato? Ovviamente Walter Lippman, negli Stati Uniti.
In Messico, ringraziando la Vergine di Guadalupe, abbiamo Julio Scherer,
Carlos Monsivais, Vicente Lenero, Jaime Aviles che sanno muoversi nelle aree
della miseria e in mezzo ai miserabili, abbiamo Blanche Petrich e la donna
che ha fatto il miglior reportage sul subcomandante Marcos, Alma
Guillermoprieto. Dimentico molti nomi, e ce ne sono certamente altri sia in
Messico che nel resto del mondo... Le armate della notte di Norman Mailer e'
un libro che viene dal giornalismo, come A sangue freddo di Truman Capote,
come l'opera di Tom Wolfe, padre del "new journalism".
Gli umiliati di Lima e di Bogota', i senza lavoro dell'India e della
Thailandia, i giovani senza futuro della Nigeria e del Kenya dovranno
cercarsi altri che lottino al loro fianco, come ha fatto Kapuscinski, per
conquistare una vita che sia degna di venir vissuta.

4. RILETTURE. SVETLANA ALEKSIEVIC: RAGAZZI DI ZINCO
Svetlana Aleksievic, Ragazzi di zinco, Edizioni e/o, Roma 2003, pp. 320,
euro 16. La grande giornalista e scrittrice raccoglie e presenta tremende
testimonianze sull'orrore della guerra afgana tra il 1979 e il 1989. Una
lettura indispensabile.

5. RILETTURE. ALESSANDRO DAL LAGO: NON-PERSONE
Alessandro Dal Lago, Non-persone. L'esclusione dei migranti in una societa'
globale, Feltrinelli, Milano 1999, pp. 272, lire 38.000. Un'acuta analisi e
nitida una denuncia della violenza fatta ai migranti, qui, ora. Un libro che
offre utili strumenti di riflessione e materiali di documentazione per
contrastare il razzismo che monta.

6. RILETTURE. GIUSEPPE GIOVANNI LANZA DEL VASTO: VINOBA O IL NUOVO
PELLEGRINAGGIO
Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Jaca
Book, Milano 1980, pp. 246. Una delle maggiori figure della nonviolenza
racconta il suo incontro con il principale discepolo e prosecutore
dell'azione di Gandhi.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 19 del 5 marzo 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
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