La nonviolenza e' in cammino. 1141



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1141 dell'11 dicembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace: Di montagne e di ferrovie (e dell'umile e splendida
virtu' di riconoscere gli errori)
2. Aldo Capitini: La marcia della pace del 1961
3. Filippa La Villa: Rita Borsellino, per una nuova primavera siciliana
4. Giuseppe Di Lello: Per Rita Borsellino presidente
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: DI MONTAGNE E DI FERROVIE (E DELL'UMILE E
SPLENDIDA VIRTU' DI RICONOSCERE GLI ERRORI)
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per
averci messo a disposizione come anticipazione questo suo intervento scritto
per il quotidiano "Liberazione". Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924,
partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico,
pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto";
e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei
movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior
parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in
quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi
libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968;
L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un
movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La
Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della
differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con
Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma
1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la
luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004]

Chi si loda s'imbroda, dice un vecchio proverbio, ma altri piu' aulici motti
sono: errare humanum perseverare diabolicum, bisogna farsi sempre l'esame di
coscienza, il bravo compagno fa autocritica quando ha torto, Gesu' Cristo
approva il pubblicano (cioe' uno spregevole cittadino di serie b) rispetto
al fariseo (una colonna della societa') perche' il pubblicano riconosce di
avere sbagliato e invece il fariseo dichiara di aver fatto tutto giusto.
Tutto cio' premesso, amerei molto dei politici che ogni tanto, quando serve,
quando l'errore e' davvero evidente, facessero autocritica, esame di
coscienza, si comportassero come pubblicani che ammettono i propri errori e
non come farisei che non li ammetteno mai: insomma scegliessero il rito la
cultura la forma che vogliono, per ammettere che qualcosa da correggere
c'e'.
Mi riferisco alla Tav in Valsusa. E  valga il vero.
*
Di tutte le opere faraoniche che vanno di moda sappiamo gia' che il tunnel
sotto la Manica e' un clamoroso e costosissimo flop; che il Mose a Venezia
e' sospettabilissimo di rovine; che un arditissimo ponte non so bene tra
quali isole tra il Kattegat e lo Skagerrak viene chiuso appena c'e' un filo
di vento perche' le macchine rischiano senne' di finire in mare, sicche'
tutti preferiscono il traghetto di prima; che la Malpensa e' uno schifo
(cosa controllabile) che le popolazioni aborrono; che il ponte sullo stretto
di Messina non lo vuole nessuno degli abitanti sulle rive; che il Mugello e'
gia' stato massacrato dai lavori della Tav; che l'arco alpino diventera' un
formaggio coi buchi se non li fermiamo; che i tunnel alpini esistenti sono
gia' sperimentate trappole mortali e via discorrendo, senza dimenticare il
Vajont: non basta?
Si chiede almeno una bella e buona pausa di riflessione e un discorso con le
popolazioni, dato che ci si riempie la bocca di "democrazia partecipata"!
Anche sotto il Brennero si vuole fare un tunnel, e per farlo si colmera'
letteralmente di detriti una valletta ("e' piccola, e dunque...", "di
vallette ce n'e' tante..."): la montagna e' un sistema fragile nonostante la
sua imponenza, gia' colpito dallo scioglimento dei ghiacciai, dallo
scomparire del permafrost che sta dentro le rocce, per cui guglie
dolomitiche e del Bianco crollano ora a ogni stagione, dopo alcune centinaia
di milioni di anni di stabilita'. Forse si risvegliera' qualche mammuth,
dichiarandosi modernissimo!
E a chi domanda col solito atteggiamento subalterno perche' in altri paesi
europei non ci sono proteste, diro' che nessuno si aspettava la banlieu e
che - inoltre - le Alpi sono qui da noi e fare ferrovie in pianura e' meno
difficile e distruttivo. A parte che pur non essendo claustrofobica, l'idea
di stare per molte e molte decine di chilometri sottoterra non mi piace: il
treno e' un mezzo di trasporto che include la visione del paesaggio.
*
Qualcuno dei sostenitori dice che in verita' queste linee velocissime da
Lisbona a Kiev non si fanno per i viaggiatori bensi' per le merci. Ma quale
merce ha bisogno di andare ad alta velocita'? fragole da Lisbona a Kiev?
cavoli da Kiev a Lisbona? e quanto costeranno ad alta velocita'? e non si
possono coltivare ciascuno a casa sua?
Molti infatti cominciano a dire che e' molto piu' ragionevole il modello
economico proposto da Samir Amin (un illustre economista arabo che insegna
alla Sorbona, non un "anarcoinsurrezionalista" o un "professionista della
protesta" ecc.), il quale sostiene che ciascuna area dovrebbe fare una
recensione di tutto cio' che puo' produrre da se', e calcolare poi il volume
normale e la qualita' degli scambi con le merci che mancano al proprio
"sviluppo autocentrato": sarebbe ridotto, e quindi non ci sarebbe bisogno di
intasare strade autostrade e ferrovie di inutili trasporti; si potrebbe
aumentare in modo stabile e strutturale, non transitorio, l'occupazione con
l'immagazzinare cio' che serve in un luogo dato, sviluppare agricoltura,
produzione di alimenti, sistemi di conservazione biologica, controllare le
merci e respingere le multinazionali che dominano i mercati e sfuggono a
qualsiasi controllo vendendoci latte all'inchiostro eccetera eccetera.
*
Dunque, come dicono giustamente i pastori valdesi (che qualcosa certo
ricordano dei danni venuti alle loro popolazioni dalle miniere di talco di
val Germanasca! riaperte per gli immigrati?) sulla Valsusa: puo' pure darsi
che i politici abbiano creduto di fare una cosa giusta, ma non gli sorge il
dubbio che potrebbero avere ragione anche quelle e quelli che protestano
cosi' civilmente e tenacemente?
Del resto che l'Alta velocita' avesse dentro un qualche squilibrio a me era
venuto in mente persino da subito.
Essendo una che pratica lo sport (ormai uno sport estremo) di andare in
treno, a me arrivare a spron battuto da Roma a Milano, ma metterci poi tre
ore per andare da Milano a Sondrio o a Cremona o a Mantova sembrava una
irrazionale idea del trasporto ferroviario, un trasporto se altri mai
sociale e che quindi deve corrispondere al diritto fondamentale di tutti e
tutte di arrivare in ragionevole parita' di servizio da qualunque luogo a
qualunque luogo: o una ha colpa di essere nata in una vallata difficile o di
abitare in un paese fuori dalle grandi linee di comunicazione?
E' tra l'altro una delle ragioni per le quali la ferrovia deve essere un
servizio pubblico, non una azienda privata, cosa su cui, dopo le gioie della
privatizzazione, convengono tutti, stufi marci di essere chiamati "gentile
clientela" e di avere sempre torto, di vedere una pubblicita' infondata come
tutte, e di sentirsi annunciare come facesse notizia solo quando il treno e'
in orario (cosa che per davvero fa notizia, tanto e' rara).

2. MEMORIA. ALDO CAPITINI: LA MARCIA DELLA PACE DEL 1961
[Riproponiamo ancora una volta il testo seguente estratto dall'antologia
capitiniana curata da Piergiorgio Giacche': Aldo Capitini, Opposizione e
liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, pp. 150-162; nuovamente ringraziamo
Lanfranco Mencaroni per avercelo a suo tempo inviato.
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale -
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca -
bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato
il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una
raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea
d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996;
segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri,
Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti (a
cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della
nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione
nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org)
sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di
Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di
un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90
e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui
apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un
volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione
ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo
Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il
messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno:
Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di),
Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988;
Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini.
Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi
Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova
Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini,
Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume
monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante,
La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini,
Cittadella, Assisi 2004; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in
Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001;
per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro
Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel
sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini:
www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai
utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere
richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a
Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento
Nonviolento: tel. 0458009803, e-mail: azionenonviolenta at sis.it
Lanfranco Mencaroni (per contatti: l.mencaroni at libero.it), medico, amico e
collaboratore di Aldo Capitini, e' infaticabile prosecutore dell'opera
comune, animatore dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per
contatti: e-mail: capitini at tiscalinet.it, sito: www.aldocapitini.it) e
curatore del sito del "Cos in rete" (www.cosinrete.it) che mette a
disposizione anche una ricchissima messe di testi di e su Capitini, ed e' un
fondamentale punto di riferimento per amici e studiosi della nonviolenza]

Ad una marcia della pace pensavo da anni e una volta ne detti anche
l'annuncio, d'accordo con Emma Thomas, tanto che l'"Essor" ginevrino
pubblico' la notizia. Ma l'idea non si concreto' per varie difficolta'.
Quando, nella primavera del '60, feci a Perugia insieme con amici un
bilancio delle iniziative prese e di quelle possibili, vidi che l'idea della
marcia, soprattutto popolare e regionale, piacque. Ma solo nell'estate essa
prese un corpo preciso in riunioni apposite, che portarono alla formazione
di un comitato d'iniziativa. La mia intenzione era che il gruppo di
iniziativa non fosse prevalentemente di persone di partito. Sono un
sostenitore del lavoro di aggiunta a quello dei partiti, che ritengo
certamente utili in una societa' democratica, ma non sufficienti. E sono
sempre "indipendente" (un indipendente disciplinato) appunto per promuovere
iniziative di aggiunta.
Cosi', seguendo questo principio, pensai che il gruppo di iniziativa,
formato intorno a me che rappresentavo il Centro di Perugia per la
nonviolenza, fosse alquanto autonomo dai partiti politici, con i quali
sarebbero stati presi contatti diretti soltanto dopo. Lanfranco Mencaroni,
Lia e Giovanni Piergallini, Maria Comberti, Eugenia Bersotti, Aldo Stella,
erano persone estranee ai partiti; e le altre da me convocate, anche se piu'
vicine o addirittura iscritte a partiti, valevano soltanto o per la loro
esperienza pacifista (come Pietro A. Buttitta e Andrea Gaggero), o come
umbri capaci di cogliere il valore dell'iniziativa e di dare utili consigli
(come Pio Baldelli e Luigi Corradi).
Le prime circolari di annuncio della Marcia sono dell'estate del 1960. Mi
valsi degli indirizzi personali e del Centro; ebbi pronte adesioni come
quella del maestro Gianandrea Gavazzeni; passarono mesi di spedizione di
circolari e di lettere personali; dall'on. Pietro Nenni ebbi nel novembre
1960 una lettera molto favorevole. Ma debbo dire che oltre quel primo
carattere, di iniziativa non dei partiti, che avrebbe dovuto assicurarmi una
piu' facile adesione da tutte le persone e associazioni operanti in Italia
per la pace, io tenevo sommamente ad un secondo carattere, che anzi era
stato il movente originario del progetto: la marcia doveva essere popolare
e, in prevalenza, regionale. Avevo visto, nei dopoguerra della mia vita, le
domeniche nella campagna frotte di donne vestite a lutto per causa delle
guerre, sapevo di tanti giovani ignoti ed ignari mandati ad uccidere e a
morire da un immediato comando dall'alto, e volevo fare in modo che questo
piu' non avvenisse, almeno per la gente della terra a me piu' vicina. Come
avrei potuto diffondere la notizia che la pace e' in pericolo, come avrei
potuto destare la consapevolezza della gente piu' periferica, se non
ricorrendo all'aiuto di altri e impostando una manifestazione elementare
come e' una marcia? Coloro che discorrono senza aver mai affrontato problemi
di propaganda e di contatto con le moltitudini, hanno detto che bisognava
fare una marcia tutta di pacifisti ben provati, senza toccare i partiti.
Rispondo che dalla Liberazione ho organizzato molte riunioni e convegni per
la pace e la nonviolenza, e anche viaggi ad Assisi e una volta, dopo un
convegno sulla nonviolenza, fin sul prato della Rocca; ma eravamo sempre
pochissimi, e quelli stessi che mi hanno fatto la critica suddetta non
c'erano e non lo sapevano. Quindici anni di propaganda fatta in quel modo
non avevano certo procurato le persone e i mezzi per poter aprire una
campagna di convocazione popolare ad una marcia nella mia regione. Quando si
parla di forze pacifiste in Italia, non si sa bene che si tratta di societa'
o nuclei molto esigui, e alcune volte non di quella intensita' di lavoro che
dovrebbe compensare l'essere in pochissimi. Ne ho avuto una prova anche nel
mancato aiuto da qualche parte per la Marcia.
Fermo nell'idea di raggiungere la popolazione piu' periferica della regione,
dovevo chiedere l'aiuto di altri per l'annuncio e per il trasporto stesso
delle persone dai luoghi lontani. Sapevo bene che gli aiutanti (anche se
d'accordo su certe condizioni) e i partecipanti non sarebbero stati in gran
parte persuasi di idee nonviolente; lo sapevo benissimo ma, e questo e' il
terzo carattere dell'iniziativa che voglio mettere in rilievo, si presentava
un'occasione di parlare di "nonviolenza" a "violenti", di mostrare che la
nonviolenza e' attiva e in avanti, e' critica dei mali esistenti, tende a
suscitare larghe, solidarieta' e decise noncollaborazioni, e' chiara e
razionale nel disegnare le linee di cio' che si deve fare nell'attuale
difficile momento. Che mi si venga a rimproverare di aver mancato alla
purezza della nonviolenza da parte di persone che non ho incontrato ne' nei
quindici anni prima della Liberazione dal fascismo, quando per fedelta' alla
nonviolenza non presi la tessera del fascismo, fui cacciato dal posto (a
trentatre anni), andai in prigione, scrissi libri di contrasto al fascismo e
alla Chiesa alleata; ne' nei quindici anni dopo la Liberazione, in tanti
convegni e riunioni e campagne, e' ben curioso! Forse quella gente, che
molto probabilmente non pensa come me giorno e notte ai duri problemi della
nonviolenza, ne ha un'idea generica, e non tiene presente il metodo di San
Francesco che fu quello di andare a parlar con i saraceni piuttosto che
sterminarli nelle Crociate, nelle quali il sangue talvolta arrivava ai
ginocchi; ne' il metodo di Gesu' Cristo, che parlava e stava con i peccatori
come gli rimproveravano i farisei.
Il fatto e' anche che davanti a persone del popolo che non hanno avuto
sufficiente istruzione, con donne, uomini, ragazzi, che non hanno letto sui
nostri problemi ne' partecipato ai nostri convegni, mi pare irreligioso
escluderli perche' non sono addentro alla nonviolenza: meglio convocarli e
parlar chiaro.
Forse da secoli in Italia non era stato parlato cosi' apertamente della
"nonviolenza" in modo popolare, dopo che i supremi insegnamenti di Gesi',
dei primi cristiani, di San Francesco, sono stati avvolti, temperati o
sottoposti a altri insegnamenti di legittima difesa, di grandezza della
patria, di sottomissione all'autorita' e perfino di guerra coloniale,
enunciati dall'altare. Nel 1221, in piazza dell'Arengo a Rimini, i terziari
(laici) francescani opposero all'invito del podesta' di prestare il
giuramento di fedelta', che implicava l'impegno d'impugnare le armi al
comando degli organi dello Stato, "di non potere ne' combattere ne' portare
le armi, sia di offesa che di difesa; perche' essi volevano la pace con gli
uomini e con Dio, conquistandola con opere di bonta', trasformando il male
che e' nel mondo in bene". Cinque anni prima che morisse Francesco d'Assisi,
ecco apparire modi di obiezione di coscienza. Potrei connettere con questo
fatto (che prosegui' nel Duecento, tanto che i papi Onorio III e Gregorio IX
difesero l'obiezione dei terziari laici francescani dall'autorita' civile)
il quarto carattere dell'iniziativa: la scelta di Assisi come meta della
Marcia che non poteva che muovere da Perugia, per ragioni organizzative. Se
la Marcia doveva essere regionale e popolare, dato anche che nell'Umbria non
vi sono basi o fabbriche di guerra, quale meta migliore di Assisi, ad una
distanza sopportabile da Perugia, in una zona popolatissima con un luogo
elevato di eccezionale bellezza di paesaggio (lo stesso veduto da San
Francesco), e di accesso indipendente dalla chiesa del Santo? Assisi e' cara
al cuore degli umbri, e lo resta anche se essi non sono credenti cattolici,
per la centralita', la bellezza rara, il carattere entusiasta, amorevole,
sereno, popolare, del santo, per quella celebrazione della "familiarita'" a
cui tanto tiene la gente di questa regione. Per questo mi parve bene che la
meta fosse Assisi, ripetendo cio' che noi del Centro per la nonviolenza
avevamo fatto altre volte, ma questa volta movendo quanto piu' popolo fosse
possibile.
Ci sono state critiche e rifiuti perche' la meta era Assisi, come se noi
facessimo concessioni al potere cattolico o compromessi con la religione
tradizionale. Collegare San Francesco e Gandhi (avvicinamento che in Oriente
si fa molto spesso) voleva dire sceverare l'orientamento nonviolento e
popolare dei due dalle circostanze e dagli atteggiamenti particolari; ed era
anche uno stimolo a far penetrare nella religione tradizionale italiana,
come e' sentita dal popolo e soprattutto dalle donne, l'idea che la
"santita'" e' anche fuori del crisma dell'autorita' confessionale: la Marcia
doveva anche servire a questa "apertura" (e difatti il nostro Centro ha
diffuso il giorno della Marcia tremila copie di un numero unico su Gandhi);
quando tra il popolo piu' umile, e tanto importante, dell'Italia si
arrivasse a mettere il ritratto di Gandhi in chiesa tra i santi, avremmo
quella riforma religiosa che l'Italia aspetta dal Millecento, da Gioacchino
da Fiore.
Questi quattro caratteri della Marcia mi sono stati chiarissimi fin dal
1960:
1)che l'iniziativa partisse da un nucleo indipendente e pacifista integrale
(Centro di Perugia per la nonviolenza);
2) che la Marcia dovesse destare la consapevolezza della pace in pericolo
nelle persone piu' periferiche e lontane dall'informazione e dalla politica;
3) che la Marcia fosse l'occasione per la presentazione e il "lancio"
dell'idea del metodo nonviolento al cospetto di persone ignare o riluttanti
o avverse;
4) che si richiamasse il santo italiano della nonviolenza (e riformatore
senza successo).
Una notevole pesantezza ideologica caratterizza gl'italiani, derivante
dall'uniformita' dottrinaria cattolica e dal breve periodo di democrazia
diffusa: gl'italiani pensano che nell'assoluto, nelle cose serie (religione,
politica, scuola) debba esserci uniformita', e la diversita' sia cosa
degl'individui contingenti e del folclore. Per questo accusano di eretico,
di sovversivo, di diseducatore, chi e' "diverso". Non sono abituati a
collaborare nelle cose serie con i "diversi". Andare ad Assisi non era per
noi accettare i dogmi della fede di Francesco, in numero minore di quelli
cattolici di oggi: egli non conosceva al suo tempo ne' la critica
neotestamentaria, ne' il liberalismo etico-filosofico, ne' il socialismo; ma
si puo' ben richiamarlo anche se "diverso". Fare una Marcia con
filoccidentalisti e filosovietici non e', certamente, accettare il Patto
della Nato oppure il Patto di Varsavia, ma e' parlare a loro francamente
della nostra posizione di neutralisti, in nome del rapporto intimo con tutti
e dal basso. Sono il primo io ad aver cara la "qualita'" piu' che la
"quantita'", e tanti fatti e parole lo provano. Ho dovuto fare uno sforzo
verso me stesso per perseverare nell'idea di muovere molta gente, di
chiedere a cio' l'aiuto di persone che all'inizio sorridevano sulla cosa e
che, lungo il corso, non avrebbero certamente condiviso gli ideali a cui
tengo sommamente (e tra queste persone metto quelle dell'una e dell'altra
parte); ma era come una tentazione che dovevo vincere - quella di fare una
cosa in pochi, molto pochi -, in nome di quello sforzo da fare per arrivare
al maggior numero di lontani e periferici in un periodo di crescente guerra
fredda, forse nell'imminenza di un conflitto immane. Consumare tante energie
e tanto tempo, quando ho molto da studiare per l'insegnamento e libri da
terminare, impostare una marcia che non avrei potuto fare a piedi per intero
per ragioni di salute, mettere la "qualita'" al rischio di essere fraintesa,
esporre me stesso a calunnie e accuse (c'e' stato anche chi ha stampato in
un giornale che sono un "figlio degenere"), e soprattutto al fraintendimento
che io volessi farmi con la Marcia un nome, quando ho cercato e cerco
instancabilmente altri che faccia al posto mio: questo ho ben sentito che
"dovevo", pronto, nella Marcia, ad affermare le mie idee (come ho fatto nel
saluto e nella Mozione), e pronto, dopo la Marcia, a lavorare,
indipendentemente da filoccidentalisti e filosovietici, ad un Movimento
nonviolento per la pace; ma disposto a riaccordarmi con gli uni e con gli
altri, a precise condizioni, in manifestazioni ed iniziative di carattere
plurimo, come fu, del resto, nell'opposizione e nella resistenza al
fascismo.
Messici al lavoro cercando di avvertire e stimolare quante piu' persone si
potesse, si vide che quanto alla data della Marcia, si doveva rinunciare al
proposito di far presto, e cosi', dopo aver fissato varie scadenze, si
arrivo' quella del 24 settembre 1961, che il risultato ha dimostrato molto
felice.
Nei mesi fino a tutto il giugno 1961 non si puo' dire che le adesioni e
gl'impegni di partecipazione (nelle cedolette aggiunte alla circolare
d'invito) fossero molti. Cari amici avevano promesso e qualche sconosciuto;
alcuni avevano annunciato che sarebbero venuti molto tempo prima per
aiutare, ed io ci contavo molto, perche' avevo un piano per una certa
propaganda del tutto nostra - di pacifisti integrali e di nonviolenti -, nei
paesi circostanti, propaganda che sarebbe stata perlomeno ascoltata perche'
le circolari dei partiti di sinistra, delle cooperative e dei sindacati,
annunciando la Marcia, non avevano suscitato la diffidenza verso di noi,
anche se avessimo parlato un linguaggio di nonviolenza. Ma debbo dire che
questi aiuti non vennero e il piano, anche modesto, non si pote' attuare per
nulla. Cosi' dal luglio, terminati i miei impegni di insegnamento mi accinsi
ad un lavoro intensissimo - ormai il "parto" era prossimo, e non si poteva
tornare indietro - perche' la notizia si diffondesse. Chi e' stato alla
Marcia ed ha visto quale varieta' di persone vi fosse, delle minoranze
religiose e pacifiste (forze per la prima volta insieme), non pensa che io
speravo in un numero maggiore, e in una quantita' nostri cartelli molto piu'
rilevante. Anche questo indica che la Marcia Perugia-Assisi e' stata il
suscitamento di un pacifismo integrale e nonviolento molta maggiore e piu'
dinamico di quello che c'era prima: oggi si puo' contare su piu' persone, su
migliore volonta', su notevole prontezza di attivita'; e' segno che la
Marcia l'ha fatta emergere, l'ha polarizzata; il pacifismo di prima era
frammentario, talvolta sedentario e lontano da un contatto con moltitudini
che possono diventare pacifiste integrali (c'erano donne che avevano le
lacrime agli occhi per la commozione al passare della nostra Marcia; ho
visto contadini levarsi il cappello). Nessuno puo' conoscere il disagio che
ho provato nei mesi precedenti la Marcia nel vedere che non avevo, da
pacifisti e indipendenti, l'appoggio intenso che speravo, io che li
sollecitavo a passare le "ferie" nell'Umbria nel fare propaganda!
Dall'altra parte i comunisti. Ne parlo francamente. Nel principio non si
saranno resi ben conto della cosa; avranno pensato che sarebbe stata una
cosa di "nonviolenti" in un mondo cosi' ferreo: qualcuno, a Perugia e a
Roma, avra' sorriso. Ma poi per la mia aperta sollecitazione a collaborare e
per il presentarsi di grossi avvenimenti internazionali, e specialmente il
teso riarmo tedesco occidentale e la questione di Berlino, i comunisti
aiutarono la diffusione della notizia in tutta la regione. Oratori da Roma,
del Movimento per la pace, non erano venuti, eccettuata Joyce Lussu per due
conferenze a Perugia e a Foligno; e pochissimo aveva potuto fare Andrea
Gaggero, che nei giorni precedenti la Marcia ci fu, invece, di ottimo aiuto
e per tutta la Marcia. Negli ultimi mesi potei contare per il lavoro di
segretaria sull'aiuto del comunista Romeo Sisani. Con i dirigenti le
condizioni erano chiare: la Marcia non avrebbe avuto nessun segno di
partito, avrei stabilito io gli oratori alla conclusione della Marcia, il
partito doveva curare la diffusione della notizia presso i non iscritti,
avrei esaminato io l'elenco delle scritte dei cartelli consigliate dal
partito. Ho detto in una discussione al Circolo Turati di Milano che
affermerei volentieri con Giovanni Boine: "Ho il vanto che ognuno mi possa
ingannare". Ma qui non mi ha ingannato nessuno. I comunisti sono stati ai
patti; hanno fatto molto, e forse non potevano far di piu', anche per la
coincidenza con le feste dell'"Unita'"; certo che ne' noi ne' loro ne' altri
hanno portato l'annuncio in tutte le parrocchie, in tutti i casolari, come
speravo; tuttavia per l'insieme della propaganda molta gente si mosse, e i
piu' erano di nessun partito: un mio amico mi ha detto di aver trovato alla
Marcia certi parenti delle montagne di Gubbio che non rivedeva da anni. I
comunisti contribuirono largamente alla stampa di manifesti, il cui testo
era scritto da me.
Dei socialisti ho detto che l'on. Nenni, primo fra gli uomini politici di
grande rilievo, fin dal novembre 1961 aveva mandato una lettera di adesione.
Cosi' fecero altri socialisti. Un intervento decisivo fu quello di Parri,
Binni ed Enriques Agnoletti, con la circolare che e' riportata tra le
adesioni. Nella citta' venne anche l'aiuto della Federazione provinciale, in
modo che si pote' arrivare alla formazione di un Comitato organizzativo
della Marcia composto da me, come presidente, e da Lanfranco Mencaroni
indipendente, Vittorio Menesini per l'UGI (sostituito poi da Franco Bozzi),
Mirella Roscini per l'UDI, Romeo Sisani per il PCI, Mario Valentini per il
PSI, Alarico Mariani Marini per il Partito radicale, Claudio Spinelli per il
Partito repubblicano: un Comitato serio e pieno di buon senso molto
amichevole tra tutti. Da apprezzare sono gli atti di adesione dei radicali e
dei repubblicani umbri, indipendentemente dalla decisione centrale dei due
partiti che non presero una decisione ufficiale.
E i democristiani? Io avevo invitato le amministrazioni comunali e
provinciali della regione (ed anche altre, specialmente quelle decorate per
la Resistenza), e le associazioni culturali. sindacali, cooperative,
religiose e morali (tra le quali l'arcivescovo per il clero cattolico, gli
ordini religiosi cattolici, la Chiesa evangelica, i teosofi, la Loggia
massonica) e i partiti politici, escludendo i monarchici e i fascisti che di
guerre ne hanno fatte certamente troppe. Il Partito liberale e il Partito
socialdemocratico non risposero. E nemmeno per un po' di tempo il Partito
democristiano.
E' avvenuto poi, che, pur nel rifiuto ufficiale degli organi dirigenti, un
buon numero di democristiani e' venuto alla Marcia; i consiglieri comunali
di minoranza democristiana di Foligno approvarono l'adesione
dell'amministrazione comunale, che fu, cosi', unanime; e il sindaco
democristiano di Assisi, pur non aderendo, ci appresto' gratuitamente il
palco per gli oratori sul prato della Rocca ed era li' presente alla
conclusione della manifestazione.
Quanto alle gerarchie ecclesiastiche esse, con evidente sproporzione,
avevano stabilito che mentre arrivava la nostra Marcia ad Assisi, nelle
chiese si pregasse per le difficolta' che alcuni cattolici trovano in paesi
dell'Europa orientale (forse minori di quelle che noi liberi religiosi
troveremmo nei cattolicissimi Stati della Spagna e del Portogallo). Ma non
era una esagerazione tendenziosa? e che noi eravamo truppe sovietiche,
cinesi, saracene?
Sicche' le accuse, prima della Marcia, erano alquanto varie: chi disse che
io ero "manovrato" dai comunisti, chi mi accuso' di fare la marcia dei
"vegetariani": "Il Borghese" del 14 settembre 1961 terminava l'articolo
sulla Marcia scrivendo che: "Ripensandoci, a conti fatti, tra vegetariani e
baluba preferiamo i secondi".
Il prefetto di Perugia aveva mandato alle amministrazioni comunali e
provinciali una circolare proibendo di portare alla "Marcia della pace" i
gonfaloni della citta'.
Come le gerarchie ecclesiastiche avevano dato ordine al clero di non
partecipare, e nelle chiese era stato detto che quella era una marcia
comunista e paracomunista da evitare; e tuttavia quando i marciatori
incontrarono ecclesiastici, non un'offesa, non un fischio si levo'; cosi',
mentre il prefetto aveva preso quell'iniziativa contro la volonta' dei
consigli comunali e provinciali ed aveva mobilitato un numero ingente di
forze di polizia all'inizio, lungo la Marcia e sul prato nulla, proprio
nulla accadde, e non certamente perche' c'erano quelle "forze", ma per
autodisciplina dei partecipanti, per fiducia negli organizzatori e perche'
un entusiasmo e una fede potevano esprimersi in un modo cosi' semplice e
chiaro, senza la soggezione e l'inferiorita' che il popolo sente nei
congressi. I giovani stessi, e la Marcia era piena di giovani, seppero
frenarsi. I frati di Santa Maria degli Angeli erano impressionati la mattina
(cosi' dissero ad una signora) dall'arrivo di tanta gente "rossa": quando
videro quei popolani visitare i luoghi, interni al convento, dove visse San
Francesco, e alcuni anche ascoltare la messa, si tranquillizzarono. Non vi
fu un ubriaco. C'erano canti: un cantatore barbuto, il musicista Fausto
Amodei, insieme con altri cantava canzoni della serie di "Cantacronache",
tra cui il canto di pace di Italo Calvino Dove vola l'avvoltoio, e strofette
suggerite li' per li' da Franco Fortini.
La Marcia ebbe i due momenti piu' alti quando, in quel luogo cosi' ampio
sotto la cupola di un cielo che impallidiva lentamente, Arturo Carlo Jemolo
parlo' della benedizione divina che certamente scendeva su quell'assemblea
di pace, e quando io chiesi due minuti di silenzio per ricordare i morti
nelle guerre o per causa delle guerre, e tutti si levarono in piedi,
qualcuno si inginocchio', e mi e' stato detto che tutti gli appartenenti
alla polizia si misero sull'attenti.
Avevo scritto nel periodico mensile "Umbria d'oggi", prima della Marcia (nel
numero. distribuito alla Marcia, con la data 30 settembre 1961): "... La
Marcia e' decisione pratica, che si prende dopo aver pensato e parlato, come
al sommo di un momento importante, e' celebrazione di solidarieta'
impegnata. Proprio settecento anni orsono da Perugia partirono quelle
processioni religiose dei "Laudesi" che, al sommo di una tensione religiosa,
manifestavano un sentimento "dal basso" che era maturato in decenni di alta
spiritualita' dalla predicazione francescana. Ma la nostra Marcia ha qualche
cosa di festoso e non di contrito, e di aperto perche' unisce persone di
idee diverse, accomunate da un unico orizzonte universale. Non dimentichiamo
che questa Marcia non e' per la pace "nell'Umbria", ma nel mondo intero, per
le trattative tra i blocchi, per il superamento dell'ostilita' fredda e
calda. Con questa Marcia gli umbri si pongono su un piano universale, si
affratellano ai popoli di tutti i continenti, alzano la loro voce di
amicizia, e tutti coloro che conoscano anche di sfuggita la nostra regione,
sentiranno accresciuta la loro simpatia per questa terra che, manifestando
tali esigenze universali, dimostra di avere abitanti all'altezza di un
compito importante".
Realmente la Marcia e' stata un'altra prova (e non sara' la sola) di
quell'insieme di apertura religiosa umana e di esigenza di trasformazione
sociale che fu cosi' vivo in Umbria nel Duecento e Trecento, in grandi
movimenti e grandi lotte. C'e' stato chi ha scritto che si e' sentito
"qualche cosa di nuovo" nella Marcia. Io credo sia soprattutto questo
insieme sociale religioso che ritorna per allargarsi nella nostra storia
attuale. Ecco che, a fatto avvenuto, si possono vedere le ragioni profonde
della Marcia.
Essa e' stata un atto importante, forse una svolta, nel nostro paese. Alcuni
giornalisti hanno paragonato il fatto a quello del luglio 1960, quando "dal
basso" una manifestazione antifascista arresto' l'orientamento del governo a
destra. La Marcia e' stata una manifestazione "dal basso", che ne ha
cominciate tante altre, per isolare i nuclei militaristici e reazionari. Con
l'unione stabilita tra i pacifisti e le moltitudini popolari, si e'
presentato un metodo di lavoro non piu' minaccioso di violenza, e nello
stesso tempo si e' avviata un'unita' che e' la massima che si puo' stabilire
in Italia: quella nel nome della pace. Si e' avviato un moto degli strati
piu' profondi e dei sentimenti fondamentali del popolo italiano, un moto che
non e' senz'altro politico o di classe, ma e' la premessa e l'addentellato
per ogni lotta ed ogni educazione che voglia svolgersi in Italia per
contrastare il patriottismo scolastico diffuso dai nuclei nazional-militari,
e, insieme il borghesismo edonistico che si ritrae da ogni lotta civile e
sociale per la fruizione dei benessere promesso dal neocapitalismo. La lotta
per la difesa e lo sviluppo della pace porta preziosi elementi di coesione
dal basso contro l'individualismo e il conformismo e per di piu' associa di
colpo le donne, le famiglie, prima delle lotte politiche. E con l'accento
posto sul superamento dei metodi violenti, sull'apertura e sul dialogo, non
solo sollecita la nostra democrazia, e qualsiasi altra, ma preme sulle
religioni esistenti, e particolarmente su quella tradizionale, perche' sia
messo in primo piano il rapporto nonviolento con tutti gli esseri. Aver
mostrato che il pacifismo, che la nonviolenza, non sono inerte e passiva
accettazione dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio
metodo che non lascia un momento di sosta nelle solidarieta' che suscita e
nelle noncollaborazioni, nelle proteste, nelle denunce aperte, e' un grande
risultato della Marcia, durante la quale abbiamo distribuito tremila copie
di un pieghevole di quattro pagine sulle idee e il lavoro del Centro per la
nonviolenza. Non dico che tutto sia chiaro e acquisito, ma e' certo che ora
ci sono larghi gruppi di italiani che sentono che la nonviolenza ha una sua
parola da dire. Con l'aggiunta della nonviolenza all'opposizione abbiamo
dato vita a un fermento interno, ad uno scrupolo, ad un'autocritica; il
risultato sara' che metteremo sempre meglio in luce ed isoleremo i gruppi
reazionari, i loro sforzi crudeli e vani nel mondo, la loro irreligiosa
difesa di una societa' sbagliata. Tanto piu' dopo gravissime denunce del
pericolo di una distruzione atomica, l'impostazione di un altro metodo di
lotta, quello nonviolento che mantiene il dialogo, la liberta' di
informazione e di critica e non distrugge gli avversari, diventa urgente; ed
io credo che anche nelle scuole bisognera' insegnare il valore e le tecniche
dei metodo nonviolento. La resistenza alla guerra diventa oggi tema
dominante, perfino con riferimenti teorici, filosofici, religiosi.

3. RIFLESSIONE. FILIPPA LA VILLA: RITA BORSELLINO, PER UNA NUOVA PRIMAVERA
SICILIANA
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip) riprendiamo il
seguente intervento.
Filippa (Pina) La Villa, acuta saggista, e' redattrice di "Giro di vite",
dove in particolare cura la rubrica "Segnali di fumo" ed ha pubblicato vari
materiali sul pensiero delle donne.
Rita Borsellino, sorella del magistrato Paolo Borsellino assassinato dalla
mafia, e' da molti anni insieme a don Luigi Ciotti la principale animatrice
dell'associazione "Libera", la principale rete dei movimenti della societa'
civile impegnati contro la mafia. Per coordinare e diffondere le
informazioni sulla campagna a sostegno della candidatura di Rita Borsellino
a presidente della Regione Sicilia e' attivo il sito: www.ritapresidente.it]

E' un successo - perche' indica una differenza profonda tra centro-destra e
centro-sinistra - gia' questo percorso. Adottare il metodo delle primarie ha
dato risultati positivi, sia nel caso della Puglia sia nel caso di quelle
nazionali tenutesi a ottobre. E non mi riferisco agli esiti (cioe' la scelta
di Vendola in Puglia e di Prodi a livello nazionale), ma al circolo virtuoso
che hanno innescato. Condivido le preoccupazioni di Rossana Rossanda e le
perplessita' espresse anche da altri osservatori sullo strumento delle
primarie (la personalizzazione, l'americanizzazione, etc.). Ma nel caso
specifico, cioe' nell'Italia di Berlusconi e nella Sicilia di Cuffaro, il
loro impatto va al di la' di queste preoccupazioni. Penso soprattutto alla
Sicilia e alla candidatura di Rita Borsellino. Penso a una Sicilia priva di
speranze, che ne ha ritrovata almeno una.
La candidatura di Rita Borsellino ha gia' mobilitato le migliori energie
della Sicilia. Altre se ne mobiliteranno. Nel sito di Rita Borsellino
(wwwritapresidente.it) due immagini, due loghi: le matite colorate e le
mollette per appendere il bucato. Per chi ha seguito gli avvenimenti
siciliani degli ultimi anni, sono due immagini di grande risonanza, che
riportano a una stagione precisa della politica siciliana a cui con la
candidatura di Rita possiamo tornare. E' la stagione della "primavera"
siciliana dei primi anni novanta, dopo le stragi di Capaci e di via
D'Amelio.
La reazione dei siciliani all'epoca fu fortissima e una delle prime fu
quella delle donne del comitato dei lenzuoli. Le donne appendevano ai
balconi delle loro case o portavano in giro nelle manifestazioni lenzuola
con scritte contro la mafia (citazioni da Falcone, Borsellino, Impastato).
Ma le donne e gli uomini siciliani non si limitarono a questo. Fu allora che
ebbe inizio una stagione straordinaria di impegno e di rinnovamento
politico. Una stagione durata purtroppo troppo poco, soffocata negli ultimi
anni, ma evidentemente non del tutto annientata se oggi, con la candidatura
di Rita Borsellino, sta riemergendo.
Uno dei motivi per cui questa stagione, le forze e la creativita' che aveva
espresso a tutti i livelli, non e' stata del tutto sepolta e' l'impegno di
Libera, l'associazione che raggruppa tutte le associazioni contro la mafia.
In questi anni, al riparo delle assemblee scolastiche, nel lavoro oscuro di
insegnanti, presidi, magistrati, giornalisti, Libera ha promosso in tutte le
scuole siciliane la cosiddetta "Educazione alla legalita'". Agli studenti
non e' stato detto "La mafia fa schifo" trattandoli da deficienti, ma sono
stati offerti strumenti di conoscenza della realta' in cui vivono, modelli
di rispetto della legge, occasioni concrete di solidarieta'.
Mentre si chiudevano gli spazi di partecipazione politica nei partiti,
mentre la Sicilia portava al Parlamento tutti esponenti della destra e la
sinistra misurava la sua impossibilita'-incapacita' di scalfire questo
strapotere (e le conseguenze le stiamo pagando noi siciliani ma anche i
nostri connazionali a cui abbiamo fatto questo bel regalo) Libera e le altre
associazioni hanno svolto una vera attivita' politica, fatta di relazioni,
di ascolto, di vicinanza ai problemi reali del territorio e non di belle
parole sul sicilianismo. Rita Borsellino ha accompagnato attivamente
l'attivita' di Libera, si e' identificata con essa. Come sorella di Paolo
Borsellino, Rita e' un simbolo della lotta alla mafia; per quello che ha
fatto in questi anni e' la testimonianza di un diverso modo di fare
politica, non a caso da parte di una donna.
La candidatura di Rita Borsellino indica alle donne un percorso che va al di
la' delle quote rosa. Ma lo indica soprattutto alle donne e agli uomini dei
partiti di sinistra che lo vogliono vedere. Esistono risorse ed energie,
nelle nostre citta' "invisibili", che i canali tradizionali della politica
non riescono a (non vogliono? non possono?) valorizzare.
Un mondo fatto soprattutto di donne, ma anche di molti uomini che rifiutano
l'idea e la pratica di una politica esclusivamente finalizzata all'esercizio
del potere.
Sono gli uomini e le donne che in questi anni hanno disertato le sezioni di
partito, ma hanno riempito le piazze contro la guerra, che in qualche caso
hanno disertato anche le urne, ma che cercano quotidianamente di difendere i
diritti contro i privilegi laddove possono e come possono. Sono gli uomini e
le donne che non pensano che una sola persona possa cambiare le cose o
affrontare efficacemente, in Sicilia, le conseguenze di anni di malgoverno.
Sono gli uomini e le donne che vedono in Rita Borsellino un modo di fare
politica a cui e' legata l'unica speranza che noi siciliani abbiamo di
affrontare a testa alta, con dignita' e rimboccandoci le maniche in prima
persona i problemi della nostra terra.

4. RIFLESSIONE. GIUSEPPE DI LELLO: PER RITA BORSELLINO PRESIDENTE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 dicembre 2005. Giuseppe Di Lello, nato
nel 1940, magistrato, membro del pool antimafia di Palermo che istrui' il
maxiprocesso alla mafia che costitui' un punto di svolta nella lotta contro
i poteri criminali in Italia; e' stato anche parlamentare europeo. Tra le
opere di Giuseppe Di Lello: Giudici, Sellerio, Palermo 1994]

Dal giorno della sua candidatura eravamo tutti convinti che le primarie
fossero una formalita' da sbrigare in fretta per immergerci poi, con "Rita
presidente", in una campagna elettorale difficile ma, finalmente,
entusiasmante sia per lo spessore umano e politico di Rita che per
l'obiettivo della discontinuita' che si e' data e che ci ha dato. La valanga
di consensi, riferibili per ora al solo centrosinistra, comunque la dice
lunga sulla grande volonta' di cambiamento che anima un'area non certo
maggioritaria in Sicilia. E pensare che alcuni dei suoi vertici politici,
prima che fosse proposta Rita, hanno perso mesi alla ricerca di un
candidato-modello capace di sconfiggere il centrodestra, magari
imprenditore, magari moderato, magari non direttamente ricollegabile - dio
ne scampi - alle lotte antimafia, senza rendersi conto che in Sicilia ha
senso vincere solo se si riesce a vincere contro la mafia.
*
Sara' uno scontro difficile perche' siamo in presenza di un sistema di
potere impastato da troppi decenni con mafia, affari e clientele e che ha
dimostrato di potere e di sapere resistere a tutto, compresa una repressione
giudiziaria, forte in se' ma indebolita da una opposizione politica giocata
solo in chiave di alternanza. Si e' cosi' azzerata in gran parte della
societa' civile qualsiasi speranza di cambiamento come ben dimostrano le
percentuali dei partiti di sinistra, da Palermo a Catania. Non a caso, da
ultimo, nonostante le grandi lotte politiche e di movimento contro il ponte
sullo stretto, per l'ambiente, per uno vero sviluppo e contro gli sprechi e
la mafia, costantemente "bilanciate" dalle ambiguita' e dai tentennamenti di
alcuni leader del centrosinistra, nelle comunali di Messina si sono
registrate l'esondazione del centro e la quasi scomparsa della sinistra.
La prima tappa, dunque, deve essere quella di rendere credibile una sinistra
di governo e cio' puo' avvenire solo se questa si propone in discontinuita'
con un sistema di potere che oggi si presenta nella sua versione piu'
aggiornata, il "cuffarismo", un intreccio spregiudicato tra retorica
antimafia e affari con una mafia che, pero', farebbe schifo. Cio' e'
possibile solo con persone come Rita e non perche' e' "la sorella del
giudice ammazzato dalla mafia" (come, ossessivamente, la qualificano i mezzi
di comunicazione, progressisti compresi) ma perche' la sua passione civile
da anni l'ha spinta a lavorare per lo sviluppo e la legalita', anche come
presidente di Libera, tra la gente normale, lontana da qualsiasi centro di
potere e sempre con il suo impegno per un'antimafia sociale.
*
Sono le persone normali che bisogna recuperare alla politica, con pazienza,
senza promesse mirabolanti: e' a queste persone che, durante la campagna per
le primarie, Rita Borsellino ha promesso innanzitutto rispetto e, cioe', un
impegno per trasformarli in cittadini titolari di diritti (il lavoro
innanzitutto) da rendere effettivi e non sudditi dipendenti da favori
elargiti dal "vasa-vasa" di turno. Altre vie non ce ne sono perche' da
queste parti le illusioni per patti con borghesie illuminate o
imprenditori-produttori sono rimaste sempre tali. Dopo l'idillio tra Cuffaro
e l'alta tecnologia dell'imprenditore medico Aiello, si e' affacciata sulla
scena l'ultima, penosa commedia di un vertice imprenditoriale che, pieno di
apparente furore efficientistico e antimafioso, dispiegato anche contro
l'attuale governo regionale, si e' fatto prendere con le dita nella
marmellata: Giuseppe Costanzo presidente di Sicindustria e Fabio Cascio
presidente di Assindustria di Palermo (ora dimissionari) con aziende nelle
quali erano soci anche i rampolli dei mafiosi Bontade e Teresi; Giuseppe
Albanese presidente delle piccole e medie imprese condannato ad un anno per
favoreggiamento del racket.
*
Rita non e' di estrazione partitica ma una sua vittoria non rafforzerebbe la
stagione dell'antipolitica cosi' nociva per la sinistra: sarebbe, anzi,
specie per questa, la chiara dimostrazione del fallimento di un certo modo
di intendere la politica, tra alternanza e continuita'. E' l'unica ipotesi
di discontinuita' che abbiamo e, allora, con entusiasmo, da oggi con "Rita
presidente" un'altra Sicilia e' possibile.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1141 dell'11 dicembre 2005

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