La nonviolenza e' in cammino. 1222



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1222 del 2 marzo 2006

Sommario di questo numero:
1. Richiamare la coscienza. Alcuni testi da "Arca notizie" (parte seconda e
conclusiva)
2. Andrea Cozzo: Il rappel di Lanza del Vasto, appello fisico e mentale
all'attenzione
3. Liliana Tedesco: Il canto come richiamo alla presenza
4. Alberta Nelli: Riflessioni ed esperienze sul rappel
5. Antonino Drago: Il richiamo
6. Jean-Baptiste Libouban: Preparare il corpo alla nonviolenza attiva
7. Enzo e Maria Sanfilippo: Samasthiti: attenzione  e distensione nello yoga
8. Eutichio Silvestroni: Una dichiarazione di voto
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. MATERIALI. RICHIAMARE LA COSCIENZA. ALCUNI TESTI DA "ARCA NOTIZIE" (PARTE
SECONDA E CONCLUSIVA)
Ringraziamo di cuore Enzo Sanfilippo (per contatti: v.sanfi at virgilio.it) per
averci messo a disposizione tutti i testi di "Arca Notizie", trimestrale del
movimento dell'Arca in Italia, anno XX, n. 1, gennaio-marzo 2005, fascicolo
monografico sul tema "Richiamare la coscienza". Il movimento dell'Arca, come
e' noto, si richiama alla figura e all'insegnamento di Giuseppe Giovanni
Lanza del Vasto, una delle piu' rilevanti figure della nonviolenza.
*
"Arca notizie" e' un foglio di collegamento e di riflessione tra gli alleati
e gli amici dell'Arca in Italia.
Articoli e  lettere vanno inviati a: Enzo Sanfilippo, via E. Carnevale 4,
90145 Palermo, e-mail: v.sanfi at virgilio.it. L'indirizzo internet dell'Arca
in Italia e': http://digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto
Per ricevere "Arca Notizie", il contributo e' di 15 euro da versare sul
conto corrente postale numero 14079214 intestato a: Zendali Patrizia, Via
Sottocampagna 65, 21020 Comabbio (Va).
*
Alcuni altri materiali, e una piu' ampia premessa, abbiamo gia' pubblicato
nel notiziario di ieri, cui rinviamo.

2. RIFLESSIONE. ANDREA COZZO: IL RAPPEL DI LANZA DEL VASTO, RICHIAMO FISICO
E MENTALE ALL'ATTENZIONE
[Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX,
n. 1, gennaio-marzo 2005. Questo testo abbiamo gia' pubblicato nel n. 913
del nostro notiziario.
Andrea Cozzo (per contatti: acozzo at unipa.it) e' docente universitario di
cultura greca, studioso e amico della nonviolenza, promotore dell'attivita'
didattica e di ricerca su pace e nonviolenza nell'ateneo palermitano, tiene
da anni seminari e laboratori sulla gestione nonviolenta dei conflitti, ha
pubblicato molti articoli sulle riviste dei movimenti nonviolenti, fa parte
del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha". Tra le sue
opere recenti: Se fossimo come la terra. Nietzsche e la saggezza della
complessita', Annali della Facolta' di Lettere e filosofia di Palermo. Studi
e ricerche, Palermo 1995; Dialoghi attraverso i Greci. Idee per lo studio
dei classici in una societa' piu' libera, Gelka, Palermo 1997; (a cura di),
Guerra, cultura e nonviolenza, "Seminario Nonviolenza", Palermo 1999;
Manuale di lotta nonviolenta al potere del sapere (per studenti e docenti
delle facoltà di lettere e filosofia), "Seminario Nonviolenza", Palermo
2000; Tra comunita' e violenza. Conoscenza, logos e razionalita' nella
Grecia antica, Carocci, Roma 2001; Saggio sul saggio scientifico per le
facolta' umanistiche. Ovvero caratteristiche di un genere letterario
accademico (in cinque movimenti), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2001;
Filosofia e comunicazione. Musicalita' della filosofia antica, in V. Ando',
A. Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?,
Carocci, Roma 2002, pp. 87-99; Sapere e potere presso i moderni e presso i
Greci antichi. Una ricerca per lo studio come se servisse a qualcosa,
Carocci, Roma 2002; Lottare contro la riforma del sistema
scolastico-universitario. Contro che cosa, di preciso? E soprattutto per che
cosa?, in V. Ando' (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione,
discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002, pp. 37-50; Scienza,
conoscenza e istruzione in Lanza del Vasto, in "Quaderni Satyagraha", n. 2,
2002, pp. 155-168; Dopo l'11 settembre, la nonviolenza, in "Segno" n. 232,
febbraio 2002, pp. 21-28; Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche
di lotta comunicativa, Edizioni Mimesis, Milano 2004.
Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto ("Shantidas" e' il nome che gli attribui'
Gandhi) e' una delle figure piu' grandi della nonviolenza; nato nel 1901 a
San Vito dei Normanni da madre belga e padre siciliano, studi a Parigi e
Pisa. Viaggia e medita. Nel 1937 incontra Gandhi nel suo ashram. Tornato in
Europa fonda la "Comunita' dell'Arca", un ordine religioso e un'esperienza
comunitaria nonviolenta, artigianale, rurale, ecumenica. Promuove e
partecipa a numerose iniziative per la pace e la giustizia. E' deceduto in
Spagna nel 1981. Tra le opere di Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto
segnaliamo particolarmente: Pellegrinaggio alle sorgenti, Vinoba o il nuovo
pellegrinaggio, Che cos'e' la nonviolenza, L'arca aveva una vigna per vela,
Introduzione alla vita interiore, tutti presso Jaca Book, Milano (che ha
pubblicato anche altri libri di Lanza del Vasto); Principi e precetti del
ritorno all'evidenza, Gribaudi; Lezioni di vita, Libreria Editrice
Fiorentina, Firenze; In fuoco e spirito, La Meridiana, Molfetta (Ba). Le
comunita' dell'Arca - cosi' come gruppi e persone amiche di questa
esperienza - sono diffuse in vari paesi e proseguono la riflessione e
l'esperienza del fondatore; per informazioni e contatti:
digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto/ e anche (in francese)
www.canva.org]

Premessa redazionale
Abbiamo chiesto ad Andrea Cozzo un contributo sul tema del "Rappel". Andrea
insegna lingua e letteratura greca presso l'Universita' di Palermo. Amico
dell'Arca, ha scritto un saggio su Scienza, conoscenza e istruzione in Lanza
del Vasto, apparso sul n. 2 (2002) di "Quaderni Satyagraha". Conduce, presso
la Facolta' di Lettere il "Laboratorio di teoria e pratica della
nonviolenza", insegnamento riconosciuto ufficialmente dall'Ateneo
Palermitano. Da alcuni anni organizza inoltre corsi di formazione alla
nonviolenza per agenti della Guardia di Finanza e dell'Arma dei Carabinieri.
E' autore del libro Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche di
lotta comunicativa, Mimesis, Milano 2004.
La redazione di "Arca notizie"
*
Rappel significa "richiamo". E' un esercizio che - suggerisce Shantidas -
puo', per chi si sente oppresso dalla fretta, contentarsi di cinque minuti:
"anzi cinque minuti sono forse troppi; tagliamoli in cinque: cinque volte un
minuto durante la giornata, due la mattina, una a mezzogiorno, due la sera"
(1). Un minuto, o due, per far che? "Or dunque, distendetevi; per un minuto
fermatevi. Deponete l'arnese, mettetevi in verticale. Respirate a pieni
polmoni. Ritirate i vostri sensi all'interno. Restate sospesi davanti al
buio e al vuoto interiore. E anche se non succede niente, avrete rotto la
catena, quella della precipitazione. Ripetete: 'Mi richiamo, mi riprendo', e
basta. Ditelo a voi stessi, ma soprattutto fatelo. Raccoglietevi, come si
dice cosi' bene: raccogliersi e' radunare tutti i pezzi di se' sparsi e
attaccati qua e la'. Rispondete come Abramo a Dio che lo chiamava 'Eccomi
presente'. Si tratta quindi di restare presenti a se stessi e a Dio per
circa un minuto".
Tutto in queste parole e' pregnante, tanto che esse risuonano significative
in tutte le lingue, come avviene ogni volta che e' lo spirito a soffiare.
Richiamo e' la ripresa di se stessi attraverso l'interruzione dell'azione e
il respiro che, come lo yoga insegna, solo la postura eretta consente che
avvenga lento e profondo; e poi affidarsi al vuoto. Non e' detto che avvenga
nulla di speciale; anzi, proprio non avviene. Ma se si raggiunge il vero
vuoto dei pensieri, allontanando con calma e senza rabbia quelli che
sopravvengono, allora il vuoto e il pieno, come dice  Buddha, coincidono.
Cos'e' questa coincidenza tra vuoto e pieno, o quell'essere "presente a se
stesso e a Dio"? Per me che non sono seguace di alcuna fede religiosa si
tratta dell'entrata, per cosi' dire, nell'orizzonte del tutto. Il richiamo
quindi e' al rapporto che ciascuno, che se ne avveda o no, ha con ogni cosa
del mondo (e' necessario ricordare l'"effetto butterfly", la teoria per cui
il battito d'ali di una farfalla in Brasile contribuisce a determinare un
ciclone in Australia, per convincersene?); il "richiamo" e' richiamo al
valore di cio' che si sta facendo, perche' l'azione smetta di essere
semplicemente tecnica ed acquisti senso in una dimensione piu' vasta: so
perche' sto facendo questo, a che cosa esso serve fatto in questo
particolare modo, come (e, ancor prima, se) aiuta a fare andare bene il
mondo e cosi' di seguito. Il richiamo e' la consapevolezza del senso che
hanno le cose che facciamo, dell'aspetto etico (o contrario all'etica) di
ogni nostra azione; esso ci richiama alla nostra responsabilità nei
confronti del mondo: che non possiamo mai dire "ho fatto questo perche'
qualcuno mi ha detto di farlo", ma piuttosto "sto facendo questo perche' io
ho scelto responsabilmente di farlo". Oppure, "poiche' non mi pare un atto
buono, ho scelto di non farlo".
I Greci antichi lo mettevano in atto attraverso la formula "conosci te
stesso" a cui invitava Apollo, il dio della saggezza e del limite di se', il
dio della coscienza della condizione umana che permette il corretto rapporto
col tutto e che e' fratello e figura complementare a Dioniso, il dio
dell'uscita da se' e dell'entrata nel tutto - e l'insieme di questi due
comportamenti e' forse quello che i taoisti chiamano "essere nel flusso" -;
oppure attraverso il rapporto etimologico che instauravano tra l'essere
saggio (phronein, pepnymenos) e i polmoni (phrenes) e il respirare (pnein);
oppure ancora, come avveniva presso i Pitagorici, attraverso l'atto di
rimemorazione che permette all'anima (soffio) di concentrarsi per viaggiare
fuori dal corpo: il respiro individuale che si fa tutt'uno con l'aria
respirata, il passaggio dall'"io respiro" al "c'e' un respiro che e' unico
per tutto il mondo". Non e' quello che, con le parole di Mumon, il maestro
zen, significa diventare "porta senza porta"?
I non credenti, almeno per quel che personalmente mi riguarda, praticano il
richiamo chiamandolo semplicemente "attenzione" o "consapevolezza"; ma cio'
non vuol dire che pronunciare queste parole significhi anche saperle mettere
in pratica. Per farlo, ritengo, e' importante non solo l'elemento mentale
ma, come emerge dalle varie "testimonianze" fin qui prodotte - da quella di
Shantidas alle ultime ritrovate nell'antica Grecia e nel buddhismo zen -,
anche quello fisico. Non si tratta infatti solo di un atteggiamento del
pensiero ma anche di un atteggiamento del corpo, di una postura, mediati
nella loro relazione dal respiro, che e' soffio, spirito come suggerisce il
latino. Siamo davanti ad un esercizio spirituale, cioe' non appannaggio di
un credo religioso, ma possibile ad ogni essere che respira ed ha qualche
capacita' di pensare il suo respiro. Il richiamo, insomma, e', per come io
lo sento, il raccordo del nodo alla rete, e se non alla rete nella sua
interezza (che e' cosa difficile e forse sovrumana) almeno ad un certo
numero di maglie; e' l'orientamento dell'azione rispetto ai valori; e'
l'osservazione dell'eticita' dello scopo e dei mezzi. E' il chiedersi, ed il
tenersi viva sempre sotto pelle (2), la domanda "cosa sto facendo, a quale
fine, in che modo, con quali effetti (pur indipendenti dalla mia
intenzione)?".
*
Note
1. Lanza del Vasto, Lezioni di vita, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze
1980, p. 34 (dalla stessa pagina e dalla seguente sono tratte anche le altre
citazioni che seguono nel corso del testo).
2. Come dice ancora Shantidas, nella pagina gia' citata, "se vogliamo non
soltanto ricordare noi stessi alla coscienza, ma ricordare che dobbiamo
ricordarci ogni tanto, dovremo esercitarci ad un richiamo latente e
continuo".

3. RIFLESSIONE. LILIANA TEDESCO: IL CANTO COME RICHIAMO ALLA PRESENZA
[Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX,
n. 1, gennaio-marzo 2005. Liliana Tedesco (per contatti:
lylium at neomedia.it), musicista, insegnante, amica della nonviolenza, del
movimento dell'Arca (l'esperienza nonviolenta promossa da Giuseppe Giovanni
Lanza del Vasto, una delle grandi figure della nonviolenza), e' da sempre
partecipe delle lotte contro la mafia, per la pace e i diritti umani di
tutti gli esseri umani]

Qi, nella cultura cinese, e' il nome della forza del mutamento che sottende
ogni forma di vita, e' il Soffio, l'Energia, la forza vitale che scorre,
irrora e nutre.
Contiene la I, come "Dio", come la parola che in tante lingue diverse indica
"io"; la I della verticalita', del legame fra cielo e terra... Infinita la
simbologia legata a questa vocale.
Marie Louise Aucher, fondatrice della psicofonia, ha applicato questa parola
ad un incipit gregoriano, da lei stessa poi sviluppato e concluso, lavoro
fatto in base alla percezione attenta della qualita' delle risonanze che nel
suo corpo e nel suo spirito questo incipit induceva.
Il mio proporlo qui [lo spartito era riprodotto nell'ultima pagina della
rivista, per esigenze grafiche lo abbiamo qui omesso - ndr]  e' la
conseguenza dell'esperienza che ne ho fatto io in questo ultimo anno di
vita: cantato con cura, con attento ascolto interiore, con l'occhio rivolto
al suo scorrere interno e intimo dentro di me, e' stato mezzo
importantissimo di richiamo alla Presenza, e non di rado mi e' servito da
"boa" in mezzo ai flutti.

4. RIFLESSIONE. ALBERTA NELLI: RIFLESSIONI ED ESPERIENZE SUL RAPPEL
[Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX,
n. 1, gennaio-marzo 2005.. Alberta Nelli e' impegnata nel movimento
dell'Arca]

Uso la parola in francese, perche' in fondo per me il Rappel e' il Rappel,
intraducibile.
L'italiano Richiamo, quanto la Llamada spagnola, mi sembrano spostare il
significato verso un qualcuno che ci manda a chiamare, a cui noi dovremmo
rispondere.
Anche in francese a dire il vero Rappel ha questo significato: nelle
Comunita' dell'Arca il momento del Richiamo e' appunto segnato dal suono
della campana, a seguito del quale la gente si ferma, interrompe quel che
sta facendo, cerca la verticale e generalmente chiude gli occhi per
ritrovare se stessa in un brandello di meditazione.
Per un osservatore esterno sembra il gioco delle belle statuine,
1-2-3-stella, o qualcosa del genere... in realta' e' un assaggio di pace
interiore.
Nella vita di tutti i giorni non ho campana, ne' sveglie, e tutto sommato
non ne sento la mancanza, pero' il Rappel e' un soffio di vita, e' per me
essere presente al presente, sentire l'Armonia del creato, il ritmo del
respiro farsi piu' lento e godere di essere parte del tutto, amata e felice,
senza ansia, ne' pensieri, ne' paura.
La bellezza del mondo risplende piu' nuova, dopo aver attinto alla sorgente
della vita che e' in noi e fuori di noi.
Quando rituffarsi in se' e nell'abbraccio di Dio?
Ogni volta che ne ho bisogno: a letto appena sveglia, e la sera prima di
dire arrivederci al giorno, quando sono arrabbiata o preoccupata per
ritrovare la calma, quando sono contenta per rendere grazie, prima di
affrontare un momento difficile per essere pronta.
Posso riconoscere di aver maturato questa pratica soltanto recentemente, per
molti anni invece il Rappel e' stato piuttosto un tentativo saltuario di
darmi una disciplina: mi concentro, mi sforzo, provo a fare il vuoto, a
"scendere in cantina", ma la tensione non aiuta a raggiungere lo scopo;
trovo che sia meglio concentrarsi sul respiro e lasciarsi andare con il
rilassamento: una dose omeopatica di cielo e' a portata di tutti.

5. RIFLESSIONE. ANTONINO DRAGO: IL RICHIAMO
[Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX,
n. 1, gennaio-marzo 2005. Antonino (Tonino) Drago, nato a Rimini nel 1938,
e' stato il primo presidente del Comitato ministeriale per la difesa civile
non armata e nonviolenta; gia' docente universitario di Storia della fisica
all'Universita' di Napoli, attualmente insegna Storia e tecniche della
nonviolenza all'Universita' di Firenze, e Strategie della difesa popolare
nonviolenta all'Universita' di Pisa; da sempre impegnato nei movimenti
nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei
piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino
Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza
e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983;
L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la
costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq)
1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997]

Per essere persone spirituali molti cercano di andare a sentir parlare una
persona  spirituale. Il che non e' sbagliato; perche' cercare un maestro e'
sempre la miglior via per crescere. Ma ogni persona ha la sua personalita';
anche il piu' diligente dei discepoli, dopo un po' di tempo, deve scostarsi
dalla via che gli e' stata insegnata per rispondere alle sue individuali
esigenze.
L'atteggiamento di cercare l'esperto per appoggiarsi ad esso e' ancor piu'
forte nella chiesa cattolica, che unica ha sviluppato una ben graduata e
potente scala gerarchica, che, specie prima del Concilio, lasciava ai laici
un posto di minimo livello: ogni laico a priori era calcolato come
sprovvisto di vita interiore rispetto ai monaci, frati, preti, canonici,
teologi, vescovi, cardinali, papi.
Ora il rapporto dell'ascoltatore con l'esperto genera un gioco di proiezioni
di se stesso su di lui e di investimenti delle proprie potenzialita' sulle
strade che l'altro suggerisce. Dalla frequentazione dell'esperto e dai
colloqui con lui nasce un gioco a specchio in cui le due personalita' si
uniscono, si intrecciano e magari si fondono anche. Il che, rispetto ad una
crescita spirituale, puo' essere un bel percorso, anche luminoso.
Ma alla fine della nostra vita saremo sempre noi che risponderemo di noi
stessi. Senza andare lontano, Gesu' ce lo dice chiaro e netto (Mt 25,
31-46): verremo giudicati non per le nostre appartenenze o suggestioni o
imitazioni; ma per quello che faremo noi, proprio noi personalmente.
Ecco allora l'esigenza primaria della vita spirituale: giungere alla
maturita'. Che' se si fosse persone mature umanamente e infantili
spiritualmente si sarebbe dei giocherelloni spirituali; al peggio saremmo
degli ipocriti che dicono: "Io come cristiano farei questo; ma siccome la
realta' e' questa e non ci si puo' fare niente, allora faccio il contrario"
(e non faccio un passo per iniziare la via di quello che appare impossibile
umanamente, ma e' spiritualmente obbligatorio).
Concludo che per essere persone spirituali occorre essere delle persone,
cioe' autonome e adulte, anche in senso spirituale. Nessuna appartenenza ad
una Chiesa, per quanto potente e rassicurante essa sia, potra' toglierci
questo compito.
Qui io vedo la prima grandezza dell'insegnamento spirituale di Shantidas: in
un tempo di fascismo, di Chiesa gerarchica e trionfante che non lasciava
autonomia ai laici, indirizzare la gente a stare sui propri piedi e
costruirsi dritti, senza cercare stampelle, nell'avventura spirituale umana
di diventare figli di Dio, secondo una grande novita' storica: la
nonviolenza.
Pero' e' fatica trovare l'alimento della nostra vita spirituale. Per non
sapere che fare, si va a cercarlo in quanto e' stato accumulato finora
dall'insegnamento spirituale. Ma anche qui c'e' da lavorare: non troviamo
subito quello che ci invita. Occorre saper scegliere e prenderlo al meglio,
cercando di purificarlo dalle scorie. La scoria piu' grossa e' data dal
fatto che di solito l'insegnamento religioso si sforza di essere molto
pedagogico, fino a trattare le persone come infantili, perche' avendo
sicuramente tutti noi passato questo stadio di sviluppo, tutti possiamo
comprendere facilmente quanto ci viene suggerito secondo questa modalita' di
trasmissione.
Ma per crescere all'eta' matura della vita spirituale occorre comprendere
ben di piu'. Per farlo possiamo cercare di capire che cosa sta dall'altra
parte degli atteggiamenti educativi che ci vengono proposti; e farcene
invece attori, come se fossimo noi a doverli insegnare, perche' se non altro
li dobbiamo insegnare a noi stessi. Infatti ormai abbiamo accumulato molti
anni di vita spirituale (piu' o meno malridotta, ma sempre vita spirituale
e'; perche' il Padre a chi gli chiede il pane non da' pietre; e quindi
sempre abbiamo avuto qualche alimentazione). Allora per crescere un metodo
possibile e' quello di rispondere alla domanda: se io dovessi insegnare la
vita spirituale ad altri, come mi rivolgerei loro? Che cosa cercherei di
invitare a fare o a vivere?
A me sembra che l'oggetto dell'insegnamento di vita spirituale possa essere
presentato sotto tre aspetti:
a) come invitante a compiere atti precisi (riti in genere, confessione,
perdono, elemosina, riconciliazione, ecc.);
b) come sollecitante l'emotivita' della persona, mediante sia la descrizione
suggestiva di immagini che la sollecitazione di sentimenti (sia pure vissuti
mentalmente);
c) come motivante a prendere scelte cruciali di vita.
Se guardiamo gli scritti di Shantidas, notiamo che egli ha subordinato il
secondo atteggiamento (emotivita') al primo e al terzo.
Al terzo (motivazioni), perche' innanzitutto ha indirizzato la gente
dell'Occidente (i padroni del mondo) a scegliere la nonviolenza, cioe' a
compiere una scelta radicale di ribaltamento della propria vita, in termini
religiosi: una conversione della propria vita dalla civilta' troppo
tecnicizzata.
L'ha subordinato al primo (atti rituali), perche' l'insegnamento
fondamentale della nonviolenza gandhiana e' il lavoro su di se'. Ma non
tanto il lavoro spirituale tradizionale (cosi' come hanno fatto i nostri
avi; e i testi sacri ce lo insegnano da millenni); ma quello che concepisce
l'uomo come persona adulta. Quindi non come un bambino che teme i castighi
ed obbedisce ad un Essere del tutto superiore; ma come una persona che, come
ogni adulto, ha raggiunto la conoscenza di se stesso (anima e corpo),
controlla i suoi dinamismi interni e li usa per offrirsi ad altre persone;
allora sapra' offrirsi alla prima Persona nel mondo, Dio ("per la
conoscenza, il possesso e il dono di se stessi").
Shantidas, da uomo emancipato dall'insegnamento spirituale tradizionale, non
critica mai la spiritualita' usuale in maniera diretta, ma la rifonda a
partire dalla considerazione seguente.
"Si dice che l'uomo e' composto di un corpo e di un'anima e cio' basta per
definirlo come Dio l'ha fatto. Si aggiunge che l'anima e il corpo si
oppongono e cosi' si spiegano le virtu' e gli errori.
"Ma tra il naturale e lo spirituale, ecco che appare un terzo piano: quello
dell'artificiale.
"Che non si creda che questo non abbia importanza, poiche' l'artificiale e'
contingente e temporaneo; infatti e' proprio li' che, nella sua falsa
autocoscienza e nella sua vanita', l'uomo si colloca tutto intero, cosi'
come e' successo da dopo la caduta del peccato originale... Questa terza
natura, di per se' vuota, prende sostanza dalla altre due e si sviluppa a
loro spese. Con la ricerca del piacere e al di fuori di ogni ragionevolezza
e limite naturale, essa si fabbrica una animalita' superiore, esigente; ed
opera a scapito della buona salute del corpo, mentre che, per curiosita'
intellettuale e ricerca del successo, con l'esaltazione dei sentimenti nella
ricerca della felicita', essa si inventa una spiritualita' a danno della
salute dell'anima.
"La sua natura, manipolata e snaturata, lo spirito degradato e civilizzato
si amalgamano su questo terzo piano, dove il loro contrasto sbiadisce; e
dove con l'educazione l'esercizio e l'abitudine, finiscono per accordarsi.
"E questo piano non sta sulla terra ne' in cielo, ma in qualche modo sopra
la terra... dove proviamo delle soddisfazioni piu' o meno immaginarie" (I
quattro Flagelli, pp. 14-15, trad. mia).
Shantidas ha potuto proporre questo nuovo (vecchio) indirizzo perche' ha
attraversato le ritualita' di varie religioni e ne ha comparato gli
insegnamenti utili, separandoli da quelli caduchi e contingenti. Percio' e'
arrivato a vederne la struttura interna, riconoscendone i tratti comuni; e
di essi ha saputo riconoscerne gli atti basilari.
Appunto, qual e' l'atto basilare di una vita personale spirituale?
Shantidas qui propone una chiarificazione che gli fa compiere un balzo in
avanti rispetto a tutta la tradizione occidentale, impantanata
nell'artificiale. La vita spirituale e' innanzitutto vita interiore, quella
in noi che e' data da solamente corpo e anima. Se riprendiamo in mano
Lezioni di vita, o Introduzione alla vita interiore, questo messaggio di
ritrovare la vita interiore e' chiarissimo, a cominciare dal titolo della
sua opera fondamentale per la vita spirituale. Le prime "lezioni" insegnano
solo questo.
Quindi il primo lavoro da compiere da parte di una persona che voglia essere
adulta spiritualmente e' quello di cercare la propria interiorita'. Il che
non e' facile; perche' Shantidas spiega che siamo come galline che vanno in
giro con la testa in avanti cercando sempre qualcosa da beccare; il nostro
atteggiamento e' quello di guardare avidamente attorno a noi per cercare
qualche segno di vitalita', che ci sia edificante o trascinante, che
riscaldi il nostro umore, che ci dia la soddisfazione di aver portato
qualcosa a casa.
Allora, come rivolgersi alla propria interiorita' quando si ha costantemente
questo atteggiamento esternato e per di piu' si hanno delle attivita'
esteriori che ci sono indispensabili, per la sopravvivenza materiale ed
anche per la sopravvivenza affettiva?
Ecco allora il segno che dimostra che Shantidas e' arrivato a comparare
tutte le grandi religioni e con cio' a coglierne il fondo comune. Lo ha
fatto non solo e non tanto teologicamente, con l'interpretazione del peccato
originale e di Apocalisse 13, intesi come testi sacri sostanzialmente comuni
a tutte le religioni (testi interpretati come lotta tra Bene e Male,
attualizzata alla civilta' occidentale contemporanea, quella che ha
minacciato la sopravvivenza di tutte le religioni del mondo). Ma ha colto il
fondo comune anche delle pratiche religiose personali: e si e' sforzato di
esprimerlo in Introduzione alla vita interiore.
Quale e' la pratica che inizia questo ribaltamento e che e' la finestra sul
mondo che si va cercando? Il richiamo. Infatti esso e' l'inizio di qualsiasi
atto veramente religioso, quello che, preghiera, culto, meditazione, siamo
costretti a fare per essere noi stessi e per disporci ad aprirci ad un
altro, all'Altro. Alle volte siamo aiutati dalla ritualita' che ci
suggerisce di compiere atti semplici e modesti; alle volte ci appoggiamo ad
una sequenza di parole o di giaculatorie; alle volte ci rifugiamo dentro una
chiesa o un luogo chiuso per vivere concretamente l'opera di rientro in un
luogo conchiuso come e' l'interno di noi stessi; alle volte facciamo una
lunga camminata, i cui passi ritmici ci fanno immedesimare nelle bellezze
originarie della nostra vita; alle volta si va a pesca per incantarsi
davanti ad uno spettacolo naturale la cui trama ci va al fondo dell'anima,
ecc.
In maniera distorta lo fa anche il fumatore accanito, il quale si accende
una sigaretta per ritrovare non tanto il suo interiore profondo, ma
quell'interiorita' che gli serve per affrontare una particolare situazione,
anche se quell'interiorita' e' semplicemente un meccanismo umano; oppure un
altro prende un caffe', per avere all'interno una sensazione corporale forte
che lo eccita e lo tiene teso, pronto a tutte le evenienze, non importa se
con reazioni a fior di pelle, e cosa' via.
Invece il richiamo insegnatoci da Shantidas e' un atto naturale, semplice e
lineare; che giunge allo scopo voluto con la minor fatica possibile, perche'
sa bene qual e' lo scopo;  non fa sbagliare strada, ne' si affida a
stampelle che possono talvolta essere utili, ma che, come il girello, sono
degli impicci per chi sa camminare verso la meta.
Una volta conosciuto l'atto da compiere e riconosciuta la bonta' ed eleganza
del metodo per compierlo, si e'  non solo ottenuta l'introduzione alla vita
interiore, ma si e' ottenuta anche l'introduzione al metodo per viaggiare
nella vita interiore. Infatti se si e' entrati nella vita interiore in
maniera naturale e semplice, allora si sa riconoscere se le costruzioni
interiori successive, sicuramente piu' impegnative, sanno di artificiale o
sono rispondenti alla vita genuina che si cerca.
Un appello. Il testo di Shantidas in francese originariamente aveva un altro
titolo, piu' modesto: Approcci alla vita interiore. Se intendo bene, egli
voleva dire che: oltre quello cattolico dominante, c'e' anche un altro
approccio (quello orientale); e in generale ci possono essere piu' approcci,
perche' ogni approccio deve essere individualizzato; e soprattutto voleva
dire che la sua maniera di presentare la vita interiore era solo un suo
tentativo di penetrare nelle tradizioni millenarie per cercare una nuova
sintesi; non era sicuro di averla trovata. E in effetti, a distanza di
cinquant'anni sembra opinione comune che quel libro e' un gran valido aiuto,
ma non e' una soluzione completa. A quando un ripensamento della traccia
lasciataci da Shantidas per riformulare oggi l'approccio nonviolento alla
vita interiore? E, grande novita', dell'approccio al femminile della vita
interiore, che Shantidas non mi sembra abbia mai concepito? E, piu'
difficile ancora, come mettere in relazione quel suo approccio e il suo
pensiero trinitario espresso ne La Trinita' spirituale?

6. RIFLESSIONE. JEAN-BAPTISTE LIBOUBAN: PREPARARE IL CORPO ALLA NONVIOLENZA
ATTIVA
[Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX,
n. 1, gennaio-marzo 2005. Jean-Baptiste Libouban e' responsabile dell'Arca,
l'esperienza fondata da Lanza del Vasto]

La seguente presentazione di esercizi e del rappel e' stata fatta a
Montpellier in occasione di una sessione di preparazione alla difesa
popolare nonviolenta organizzata da un gruppo di Amici. Era rivolta a
persone senza ricerca interiore particolare ma che comprendevano l'interesse
di questo lavoro. Come avviene abitualmente nelle sessioni dell'Arca,
all'esposizione ha fatto seguito una dimostrazione pratica.
*
Puo' sembrare strano che un'azione nonviolenta che si sviluppa in campo
sociale o politico necessiti di una preparazione per quanto riguarda il
corpo; ma questa nonviolenza e' attiva, e mira a ristabilire un equilibrio,
a fare sparire un'ingiustizia, e' una lotta. La nonviolenza, che e' basata
sul rispetto  delle persone, degli animali e delle piante si sviluppa, con
il nome di non violenza passiva, in medicina o in pedagogia per esempio.
Questa nonviolenza, invece, e' cosi' poco passiva da richiedere una
preparazione e una formazione.
Entrare nella nonviolenza attiva, significa affrontare con tutto il proprio
essere, dunque con il corpo, le tensioni violente che nascono in ogni lotta.
Significa anche dover affrontare le reazioni che si svilupperanno in me in
direzione opposta.
Stranamente, vedremo che la nonviolenza attiva implica e sviluppa una
pedagogia verso se stessi che e' quindi dell'ordine della non violenza
passiva.
Le persone la cui attivita' pubblica e' direttamente orientata verso la
lotta, come i militari o i poliziotti, riconoscono la necessita' di una
preparazione. Non e' sufficiente possedere un fucile. La violenza, per
essere efficace, impone delle  esercitazioni.  Un'armata indisciplinata,
incapace di obbedire, i cui riflessi non sono stati addestrati a situazioni
di combattimento, e' destinata allo sbandamento e alla sconfitta.
La nonviolenza, con tutt'altro spirito pero', deve sapere imparare da loro
questa necessita' di una preparazione per affrontare la lotta. Preparazione
personale e anche formazione in gruppo. Senza un minimo di conoscenza e di
esercizio, si rischia di essere facilmente sopraffatti, noi l'abbiamo
sperimentato chiaramente nelle azioni nonviolente alle quali abbiamo
partecipato.
Parliamo anzitutto della formazione personale, poiche' rappresenta la base
dell'edificio. La disciplina personale di uomini che hanno il controllo su
di se' in una manifestazione puo' influenzare notevolmente il comportamento
di quelli che li circondano.
In tutte le arti del combattimento, vi e' una posizione, che e' allo stesso
tempo di guardia e di attacco, vigilanza e tenuta del corpo. Colui che
pratica queste arti, ponendosi in questa postura di combattimento,
ristabilisce anzitutto il controllo su se stesso, dei suoi movimenti, delle
sue membra, delle sue emozioni. E' pronto ad ogni eventualita'.
Attaccare un pugile che si e' messo in guardia e' pericolosissimo. Cosi'
come e' pericoloso attaccare un maestro in arti marziali in posizione di
combattimento: la risposta sara' fulminea.
Esiste qualcosa di simile nella nonviolenza?  Esiste una posizione di
combattimento che non ci porra' in un atteggiamento di attacco o di difesa?
Poiche' di fatto la nonviolenza e' questo: questa terza possibilita'.
Non affronteremo le cose allo stesso modo, ma e' necessario essere pronti.
In una situazione di aggressione sono capace io di non percepire
l'aggressione come l'essenziale? L'essenziale, invece, e' cio' che in me e'
vivo, e' la vita che percepisco, e' la coscienza che io ho di me stesso.
Occorre essere capaci di giungere a questo livello.
Per poter attribuire all'altro la vita e la coscienza, e' necessario che io
l'esperimenti anzitutto in me stesso, come un sesto senso. E' la base della
nonviolenza personale, che va sperimentata nell'esercizio, prima di provarne
la forza nell'azione nonviolenta. Dovrebbe essere l'oggetto di un esercizio
quotidiano.
All'Arca, questo esercizio viene chiamato "rappel" - il ritorno
all'essenziale in se stessi. E' molto semplice. Si tratta, ponendosi in una
posizione verticale e rilassata, di riprendere coscienza del proprio
respiro; di lasciarlo salire e scendere secondo il suo proprio ritmo. Dirsi:
"ecco, sono qui, sono ben presente, sono cosciente". Questo vale sempre,
ogni giorno della nostra vita. Allora, il giorno in cui le cose non vanno,
cammini, respiri, e ti dici "Ma sono vivo! Perche' mi creo tanti problemi
con me stesso? Sono qui, sono presente, questo e' l'essenziale; non sono un
pezzo di legno o di metallo che reagisce alla pressione che viene esercitata
su di lui con una forza che vi si oppone. Non sono in rapporto di reazione a
cio' che l'ambiente m'impone". Questo e' cio' che bisogna scoprire. Ho in
fondo a me stesso una capacita' di sperimentare altro da quello che mi si
presenta attorno. Vi e' dentro di me un centro di pace e di liberta' che mi
permettera' una atteggiamento diverso dalla paura, con i suoi ingranaggi di
difesa o di attacco, e che liberera' un'altra energia.
Prima di tutto, questa posizione di combattimento nonviolento mi rendera' il
controllo di me stesso e mi permettera' di ritrovare nella dignita' un
atteggiamento anche di fermezza. Solo la posizione verticale permette
dignita', distensione e fermezza.  La verticale e' abbondantemente presente
nella statuaria di tutti i popoli d'Oriente come d'Occidente, d'Africa e
d'America, perche' e' la linea del risveglio, in rapporto alla linea
orizzontale che e' quella del sonno; fra queste due vi sono tutte le
posizioni di abbandono, di rilassamento. Bisogna sapere che questa dignita',
questa distensione, impressionano l'avversario. Se sente in voi la paura,
diventate un aggressore potenziale. Se siete rilassato, gli permettete di
essere disteso a sua volta.
La verticale e la distensione del corpo permettono di entrare nuovamente
nella propria respirazione. Si potra' riprendere fiducia in se stessi,
rifare esperienza della propria coscienza, della propria realta', della
propria esistenza. Questo ci obbliga a vedere che colui che ci e' di fronte
non e' un meccano. Attraverso il nostro gesto, attribuiamo anche a lui la
vita e la coscienza.
Questa esperienza l'abbiamo vissuta in molte manifestazioni. Nel Larzac,
vedemmo arrivare in ranghi stretti le forze dell'ordine con i loro scudi di
plastica, i caschi in testa, i manganelli in mano; erano impressionanti come
guerrieri greci. Non si poteva non sentir salire la paura. Ci si diceva "fra
qualche istante ci colpira' in testa...". In quel momento, se non volete
fuggire, se volete veramente restare e testimoniare che la vostra causa e'
giusta, non vi resta che una cosa da fare: rilassarvi, rientrare in voi
stessi, accettare, avere fiducia. Forse avrete la fortuna di vederli far
marcia indietro, come a noi e' successo. Erano arrivati ad un metro da noi;
eravamo in piedi, impassibili, distesi, e loro hanno fatto marcia indietro.
Solo la nonviolenza a tutti i livelli aveva permesso questo indietreggiare
incomprensibile di quella forza armata davanti ad un pugno di uomini
disarmati. La piu' piccola reazione da parte nostra avrebbe scatenato su di
noi la valanga di manganellate e calci che era stata loro ordinata.
Abbiamo fatto la stessa esperienza a Parigi, quando vi andammo con i
contadini del Larzac. Pare certo che la polizia avesse inviato dei
provocatori, e le forze dell'ordine tiravano bombe lacrimogene contro gli
autonomi, che a loro volta tirarono pietre e ogni sorta di cose. Abbiamo
deciso, un gruppo di noi, di frapporci fra  loro. Siamo entrati nella nuvola
di gas lacrimogeno perfettamente eretti, tutti in fila, per fermare il
conflitto. Anche in quel momento bisogna fare il tuffo nel profondo di se
stessi, perche' non si sa cio' che ci aspetta dall'altra parte. E un'altra
forza sale in voi, ed e' quella che vi permette di avanzare.
A Malville, mentre i gendarmi ancora una volta tiravano lacrimogeni a destra
e a manca, si era creato un grande scompiglio e tutti correvano da tutte le
parti. Una compagna della Comunita' si e' concentrata nel Rappel. Si e'
fermata, ha cominciato a rilassarsi, a respirare e a riprendere fiducia in
se stessa. Due o tre persone allora sono venute vicino a lei: "Si vede che
non hai paura, allora veniamo con te, aiutaci". Ne sono uscite senza
incidenti.
In una manifestazione, se si arriva allo sbandamento, allo scompiglio, cio'
e' gravissimo, poiche' significa lo smembramento della manifestazione. La
gente puo' fare qualsiasi cosa, e si possono avere conseguenze molto gravi.
Allora rilassiamoci, respiriamo; ma per essere in grado di farlo e'
necessario averne fatto molta pratica. Non vi verra' certo spontaneo se non
ne avete gia' il riflesso in voi.  E' esattamente come per il pugile quando
viene attaccato: si mette in guardia. Per voi, il vostro mettervi in guardia
contro l'aggressione e' il rientrare in voi stessi, l'entrare in cio' che
avete di essenziale in voi, e che vi collega a tutti gli altri.
Di fatto, gli uomini hanno sempre creduto che vi sia un solo essere, e' una
convinzione presente in tutta la storia. Voi siete collegati agli altri,
essi lo sentono, e reagiscono anche in funzione di questo.
Un'altra compagna era entrata a far parte di un movimento rivoluzionario,
che non era specificamente nonviolento. Questo avveniva in Marocco. E' stata
arrestata e torturata dalla polizia. L'hanno buttata in una cantina e la
picchiavano. Era per terra, schiacciata.  Poi, improvvisamente, si', le e'
tornato alla mente il Rappel. Si e' rimessa diritta, ha ripreso il suo
respiro, si e' rilassata e li ha guardati. Quelli che la picchiavano hanno
abbassato le braccia e hanno smesso di picchiarla. Si sono resi conto allora
che era una persona. E' importante  rompere la relazione
persecutore-perseguitato. Il coniglio fugge davanti al cacciatore, e cosi'
lo eccita. Ogni persona che fugge eccita colui che lo perseguita. Vincere,
dominare, e' la legge del gioco. La nonviolenza tenta di rompere il gioco
per ritrovare una relazione vera. E' per questo che nella nonviolenza non
dobbiamo fuggire, perche' sarebbe dare ragione al persecutore.
Io l'ho sperimentato personalmente in  alcuni scontri violenti. Il fatto di
restare diritti e rilassati davanti a qualcuno che vuole colpirti esercita
una grandissima forza. Forse colui che e' davanti a te ti colpira', non puoi
saperlo. Se riesci a rilassarti (non dico essere sorridente, ma
semplicemente in te), e' possibile che l'avversario abbassi le braccia. A me
e' accaduto due volte. La nonviolenza ha compiuto la sua opera, ma poteva
anche non succedere; non e' sistematico; fate appello pero' a qualcosa che
e' nel piu' profondo dell'altro; voi lo sperimentate, e lui, forse, si desta
dal suo turbamento.
Cercare di entrare in questa profondita', in questo centro di noi stessi, ci
fa scoprire un nuovo aspetto di noi sconosciuto, o piuttosto non
riconosciuto in modo volontario.  Volersi rilassare puo' sembrare contrario
al buon senso, poiche' per rilassarsi bisogna abbandonare la volonta'. Ma la
presa di coscienza della respirazione volontaria e controllata conduce al
rilassamento. Noi respiriamo ma non sappiamo neppure che respiriamo. Se
fermiamo la "cogitazione" e il nostro interesse per tutto cio' che ci
circonda, iniziamo a ri-centrarci. Se osserviamo cio' che accade in noi
indipendentemente da tutto, scopriremo questo movimento regolare e
tranquillizzante. Fa pensare un poco a cio' che fa la madre quando culla il
suo bambino: piangeva, aveva paura, si calma e riprende fiducia.
E' un modo semplice per controllare le proprie emozioni, di sciogliere i
nodi della paura. Non abbiamo inventato nulla, e' esperienza di migliaia di
anni. E' certo sempre da reinventare, da scoprire nuovamente da parte di
ognuno di noi. E' anche una scoperta di noi stessi, che non richiede nessuna
conoscenza intellettuale e che permette di ricentrarci.
Ma perche' il corpo si rilassi, e' importante prendere la posizione
verticale. Se vi e' capitato di dover tenere una scala, lunga o corta che
sia, avrete notato che nella posizione verticale la tenevate senza sforzo.
Lo stesso avviene per il nostro corpo, bisogna evitare alla colonna
vertebrale le tensioni muscolari inutili a mantenere il nostro centro di
gravita'. La gravita', l'otterrete, e sara' anche sinonimo di dignita'.
Tutto cio', pero', puo' portarci lontano, perche' potrete trovarvi in
situazioni senza via di uscita. Potrete finire in prigione. E' un rischio
assai frequente della nonviolenza. Allora, anche in prigione, e' necessario
conservare, rafforzare le vostre energie, non demoralizzarsi. Questa
sorgente di energia di vita, l'avete dentro di voi, e puo' aiutarvi a far
si' che la prigione non sia un arresto della vita. Questa apertura a questa
liberta' interiore e' il contrario della disperazione, e' attaccamento
tenace alla vita, fondamento del combattimento nonviolento.
Spingendo gli avvenimenti fino al loro estremo, e' possibile che la morte si
profili davanti a voi. E' sempre il rischio di ogni combattimento, ed e'
necessario affrontare questa eventualita' a viso aperto. E' l'origine di
molte angosce, apparentemente irrazionali. Dato che comunque la incontreremo
sul nostro cammino, e' meglio guardarla in faccia  piuttosto che farci
prendere al collo dal di dietro.
Questo mi ricorda una storia del maestro zen Deshimaru. Si trovava durante
la guerra su una nave giapponese carica di esplosivi e di munizioni, nel bel
mezzo del Pacifico. I sottomarini americani accerchiavano la nave e i siluri
passavano sempre piu' vicino. Tutti a bordo erano sconvolti e si dicevano
disperati: "salteremo da un momento all'altro!". Se ci rimangono pochi
minuti da vivere, bisogna dedicarli a noi stessi. Cosi' Deshimaru si e'
seduto, ha preso la sua posizione di combattimento, cioe' la verticale, e -
nella respirazione, il rilassamento, la concentrazione - ha scacciato la
paura, ha ripreso la coscienza di se stesso. Quel che doveva succedere e'
successo. L'esplosione e' avvenuta, e se conosciamo questa storia e' perche'
Deshimaru si e' ritrovato in mare ma - per pura fortuna - c'era una tavola
di legno a portata di mano.
Non avremo certo sempre una boa provvidenziale a portata di mano, ma avremo
molto di piu', avremo imparato ad andarcene senza angoscia. Abbiamo fatto
appello a qualcosa che abitualmente ci supera, e non sappiamo mai cio' che
potra' accadere.
Il ritorno alla coscienza e' importante nella vita di ogni giorno, e
essenziale quando le cose vanno male. E' certamente un'esperienza
fondamentale nella vita. Non farlo, e' passare accanto a un'opportunita'.
Faro' forse tante cose in questa vita senza pero' essermi concesso un solo
sguardo. Forse non mi saro' mai incontrato. Non mi conosco, non so chi
sono. Forse sono il prodotto del mio ambiente sociale o culturale, o forse
la reazione a questo ambiente. Continuamente la mia liberta' mi sfugge
quando credo di esercitarla. Qui mi identifico con il mio ventre e i miei
appetiti, la' mi confondo con le ragioni della mia intelligenza.
Continuamente metto in moto un elemento particolare della mia persona, ma
raramente nel vero.
Occorre una certa distanza, uno sguardo esteriore, per giudicare l'atto che
sto ponendo, gli eventi che mi interpellano. Non s'impara in un giorno.
Necessita un continuo esercizio, e non si raggiunge mai completamente. Vi
sono persone che anche senza esercizi, riescono a raggiungere questo
distacco e questa distanza. E' una bella cosa.  Per quanto riguarda gli
altri, bisogna che sappiano che e' comunque possibile sviluppare questa
coscienza, e anche ritrovarla quando la si e' persa.
Bisogna praticare questo esercizio elementare, che anche una nonna di
ottant'anni pero' puo' fare, e anche un infermo motorio, poiche' si tratta
di smettere di "funzionare" e ritrovare se stessi.
Penso che capite bene che questo piccolo atto e' sovversivo al massimo
punto.  Contesta una societa' meccanizzata, una societa' di aggressione, di
velocita', di rumore. Mi chiedo se e' possibile dire in citta' che si
passeggia; e' vero che presso i latini questo termine significava "spingere
gli animali davanti a se gridando e minacciandoli": Eccoci. In ogni caso,
cerchiamo di respirare al semaforo rosso, invece di imprecare. Torniamo in
noi; riprendiamo coscienza che vi e' qualcosa di molto piu' importante, di
ben piu' essenziale. Cio' ci rappacifichera'.
Lanza del Vasto diceva: "Quando non posso agire sull'ambiente esterno, posso
sempre lavorare su  me stesso". Il richiamo della coscienza e' l'elemento
positivo di questo lavoro su se stessi. E' fondamentale per evitare la
disperazione. Quando nulla funziona, io sono il primo oggetto del lavoro sul
quale intervenire. Qui sta la radice della nonviolenza.
(Da "Nouvelles de l'Arche", XXXII, 10, 1984,  pp. 150-154, titolo originale:
"Preparation corporelle a' la non-violence active").

7. RIFLESSIONE. ENZO E MARIA SANFILIPPO: SAMASTHITI: ATTENZIONE E
DISTENSIONE NELLO YOGA
[Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX,
n. 1, gennaio-marzo 2005. Vincenzo (Enzo) Sanfilippo e' impegnato nel
movimento dell'Arca ed e' uno degli animatori del gruppo-laboratorio
palermitano "Percorsi nonviolenti per il superamento del sistema mafioso".
Riportiamo di seguito una breve notizia biografica di Enzo Sanfilippo
scritta gentilmente per noi nel 2003 da lui stesso: "Sono nato a Palermo 45
anni fa. Sono sposato e padre di due figli, Manfredi di 18 anni e Riccardo
di 15. Sono stato scout e capo scout fino all'eta' di 30 anni. Ho svolto il
servizio civile in un Centro di quartiere della mia citta'. Ho frequentato
l'Universita' di Trento dove mi sono laureato in sociologia. Ho perfezionato
i miei studi a Bologna in sociologia sanitaria. Dal 1989 lavoro nella
sanita' pubblica, nei servizi di salute mentale dove mi sono occupato finora
di sistemi informativi e inclusione sociale di soggetti  con disagio
psichico. Chiusa l'attivita' con gli scout, con mia moglie Maria abbiamo
cercato di impegnarci nell'area della nonviolenza. Abbiamo fatto parte per
diversi anni del Movimento Internazionale della Riconciliazione (Mir) per
poi approdare al movimento dell'Arca di Lanza del Vasto al quale aderiamo
come alleati dal 1996. Dallo stesso anno facciamo parte di un gruppo di
famiglie palermitane ("Famiglie in cammino") con  il  quale facciamo
esperienze di condivisione spirituale e sociale. Frequentiamo il Centro di
cultura Rishi di Palermo dove pratichiamo lo yoga. Con gli altri tre alleati
dell'Arca siciliani (Tito e Nella Cacciola e Liliana Tedesco) abbiamo
organizzato diversi campi su vari aspetti dell'insegnamento dell'Arca
(canto, danza, yoga, lavoro manuale, ecumenismo) presso un monastero a
Brucoli (Sr) dove Tito e Nella hanno abitato per cinque anni. Quest'anno
abbiamo acquistato una casa in campagna presso Belpasso (Ct) dove Tito e
Nella andranno ad abitare e a lavorare: la' assieme a loro e a vari amici
speriamo di riprendere le attivita' di approfondimento e di lavoro sulla
pace, la nonviolenza, l'insegnamento dell'Arca". Opere di Vincenzo
Sanfilippo (a cura di), Nonviolenza e mafia, D G Editore, Trapani 2005]

"La verticale e' la direzione dell'uomo, il marchio imperativo del suo
destino.
L'uomo sta in piedi. Gli animali si spingono in avanti a testa bassa:
davanti ad essi, rasoterra, stanno la loro preda ed il loro scopo. L'uomo in
piedi e' testimone che il suo fine e' la' in Alto, che egli si trova qui per
stabilire il legame tra cielo e terra...
Siamo attraversati dalla linea verticale...
L'atto spirituale compiuto nella Verticale compone i due opposti:
l'attenzione e la distensione, la vigilanza e la pace"
(Lanza del Vasto)

La nostra esperienza di yoga presso il Centro Rishi di Palermo fondato e
guidato dal maestro Aruna Nat Ghiri, ci ha subito riportato all'importanza
della posizione verticale, fondamentale per la pratica del "rappel".
Nello yoga la asana che corrisponde alla posizione di verticalita' si chiama
"samasthiti". Questo termine e' composto da stha che significa "tenersi in
piedi stabilmente", e da sama che vuol dire "uguale". Si tratta dunque di
una posizione in cui il corpo e' nella posizione corretta, uguale, senza
movimento, senza tensione e stabile, quindi in equilibrio. Le
caratteristiche di questa postura sono le seguenti: La testa non deve essere
inclinata ne' a destra ne' a sinistra, ne' davanti ne' indietro, ma situarsi
nel prolungamento dell'asse di gravita'. Per far questo possiamo mentalmente
immaginare quest'asse che  attraversa tutto il nostro corpo e che ci tira
dalla parte alta della testa. Il peso e' equamente distribuito tra i due
piedi. I glutei sono contratti, il pube e' sollevato. Viste di fronte le
clavicole e le spalle devono essere simmetriche e trovarsi entrambe sulla
medesima altezza; devono tuttavia essere rilassate: se i muscoli delle
spalle sono distesi vi sono buone probabilita' che si distenda tutto il
corpo. La nuca deve essere distesa (per questo il mento deve essere
leggermente in dentro) e le scapole non essere per nulla sporgenti. I piedi,
paralleli e distanti uno-due centimetri devono essere ben piantati per
terra. Il peso del corpo non deve poggiare ne' sulla dita dei piedi e' sui
talloni, ma uniformemente sull'intero arco plantare. Le braccia sono distese
con i palmi delle mani rivolti di fronte.
Per prendere consapevolezza del nostro punto d'equilibrio possiamo
brevemente "ondeggiare": a destra, a sinistra, in avanti indietro.
La respirazione sara' lenta e profonda, coinvolgendo nell'ordine le tre
parti dei polmoni: bassa, media, alta. In questa come in altre asanas la
espirazione ci aiutera' a distendere gradualmente tutte le parti del nostro
corpo rimaste innaturalmente contratte.
In questa posizione il nostro corpo e' collegato e si fa attraversare
dall'energia che ci circonda: con la nostra concentrazione mentale possiamo
collegarci e sentirci in comunione con questa energia. Ecco perche', ripresa
la verticale, possiamo concentrarci su alcuni punti del nostro corpo: dalle
piante dei piedi captiamo l'energia della terra, dai palmi delle mani e dal
plesso solare l'energia solare e infine da un punto appena esterno al nostro
corpo fisico, davanti le narici e un po' sopra il labbro superiore (laddove
sentiamo l'aria prima che entri nel nostro corpo) capteremo l'energia
cosmica.
Un'ultima raccomandazione: nello yoga attenzione e distensione sono
intrinsecamente unite e devono essere sapientemente controllate: non
eccediamo nello sforzo fisico e mentale. Anche i muscoli del volto ci
daranno un segno che tutto e' in armonia: gli occhi saranno chiusi ma non
serrati e la nostra espressione dovra' apparire rilassata e serena come a
comunicare a chi ci osservi pace, forza e gioia.

8. CONTROEDITORIALE. EUTICHIO SILVESTRONI: UNA DICHIARAZIONE DI VOTO
[Ringraziamo il nostro buon amico Eutichio Silvestroni per questo
intervento]

Tra la Costituzione di Ferruccio Parri e quella della P2, tra lo stato di
diritto e il regime della televisione, tra la sovranita' popolare e
l'asservimento a un imperatore, tra gli immortali principi dell'89 e
l'alleanza dei razzisti dei neofascisti e dei mafiosi, c'e' bisogno di dire
per cosa votero' alle prossime elezioni politiche?

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1222 del 2 marzo 2006

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