La domenica della nonviolenza. 50



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 50 del 4 dicembre 2005

In questo numero:
1. Aldo Capitini, Lanfranco Mencaroni: Per la creazione di una corrente
rivoluzionaria nonviolenta
2. Giuliana Saladino: Compilando l'indice di "Segno" (1985)

1. DOCUMENTI. ALDO CAPITINI, LANFRANCO MENCARONI: PER LA CREAZIONE DI UNA
CORRENTE RIVOLUZIONARIA NONVIOLENTA
[Prendendo spunto dalla nuova pubblicazione di questo testo (nella stesura
originaria del 1955, gia' apparsa anche sulla rivista "Linea d'ombra"
nell'ottobre 1987) nella bella rivista diretta da Goffredo Fofi "Lo
straniero" nel fascicolo n. 66-67 di dicembre 2005 - gennaio 2006 (sito:
www.lostraniero.net), nuovamente lo riproponiamo anche sul nostro foglio (su
cui apparve gia' alcuni anni fa) nella versione pubblicata nel 1963 da Aldo
Capitini e Lanfranco Mencaroni e rivista nel 2001 da Lanfranco Mencaroni,
che ringraziamo per avercela a suo tempo inviata.
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale -
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca -
bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato
il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una
raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea
d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996;
segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri,
Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti Le
ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di
"Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito:
www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi
ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i
fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di
tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di
opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza,
Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi,
Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo
Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle
singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le
pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci,
Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini,
Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni
cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La
pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb,
Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi
dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi)
1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia
intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998,
2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico
de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta'
liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia
1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Federica
Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella,
Assisi 2004; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi,
Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una
bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito
citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito
dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it,
altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un
altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a
Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni:
l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803,
e-mail: azionenonviolenta at sis.it
Lanfranco Mencaroni (per contatti: l.mencaroni at libero.it), medico, amico e
collaboratore di Aldo Capitini, e' infaticabile prosecutore dell'opera
comune, animatore dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per
contatti: e-mail: capitini at tiscalinet.it, sito: www.aldocapitini.it) e
curatore del sito del "Cos in rete" (www.cosinrete.it) che mette a
disposizione anche una ricchissima messe di testi di e su Capitini, ed e' un
fondamentale punto di riferimento per amici e studiosi della nonviolenza]

1) La situazione politica italiana e mondiale presenta un vuoto
rivoluzionario: i partiti stanno o su posizioni conservatrici o su posizioni
riformistiche, prive di tensione e di forza educatrice e propulsiva nelle
moltitudini.
Cosi' si va perdendo anche l'esatta prospettiva che pone come finalita'
decisiva della lotta politica il superamento del capitalismo,
dell'imperialismo, dell'autoritarismo.
Vi sono tuttavia delle minoranze che vedono chiaro, ma tali minoranze devono
giungere ad un'azione organica nella situazione italiana, per cui, da una
societa' dominata da pochi, si passi ad una societa' aperta a tutti nelle
liberta', nel potere, nella economia, nella cultura.
2) La crisi dei movimenti operai e socialisti nell'attivita' politica e
sindacale e' dovuta principalmente al fatto che non si e' saputo concordare
dinamicamente la triplice finalita' suddetta con la pratica quotidiana nella
attuale democrazia.
3) Sarebbe un errore credere che la politica del neocapitalismo con le
attrattive del benessere e la suggestione degli interventi paternalistici e
provvidenziali riesca a cancellare dalle moltitudini la tendenza a possedere
effettivamente il potere con tutte le sue responsabilita', a controllare
tutte le decisioni pubbliche, a impedire realmente la guerra, a sviluppare
la liberta' e la cultura di tutti nel modo piu' fiorente.
Lo sviluppo della lotta per la pace, la democrazia, la giustizia economica e
sociale, contro la miseria e la fame nel mondo, in difesa dell'ambiente e
della salute, per la diffusione dell'istruzione e la difesa della cultura,
provano che le moltitudini accettano sempre di meno gli equivoci offerti
dalla classe dirigente.
4) Nei problemi posti dalle esperienze di socialismo nel mondo e' facile
osservare che sono stati superati gli schemi dottrinari che attribuivano a
una determinata ideologia, o ad un unico partito la possibilita' di
intervento rivoluzionario.
E' opinione sempre piu' accettata che esiste una connessione stretta tra il
metodo rivoluzionario adottato e il tipo di potere che segue alla
conclusione vittoriosa della rivoluzione.
Anche in questo campo l'insufficienza del metodo leninista, e di altri
metodi similmente imposti da minoranze alla maggioranza, e' rivelata dalla
crisi che ha contrapposto e contrappone in maniera piu' o meno drammatica la
societa' civile al potere rivoluzionario e che e' diventata la causa della
instabilita' e della dissoluzione degli stati cosi' detti socialisti e di
altri stati sorti nel dopoguerra da moti sottoposti all'egemonia di
minoranze.
La medesima crisi tra deficienza di potere civile delle masse e reale potere
politico di gruppi ristretti e' chiaramente visibile anche nelle democrazie
parlamentari, che sono sempre piu' esposte a subire la pressione egemonica
di gruppi di potere economici, politici, religiosi, agenti fuori dagli
istituti civili e capaci di svuotarli della rappresentativita' popolare,
piegandoli ai loro interessi di minoranza.
Inoltre, nel nostro paese, come del resto in tutto l'occidente, la
situazione e' tale che tutti i vecchi metodi dell'opposizione popolare si
rivelano inutilizzabili o insufficienti a mantenere una tensione
rivoluzionaria che si costruisca progressivamente, nel suo sviluppo, gli
adeguati strumenti pratici della sua applicazione.
5) Per queste ragioni siamo convinti che il metodo che deve essere assunto
per la lotta rivoluzionaria e' il metodo della nonviolenza attiva,
nell'articolazione delle sue tecniche, gia' attuate in altri paesi in lotte
di moltitudini.
Riteniamo che questo metodo sia da accettare e da svolgere non soltanto per
la sconvenienza e l'improduttivita' dei metodi violenti e la loro
inaccettabilita' da parte delle nostre moltitudini, ma soprattutto per il
suo contenuto profondamente umano, all'altezza del migliore sviluppo della
societa' civile moderna.
6) Questo metodo, che per essere visibilmente e politicamente efficace deve
essere impugnato da un largo numero di persone, mostra con cio' stesso che
e' in grado di dare le piu' ampie garanzie di democraticita', di espressione
delle forze dal basso, di insostituibile e mai sospendibile liberta' delle
piu' varie opinioni, di decentramento del potere nelle sue varie forme
economiche, politiche, sociali, civili.
7) Con questo metodo e' possibile dare inizio alla formazione di organismi e
istituzioni dal basso che concretino tali garanzie, prefigurando e
preparando la complessa societa' di tutti.
I rivoluzionari violenti con i loro metodi non sono capaci di realizzare
tali organismi e istituzioni, e, o ne rimandano l'attuazione a dopo la
conquista del potere, con atto autoritario che ne infirma la democraticita',
o vi rinunciano, vista l'impossibilita' di usare la violenza, cadendo i
dirigenti nell'inerzia e le moltitudini nello scetticismo.
8) Nell'attuale momento, crediamo che come prima fase un intervento nella
situazione italiana che segua questo orientamento possa prendere la forma di
"corrente" con "gruppi" operanti dentro e fuori le attuali associazioni
politiche, sindacali, culturali, etico-religiose.
Questi gruppi potranno operare coordinatamente secondo piani che saranno
stabiliti dai gruppi stessi nei loro incontri.
9) Possiamo definire cosi' gli obiettivi finali di tutto il lavoro: la
costituzione di una societa' nuova e socialmente aperta la cui
organizzazione economica, politica, civile e culturale sia continuamente
sotto il potere e il controllo di tutti, nella liberta' di informazione, di
associazione e di espressione, manifestazione e promovimento costante di
apertura ad una societa' universale nonviolenta.
10) Obiettivi immediati di transizione a questa finalita' sono:
a) la diffusione delle tecniche della nonviolenza da applicare a tutte le
lotte politiche e sindacali;
b) l'opposizione alla preparazione e alla esecuzione della guerra;
c) la convergenza sul piano rivoluzionario nonviolento di tutti i cittadini
che aspirano ad una nuova societa' e delle loro associazioni di qualsiasi
ideologia;
d) la rapida costituzione di centri di orientamento sociale aperti, in
periodiche riunioni, a tutti e alla discussione di tutti i problemi della
vita pubblica;
e) la formazione di consulte rionali o di villaggio elette da tutti i
cittadini per il controllo e la collaborazione nei riguardi delle
amministrazioni locali;
f) l'organizzazione di comitati dei lavoratori e tecnici, eletti da tutti
indipendentemente dalle organizzazioni politiche e sindacali, con il compito
di seguire i problemi delle singole aziende e di portare tutti al possesso
delle tecniche del controllo sulla produzione e sulla pianificazione
democratica, da utilizzare nella lotta per la societa' di tutti;
g) l'impostazione di una riforma della scuola per cui tutti gli istituti
scolastici a tutti i livelli siano organizzati con spirito comunitario e
controllati da comitati degli studenti e dei professori;
h) la richiesta agli enti pubblici di fondare giornali quotidiani e
settimanali con assoluta obiettivita' di informazione;
i) la costituzione di centri cooperativi culturali dal basso per
l'educazione degli adulti nel campo della divulgazione dei valori artistici,
scientifici, storici, ecc. sottraendoli alle manipolazioni autoritarie o di
parte.
11) Noi pensiamo che una corrente rivoluzionaria nonviolenta debba
richiedere ai suoi aderenti un comportamento manifestamente concorde alla
sua finalita', realizzando tra l'altro il principio che ogni eletto a
qualsiasi carica, sia della corrente sia di ogni altro organismo, possa
essere dispensato dal suo incarico nei periodici incontri con i suoi
elettori; dedicando ad iniziative pubbliche orientate in campo sociale la
massima parte del proprio bilancio privato, non partecipando al possesso di
beni che comportino lo sfruttamento dei cittadini.
12) A coloro che non scorgessero differenza tra la nostra impostazione e
quella democratica parlamentare teniamo a far presente quanto limitata sia
la democraticita' parlamentare, lontana dalla volonta' attiva e quotidiana
di tutti i cittadini, e quanto invece e' complessa e diretta la presenza di
tutti negli organismi da noi propugnati, atti a superare continuamente i
privilegi e il potere dei pochi.
13) A coloro che obiettassero che la pianificazione economica sociale di uno
stato moderno non puo' essere che centralistica e autoritaria, rispondiamo
che la pianificazione puo' e deve essere accompagnata dall'esistenza di
organi democratici che ne rendano possibile dal basso la preparazione, il
controllo della esecuzione e la revisione.
Questi organi sono l'unica garanzia che l'autoritarismo della pianificazione
non si trasferisca nell'autoritarismo di tutto l'apparato statale, come ha
dimostrato l'esperienza sovietica.
Questi organi, infatti, continuando l'azione gia' svolta nella situazione di
economia privatistica, dovranno svilupparsi fino a diventare i protagonisti
del mondo produttivo della nuova societa'.
14) La garanzia che la societa' di tutti e nonviolenta da' alla libera
funzione delle correnti ideologiche e dei partiti deve avere come unica
contropartita la libera espressione, all'interno delle correnti e dei
partiti stessi, dei pareri dei singoli e dei gruppi.
15) Nella politica internazionale attuale la nostra posizione e', oltre che
di lotta per la pace, di pieno appoggio a tutti coloro che lottano con i
metodi nonviolenti contro il capitalismo, l'imperialismo, l'autoritarismo;
di aiuto incondizionato ed immediato a tutti i popoli sottosviluppati da
concretarsi in grandi piani di collaborazione; di sviluppo della
collaborazione internazionale e degli organismi che la garantiscono, a
cominciare dall'Onu, e della diffusione dei nostri metodi nonviolenti per il
raggiungimento dei fini comuni.

2. ESPERIENZE. GIULIANA SALADINO: COMPILANDO L'INDICE DI "SEGNO" (1985)
[Dal sito della bella rivista diretta da padre Nino Fasullo "Segno"
(www.rivistasegno.it) riprendiamo il seguente articolo di Giuliana Saladino
apparso nel n. 55 (1985) della rivista, che di essa traccia ed interpreta la
vicenda fino ad allora, una vicenda luminosa di pensiero e di azione che
continua tuttora.
Proponendo nel sito questo articolo, la redazione cosi' lo presenta: "Nel
1985, con la passione civile che ne ha sempre contraddistinto la vita, ogni
gesto, ogni azione, Giuliana Saladino decideva di leggere pagina per pagina
l'intera collezione decennale di 'Segno', per ricavarne un primo Indice
delle voci e degli argomenti trattati. Un lavoro certosino, che le dava
anche la possibilita' di tornare con occhio critico sui primi dieci anni di
storia della rivista, ripercorrendone le tappe fondamentali, rileggendone
gli articoli e i saggi, tornando con la memoria a episodi e nomi che hanno
accompagnato i primi difficili passi di questa iniziativa editoriale. Oggi,
purtroppo, Giuliana non e' piu' con noi. Resta - tra i tanti bei ricordi che
di lei conserviamo - questa sua breve storia di 'Segno', ancora
attualissima, che rappresenta un po' la storia di una scommessa per il
cambiamento, per la democrazia, per la pace. Una scommessa che - nonostante
tutto - noi pensiamo ancora di poter vincere".
Giuliana Saladino, intellettuale palermitana (1925-1999), vivida figura
dell'impegno civile, militante del movimento operaio e contadino, impegnata
nella lotta contro la mafia, giornalista, scrittrice. Opere di Giuliana
Saladino: De Mauro: una cronaca palermitana, Feltrinelli, Milano 1972; Terra
di rapina, Einaudi, Torino 1977, poi Sellerio, Palermo 2001; Romanzo civile,
Sellerio, Palermo 2001]

Questa rivista dura da dieci anni nell'aspro contesto palermitano, comincia
a essere citata su libri italiani e stranieri, non perche' faccia opinione -
e' troppo poco nota - ma perche' esprime opinione. I suoi temi di fondo:
chiesa, pace, mafia. Fa parte di quella Palermo che silenziosamente scivola
via dalla lunga prigionia dentro la Dc. Gli indici di "Segno" presentano
piu' di uno spunto di riflessione: gli spazi culturali e politici che
Palermo offre a laici e credenti sorretti da tensione civile e morale, il
ruolo di supplenza che il vescovo Pappalardo assume nel vuoto di potere e di
iniziativa, le contraddizioni in cui si trova impigliata la chiesa in
Sicilia rispetto alla "restaurazione" vaticana, le conseguenze imprevedibili
della fine del collateralismo con la Dc. Siamo al punto in cui bisogna
chiedere alla chiesa una "cultura di servizio" di tipo latinoamericano?
Un'amministrazione di sinistra, a Palermo, avrebbe la chiesa alleata oppure
ostile?
Sognando, forse mitizzando il computer, o piu' modestamente vagheggiando un
paio di amanuensi, di dattilografi e di schedatori, ho compilato l'indice di
dieci anni della rivista "Segno", incontrando, e spero superando,
difficolta' di ordine tecnico, pratico e anche teorico. Tecnico: schedine e
come? in ordine alfabetico, in ordine di numero progressivo della rivista, o
piuttosto per materia? Pratico: necessita' di spazio per i materiali, di
tempo a volonta', di concentrazione massima per tenere a mente e non
inseguire continuamente tra le schedine una quantita' di nomi e di soggetti.
Teorico, o forse meglio culturale: Bibbia e' una voce a se stante, o e'
teologia? Mafia puo' costituire una sottovoce di Sicilia? Le Acli
appartengono alla voce Chiesa o piuttosto ai movimenti cattolici? e cosi'
via.
Ne e' risultato un indice fatto a mano, del tutto artigianale, ma mi auguro
efficiente e di spedita consultazione per chi avra' voglia, oggi come tra
dieci anni, di esplorare opinioni riflessioni o documenti di uno strato
della dura Sicilia di questo periodo. Gia' ora, a compilare l'indice, le
riflessioni di "Segno" suggeriscono altre riflessioni. Ma andiamo con
ordine. Questo numero della rivista, con gli indici, si rivolge a un
pubblico piu' ampio, destinato com'e' a biblioteche, a circoli culturali, a
pubblicazioni periodiche, a politologi sociologi mafiologi ed ecclesiologi,
destinato anche ai sicilianologi all'estero - pensiamo a Henner Hess in
Germania, a Norman Lewis a Londra, a James Fentress a Oxford, a Judith Chubb
nel Massachussetts, ai tanti altri - pertanto vediamo anzitutto chi e'
"Segno", come nasce, da chi e perche'.
*
"Cambiarne per continuare"
Nel fervore di istanze nuove suscitate dal Concilio Vaticano II, nel 1967
esce a Palermo "II Cristiano d'oggi", una rivista dei padri redentoristi,
cui nel 1972 daranno nuovo impulso, insieme a laici, i sacerdoti Fasullo,
Licata, Ferro. Nel 1974 essi commettono l'imprudenza di non associarsi a
quella che dovrebbe essere, secondo le alte gerarchle della chiesa e secondo
Fanfani, una crociata santa contro il divorzio. Si spingono fino a invitare
a Palermo Raniero La Valle e don Franzoni, per conferenze affollate e
applaudite. Il superiore generale dei redentoristi, a Roma, ne e' informato,
la Dc locale furiosa, il cardinale Pappalardo preoccupato. Corrono lettere
tra redentoristi e Curia, Curia e Santa Sede. Piovono trasferimenti, "II
Cristiano d'oggi" muore e probabilmente pochi, oltre agli interessati, se ne
accorgono o lo rimpiangono.
Ma il seme di una riflessione originale non e' disperso al vento, anzi cova
rigoglioso tra i redentoristi, e nel novembre 1975 esce "Segno", mensile,
anno I, numero 1, firmato da una redazione di cui fanno parte Nino Alongi,
Marta Cimino, Nino Fasullo (responsabile), Calogero Ferro, Pietro Gelardi,
Franco Giordano, Franco La Rocca, Dina Leone, Totino Licata, Gaetano Lo
Mauro, Dino Marchese, Giovanni Marchese, Luigi Tine', tutti insegnanti o
sindacalisti o studenti e, tra essi, qualche redentorista coraggioso.
L'editoriale, intitolato Cambiamo per continuare, vale la pena riprenderlo,
perche' alla distanza di dieci anni e' possibile constatare come a quel
programma essi abbiano tenuto fede. Ne riproduciamo ampio stralcio, visto
che la sobrieta' e precisione dell'enunciazione ci risparmiano di spiegare
con parole nostre quel che essi hanno bene spiegato a suo tempo e che
costituisce l'essenza attuale di "Segno":
"... L'esperienza di questi anni ed alcune iniziative da noi lanciate
(citiamo per tutte la venuta di Franzoni durante la campagna per il
referendum) ci hanno dimostrato che la realta' palermitana e regionale non
e' affatto refrattaria verso quanto di buono e di nuovo emerge dalla
societa'. Ci sono settori di opinione pubblica cattolica e laica a cui oggi
possiamo rivolgerci senza la paura di spingerci troppo in avanti, il timore
di dover cominciare dall'alfabeto. E' a questi che noi guardiamo nella
speranza di offrire momenti di confronto non divagatori o astratti.
"Poiche' un giornale vale per le cose che dice e non per le sue
dichiarazioni di principio, eviteremo di stilare proclami ideologici.
Peraltro non vogliamo essere vincolati a nessun tipo di confessionalismo. Ci
sentiamo tuttavia inseriti nello schieramento democratico e popolare che si
batte nel paese per un rinnovamento delle sue strutture; i nostri punti di
riferimento sono le forze, storiche e non, della sinistra, i sindacati dei
lavoratori. La discriminante minima e' quella di un antifascismo non
equidistante dagli estremi.
"Siamo anche per un meridionalismo non recriminatorio ne' campanilistico ma
che assume la questione meridionale come fatto centrale su cui si impone un
diverso modello di sviluppo. Nell'ambito ecclesiale ci consideriamo parte in
causa con coloro che, senza fanatismi o integralismi di segno opposto, si
adoperano per depurare la fede da ogni scoria temporalista, per farne
testimonianza povera e non protetta di valori; con coloro che vogliono una
chiesa non compromessa se non con i destinatari primi del suo messaggio di
salvezza: i poveri e gli sfruttati di questo tempo. A chi condivide le
nostre premesse, o soltanto a chi se ne sente interessato, chiediamo di
essere giudicati sulla coerenza tra le intenzioni e i risultati, e di essere
aiutati a migliorare".
Ecco, "Segno" e' tutto qui, con coerenza nel tempo. Trovera' molti compagni
di strada, ma intanto difficolta' e ostilita' non sono finite: non e' solo
l'asfissia dei soldi da reperire ogni mese per stampare la rivista, e' che
la Curia e la dirigenza dei redentoristi mal tollerano a questo punto
iniziative individuali, quindi per i sacerdoti i cui nomi compaiono come
redattori si fa appello al loro voto di poverta', che gli impedisce di
risultare proprietari di una testata, sia pure assieme ad altri, sia pure
fonte solo di spese e mai di introiti. Pertanto quando "Segno" arriva al
numero dieci avviene un rimpasto redazionale, direttore responsabile diventa
Marta Cimino, che nel 1983 sara' poi sostituita da Renato Scalia, scompaiono
dalla redazione i nomi di Fasullo, Ferro, Licata, solo cosi' su questo
fronte si trova un assetto e una tregua definitiva. Resta pero'
dell'acredine: ai due redattori, Tine' e Scalia, che portano al cardinale
alcuni numeri di "Segno", il prelato risponde seccamente: "Non ho chiesto di
leggerlo".
*
Si delinea la scelta
In questi anni la rivista stenta a trovare un assetto nella sua forma e nei
suoi contenuti: troppa attualita' per un mensile e troppo sindacalismo,
spinte da sinistra non sempre calibrate, tentativi populistici di
intervenire sulla citta', nessuna firma in calce agli articoli, i documenti
sono frammentari, aleggia qualcosa di dilettantesco, le vignette pur
efficaci oggi appaiono datate e un po' goliardiche, non c'e' ancora
spessore, "Segno" cerca la sua identita'. Preme il modello del rotocalco,
anche se realizzato al livello minimo, il tentativo di fare scandalo morale
con la foto del bambino povero, l'inchiestina dal vivo nei quartieri,
qualche enfatizzazione di polemiche all'interno della comunita' ecclesiale,
insomma grosse incertezze sul vero destinatario.
Schedando i tre anni di "Segno" prima maniera - 1975/1978 - malgrado la
buona volonta' della redazione, non troviamo gran che; eppure, come ogni
passato contiene il suo futuro, nell'insieme dell'indice, ognuno puo'
constatarlo, lampeggia qua e la' il disegno, la scelta che dopo tre anni di
ricerca e tentativi la rivista compira'.
*
I documenti rari
Con uno stacco netto nel febbraio 1979 il fascicolo mezzo sindacale mezzo
ecclesiale cambia veste forma e contenuto e sviluppa passo dopo passo il suo
progetto iniziale: non calderone siculocosmico e valle di lacrime
meridionale, ma riflessione attiva e costruzione di coscienza su tre temi di
fondo che vanno dispiegandosi numero dopo numero: la chiesa, la mafia, la
pace, con un occhio generoso e non pietistico ai deboli, siano essi gli
handicappati di Sicilia o gli infelici cittadini di El Salvador, e con un
supporto imponente di documenti rari.
Definiamo raro il testo pubblicato in inglese sulla Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana nel 1947, che e' l'articolo 50 del trattato di pace con
cui si vietano installazioni militari in Sicilia e in Sardegna; definiamo
rara la relazione di Rocco Chinnici alla commissione "Riforma", un anno
prima della sua morte; o il testo integrale del messaggio dei vescovi
riuniti in Messico; definiamo rara per una rivista non scientifica la lenta
cadenza del ragionamento altrui che si sviluppa e viene a compimento,
abituati come siamo al succo, al concentrato, alla frase scioccante
estrapolata. Rinunciando al facile e al futile, senza pretendere di
soddisfare nessuna bramosia di notizia, senza pretendere di sostituirsi a
rotocalchi o a intrattenimento, tentando sempre la via della riflessione
critica, raccogliendo attorno a se', raggranellando uno per uno magistrati e
teologi, docenti e politici, esercitando percio' stesso opera di
aggregazione culturale e civile, lasciandosi alle spalle tutto lo scibile
meridionalistico, trascurando quindi un bel po' di problemi, dalla sanita'
ai cosiddetti problemi della cultura, dalla scuola all'acqua o all'ecologia,
ma la domanda e' tanta e a tutto non si puo' rispondere, concentrando le
forze nell'approfondimento dei tre temi di fondo - chiesa, mafia, pace - la
rivista guadagna in incisivita' e spessore.
Posso elogiarla senza imbarazzo, col privilegio dell'ultima arrivata, che
non ne ha vissuto i travagli interni ne' le scelte, che conosce solo due dei
suoi redattori, che ha guardato ai titoli e ai contenuti con libero
distacco.
*
Fuori dal palazzo
Ora che "Segno" presenta con legittimo orgoglio la coerenza e la serieta'
del suo indice di dieci anni gia' trascorsi, di nuovo dobbiamo chiederci chi
e' "Segno", e rispondere senza esitazione che "Segno" si identifica con un
gruppo redazionale di giovani intellettuali, insegnanti o impiegati, che
fanno capo a Nino Fasullo, redentorista, insegnante di filosofia, arguto e
tenace: e' alla porta del convento dell'Uditore che vanno a bussare "Der
Spiegel" o il "Washington Post", il giornalista danese o francese, il
teologo latinoamericano, il che, se costituisce un indubbio sintomo di
"successo" nel senso piu' massmediano della parola, costituisce pure una
bella contraddizione, perche' "Segno" e' un mensile praticamente underground
che non trovi nelle edicole e che cammina per lo piu' in abbonamento. Come
diventa allora punto di riferimento palermitano? C'e' una ragione precisa in
questo "successo": lo star fuori da tutti i palazzi, da quello della Curia e
da quello del governo, da quello della Dc e da quello del Pci.
Volendo dare una qualche spiegazione del fenomeno mi e' sembrato pertinente
e penetrante un brano del tragico libro di Nando Dalla Chiesa (Delitto
imperfetto, Mondadori, Milano 1984), la' dove il sociologo si occupa degli
intellettuali e scrive: "E' la societa' che, spontaneamente, presenta nuove
fisionomie, redistribuisce le responsabilita' di interpretare e
rappresentare. Dove il fatto che un nuovo ceto intellettuale si vada
formando non significa pura sostituzione, a parita' di 'profilo funzionale',
di un ceto a un altro... E in questa nuova intellettualita' entrano alcune
delle figure intellettuali piu' tradizionali e che si pensavano superate, in
particolare preti e insegnanti che in molte localita' non solo del Sud, nel
silenzio di universita' e di tanta parte della stampa, si sono fatti
interpreti della rivolta morale giovanile. A essi si aggiungono, non
contraddittoriamente con le valutazioni di fondo esposte, tanti giornalisti
e operatori dell'informazione (una consistente minoranza) che hanno fatto
quanto possibile... per fornire il lettore di una coscienza civile meno
banale, piu' informata e meno legata ai luoghi comuni della politica...
Colpisce in effetti questa commistione di tradizionale e di moderno che si
ritrova nel nuovo ceto in formazione, ma essa mi pare del tutto in armonia
con la qualita' dei processi in corso. Essi infatti si rappresentano con i
conflitti che interessano lo stato... e che pero' interessano al tempo
stesso la salvaguardia di alcuni valori fondamentali, prepolitici, dalla
liberta' alla dignita' dell'uomo. E' la difesa di cio' che vi e' di piu'
antico che si congiunge con la conquista di uno stato finalmente moderno e
civile a disegnare itinerari del tutto nuovi di fondazione di categorie,
culture e alleanze; a scompigliare i modelli intorno ai quali si sono
pensate la politica e la cultura... un compito probabilmente piu' arduo,
quello di ricongiungere l'etica con la politica, ed e' dentro di esso che si
potranno creare le condizioni piene della sconfitta della mafia".
L'intero brano costituisce una convincente analisi che si puo' applicare
pari pari al coagulo di interessi spirituali civili e morali che "Segno" ha
visto crescersi attorno.
*
La storia rovescia i ruoli
Compilando l'indice, accostandomi a cose mai sapute e a roba sempre
trascurata, apprezzando il valore deflagrante che ha per i cattolici la
teologia della liberazione, scoprendone il sofferto travaglio, leggendo la
lettera di monsignor Romero, poi assassinato, al presidente Carter o i gridi
di dolore delle chiese latinoamericane, si e' fatta strada una prima confusa
riflessione: che la storia rovescia i ruoli, capovolge le situazioni, che
"l'infame da schiacciare" ha cambiato fronte. "Ecrasez l'infame" incitava
Voltaire due secoli fa, ravvisando nell'infame i gesuiti, la chiesa, ogni
clericalismo. La chiesa, che in Sudamerica ne ha fatto di tutti i colori,
dalla conquista della cattolicissima Spagna in poi, oggi, con autorevoli
prese di posizione in contrasto con la politica vaticana, sta esattamente
dall'altra parte. Chi e' l'infame in Nicaragua, in Brasile, Argentina, El
Salvador? cioe' per quasi un terzo della popolazione del mondo? E chi e'
l'infame in Polonia? Cattolici o no, atei o meno, la storia ci ha sospinto
sulla stessa linea di Romero o di Popieluszko. C'erano dubbi? A intuito no,
ma avere in mano le prove, e leggerle, e' un'altra cosa.
Continuando la compilazione, con sempre maggiore preoccupazione perche'
aumentando la mole del materiale le schedine rischiavano di diventare
ingovernabili, altro ordine di suggestioni e pensieri si facevano strada.
Tra questi vorrei enucleare solo due considerazioni - una su "Segno" a
Palermo, l'altra sul cardinale a Palermo - entrambe con valenze positive,
entrambe con risvolti se non amari certo carichi di qualche perplessita'.
Padroneggiando l'intero indice 1979/1984, definite voci e sottovoci, mi
accorgevo di disporre di una ricca fruttuosa miniera, destinata allo
studioso, al giornalista meno frettoloso, al cittadino ansioso di rimeditare
il presente.
*
Una ricerca ininterrotta
La rivista cosi' com'e' infatti, anche se non cessavo di rilevarne
criticamente qua e la' talune defaillances (a volte un "mattone" dal
linguaggio eccessivamente astruso, a volte un discorso troppo gracile per
costituire articolo meno effimero, a volte qualche concessione all'amico,
pur stimato, che presenta un compitino) mi appariva in costante ascesa, in
ininterrotta ricerca: corposi gli articoli e i saggi scritti spontaneamente
o su precisa richiesta della redazione, in cambio non di denaro o di
notorieta' ma solo per avere l'onore di aggiungere la propria pietruzza alla
battaglia civile; oculata la scelta delle relazioni non destinate a "Segno"
ma lette in convegni e seminari i cui atti, se veramente vedono la luce, la
vedono troppo tardi e raggiungono solo gli addetti ai lavori; incisiva la
scelta di innumerevoli documenti su chiesa, pace e mafia.
Seguendo un personalissimo criterio di giudizio qualche segnalazione mi
sembra doverosa oltre che utile: il discorso del teologo Chiavacci su Fede
cristiana e coscienza morale di fronte alla mafia ritengo che ai cattolici
dica davvero qualcosa in piu' dei silenzi che hanno sempre sentito; e cosi'
Mafia proprieta' e morale del teologo Mattai, o la visitazione, con occhi
moderni, di alcune figure della Bibbia da parte del redentorista Santino
Raponi; cosi' come lo studio originale di Alberto Tulumello, pur con
appesantimenti, inevitabili, di tipo accademico, segna uno sforzo di analisi
diverso e piu' profondo sulla Mafia imprenditrice e piccola borghesia di
quanto non si sia letto finora; cosi' gli editoriali politici elaborati
collettivamente dall'intera redazione; cosi' gli articoli sempre impegnati e
attenti di Giacomo Vaiarelli, Sergio Di Giorgi, Domenico Castiglia, Vincenzo
Guarrasi; cosi' Graziella Priulla, con un saggio breve e stimolante ci
induce, e ben a ragione, a ripensarci tutti in termini di portatori,
consapevoli o no, di una cultura mafiosa da sradicare: essa infatti e' cosi'
ben interiorizzata mimetizzata e difesa che trova posto d'onore anche sui
giornali locali.
Nel campo della pace, nutriti come siamo di slogan o di secchi dati tecnici
sulla gittata dei Pershing o degli SS20, mi sembra che Umberto Santino vada
molto piu' in la' col suo Pagliaio atomico: la Sicilia nella strategia di
guerra degli anni '80, quando poi vi si sommi la relazione di Domenico Gallo
Dalla sovranita' dello stato alle installazioni; quando alle elaborazioni
originali sulla mafia si sommano le tante relazioni di giudici (Falcone, Di
Lello, Borsellino, Chinnici e molti altri) sottratte alle pile di scartoffie
che rimangono di un convegno e che invece vanno ad arricchire e punteggiare
"Segno", ecco che siamo fuori dall'ovvio, dal rimasticato, sulla strada di
una crescita civile, di una migliore indagine sui problemi che ci
travagliano.
*
La sortita allo scoperto
Parallelo e' il discorso sui Documenti, una sezione sempre presente in ogni
numero della rivista: sul tema chiesa si tratta di testi emanati dalle
diocesi, quella di Acireale come quella di Santiago del Cile, o di
conferenze episcopali come quella di Puebla, o di lettere pastorali che
presentino un appiglio, un motivo, tenue o insistito, un cenno o un intero
progetto di una chiesa realmente ispirata agli ideali del Concilio,
proiettata in avanti nella societa' contro i potenti e a favore dei deboli,
ma anche voci del dissenso aperto o della chiusura piu' rigida, sempre senza
commento, ciascuno giudichi da se' (per esempio ciascuno giudichi da se'
l'omelia natalizia del 1983 di mons. Rizzo, vescovo di Ragusa, che tuona:
pacifisti di tutto il mondo lasciateci in pace! quasi a dire: che e' mai
tanto chiasso per quattro missili). Accanto, negli anni in cui Palermo
procede da una strage all'altra, gli appelli, le mozioni, i comunicati di un
ventaglio sempre piu' vasto della societa' civile che non ha altro mezzo per
testimoniare contro la mafia, parroci, studenti, poliziotti, sindacati di
categoria, piccoli club sconosciuti, emittenti radio di piccoli paesi, un
pullulare di associazioni, tutti stilano i loro documenti, cercano le parole
dell'esecrazione, dietro ogni comunicato, per banale o ripetitivo che sia,
ci sono uomini e donne riuniti a pesare le parole, a deciderle, a decidere,
tanto per cominciare, il gesto pubblico, la sortita allo scoperto, che in
una societa' dominata dal "lascia perdere" costituisce gia' un valore in
se'.
Leggendoli e schedandoli abbiamo quindi attribuito un notevole valore alla
sezione Documenti.
*
Non in lista d'attesa
Tutto cio' premesso, la considerazione immediata: "Segno" dura da dieci anni
nell'aspro contesto palermitano, migliora la sua qualita', comincia ad
essere citato da riviste e libri italiani o stranieri, non perche' faccia
opinione, e' troppo poco noto, ma perche' esprime opinione, malgrado questo
non ha una sede, ne' un telefono, ne' una lira in banca, ne' una segretaria,
null'altro che non sia l'impegno di chi, in un mondo che monetizza tutto,
lavora senza compenso e senza che la mancanza di questo vada a scapito della
qualita'.
Da come lo diciamo sembrerebbe un merito, un pregio, che una rivista
rispetti il voto di poverta', invece non lo e': "Segno" sarebbe migliore se
uscisse dallo stato di necessita' e si dotasse di sede, telefono,
attrezzature. Il pregio semmai sta nel prezzo che la rivista paga pur di non
mettersi in lista d'attesa per una qualche sovvenzione: c'e' solo da
scegliere a quale ramo della pubblica amministrazione indirizzare la
domanda. "Segno" non ha anteposto la celebre firma o la foto d'arte
(pensiamo a certe costosissime riviste che di buono hanno soltanto la carta
e a certe altre piene di soldi e vuote di opinione in ossequio alla logica
della lottizzazione), ha dato prova di tenacia e fiducia in se', senza di
che tante riviste hanno troppo presto dato forfait (pensiamo ai bei
"Quaderni siciliani" del Pci, partiti bene e finiti in stillicidio, appena
dodici numeri usciti fra il '73 e il '77).
Soprattutto si e' dato uno stile di "fuori dal palazzo", di impegno e di
tensione civile. Roba di cui c'e' gran bisogno e guai a credere che "Segno"
rimanga fulgido isolato esempio, nel qual caso potrebbe solo costituire
un'incongruenza, una bizzarria. Non lo e'. Fa parte di un fronte antimafioso
che si e' esteso piu' di quanto non si creda, che si esprime con comunicati
marce e cartelli, che si oppone a che la citta' ci cada addosso in pezzi,
che non si accontenta di quattro arresti clamorosi, un fronte che utilizza
la legge regionale per la costruzione di una coscienza antimafia nelle
scuole indicendo mostre conferenze e dibattiti, fa parte, per intenderci, di
quella Palermo che spiace chiamare "degli onesti" per il moralismo della
definizione, ma con l'andar degli anni questa dell'onesta', assieme a quella
implicita del buon governo, sembra la soglia minima e giudicata
"rivoluzionaria" su cui ci si e' attestati; fa parte di quella Palermo che
silenziosamente scivola via dalla lunga fedele prigionia dentro la Dc e
considera lo stare a fianco di Salvo Lima un caso di coscienza, la Palermo
che non perdona ne' delitti ne' malgoverno. Da tutto cio' deduciamo che
esiste uno spazio culturale e politico, ma esso e' talmente vasto che se
esistessero decine di riviste come "Segno" si comincerebbe appena appena a
colmarlo: cosi' diffuso e grave e' il malessere della societa' che non trova
facilmente ne' forme di espressione ne' forme di azione. O, se le trova,
sono ancora insufficienti. O, se sono sufficienti, sono ancora perdenti.
Pensiamo a una battaglia come quella contro i missili di Comiso - imponente
su questo tema la documentazione di "Segno" ,- battaglia ampia, vigorosa,
giusta, ma irrimediabilmente perduta. Non per questo non andava fatta.
*
L'accorata omelia
Compilando l'indice di "Segno" mi ero chiesta all'inizio se fosse il caso o
meno di dedicare una sottovoce di Chiesa a Pappalardo Salvatore,
arcivescovo. Accidenti se era il caso. Alla fine della schedatura il quesito
era risolto da se', tali e tanti sono gli interventi, i messaggi, le omelie
pronunciate dal cardinale di Palermo su questioni che esulano da liturgia e
teologia, che affrontano in pieno la non edificante realta' isolana. Difatti
non e' mancato chi gli ha rimproverato di impicciarsi troppo di cose
terrene, come non e' mancato chi ha discettato sui suoi tempi d'intervento,
accusandolo d'avere taciuto troppo a lungo, datando al 1982 la sua prima
sortita contro la mafia, mentre dai documenti di "Segno" risulta che gia'
nel 1979 le Riflessioni per l'avvento, lettera pastorale alla chiesa di
Palermo, sono ampiamente e specificamente dedicate al dramma della mafia. E
non e' detto che non abbia cominciato ancora prima, ma che importa? Come non
importa l'accusa in circolo, che lo vuole vanitoso e affetto da
protagonismo: puo' darsi, ma guarda caso e' la stessa accusa con cui si e'
cercato di svilire Dalla Chiesa o Chinnici, con cui si cerca di
ridimensionare il presidente della repubblica, il giudice Falcone, il
giudice Patane', chiunque dica verita' sgradevoli o pericolose al potere.
Lui le dice, e trova giusto credito nell'opinione pubblica, intanto e in
primo luogo perche' nella Sicilia popolata da mezze figure e da loschi
figuri Pappalardo viene ad emergere in tutta la sua statura, in secondo
luogo perche' alla precisione e al vigore delle sue denunce fa da supporto
l'alta carica spirituale, infine perche' viene a colmare il vuoto creato
dalla caduta di credibilita' del potere temporale. Valgano per tutti due
episodi a confronto, del tutto emblematici: il 22 novembre del 1981 (quindi
un anno prima del delitto Dalla Chiesa, spartiacque della coscienza
pubblica), dopo che i giornali avevano pubblicato che 86 persone erano state
gia' uccise nel corso dell'anno, quasi tutte a Palermo, il cardinale convoca
in cattedrale credenti e non credenti, la citta' intera (fatto, credo, senza
precedenti) e nel duomo stipato pronuncia la piu' accorata delle sue omelie,
densa di citazioni strazianti tolte ai salmi, densa di amarezza per una
citta' prostrata e celebra "quella che assai impropriamente - egli dice - ed
inopportunamente e' stata detta la 'Messa antimafia'. Tale espressione non
ha senso. La messa non e' mai, non puo' essere mai contro nessuno". Invece
la gente continuera' a chiamarla messa antimafia, col gusto sincero di
qualificare una volta per tutte se non la posizione dell'intera chiesa
palermitana almeno quella della sua piu' alta gerarchia.
*
In dieci contro la mafia
Di contro a questa immensa folla in cattedrale, quando due anni piu' tardi
(quindi la situazione e' ben piu' drammatica) il sindaco di Palermo osa
convocare una manifestazione antimafia, lasciamo che la racconti con le sue
stesse parole: "Cosi' ricordo e vi riferisco - e' la Elda Pucci che parla -
cosa provai quando, dopo l'eccidio del giugno 1983 del capitano D'Aleo e di
due altri carabinieri, avendo preso la decisione di portare sulla piazza
attraverso i microfoni il dibattito consiliare - dibattito con il quale si
intendeva commemorare i morti ma soprattutto dare il via a quella cultura
antimafiosa essenziale per la citta' di Palermo - l'indomani sulla stampa
cittadina fui per questa iniziativa, non ridicolizzata, fui addirittura
considerata una persona che aveva dato il via ad un rito inutile, ad un rito
della deprecazione, mentre mi aspettavo che la stampa sottolineasse il fatto
negativo che nella piazza i cittadini venuti all'appello lanciato tramite
manifesti fossero appena una decina. Questo fu un clima chiaramente troppo
paralizzato, che colpiva ovviamente non la mia persona, ma la mia persona in
quanto sindaco democristiano" (Dal testo della deposizione di Elda Pucci
davanti alla Commissione Antimafia della Camera dei Deputati, durante la
seduta del 3 ottobre 1984).
Grave e giusta constatazione: il comune con i suoi sindaci, i suoi
funzionari, i suoi trafficanti, non e' legittimato a indire manifestazioni
di sorta contro la mafia, la Pucci non lo sapeva, invece la citta' lo sa
benissimo, tanto e' vero che ci vanno in dieci, e quanto alla persona certo
pulita, certo coraggiosa che e' la Pucci, un minore candore o un minimo di
coerenza la gente lo esige: essa non puo' professarsi discepola di Giovanni
Gioia e indire manifestazioni contro la mafia. I cittadini la sanno sempre
piu' lunga di quanto il potere non immagini.
*
Governatore dell'isola?
Ma a scandagliare quanto profondo e' il vuoto che si e' venuto a creare c'e'
dell'altro, qualcosa che al laico, pur felice di vedere il cardinale su
posizioni di progresso civile e sociale, appare quasi scandaloso. Il 19
dicembre dell'anno appena trascorso il presidente della repubblica Pertini
telegrafa: "Ho il piacere di confermarle, cara Eminenza, che tenuto conto
delle esigenze da lei segnalatemi il ministro Carta mi ha comunicato che al
Cantiene Navale di Palermo sara' assicurata entro breve tempo la commessa di
una nave" ("Giornale di Sicilia" del 20 dicembre 1984). Qui si scavalcano di
un colpo tutte le istanze, a cominciare da quelle sindacali, oltre a comune,
provincia, regione, partiti: non e' un intrallazzo clientelare infatti, ne'
una plateale ricerca di voti, ne' una lottizzazione, e' un fare qualcosa
badando piu' alla sostanza che alla forma, dopo che al varo dell'ultima nave
gli operai hanno impedito la cerimonia e protestato vivacemente per la
mancanza di qualsiasi prospettiva di lavoro, di qualsiasi nuova commessa.
Forse in tanti si sono mossi, ma chi, tra tutte le autorita' e le
rappresentanze dei lavoratori presenti alla manifestazione, si e' fatto
autorevolmente e autoritariamente ascoltare? Il cardinale. Scavalcando a sua
volta ogni istanza, il ministro della marina mercantile e quello delle
partecipazioni statali, rifiutando di passare ad altri la delega, si e'
rivolto direttamente al capo dello stato, il quale a sua volta ha
interpellato i ministri competenti ottenendo una risposta che altri avrebbe
ottenuta chi sa quando. Magari non se ne fara' niente, "entro breve tempo"
puo' significare tra sei mesi tra due anni o mai (ma Pappalardo non lascera'
cadere), per noi conta che il telegramma sembra rivolto al governatore
dell'isola che chiede la nave per gli operai di Palermo. In assenza di ogni
iniziativa altrui entrambi i due protagonisti hanno fatto quel che andava
fatto. Ne faremo una colpa al cardinale? Certo no, ma che colpe si assommano
sul potere e che vuoto si apre anche a sinistra se non sono i sindacati a
spuntarla! A rifletterci, l'episodio e' piu' allarmante di quanto non
sembri.
*
La chiesa supplente
All'indomani della marcia per la pace del 31 dicembre scorso, indetta dalla
chiesa, cui hanno aderito democristiani, socialisti, comunisti, missini,
socialdemocratici oltre a decine di associazioni giovanili o di categoria,
un sacerdote considerato portavoce ufficioso della Curia, giudica il
fenomeno di tanta confluenza e scrive: "Una prima risposta va cercata nella
funzione di supplenza che la chiesa palermitana sta svolgendo in questi
ultimi anni per la mancanza di iniziative e di sufficiente credibilita'
delle forze politiche. Ma non ci si puo' fermare a questo punto
dell'analisi, pena l'incomprensione di un fenomeno che presenta, anche per
l'immediato futuro, risvolti ancora tutti da verificare. Ne' la chiesa
potrebbe essere soddisfatta di un ruolo che essa e' chiamata a svolgere
soltanto perche' altri sono incapaci di farlo. Se e quando queste forze,
come del resto e' augurabile, ritroveranno un nuovo rapporto con la societa'
e recupereranno in credibilita' e iniziativa, la chiesa dovra' fare marcia
indietro e rinchiudersi nelle sagrestie? Per comprendere pienamente il
valore della capacita' di aggregazione della chiesa siciliana bisogna tenere
conto di alcuni cambiamenti che hanno introdotto una nuova mentalita' e una
nuova cultura di servizio. Dopo il Concilio Vaticano II e, in particolare,
dopo la costituzione pastorale Gaudium et Spes, anticipata nelle grandi
linee dalle lettere encicliche di Giovanni XXIII, Mater et magistra e Pacem
in terris, per la chiesa italiana, o meglio ancora, per le organizzazioni
ecclesiali, e' finita ogni forma di collateralismo nei confronti della
Democrazia cristiana. Mentre questo fatto ha oggettivamente indebolito la
presenza partitica dei cattolici ha, in realta', rinforzato la presenza
della chiesa nella societa' e degli stessi cattolici nel prepolitico...
Restando nel prepolitico la chiesa e le organizzazioni ecclesiali acquistano
in credibilita' e rispondono meglio alla loro stessa missione".
La citazione conferma quanto andavamo esponendo, ma rende inevitabile una
parentesi per sottolineare che mentre a Palermo si invoca lo spirito del
Vaticano II a Roma il cardinale Ratzinger parla apertamente di
restaurazione, o se la prende con le conferenze episcopali, nate dal
Concilio, che a Roma portano solo grane, dissensi e istanze di liberazione,
o inquisisce Gustavo Gutierrez, teologo peruviano (presente sull'ultimo
numero di "Segno" del 1984), perche' anche loro sono travagliati da
laceranti contraddizioni, e quel che in Peru' e' questione di vita o di
morte o di "nuova cultura di servizio", in Baviera o in Lombardia non lo e'
proprio. Anche la chiesa ha il suo nord e il suo sud.
*
Altrove e' accaduto
Vaticano II, si invoca quindi qui da noi. E fine del collateralismo. A
questo punto il laico da un canto si rallegra di vedere la chiesa
sciogliersi dall'abbraccio mortale della Dd, d'altro canto nuove
perplessita' sorgono su quel vuoto politico che la chiesa va colmando, sul
ruolo e la funzione che essa va assumendo. Ruolo e funzione che nel mondo
moderno la chiesa assume allorquando la societa' civile non si riconosce
piu' nel potere che la governa, quindi ci ritroviamo a essere piu' che mai
Nicaragua Bolivia Peru' o Polonia, terzo mondo insomma, malgrado in questi
paesi si assommino miseria e dittature brutali, che poco hanno a che fare
con noi. La nostra forte e collaudata democrazia italiana, che resiste
impavida a tutte le stragi, a tutti i terrorismi e a tutti gli scandali e'
dunque diventata in Sicilia, grazie all'infame malgoverno mafioso, un potere
in cui il cittadino non puo' piu' riconoscersi? Siamo al punto in cui
bisogna chiedere alla chiesa quella "nuova cultura di servizio" di tipo
latinoamericano? Per molti versi sembra proprio di si'. Siamo il sud del
nord del mondo e in questo inizio del 1985 siamo in un mare di guai. Chi
parla di rifondazione della regione e dello stato, chi di ri-rinascita
siciliana, chi di crociata di salvazione morale, chi di sommovimento delle
coscienze, chi di rivoluzione culturale. Di qualunque cosa si tratti, il
nostro destino, ieri come oggi, resta nelle nostre mani. Un'amministrazione
di sinistra a Palermo, con la fine del collateralismo alla Dc, con un totale
ricambio di potere (che non e' pretesa da fantascienza, e' avvenuto financo
a Roma e a Napoli), si troverebbe la chiesa alleata. O ci sbagliamo?
Compilando l'indice di "Segno" ci siamo spinti forse troppo lontano, una
riflessione dopo l'altra, ma la rivista le suggerisce e l'indice dei suoi
dieci anni, che siamo certi servira' a qualcuno, intanto ha offerto a me
alcuni spunti. Chi lo consultera' trovera' a volte qualche soluzione
arbitraria, ma questo, probabilmente, e' inevitabile.
Palermo, 18 gennaio 1985

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 50 del 4 dicembre 2005

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