La nonviolenza e' in cammino. 1221



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1221 del primo marzo 2006

Sommario di questo numero:
1. Richiamare la coscienza. Alcuni testi da "Arca notizie"
2. Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto: Della distrazione e del richiamo
3. Rene' Doumerc: Colloquio con Shantidas
4. Giovanni Vannucci: Richiamo e preghiera
5. M. Ferre': Il conflitto e il rappel (con una premessa di Antonino Drago)
6. Leo Sassicaldi: Una dichiarazione di voto
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. MATERIALI. RICHIAMARE LA COSCIENZA. ALCUNI TESTI DA "ARCA NOTIZIE" (PARTE
PRIMA)
Ringraziamo di cuore Enzo Sanfilippo (per contatti: v.sanfi at virgilio.it) per
averci messo a disposizione tutti i testi di "Arca Notizie", trimestrale del
movimento dell'Arca in Italia, anno XX, n. 1, gennaio-marzo 2005, fascicolo
monografico sul tema "Richiamare la coscienza". Il movimento dell'Arca, come
e' noto, si richiama alla figura e all'insegnamento di Giuseppe Giovanni
Lanza del Vasto, una delle piu' rilevanti figure della nonviolenza.
*
"Arca notizie" e' un foglio di collegamento e di riflessione tra gli alleati
e gli amici dell'Arca in Italia.
Articoli e  lettere vanno inviati a: Enzo Sanfilippo, via E. Carnevale 4,
90145 Palermo, e-mail: v.sanfi at virgilio.it. L'indirizzo internet dell'Arca
in Italia e': http://digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto
Per ricevere "Arca Notizie", il contributo e' di 15 euro da versare sul
conto corrente postale numero 14079214 intestato a: Zendali Patrizia, Via
Sottocampagna 65, 21020 Comabbio (Va).
*
Del fascicolo citato riportiamo qui di seguito l'intero sommario:
- Continuiamo il cammino
- Della distrazione e del richiamo, di Lanza del Vasto
- Colloquio con Shantidas, di R. Dumerc
- Richiamo e preghiera, di G. Vannucci
- Il conflitto e il rappel, di M. Ferre'
- Il rappel di Lanza del Vasto, richiamo fisico e all'attenzione, di A.
Cozzo
- Il canto come richiamo alla Presenza, di L. Tedesco
- Riflessioni ed esperienze sul rappel, di A. Nelli
- Il richiamo, di A. Drago
- Preparare il corpo alla nonviolenza attiva, di J. B. Libouban
- Samasthiti: attenzione e  distensione nello Yoga, di E. e M. Sanfilippo
- "Famiglia Cristiana" si schiera per l'obiezione alle spese militari
- Vita dell'Arca
- Incontro per il rinnovo della promessa
- Capitolo generale internazionale
- Lettera dalle Tre Finestre, di N. Restivo
- Notizie da  Casciago, di G. e P. Zendali
- Benvenuta Laura
- Convegno su nonviolenza e mafia
*
Trascriviamo e ridiffondiamo attraverso il nostro notiziario quotidiano
alcuni dei materiali li' proposti. Con alcune forse opportune avvertenze. E
ci si perdoni la frettolosita' delle righe seguenti.
In primo luogo: abbiamo scelto solo alcuni testi, quelli piu' specificamente
di riflessione.
In secondo luogo: segnaliamo che, come e' noto, purtroppo le traduzioni
italiane degli scritti e dei discorsi di Lanza del Vasto sono sovente
inadeguate: sarebbe giunto da un bel pezzo il momento di procedere sia a
un'edizione critica dell'opera di Lanza del Vasto, sia a una traduzione
italiana integrale condotta con criteri filologici adeguati.
In terzo luogo: la proposta di Lanza del Vasto e' solo una delle tradizioni
della nonviolenza. Altre ve ne sono. Lo scriviamo affinche' non abbiano
luogo atteggiamento dogmatici o penosi fraintendimenti.
Chi scrive queste righe, e di questo persuasamente plurivoco notiziario
quotidiano reca per cosi' dire la responsabilita' ultima, ad esempio,
personalmente propone un approccio alla nonviolenza, e della nonviolenza una
nozione, per piu' versi finanche alquanto distanti e sostanzialmente diversi
da quelli degli amici dell'Arca, e non condivide alcuni aspetti talora anche
centrali della riflessione, dello stile e della proposta di Lanza del Vasto
(come, del resto, anche di altre figure assai significative della
nonviolenza, Gandhi incluso, per cui prova comunque grande ammirazione ed al
cui ascolto, va da se', sia pur criticamente comunque si colloca): la cosa
migliore della nonviolenza e' che essa non e' un canone, ne' un'ideologia,
ma una scelta di lotta contro la violenza e di ricerca della verita', di
pensiero critico e di azione coerente, che ogni persona che ad essa si
accosta puo' e deve fondare non solo sulla conoscenza di esperienze e
riflessioni gia' date ma anche su originali, autonome, persuase meditazioni
e scelte (e ad esempio chi scrive queste righe ritiene che le due maggiori
esperienze storiche della nonviolenza in cammino siano quella del movimento
dei lavoratori e quella del movimento delle donne; le esperienze e le
riflessioni di Gandhi, o di Capitini, o di King, o di Dolci, sono certo
utilissimi punti di riferimento, ma chi ritenesse che la nonviolenza
consiste nell'adeguarsi pedissequamente a quelle - e, peggio, solo a
quelle - esperienze e riflessioni, assunte come verita' assolute,
destorificate, adialettiche e decontestualizzate, tradirebbe il senso stesso
della scelta nonviolenta, che e' sempre anche appello alla responsabilita'
personale nella concretezza dell'impegno esistenziale e storico, analisi
contestuale e lotta situata, e quindi altresi' ripudio e contrasto di ogni
autoritarismo e totalitarismo, di ogni alienazione e asservimento). La
nonviolenza e' molte cose: in primis lotta contro la violenza e la menzogna
che denega l'umana dignita', e quindi e' anche un campo di ricerche e di
discussione sempre aperta: chi volesse ridurla a una sola delle sue molte
tradizioni o esperienze, o irrigidirla in un involucro di precetti
indiscutibili o in un'istituzione gerarchica o in uno stile che esclude
altre culture ed altre visioni, con cio' stesso la denegherebbe alla radice.
Vi sono nella scelta della nonviolenza alcuni principi fondamentali: come il
ripudio intransigente della violenza e della menzogna, che si estrinseca e
invera nella lotta contro ogni forma di oppressione; il riconoscimento di
umanita' che umanita' invera nella relazione con l'altra e l'altro, ovvero
la lotta per la dignita' umana di ogni essere umano; la coerenza tra i mezzi
e i fini; ma questi criteri per l'azione, che l'azione nonviolenta
caratterizzano, sono traducibili in vari linguaggi, componibili con diverse
tradizioni di prassi e di pensiero, e per cosi' dire vivono nell'infinita
apertura al tu e ai tutti.

2. RIFLESSIONE. GIUSEPPE GIOVANNI LANZA DEL VASTO: DELLA DISTRAZIONE E DEL
RICHIAMO
[Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX,
n. 1, gennaio-marzo 2005. Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto ("Shantidas" e'
il nome che gli attribui' Gandhi) e' una delle figure piu' grandi della
nonviolenza; nato nel 1901 a San Vito dei Normanni da madre belga e padre
siciliano, studi a Parigi e Pisa. Viaggia e medita. Nel 1937 incontra Gandhi
nel suo ashram. Tornato in Europa fonda la "Comunita' dell'Arca", un ordine
religioso e un'esperienza comunitaria nonviolenta, artigianale, rurale,
ecumenica. Promuove e partecipa a numerose iniziative per la pace e la
giustizia. E' deceduto in Spagna nel 1981. Tra le opere di Giuseppe Giovanni
Lanza del Vasto segnaliamo particolarmente: Pellegrinaggio alle sorgenti,
Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Che cos'e' la nonviolenza, L'arca aveva
una vigna per vela, Introduzione alla vita interiore, tutti presso Jaca
Book, Milano (che ha pubblicato anche altri libri di Lanza del Vasto);
Principi e precetti del ritorno all'evidenza, Gribaudi; Lezioni di vita,
Libreria Editrice Fiorentina, Firenze; In fuoco e spirito, La Meridiana,
Molfetta (Ba). Le comunita' dell'Arca - cosi' come gruppi e persone amiche
di questa esperienza - sono diffuse in vari paesi e proseguono la
riflessione e l'esperienza del fondatore; per informazioni e contatti:
digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto/ e anche (in francese)
www.canva.org]

Pensate a una giornata qualsiasi. La sveglia suona, sono le 6 e mezza.
Aprite un occhio e pensate: "Ah! oggi e' mercoledi': non devo dimenticare
l'appuntamento che ho con quello la' alle 4 oggi pomeriggio al Caffe' del
Progresso...". Non avete ancora aperto il secondo occhio che gia' vi trovate
proiettati dall'altra parte della citta', dieci ore prima, con quello la'.
Torniamo a noi: presto, il bagno. La colazione: il giornale per sapere cosa
succede nel Sud-est asiatico o in Nicaragua. Ore 7 e 20, stavo per
dimenticare l'ora. Uno sguardo in giro prima di uscire dalla camera. Non ho
dimenticato niente? Il portafoglio, la cravatta, le chiavi, no, niente. Si'.
Che cosa? Te stesso. Ma l'importante e' non perdere l'autobus. Lo prendo per
un pelo. Arrivo in ufficio, sbrigo la posta, rispondo al telefono. Ricevo
due visite. Firmo un contratto. Mezzogiorno, rientro, mangio. Riparto, la
posta, il telefono, il contratto, le visite. Finalmente arriva la sera.
Crollo dalla fatica: andiamo al cinema a vedere le galoppate nelle Montagne
Rocciose, corriamo a indossare altre vite al posto della nostra. Rientro
tardi, vado a letto. Spengo. Questa volta sono solo con me stesso, o
perlomeno ho rischiato di esserlo per un momento, ma subito mi sono
addormentato...
Ecco l'incatenamento: la catena dei doveri, dei lavori, delle
preoccupazioni, delle abitudini, delle necessita', della vanita' che si
legano fuori, all'Altro. Come uscirne? Si', come uscire dall'esteriore?
Tu me lo chiedi? Eppure e' facile: voltandoti indietro.
Quest'azione semplice e decisiva si chiama per lo spirito conversione.
La Conversione e' liberarsi e distaccarsi dal mondo e dirigere
l'intelligenza, il cuore, i gusti, le forze verso il Dentro.
Verso il "divino Dentro delle cose" come dicono gli Egizi, ma prima di tutto
verso il dentro di Se stessi.
Poco fa parlavamo di venti contrari. Il piu' forte, quello che ci manda alla
deriva, e' precisamente la Distrazione. Ci sono tre gradi di distrazione:
1. Prima di tutto, la distrazione totale: la distrazione di chi e'
perennemente stordito; l'occhio vacuo, la bocca aperta, non e' mai li' dove
e'. Non pensa mai a niente. Sbatte contro tutto. Casca li'... E' lo stato di
distrazione disastrosa... Di un uomo in collera si dice che e' "fuori di
se'". Il distratto passa la vita a essere fuori di se', senza nessuna
collera. Questo stato di distrazione, di disordine, di incoerenza, di
perpetua stupidita', non e' uno stato piacevole, e' la polvere dell'anima,
e' la corruzione dell'intelligenza - ma corruzione e' troppo umido, troppo
odoroso -, diciamo polvere.
2. Poi c'e' la distrazione gradevole di chi si diverte a distrarsi, di chi
si compiace. E' molto ricercata la distrazione, le dis-trazioni... i
di-vertimenti... perche' e' la stessa parola "dis": al di fuori, a caso,
e-vertere: voltarsi. Ci si distrae ogni volta che si puo', ma non si puo'
sempre: non si puo' vivere nelle distrazioni, purtroppo; non ci si puo'
divertire tutto il tempo; bisogna cercare di essere seri.
3. Ci sono poi le distrazioni serie. Che si chiamano gli affari. Oppure gli
studi. Se cercate la ragione del grande zelo che spinge la gente agli studi
o agli affari, non crediate che si tratti di un immenso amore per il dovere,
o di uno sforzo immenso per vincere la pigrizia. No. Ve ne accorgerete il
giorno in cui li si mette in pensione; non sanno piu' cosa fare di se
stessi... Questi essi stessi di cui non si sono mai occupati, ecco cio' che
cade nelle loro braccia... Ben presto si dedicheranno a qualche malattia,
sola distrazione sufficientemente seria per rimpiazzare le passate
occupazioni.
Se la Distrazione e' una malattia dello Spirito, come guarirne se non
attraverso l'Attenzione, l'Attenzione Interiore?
Ma quando, chiudendo gli occhi, volgo lo sguardo verso il Dentro, cosa vedo?
Niente, il nero. E' per questo che mi spavento o mi annoio, e' per questo
che mi sfuggo.
E dite un po', vi e' mai successo, lasciando una strada soleggiata, di
entrare in una cantina? Cosa vedete nella cantina? Il buio. No, neanche il
buio, ma un offuscamento di puntini luminosi danzanti negli occhi. E quanto
tempo ci vorra' per vedere nel buio? Venti minuti. E se nella cantina c'e'
un tesoro, quanto tempo per veder luccicare il tesoro? Un'ora.
Ma chi di voi e' rimasto per un'ora, lo sguardo fisso nell'ombra del Dentro?
Fatelo e vedrete!
Non vi dico cio' che vedrete e non vi domando di credermi. Non vi domando di
credere a quello che avete sentito dire o a quello che avete letto, ma di
andare a vedere e di ritornare a dire quello che avete visto.
Certo, tenersi un'ora di seguito davanti a se stessi nell'ombra, non sara'
il primo passo, perche' e' troppo difficile. Bisognera' incamminarsi un po'
alla volta. Il primo passo sara' vincere "la corrente contraria"
dell'incatenamento, il "vento contrario" del trascinamento, della
dispersione, della dissipazione totale che e' lo stato del non-essere.
Essere disperso e' come non essere. Il primo esercizio che vi proponiamo,
amico frettoloso e carico di affari importantissimi, non vi domandera' ne'
un'ora, ne' una mezz'ora, ne' un quarto d'ora, ma tre minuti; e qual e'
l'uomo indaffarato che non prende tre minuti per lavarsi le mani? Ancora,
forse tre minuti sono troppi; tagliamoli in sei pezzi: sei volte durante la
giornata, tre volte al mattino, tre volte al pomeriggio, tenetevi sospesi.
Fermatevi. Avete fretta? Ragione di piu' per riprendervi! Avete da fare?
Fermatevi, altrimenti farete delle sciocchezze. Dovete occuparvi degli
altri? Ragione di piu' per cominciare da voi stessi, per paura di far del
male agli altri.
Dunque, staccate, distendetevi: mezzo minuto ogni due ore, fermatevi.
Lasciate l'attrezzo. Tenetevi nella verticale. Respirate largamente.
Ritirate i vostri sensi all'interiore. Restate sospesi davanti al nero e al
vuoto interiore.
E anche se non succede niente, avrete rotto la catena della precipitazione.
Ripetete "mi richiamo, mi riprendo". E' tutto. Ditelo a voi stessi, ma
soprattutto fatelo. Raccoglietevi, come si dice cosi' efficacemente.
Raccogliersi, e' radunare tutte le briciole disperse del Se', che restavano
aggrappate qua e la'. Rispondete come Abramo a Dio che lo chiamava,
rispondete "Presente" (adsum).
Si tratta dunque di restare presenti a se stessi e a Dio per mezzo minuto.
Sospeso all'apertura del pozzo interiore.
E' poco probabile che in cosi' poco tempo si arrivi a un tuffo profondo nel
mistero dell'Io, ma non e' impossibile con la grazia di Dio.
Nonostante cio', anche se non succede niente in questo momento di
sospensione, avremo rotto la catena degli avvenimenti che ci tiene
prigionieri, l'avremo rotta in sei punti, e avremo innescato la liberazione.
Inoltre, se vogliamo non solo richiamarci alla coscienza, ma anche
ricordarci che dobbiamo richiamarci ogni due ore, ci dovremo esercitare a un
richiamo latente e continuo che ci sara' di sostegno a tutte le azioni e a
tutti i pensieri della giornata.
Il Richiamo e' il primo passo verso la conoscenza di se' o coscienza...
E certamente niente e' piu' necessario di questo tuffarsi nella notte.
Perche' l'uomo e' incapace di verita' fino a quando non riconosce l'errore
concernente il proprio essere.
Riconoscere l'errore e' gia' apertura alla verita' e spinta verso di essa.
Poiche' non si puo' andare piu' lontano del nulla. E nel nero non si puo'
dimorare.
Il richiamo e' il primo passo in senso inverso, il piu' umile grado della
risalita.
Questo primo passo, anche se piccolo, e' decisivo e d'infinita conseguenza
perche' e' il primo, senza di esso gli altri sono impossibili o illusori.
Abbiamo visto che tutto comincia dalla testa.
L'inizio della testa e' l'occhio.
L'inizio del pensiero e' lo sguardo dell'intelligenza o Attenzione.
Il Richiamo e' la conversione dell'Attenzione, il ritorno dello sguardo.
Per mirare al bersaglio, arciere, i tuoi due occhi sono di troppo: chiudine
uno!
Se il bersaglio e' interiore, chiudine due e tira!
Il primo passo sulla buona strada. E la strada e' buona, anche se e' in
salita, pietrosa e soprattutto stretta.
Piu' stretta della cruna di un ago, ne' i cammelli bardati ne' le ricche
intelligenze potranno passare in quel punto esatto e rigoroso che e' il vero
Io.
Ma al di la' tutto si apre e si tramuta in luce.
Sappiatelo, vi invito ad una grande avventura!
(Da Lanza del Vasto, Introduzione alla vita interiore, Jaca Book, Milano
1989, pp.41-44).

3. RIFLESSIONE. RENE' DOUMERC: COLLOQUIO CON SHANTIDAS
[Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX,
n. 1, gennaio-marzo 2005.
Rene' Doumerc e' responsabile di una comunita' di "Amici dell'Arca". opere
di Rene' Doumerc: Dialogues avec Lanza del Vasto, Albin Michel, Paris 1983.
Shantidas, come e' noto, e' il nome dato da Gandhi a Lanza del Vasto]

- Doumerc: Mi permetta  d'insistere. Quando scoprii il suo insegnamento, fui
colpito da questo primo esercizio che lei proponeva, "le Rappel", "il
Richiamo della Coscienza". Mi ricordo quei primi opuscoli mensili, "Les
Nouvelles de l'Arche", nei quali lei presentava questo esercizio di entrata
in se'. Lei sottolineava che non si trattava che di un primo passo. Eppure
sembrava che lei proponesse questa introduzione di carattere essenziale e
circoscritto precisamente a causa di questa sua sobrieta' intesa come
protezione contro le sensibilita' affettate di devozione. Sembrava esserci
in lei una diffidenza verso l'affettivita', e questo aspetto, devo dire, mi
era piaciuto. Anche in Approche de la Vie Interieure lei ricollega questo
metodo alla tradizione carmelitana della quale dice di condividere la
diffidenza (se non il rifiuto) per le "consolazioni sensibili", le
immaginazioni e i ragionamenti discorsivi.
- Shantidas: Non ho mai posto il nostro metodo come esclusivo di una vita
religiosa sentita. E' il contrario della sentimentalita' il fatto di
riunirsi e cercare di sentire la presenza di Dio indipendentemente dai
legami che ci sono fra noi, di mettere fra noi il legame della Presenza di
Dio.
Fin dall'inizio ho parlato di conoscenza, di possesso e di dono. C'e' una
tecnica per la conoscenza e il possesso di se'; su questa tecnica si doveva
insistere subito, altrimenti non vi e' possibilita' di dono. Non rinnego
affatto questo aspetto, lo mantengo: se non conosci te stesso, se non ti
possiedi, non puoi dare niente ne' a Dio ne' agli altri. Ma per il dono non
vi e' tecnica, il dono e' precisamente l'effusione, la spontaneita' e
l'abbandono al movimento dello Spirito. Il senso critico consiste a ben
verificare se si tratta di un movimento dello Spirito o di altro, di qualche
ubriacatura personale o collettiva.
Il dono di se' suppone una conoscenza di se stessi e un possesso di se
stessi, ma quando soffia lo Spirito non si tratta solo di dare, si deve
anche ricevere dall'Alto e lasciar passare un'ispirazione attraverso di se'.
- Doumerc: Il richiamo della coscienza permetterebbe dunque all'ispirazione
di scendere: ispirazione e raccoglimento non sono due aspetti della vita
spirituale senza legame; il ritirarsi in se' e' quindi una preparazione e
un'attesa di questa ispirazione?
- Shantidas: Come abbiamo sempre detto, il richiamo della coscienza prepara
non solo a ricevere ma anche a contenere. Non dobbiamo essere un vaso bucato
nel quale la grazia scende e se ne va; dobbiamo essere capaci di contenere
quello che abbiamo ricevuto, farlo maturare per poterlo dare in un secondo
tempo. Solo coloro i cui vasi non hanno crepe possono farlo.
- Doumerc: La pratica del Rappel (Richiamo a se') non ci da' inoltre un
certo discernimento in rapporto a quelle invasioni che possono essere o
sentimentali o spirituali? Lo stato di Richiamo, il ritorno a se', permette
di fare la discriminazione; si puo' anche filtrare cio' che arriva. Non
pensa?
- Shantidas: Si', ma non c'e' solo il Rappel, c'e' anche lo spirito critico:
cosi' come il buon senso. Si parla della follia della Croce, ma e' una
follia agli occhi degli imbecilli; e' una sapienza di Dio.
- Doumerc: Per quanto mi riguarda, quello che il Rappel mi ha insegnato e'
proprio a tenere i pensieri, a far si' che non sia trascinato
automaticamente dalle idee. Lei dice giustamente in Approches de la Vie
Interieure che non si tratta di rimbambirsi, ma di imparare a pensare, o
qualcosa di simile... E' in questo senso che l'esercizio di presenza a se'
mi pare atto a controllare ogni esaltazione e a dare il discernimento delle
vere piste spirituali, nella misura in cui ci insegna a contenere questa
intrusione forte ma confusa di sentimenti, immagini o idee.
- Shantidas: I trascinamenti contro i quali dobbiamo guardarci sono quelli
dal basso e di lato: ci lasciamo andare a qualsiasi impulso. Le idee che
circolano, le prendiamo senza neanche accorgercene e le ripetiamo come se le
avessimo inventate noi, ecco quello che dobbiamo evitare. Dobbiamo chiuderci
verso il basso e aprirci verso l'alto;  se ti chiudi dappertutto sei morto.
Non si tratta di chiudere tutte le porte, ma di consolidare le pareti e il
fondo.
- Doumerc: Questo ritorno silenzioso su di se' che chiamiamo Rappel, sono
sorpreso di sentirle dire che inclina all'aridita'. Noi lo predichiamo
continuamente ai nostri amici del Gruppo come esercizio da fare con pazienza
e costanza, poiche' ci apre la porta di mille presenze; perche' considero
che dia una presenza a se' e agli altri e alle cose, a quei grandi alberi
del parco che guardo in questo momento, una presenza incredibile, che mi
sostiene continuamente. Il fatto di praticare il Rappel fedelmente mi ha
fatto uscire dalla mia aridita' e dalla mia angoscia perche' mi ha messo in
comunicazione con il mondo e gli esseri. Certo, se ci esaminiamo
continuamente al punto di dirci: "devo ad ogni costo cacciare tutti i
pensieri... vediamo se i pensieri sono spariti, vediamo se ci sono
ancora...", capisco che possa diventare un rompicapo; dunque... potreste
forse completare quello che cerco di esprimere?
- Shantidas: No, la vostra testimonianza e' eccellente. Non si e' mai
trattato di negare il Rappel. Non ho parlato di aridita' come conseguenza
necessaria del Rappel, ho parlato di un rischio quando non se riceve nulla
dall'Alto. Lo stesso accade con la meditazione, se non ti succede mai altro
che lo sforzo di concentrarti senza raggiungere la gioia nel riposo. E' a
quel punto che occorre anche altro... L'uccello spirituale ha due ali, se ne
fai battere solo una, cadi...
- Doumerc: C'e' un'altra critica che viene fatta a volte al Rappel: sarebbe
un esercizio che, riportandoci a noi stessi, impedirebbe il dono di se'; il
richiamo a se' sarebbe in contraddizione con la chiamata al dono. Come
rispondere a questo appunto?
- Shantidas: Rispondiamo come l'Ecclesiaste: "Vi e' un tempo per raccogliere
le pietre e un tempo per lanciare le pietre". Se vuoi lanciare le pietre
senza mai raccoglierle non avrai pietre da lanciare; se vuoi sempre
precipitarti verso l'altro e dare, dare, dare e dimenticare te stesso, ti
sfinirai, ti vuoterai, senza colmare nessuno. Dunque ripeto: non vi e'
contraddizione nel fare gesti complementari. Vi e' un alto, un basso, un
avanti, un dietro, un lato e un altro lato; e' necessario prendere la vita
spirituale in tutte le direzioni, ma credo che l'insegnamento fin
dall'inizio, dica queste cose. In Approches de la Vie Interieure tutti
questi aspetti vengono esaminati; si puo' essere attirati piu' da una parte
o da un'altra secondo le proprie tendenze personali, ma dobbiamo sempre
tendere a completarci.
- Doumerc: La mia esperienza e' che la pratica stessa del Rappel e' un
apprendistato del dono di se', perche' e' un esercizio che consiste a
rifiutare un certo "io", a metterlo da parte per un momento, a dimenticare
un momento, per esempio, lo smacco che questo "io" ha appena subito, o a non
pensare alla replica, alla presa, al possesso che riempiranno il vuoto, ed
e' in questo che e' difficile il Rappel. E' un esercizio nel quale si
rinuncia a se', umilmente e per breve tempo certo, ma in modo vero.
E' gia questo un esercitarsi al dono di se', poiche' e' quantomeno
esercitarsi alla rinuncia a se' e il germe del dono e' proprio li' in questo
assottigliarsi del personaggio, nel distacco e nel silenzio: questo breve
rivolgimento interiore mi dara' in seguito, se Dio aiuta, il potere di
disfarmi delle mie formicolanti preoccupazioni e calcoli per rivolgermi
completamente verso quel passante che chiama, per rendermi completamente
disponibile... se', esercizio di Amore.
- Shantidas: Hai detto molto bene, non ho nulla da aggiungere.
- Doumerc: Lei dice che questo esercizio di presenza a se' e' una condizione
per porsi veramente in presenza di Dio. In questo silenzio vigile di tutto
l'essere, la preghiera trovera' la sua sorgente e la sua forza...
- Shantidas: Il Rappel e' un "seme di contemplazione", per riprendere una
espressione di Thomas Merton...
(Da Rene' Doumerc, Dialogues avec Lanza del Vasto, Albin Michel, Paris 1983,
capitolo "Ispirazione, richiamo, preghiera", p. 127).

4. RIFLESSIONE. GIOVANNI VANNUCCI: RICHIAMO E PREGHIERA
[Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX,
n. 1, gennaio-marzo 2005. Un profilo di Giovanni Vannucci  - curato dalla
redazione di "Arca notizie" - e' in apertura del testo che segue]

Premessa redazionale
Riprendiamo da Invito alla preghiera di G. Vannucci, L.E.F., Firenze, 1979
il capitolo dal titolo "Silenzio" (pp. 13-19).  Padre Giovanni Vannucci
(1913-1984), sacerdote dal 1937, monaco dell'Ordine dei Servi di Santa
Maria, fu a piu' riprese insegnante di esegesi biblica e di lingua greca ed
ebraica, e piu' tardi di storia delle religioni presso il suo Ordine. La sua
vita, animata da un grande amore per la verita' e la fraternita' condivisa,
ebbe alterne vicende; soffri' incomprensioni a causa della sua vastita' e
liberta' di pensiero, in anticipo sui tempi. I suoi interessi culturali
vastissimi, affrontati con passione e serieta', spaziavano tra Sacra
Scrittura, liturgia e tradizione, mistica, ricerca linguistica e
gnoseologica. Vannucci scrisse molto, curo' alcune collane e collaboro' a
varie riviste. Il frutto piu' bello della sua vita e della sua ricerca,
pero', si concretizzo' nel 1967 quando pote' dare avvio a una nuova forma di
vita monastica nell'eremo di San Pietro alle Stinche, presso Panzano in
Chianti (Firenze), con il semplice intento di offrire un luogo di silenzio,
di lavoro e di meditazione aperto a tutti. E' autore de Il libro della
preghiera universale, utilizzato all'Arca per la preghiera quotidiana in
comunione ogni giorno con una diversa tradizione religiosa. Le introduzioni
ai vari giorni sono le stesse che ritroviamo ne L'Arca aveva una vigna per
vela di Lanza del Vasto, pubblicato in Francia nello stesso anno.
La redazione di "Arca notizie"
*
Non si prega soltanto col sentimento o con le labbra o con la mente, ma e'
l'uomo stesso che deve trasformarsi in creatura orante, cioe' deve trovare
l'equilibrio perfetto del suo essere, passare dal disordine ad uno stato di
armonia, di pace, di rasserenamento delle sue forze. Ora vorrei indicare un
modo di preghiera che risponda meglio alla vostra necessita' di uomini che
vivono in tempi agitati e rumorosi: quello che consiste nel creare durante
il corso delle giornate delle pause di silenzio, che favoriscano la
comunione con quanto veramente ha valore.
Tutti gli spiriti grandi hanno avuto momenti di supremo raccoglimento e
anche noi dobbiamo riuscire nella nostra giornata a trovare quella sosta
nella quale ci sia consentita la scoperta della santita' del nostro essere,
la rivelazione del senso della vita, per poi rientrare nell'esistenza cosi'
chiassosa e travagliata, con mente piu' calma, con una capacita' di sicuro
dominio di noi e degli eventi; con una forza nuova di spirito, che ci
permetta di attraversare i giorni senza fare spreco del dono del tempo.
Nel primo capitolo del Vangelo di San Giovanni, ci viene comunicata una
grande verita': il Verbo di Dio era la luce degli uomini; luce che illumina
ognuno che viene in questo mondo. Parola sconfinata! Il Verbo di Dio
illumina ogni uomo senza distinzioni di razza, di sangue, di nazione. Ogni
uomo: senza distinzione di titoli, di partiti, di religione. Egli illumina
il cinese come il romano, l'uomo che nasce a Mosca come chi nasce a Roma;
illumina il boscimano e il pigmeo come illumina il genio. Ogni uomo dunque,
fin dal suo apparire, e' illuminato dalla luce di Cristo. E noi portiamo
nella parte piu' santa del nostro essere tale luce che viene da lui.
Ora, l'impegno religioso di ciascuno, mi sembra consista nello scoprire la
luce che scende in noi dall'alto. E come arrivare a tanto, se permettiamo
che siano accesi nella nostra esistenza altri chiarori di origine diversa?
Come possiamo ascoltare la parola di Dio, quando i nostri orecchi sono
sensibili a troppe altre voci che giungono dal di fuori?
Consideriamo il mistero della nascita di Cristo: non nasce nella citta'
distratta e piena di rumori, ma nella grotta silenziosa e nel buio della
notte. Tale e' il mistero della nascita di Dio in noi: non puo' nascere in
noi finche' siamo travolti e storditi dal rumore, finche' in noi ci siano
delle forze che ci trascinano all'esterno. Eppure la luce di Dio e' la perla
preziosa che portiamo nel cuore. Il cammino verso il silenzio che accoglie
la nascita di Dio e' l'impegno religioso che risponde alla nostra condizione
piu' di tutte le altre pratiche devozionali che possiamo avere escogitato.
Tale impegno mi sembra consista precisamente nel riuscire a vedere la luce
del Verbo di Dio che splende in noi. Perche' in noi c'e' il Signore e c'e'
la possibilita' di raggiungerlo; in noi c'e' lo Spirito ed abbiamo la
possibilita' di entrare in comunione con lui. Se ancora non abbiamo
coscienza che Egli e' presente, cio' significa che siamo distratti. Se
ancora non siamo uomini ordinati, rinati, emersi dal caos del mondo
meccanico, dipende unicamente ed esclusivamente da noi.
Dio e' sempre presente, da noi richiede  la  generosita' di passare in una
dimensione del tutto diversa da quella della nostra vita giornaliera, dove
splendono luci che non sono di Dio. In Dio esiste solo il silenzio, dal
quale germoglia la parola eterna, che aiuta la nostra realta' terrena a
trovare il vero ordine. Di tanto in tanto accadono fatti che ci colgono di
sorpresa colpendoci nel profondo: la morte improvvisa di una persona cara,
per brevi istanti, ci fa entrare nella dimensione delle realta' non
effimere; un insuccesso, una malattia, qualcosa che non va secondo la nostra
aspettativa, possono costituire un richiamo violento ai veri valori. Pero'
appena abbiamo consegnato la persona cara alla tomba, torniamo a casa
parlando di tutt'altre cose, dimentichi del mistero che e' passato su noi.
Siamo dei grandi disordinati ed allora dobbiamo trovare con costanza e
fermezza e sforzo continuo quegli atteggiamenti che ci permettano di
scorgere la luce del Verbo.
Tale sforzo mi sembra che avanti tutto debba essere volto a distaccare la
nostra luce interiore, la parte piu' santa di noi, da tutte le realta'
esterne; e rientrare in noi stessi, e vivere in perfetta comunione con le
realta' sacre, dalle quali siamo continuamente stornati dal mondo che ci
assedia, per creare degli spazi di silenzio nella nostra giornata. Cio' non
vuol dire che dobbiamo soffermarci in una qualsiasi meditazione religiosa;
ad esempio, se sosto a pensare sul mistero di Dio e cerco di ricordare la
moltitudine delle definizioni che di Dio sono state date; a rievocare quanto
su Dio hanno detto tutte le religioni, non faccio silenzio in me, perche' in
me resta ancora attiva la mente. Il nostro pensiero e' sempre qualcosa di
aggiunto al nostro io interiore. La mente e' lo strumento che ci serve per
il dominio dell'universo, per la scoperta delle leggi dell'esistenza, ma
nella comunione con lo Spirito dobbiamo far tacere la nostra mente ed il
pensiero. Se mi chiedete come, risponderei cosi': scegliete nella vostra
giornata una pausa di raccoglimento, possibilmente  al mattino - e' l'ora
migliore - oppure al vespero, quando tutta la natura si placa. Un tempo di
silenzio totale c'e' anche nella natura, nel passaggio dalla luce alle
tenebre e viceversa.
Cercate, in questi attimi, di essere soli; totalmente soli,liberi dalle onde
che vengono dal nostro essere sia mentale, sia emotivo, sia fisico; di
sentirvi delle realta' oranti, in comunione con lo Spirito Santo. Fate che
queste pause siano cosi' intense da stabilire il silenzio intorno e dentro
di voi. Dio esiste, lo Spirito passa sulla nostra vita, la luce di Cristo
continua a irradiare la parte piu' viva di noi, ma se noi teniamo gli occhi
chiusi non abbiamo alcun diritto di lamentarci se continuiamo a sentire Dio
lontano. Siamo come l'uomo che tiene le finestre chiuse e si lagna che il
sole non sorge. Apri le finestre e poi il sole entrera' trionfante, anche
nella tua stanza.
Questi non sono che dei suggerimenti. Ognuno dovra' comportarsi secondo il
proprio spirito e le proprie possibilita'. Ma vorrei che ciascuno sapesse
vincere tutte le pigrizie per eseguire con fedelta' questo esercizio.
Scegliete dunque il momento: al mattino o alla sera; poi scegliete anche un
posto che sia tutto vostro; un posto adatto, raccolto, che aiuti anche il
fisico a placarsi, dite addio a tutto, e liberatevi da ogni inquietudine. Il
lavoro vi attende? Il lavoro aspettera' la sua ora. Preoccupazioni, problemi
seri, angosce forse, difficolta' di qualsiasi genere, malattie, amarezze,
tristezze, alla soglia di quel recinto devono tacere. E' necessaria una
grande costanza, e non avvilirsi mai, e non stancarsi mai. Noi occidentali
non siamo piu' abituati alla contemplazione, lo sforzo deve essere piu'
rigoroso ed assiduo. Impiegheremo degli anni, e molti forse, prima di
riuscire a fare in noi un silenzio totale; insistendo, il proposito sara'
pienamente coronato. Ma uno potrebbe dire ancora: come faccio a dimenticare
i problemi urgenti della mia famiglia e del mio lavoro? Ecco, se non voglio
pensare a una sedia, quando mi si presenta l'idea della sedia, rimango fermo
come se questa idea non si fosse presentata allo spirito. Ad un certo
momento cessera' di salire sullo schermo della mia fantasia ed io potro'
continuare il cammino della contemplazione. Oggi ho un esame, una lezione
che mi impegna, un lavoro urgentissimo e difficile, non importa: in quel
momento mettete tutto da parte. Questi pensieri torneranno, ma se voi
rimanete fermi come statue, vedrete che essi lentamente si dilegueranno, per
ripresentarsi, al momento in cui dovrete affrontarli. Avete delle persone in
famiglia che vi danno inquietudine? Avete qualcuno che vi angustia? In quel
momento dimenticate tutto. Non dico questo perche' siate privi di amore; ma
quel momento e' tutto vostro; e' l'ora del cammino che parte da voi e
termina in Dio. E' il cammino che Plotino definiva come "solus ad solum"; e'
il movimento del solitario per raggiungere ed immergersi nella pienezza
divina dello Spirito Santo.
Mettete da parte tutti i vostri piani di lavoro, le vostre speranze, quanto
vi attende nella giornata; dimenticate tutto, ogni legame con il mondo. In
quel momento dovete essere soli.
Immaginate che questa pausa di preghiera totale sia come l'istante della
morte. Quando arriveremo al momento del trapasso, saremo soli, anche se
attorniati da persone a noi unite per amore, le quali partecipino pienamente
del grande mistero che sta per compiersi. Saremo soli, soli di fronte
all'Eterno. Tale deve essere il momento della nostra preghiera. E tutto cio'
per raggiungere la pace del cuore. Perche' il nostro Dio e' il Dio della
pace, ed egli non si comunica nell'agitazione, ne' si comunica a persone
distratte e divagate, che pregando pensano alla loro barba o al lavoro, o
alla malattia della persona cara. Dio ci vuole liberi, calmi e pacificati.
Vedete che sforzo enorme si richiede da parte nostra; non direi neppure
sforzo, perche' noi non dobbiamo portare sforzo nella preghiera. Lo sforzo
e' attivita' puramente umana, e introduce nella preghiera elementi che
vengono dal basso. Quindi, in qualche modo, e' un ritornare nell'agitazione.
Ecco, figurate di essere nel momento di preghiera: sentirete la vostra
mente, la vostra fantasia, i vostri sentimenti invasi da stormi di pensieri,
di preoccupazioni, di impazienze, da movimenti impensati del corpo. Cosa
fare? Rimanete fermi e silenziosi. Tutte queste cose non appartengono piu' a
noi. Le preoccupazioni della giornata che mi aspettano, attendano pure: in
quel momento non mi appartengono. Le stesse persone della mia famiglia, in
quel momento non sono piu' mie, le angosce, le gioie, le speranze, che pure
sono l'anima della mia esistenza, in quel momento non sono piu' cose mie. Io
devo essere una creatura in uno stato perfetto di preghiera, una creatura
che ascende dalla terra, penetra nei cieli ed entra in comunione pacificante
con lo Spirito Santo.

5. RIFLESSIONE. M. FERRE': IL CONFLITTO E IL RAPPEL (CON UNA PREMESSA DI
ANTONINO DRAGO)
[Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX,
n. 1, gennaio-marzo 2005.
Antonino (Tonino) Drago, nato a Rimini nel 1938, e' stato il primo
presidente del Comitato ministeriale per la difesa civile non armata e
nonviolenta; gia' docente universitario di Storia della fisica
all'Universita' di Napoli, attualmente insegna Storia e tecniche della
nonviolenza all'Universita' di Firenze, e Strategie della difesa popolare
nonviolenta all'Universita' di Pisa; da sempre impegnato nei movimenti
nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei
piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino
Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza
e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983;
L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la
costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq)
1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997.
Su M. Ferre' purtroppo non siamo riusciti a reperire dati biobibliografici
certi]

Premessa di Antonino Drago
E' noto che Galtung definisce un conflitto come un A-B-C. Il che vuol dire
le seguenti affermazioni: 1) un conflitto, pur di saperlo prendere per i
versi giusti, e' semplice come l'ABC delle elementari; 2) un conflitto e'
Assunzione, comportamento (Behavior), Contraddizione; 3) piu' in generale e
piu' precisamente, un conflitto e' un aspetto motivazionale (A), un aspetto
oggettivo (B) e un aspetto soggettivo (C); 4) in altri termini, un conflitto
e' in maniera essenziale tre idee in un'idea; 5) tutti e tre questi aspetti
debbono essere tenuti uniti per raggiungere quella soluzione che sia una
vittoria comune delle due parti; 6) invece, usualmente si vive un conflitto
o distruggendolo assieme all'avversario, o prendendo solo uno dei tre
aspetti: o emozioni, o ideali, o giudizi su pochi fatti. Nella storia i
conflitti non sono stati mai capiti, perche' per la ragione occidentale il
compito era troppo complesso: comprendere tre idee in una; al massimo si
capivano due idee in conflitto tra loro per giungere alla vittoria di una
delle due, in modo da ritrovare la linearita' e l'unicita' del pensiero.
Indipendentemente da tutto cio', M. Ferre' e' giunto a caratterizzare la
dinamica di un conflitto interpersonale in maniera ternaria. Il brano
seguente mostra l'importanza di pensare i conflitti con tre aspetti, invece
di due; anche se qui i tre non sono gli elementi del conflitto, ma gli atti
della dinamica interpersonale. Qui si riporta con lievi modifiche il suo
scritto, che riesce a descrivere la soluzione nonviolenta di un conflitto in
maniera ancor piu' generale della psicoanalisi (e certamente anche del
marxismo, che e' schiacciato sulla logica binaria della azione-reazione).
Tutto qui dipende dall'interiorizzazione, cioe' dal richiamo a se stessi
durante un conflitto, anche il piu' sconvolgente. Nell'antichita' questa
prima fase di interiorizzazione e' stata intesa in maniera solo passiva;
essa ha dato luogo all'invito alla "patientia"; la radice di questa parola
e' "patire", cioe' prima di tutto soffrire in silenzio, fatta salva la
capacita' di creare un risposta migliore.
Antonino Drago
*
Il pensare in maniera binaria esprime una mentalita' di contrapposizione;
essa genera un comportamento che si puo' riassumere con il meccanismo di
azione e reazione (giusto/ingiusto, buono/cattivo, ragione/torto,
amico/nemico, ecc.): se mi aggrediscono, io reagisco subito e lo faccio con
la stessa forza.
Ad esempio, ripensiamo i "film d'azione" hollywoodiani. Sono essenzialmente
dei "film di azione-reazione". La sceneggiatura e' semplice e quasi sempre
la stessa: l'eroe del film, generalmente un uomo perbene e muscoloso, vive
una vita apparentemente soddisfatta. Improvvisamente la cattiveria dello
sceneggiatore gli fa subire delle situazioni fortemente dolorose: perdita
dei suoi, per esempio. Da quel momento in poi, la violenza dell'"uomo
perbene" e' giustificata, anzi, e' desiderata, piu' o meno consciamente, dal
pubblico, che cosi' ha il permesso di sfogare nell'immaginario il sovrappiu'
di violenza istituzionale o relazionale che vive nel suo quotidiano. Invece
un eroe nonviolento non sarebbe una grande attrattiva. E' evidente che
questi film binari con budget enormi, non fanno che confermare una visione
riduttiva del mondo.
Per uscire dall'ingranaggio di azione/reazione, occorre cercare di frapporre
un tempo di interiorizzazione e di riflessione; cioe' un terzo tempo (1). Da
qui l'interesse a seguire un pensiero ternario che regoli il nostro
comportamento.
L'atteggiamento ternario puo' essere rappresentato cosi':
- un movimento verso l'interiore: interiorizzazione;
- un momento dinamico interno: dinamizzazione;
- un movimento verso l'esteriore, proiezione.
Come funziona tutto cio' nelle situazioni conflittuali?
La prima tappa, quella dell'interiorizzazione, ci introduce alla nostra
capacita' di apertura e di disponibilita'. Per cosi' dire, si sforza nel
compito quasi impossibile di essere "nuovo" in qualsiasi momento.
Cio' ci e' difficile soprattutto perche' molti elementi fanno si' che in
ogni istante noi evadiamo dal presente, a causa ad esempio della valanga di
informazioni che riceviamo costantemente, soprattutto nella vita urbana,
oppure a causa della tendenza a parlare continuamente nel proprio intimo,
raccontandoci delle storie, o vivendo molto d'immaginazione.
Per diminuire questa sovraoccupazione del nostro spirito, possiamo per
esempio imparare due comportamenti molto utili: diminuire il nostro consumo
di energia; non farci impressionare molto dagli avvenimenti o dai nostri
stessi pensieri.
Vediamo il primo atteggiamento. Spesso l'origine del comportamento
irascibile, violento e' la stanchezza. Questa ci rende ipersensibili, ci fa
vivere "a fior di pelle", in maniera terribilmente reattiva (comportamento
binario). Quasi sempre si riesce ad evitare questo comportamento imparando,
in ogni istante, a utilizzare l'energia giusto necessaria per fare quello
che abbiamo da fare. Osserviamo un artigiano esperto. I suoi gesti sono
misurati, efficaci, armoniosi. Non si stanca con sforzi inutili perche' il
suo modo di lavorare e' vicino al fare yoga. Noi possiamo fare allo stesso
modo. Agire in ogni istante in una maniera lineare, avendo coscienza
dell'energia che usiamo e trattenendo quella che non e' utile. Questa
maniera di concentrarci sul presente ha il merito di mantenerci in forma,
pronti agli eventi difficili.
Il secondo atteggiamento e' un po' piu' delicato, ma da' molti frutti.
Fondamentalmente noi siamo degli esseri impressionabili. Un maestro
(Gurdaief) diceva che noi ci nutriamo di alimenti, di aria e di impressioni.
Ora, allo stesso modo che esiste una ingordigia alimentare, cosi' c'e' una
ingordigia emotiva e sensitiva. La nostra cultura ci inonda di sensazioni
che noi viviamo in una maniera passiva e quasi incosciente. Allora noi
possiamo imparare a non essere molto impressionabili. Il che chiaramente non
vuol dire diventare insensibile. E' piuttosto arrivare ad una certa
serenita'.
Come fare? Basta che nel momento in cui arriva qualcosa ci diciamo: "A
questo non voglio dare un'importanza troppo grande". Dopo una mezz'ora di
questa "igiene" delle impressioni, gia' possiamo notare una grande
pacificazione del nostro spirito. Allo stesso modo, possiamo praticare una
igiene dei pensieri. Perche', stranamente, la stessa cosa avviene con le
nostre idee: ci lasciamo facilmente impressionare o affascinare da quello
che pensiamo o immaginiamo. Un niente ci fa infiammare come un fuoco di
paglia. E questo ci allontana irrimediabilmente dal presente. Invece quando
arriva una idea, possiamo accettarla con moderazione, senza lasciarci
trascinare da una fantasticheria immaginativa ed emotiva.
Dunque, per dirla in breve, per renderci disponibili all'attualita' e agli
altri, possiamo proporci un migliore uso della nostra energia interiore e
una vigilanza continua della nostra "impressionabilita'" (dare alle cose la
loro giusta importanza, senza enfatizzarle).Questi due atteggiamenti ci
rendono piu' disponibili e dunque piu' adatti a rispondere con calma e
serenita' alla violenza.
La seconda tappa e' quella del tempo interiore (quest'ultima e' una parola
centrale), durante il quale rifletto su quello che ho appena vissuto.
Nel mondo "binario", le persone sono come oggetti (palle da biliardo cieche)
non hanno un tempo interiore, che e' tipico degli esseri coscienti (e' per
questo motivo che la scienza determinista e meccanicistica non puo' avere un
approccio valido con i fenomeni viventi. Tutto e' ridotto a oggetti,
molecole e ad azioni/reazioni di tipo fisico-chimico). In fin dei conti, un
essere vivente da' l'impressione di essere nient'altro che la somma delle
rotelline di un ingranaggio.
L'interiorizzazione e' la chiave di volta del nostro atteggiamento
nonviolento (o che tende alla nonviolenza). Questo tempo interno, nel quale
l'essere umano ha un'attivita' propria, e' la sua ricchezza. Visto
dall'esterno e' un momento apparentemente neutro. Mi aggrediscono: io non mi
muovo, non reagisco subito, interiorizzo la situazione; ne approfitto per
cercare la radice del problema: Dove, in quale angolino si rifugia la
sofferenza dell'altro, questa sofferenza che lui mi vuole trasmettere
attraverso la violenza, la violenza di cui cerca di liberarsi?
Da parte mia, posso forse fargli un po' di spazio ed assorbirne una piccola
quantita'? Se ci riesco, allora possiamo dialogare. Se non ci riesco,
bisogna che io glielo dica chiaramente e semplicemente, senza versare
benzina sul suo fuoco.
In tutti i casi e' stato importante ritirarsi per qualche secondo da questa
situazione delicata, in modo da lasciare il tempo all'interiorizzazione. La
parola centrale di questo atteggiamento e' "buona volonta'". Essa e' come il
fermento, come gli enzimi che permettono di migliorare il vivere quotidiano.
La terza tappa, infine, e' quella della creazione. Cosi' come un seme duro
produce con la sua attivita' un magnifico fiore profumato, noi possiamo
utilizzare ogni conflitto come base per una creativita'. Non deve
sorprendere che la cosa piu' meravigliosa del comportamento ternario e' che,
grazie al tempo dell'interiorizzazione, abbiamo la possibilita' di fare
appello all'intuito creativo: che cosa posso portare di "fresco", di nuovo,
alla situazione?
E da dove viene questa possibilita' di creativita' nel conflitto? In
realta', questo momento di tensioni e di crisi e' anche un momento di
verita', un punto di partenza. Puo' essere l'incominciare "qualcosa di
veramente nuovo". Se riusciamo a stabilizzare un po' la situazione ed
arrivare al dialogo, allora puo' nascere, malgrado tutto, una prima maniera
di intendersi.
Nella relazione quotidiana con i bambini cio' e' possibile con facilita',
poiche' essi sono sempre aperti alla novita'. Con loro possiamo sempre
stabilire un contratto, proporre una nuova maniera di relazionarci: "A
partire da oggi, noi...". Se non usiamo furbescamente questo contratto come
una trappola, per loro inizia una relazione in cui si sentiranno un po' piu'
riconosciuti come persone.
Nella relazione di coppia, l'ideale e' mantenere viva e creativa la vita
quotidiana. Sappiamo bene che le tensioni diventano frequenti quando l'altro
sembra prevedibile (cioe': non creativo), se non addirittura automatico.
Quando poi ci si scontra, quale tipo di creativita' dovrebbe intervenire? Un
conflitto aperto, anche se drammatico fino ad arrivare alla rottura, purche'
arriviamo a viverlo nella maniera piu' nonviolenta possibile, permette
sempre un piccolo miracolo: diventare piu' adulti, crescere. Per fare cio'
e' importante mantenerci sempre in contatto con l'intuizione creativa (le
persone religiose diranno con Dio), cercare di mantenere il dialogo con
l'altro ed esprimere molto chiaramente che non abbiamo nessuna intenzione di
ferire l'altro.
Nella relazione con lo Stato, sara' necessario il compromesso (che non e'
affatto la compromissione), cosi' come lo presenta Lanza del Vasto
(riprendendo l'idea di Gandhi): "La bellezza del compromesso e' che qualcosa
avvenga, che una parte della Verita' passi nella Realta'". Il che
costituisce una creazione per ambedue le parti.
Quindi il "comportamento ternario" e' un atteggiamento ricco, perche'
attinge all'interiorita' della persona. Ma deve essere innanzitutto un
atteggiamento umile e discreto. La nonviolenza non e' tanto il rifiuto della
violenza dell'altro, quanto la ferma volonta' di ridurre la mia.
Ma perche' dovremmo rispettare la violenza dell'altro? Perche' essa molto
spesso non e' altro che l'espressione disperata della sofferenza; e per
questo mascheramento la violenza deve essere ascoltata e accolta come una
sofferenza. Inoltre, potra' essere piu' o meno giusto che io reagisca con la
sua stessa modalita', ma non c'e' niente che disturbi di piu' colui che
esprime senza freni il suo dolore che il non vedersi preso sul serio,
vedersi minimizzare o disprezzare.
D'altra parte, se il nostro atteggiamento "nonviolento" fosse troppo forzato
o artificiale, questo sara' vissuto dall'altro come un'incomprensione o una
mancanza di compassione.
Quindi ricerchiamo con tutte le nostre forze una nuova cultura e una nuova
educazione ternaria, perche' senza di esse sara' difficile immaginare un
futuro sereno per l'umanita'.
*
Note
1. Leibniz esprimeva un parallelo tra l'essere flessibili nei rapporti
interpersonali e l'elasticita' dei corpi in un urto; questi assorbono il
colpo e poi lo restituiscono a molla. L'analogia e' sviluppata in A. Drago e
A. Pirolo: "Meccanica, urto e nonviolenza", in A. Drago (ed.), Per un
Modello Alternativo di Difesa Nonviolenta, Editoria Universitaria, Venezia
1995, pp. 199-208.

6. CONTROEDITORIALE. LEO SASSICALDI: UNA DICHIARAZIONE DI VOTO
[Ringraziamo il nostro buon amico Leo Sassicaldi per questo intervento]

Alle prossime elezioni politiche andro' a votare per difendere la legalita'
costituzionale, della Costituzione figlia della Resistenza e della
Liberazione dal nazifascismo.
Costituzione, Resistenza, Liberazione: quali brutte parole so ancora dire.
Alle prossime elezioni andro' a votare anche per poterle dire ancora senza
dover temere per questo.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1221 del primo marzo 2006

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