La nonviolenza e' in cammino. 1079



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1079 del 10 ottobre 2005

Sommario di questo numero:
1. Chico Buarque: Si'
2. Emerson Fittipaldi: Si'
3. Marieta Severo: Si'
4. Giovanni Battafarano: Si'
5. Alex Zanotelli: Si'
6. Fabrizio Gatti: Una testimonianza dal campo di concentramento di
Lampedusa
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. VOCI DAL BRASILE: CHICO BUARQUE: SI'
[Dal sito www.referendosim.com.br riprendiamo la seguente dichiarazione.
Chico Buarque, come tutti sanno, e' uno dei piu' grandi musicisti, poeti e
cantautori viventi]

Il lucro della vendita di armi e' un osso che nessuno vuole mollare. Ma la
nostra vita non puo' continuare ad essere messa in liquidazione. Nel
referendum del 23 ottobre diciamo si' alla proibizione del commercio delle
armi e delle munizioni in Brasile. Diciamo si' alla vita.

2. VOCI DAL BRASILE: EMERSON FITTIPALDI: SI'
[Dal sito www.referendosim.com.br riprendiamo la seguente dichiarazione.
Emerson Fittipaldi, pilota automobilistico, e' stato piu' volte campione del
mondo di Formula 1]

In tutta la mia vita non ho mai avuto una pistola. Poiche' sappiamo che ogni
arma costituisce un pericolo incombente, abbiamo il dovere di disarmare il
Brasile.
Do' il mio totale sostegno alla campagna per il si'.

3. VOCI DAL BRASILE: MARIETA SEVERO: SI'
[Dal sito www.referendosim.com.br riprendiamo la seguente dichiarazione.
Marieta Severo e' fin dagli anni '60 una delle piu' apprezzate e prestigiose
attrici brasiliane]

Siano benedette tutte le donne brasiliane che voteranno si' al referendum
del 23 ottobre.

4. 23 OTTOBRE. GIOVANNI BATTAFARANO: SI'
[Ringraziamo Giovanni Battafarano (per contatti:
battafarano_g at posta.senato.it) per questo intervento. Giovanni Vittorio
Battafarano, nato a Taranto nel 1943, professore, e' senatore della
Repubblica, membro della Commissione parlamentare permanente "Lavoro e
previdenza sociale", responsabile per le Libere professioni dei Democratici
di sinistra]

Si'. Aderisco alla campagna contro il commercio delle armi.

5. 23 OTTOBRE: ALEX ZANOTELLI: SI'
[Ringraziamo padre Alex Zanotelli (per contatti: alex.zanotelli at libero.it)
per questo intervento. Alessandro Zanotelli, missionario comboniano, ha
diretto per anni la rivista "Nigrizia" conducendo inchieste sugli aiuti e
sulla vendita delle armi del governo italiano ai paesi del Sud del mondo,
scontrandosi con il potere politico, economico e militare italiano: rimosso
dall'incarico e' tornato in Africa a condividere per molti anni vita e
speranze dei poveri, solo recentemente e' tornato in Italia; e' direttore
responsabile della rivista "Mosaico di pace" promossa da Pax Christi; e' tra
i promotori della "rete di Lilliput" ed e' una delle voci piu' prestigiose
della nonviolenza nel nostro paese. Tra le opere di Alessandro Zanotelli: La
morte promessa. Armi, droga e fame nel terzo mondo, Publiprint, Trento 1987;
Il coraggio dell'utopia, Publiprint, Trento 1988; I poveri non ci lasceranno
dormire, Monti, Saronno 1996; Leggere l'impero. Il potere tra l'Apocalisse e
l'Esodo, La meridiana, Molfetta 1996; Sulle strade di Pasqua, Emi, Bologna
1998; Inno alla vita, Emi, Bologna 1998; Ti no ses mia nat par noi, Cum,
Verona 1998; La solidarieta' di Dio, Emi, Bologna 2000; R...esistenza e
dialogo, Emi, Bologna 2001; (con Pietro Ingrao), Non ci sto!, Piero Manni,
Lecce 2003; (con Mario Lancisi), Fa' strada ai poveri senza farti strada.
Don Milani, il Vangelo e la poverta' nel mondo d'oggi, Emi, Bologna 2003;
Nel cuore del sistema: quale missione? Emi, Bologna 2003; Korogocho,
Feltrinelli, Milano 2003. Opere su Alessandro Zanotelli: Mario Lancisi, Alex
Zanotelli. Sfida alla globalizzazione, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2003]

Si', con mille cuori.
Pace e bene.

6. UMANITA'. FABRIZIO GATTI: UNA TESTIMONIANZA DAL CAMPO DI CONCENTRAMENTO
DI LAMPEDUSA
[Proponiamo il reportage di Fabrizio Gatti, "Io, clandestino a Lampedusa",
pubblicato sul settimanale "L'espresso", n. 40 del 13 ottobre 2005 (come e'
noto in Italia i settimanali sono postdatati, il fascicolo in oggetto e' in
edicola dal 7 ottobre) alle pp. 36-50. Riportiamo anche il sottotitolo
redazionale: "Ripescato in mare e rinchiuso nel centro di permanenza
temporanea, l'inviato dell''Espresso' Fabrizio Gatti ha vissuto una
settimana con gli immigrati in condizioni disumane. E' stato poi liberato
con il foglio di via". Fabrizio Gatti e' un giornalista d'inchiesta che gia'
in passato fingendosi straniero immigrato in Italia senza permesso di
soggiorno si fece recludere in un altro campo di concentramento per
immigrati, campi istituiti in Italia con la denominazione di "Centri di
permanenza temporanea" (in sigla: Cpt) dal 1998. Come chiunque sa, i Cpt
sono orribili luoghi di violenza in flagrante contrasto con la Costituzione
della Repubblica Italiana, la Dichiarazione universale dei diritti umani, e
i fondamenti stessi dello stato di diritto: e' responsabilita' ignobile dei
governi succedutisi in Italia dal 1998 ad oggi - nell'ordine i governi
guidati da Prodi, D'Alema, Amato, Berlusconi - averli scelleratamente
istituiti e mantenuti in vigore]

Un nome inventato e un tuffo in mare. Non serve altro per essere rinchiusi
nel centro per immigrati di Lampedusa. Basta fingersi clandestino e in poco
tempo ci si ritrova nella gabbia dove ogni anno migliaia di persone
finiscono il loro viaggio e dove nessun osservatore o giornalista puo'
entrare. La via piu' veloce per infiltrarsi nella Cayenna dell'Unione
Europea prevede un salto dagli scogli e qualche ora in acqua. Se non si
vuole partire dalla Libia e rischiare di affondare con le barche
sovraccariche, non esistono alternative. Cosi' ho scelto un nome straniero e
uno stratagemma preso in prestito da Papillon, il mitico film del 1973: per
fuggire dalla Cayenna, quella vera, Steve McQueen si butta dalle rocce e si
affida all'Oceano aggrappato a una zattera di fortuna. Solo che qui lo scopo
non e' scappare ma farsi prendere. Ed e' cio' che mi e' successo: ripescato
da un automobilista, catturato dai carabinieri sul lettino del pronto
soccorso e rilasciato la settimana dopo, la sera di venerdi' 30 settembre.
Libero, con la possibilita' di andare a lavorare in qualunque citta'
d'Europa come clandestino, nonostante i precedenti penali e una condanna nel
2004.
Comincia e finisce cosi' il diario di otto giorni da prigioniero
nell'inferno di Lampedusa. Il prezzo da pagare per assistere in prima fila a
umiliazioni, abusi, violenze e a tutto quanto l'Italia ha sempre nascosto
alle ispezioni del Parlamento europeo e delle Nazioni Unite. Ma e' anche
l'opportunita' per vivere l'immane solitudine di uomini, donne e bambini
che, nella fatica di migliorare la propria vita, hanno avuto contro il
deserto, i trafficanti, le tempeste e adesso che sono sbarcati hanno contro
la legge che dovrebbero rispettare.
*
Venerdi' 23 settembre
Il Mediterraneo stasera ha il respiro lento. Sotto il cielo senza luna,
l'acqua non si vede. Si sente soltanto il suono, due o tre metri laggiu' ai
piedi della scogliera. Prima del salto, bisogna sincronizzarsi con il ritmo
del mare. Entrare in acqua quando l'onda e' piu' alta, sfruttare la risacca
e allontanarsi subito dalle rocce. Uno. Due. Al tre il freddo gia' avvolge
il corpo: da questo momento sono Bilal Ibrahim el Habib, nato il 9 settembre
1970 nel villaggio immaginario di Assalah, distretto di Aqrah, Kurdistan
iracheno. Sugli scogli non sono rimaste tracce. Scarpe e calze sono state
affondate con quattro sassi. E anche il rotweiler randagio che aveva deciso
di seguirmi e passare la sera in compagnia, adesso se ne sta andando un po'
perplesso. Bilal non ha molto con se'. Ha addosso pantaloni di tela neri,
boxer, maglietta di cotone, una felpa blu, un pile pesante e un giubbotto di
salvataggio con una scritta in arabo. Sul petto Bilal stringe una borsa
sportiva. Dentro ci sono tre scatolette di sardine "Product of Morocco", tre
panini ormai poltiglia, una bottiglia d'acqua e un paio di vecchie ciabatte
di plastica. Ma quella borsa, gonfia d'aria, aiuta soprattutto a
galleggiare. E' la serata ideale per buttarsi in mare senza essere visti.
Nel cielo rimbalzano le luci e i suoni di 'O' Scia'', il festival di Claudio
Baglioni. Quasi tutti i turisti, gli abitanti e le pattuglie di polizia e
carabinieri sono allo spettacolo. E Bilal puo' nuotare indisturbato fino a
un promontorio su cui brillano le finestre di una villa. C'e' un andirivieni
di ragazzi, auto e scooter. E prima che qualcuno si accorga dell'uomo in
mare, passano almeno quattro ore e mezzo.
*
La gente di Lampedusa e le infermiere del pronto soccorso hanno regalato
tutta la loro generosita'. Ma adesso Bilal e' su una macchina dei
carabinieri. I fari illuminano una strada senza uscita accanto
all'aeroporto. Poi un cancello sulla destra, decorato dal filo spinato. Apre
un carabiniere in tuta antisommossa, anfibi e pistola nella fondina. Saranno
le due e mezzo di notte. Anche se per la legge resta un libero cittadino, da
qui Bilal non puo' piu' andarsene. "Dal pronto soccorso ci hanno consegnato
questo", dice al collega il militare sceso dall'auto. Bilal viene
accompagnato a testa bassa fino a un piccolo cortile dove aspettano altri
carabinieri e un ragazzo con la divisa della Misericordia, l'associazione
che ha in appalto il centro di Lampedusa. Il ragazzo offre un bicchiere
d'acqua e quattro confezioni di cornetti. Poi toglie da un sacchetto una
maglietta di cotone e una tuta da ginnastica: "Mettiti queste che stai piu'
caldo", dice. "Come ti chiami? Da dove vieni?", vuol sapere un carabiniere.
"I don't understand", sussurra Bilal, non capisco. La domanda viene rifatta
in inglese maccheronico. "Kurdistan? Ma se questo e' piu' bianco di me, come
fa a essere curdo?", chiede un carabiniere molto abbronzato. Bilal tiene gli
occhi bassi sulle sue ciabatte logore e ascolta le voci. "Un curdo che parla
inglese. Sara'. Non e' che questo e' un giornalista della Cnn infiltrato qui
dentro?". "Si', o magari e' un giornalista italiano?". "Ma va', gli italiani
non fanno queste cose", risponde la prima voce. Pericolo scampato. "Bilal,
you must tell ze verity", urla un carabiniere, devi dire ze verity. "Ze
verity, understand? Se no bam bam", e mima gli schiaffi. Verity? In inglese
verita' si dice truth. Sara' un errore o un tranello? "Bilal vieni", chiama
il ragazzo della Misericordia. Trascina un materassino di gommapiuma preso
da una pila di materassi. Lo sistema in corridoio, tra una fila di cessi
puliti e la porta di un altro gabinetto molto sporco. Poi lo ricopre con un
lenzuolo di carta. "Stanotte lo facciamo dormire qui", dice il ragazzo ai
carabinieri. Un altro immigrato sta russando, avvolto come una mummia in una
coperta. E da una porta semichiusa si intravvedono le sagome di decine di
donne stese sul pavimento e un bambino. Quando Bilal torna dal gabinetto,
dove e' sempre stato seguito da un carabiniere, trova il suo posto occupato.
Piu' di 200 mosche hanno pensato che quel lenzuolo bianco e fresco di
cartiera fosse per loro. Ma sono mosche educate. Si alzano quando Bilal
arriva e si riappoggiano su di lui soltanto dopo che si e' sdraiato. Il
tentativo di scacciarle e' una battaglia persa. Dal pavimento sale un
fortissimo odore di urina. Dal soffitto la luce non si spegne mai. I
carabinieri ridono e parlano a voce alta tutta la notte. E' difficile
prendere sonno. E poi c'e' il problema del colore della pelle. Occorre
inventarsi una spiegazione credibile prima di domani mattina. Forse questa
puo' andare: Bilal e' cosi' pallido perche' il papa' e' curdo, ma la mamma
e' bosniaca.
*
Sabato 24 settembre
L'alba si annuncia con un fragore assordante. Nel dormiveglia sembra il
rumore di un aspirapolvere. No, forse e' una lucidatrice. Ma no, e' troppo
forte. La puzza risolve il mistero. Si', queste sono esalazioni di jp, il
carburante degli aerei. Ecco cos'e': l'aeroporto accanto. Quando gli Airbus
fanno manovra, sparano il getto dei motori dritto dentro le finestre dove
dormono gli immigrati. E' ancora buio, ma ormai sono tutti svegli. Dalla
stanza delle donne escono ragazze eritree o etiopi. Altre appaiono da una
seconda porta. C'e' anche una donna con il pancione della gravidanza. Il
conto e' subito fatto: tra teenager e adulte sono quasi una cinquantina. In
piu' Bilal e l'altro uomo che dorme in corridoio. Per tutti c'e' un solo
water, quattro docce e qualche lavandino. I carabinieri non vogliono che si
usino le loro turche, le uniche che profumano di candeggina. Per evitare
domande e guai, Bilal finge di dormire. Ma osserva e ascolta. C'e' un viavai
di carabinieri e qualche poliziotto intorno a lui. Si chiedono se sia
davvero curdo. Le ragazze africane passano il tempo ad annodarsi treccine.
Una di loro, che non avra' piu' di vent'anni, ha tutte le unghie smaltate a
meta'. La parte sopra e' abbellita da un leggero velo perlaceo, la parte
sotto e' cresciuta senza cura. Forse dove finisce lo smalto e' cominciato il
suo viaggio. Fuori, nel piccolo cortile, pendono scarpe, pantaloni e maglie
delle ultime arrivate. Ieri sera sono sbarcati 161 immigrati, poi altri 37,
e poi Bilal. C'e' un libro del Corano messo ad asciugare al sole. "Bilal",
urla forte una voce. "Tu", dice un poliziotto e con la mano fa capire che
bisogna seguirlo.
*
L'ufficio identificazioni della polizia e' una grande stanza con quattro
scrivanie. Bilal lo fanno sedere in fondo a destra. Di fronte a lui due
poliziotti in borghese, un computer e un ragazzo con il volto berbero. E'
l'interprete: "Parli arabo?", chiede in arabo. "Si'". "Da dove vieni?".
"Kurdistan. Ma vorrei continuare in inglese, l'arabo non e' la mia lingua,
gli arabi hanno occupato la mia terra", risponde Bilal. Scegliere la lingua
e' il primo nell'elenco dei "Diritti degli immigrati" scritto su carta della
Prefettura di Agrigento e appeso in corridoio. All'interrogatorio si
aggiunge una ragazza che chiamano dottoressa e indossa una maglietta
mimetica stile esercito americano. Vuole sapere tutto. Bilal racconta di
voler andare in Germania. E di essere stato chiuso in un container in
Turchia, caricato su un mercantile e messo su una lancia a motore a qualche
miglio dalla costa italiana. Poi la lancia si e' spaccata, e' affondata e
Bilal si e' salvato a nuoto. Vogliono sapere della scritta in arabo sul
giubbotto salvagente. "C'e' scritto: La felicita' 3. Forse e' il nome di una
nave", spiega l'interprete di arabo. "Tu sai cosa c'e' scritto?", chiede la
dottoressa, sempre in inglese. "Se', as Soror, la felicita': tutti noi siamo
venuti in Europa a cercarla". Bilal deve ripetere tre volte la storia del
suo viaggio. Cercano di metterlo in contraddizione. Fanno domande tranello:
"Se sei curdo, parli urdu". "No, l'urdu e' una lingua del Pakistan". Poi si
arrabbiano: "Tu non vieni dalla Turchia, tu arrivi dalla Libia. E quella
scritta in arabo lo dimostra. Noi adesso ti rimandiamo da Gheddafi",
promette la dottoressa. "Ce lo lascia un attimo che lo portiamo nella sala
delle torture?", le chiede un poliziotto robusto che si e' appena aggiunto
al gruppo. Ma forse e' solo un modo per capire se Bilal parla italiano e per
spaventarlo. L'interrogatorio ritorna subito a un volume piu' umano. La
dottoressa prende il telefono e protesta con la stazione dei carabinieri
perche' chi ha prelevato Bilal al pronto soccorso non ha scritto il verbale
e nessuno sa dove sia stato pescato e chi lo abbia portato nel centro.
"Ecco, devi dire al maresciallo che e' un coglione", conclude la dottoressa.
Dopo l'interrogatorio, bisogna lasciare le impronte digitali. Le dita e il
palmo delle mani vanno premuti sul vetro rosso di uno scanner e si e'
automaticamente schedati. Fuori, 21 teenager aspettano il loro turno.
Avranno tra i 15 e i 20 anni, visti insieme sembrano una classe di liceali
in gita. Sono tutti di Kerouane, in Tunisia, tutti vicini di casa, tutti
partiti con la stessa barca. Bilal non ha il tempo di sedersi accanto a
loro. Un poliziotto gli consegna un biglietto con il numero di matricola 001
e lo affida ai carabinieri. Lo portano davanti a un grande cancello verde
incorniciato da rotoli di filo spinato. Un altro carabiniere apre il
lucchetto, poi sblocca il catenaccio. Subito dopo il cancello si richiude.
*
Centinaia di immigrati sono seduti sull'asfalto in file da dieci tra due
baracche prefabbricate e quattro container. "Oggi siamo a quota 447",
avevano detto nell'ufficio di polizia. I carabinieri gridano e ridono. Sulla
tuta hanno il distintivo rosso del reparto: 1 Brigata Mobile. "Vai in fondo,
muoversi, muoversi", urla uno dei militari. Bilal va a sistemarsi dietro a
tutti, accanto a un cinquantenne magro e piccolo con la maglia di Bergkamp,
e due ragazzi egiziani. Due rigagnoli di liquido violaceo escono da una
porta a destra e scivolano sotto i piedi delle ultime file. Il liquame puzza
di urina e fogna. "Seduti", urla uno dei carabinieri, "Sit down". "Ma qui in
fondo e' una schifezza", dice il collega, un ragazzone con accento
napoletano. "Il maresciallo ha detto di farli sedere. Sit down", grida piu'
forte il primo e sorprende un immigrato alle spalle, frustandolo sulle
orecchie con i suoi guanti in pelle. Bilal e gli altri si erano accovacciati
sulle caviglie per non sporcarsi con il liquame. Ma non basta ai
carabinieri. Per evitare botte bisogna rassegnarsi e bagnarsi. La' davanti
l'interprete berbero e un poliziotto in borghese chiamano i prossimi che
lasceranno il campo. Un aereo e' in partenza per il Cpt di Bari o forse per
la Libia. Nessuno spiega nulla. Il carabiniere con i guanti di pelle tenta
di chiudere a calci la porta da dove escono i rigagnoli. Poi si piazza in
posizione strategica e sempre con i guanti frusta sulle orecchie chi viene
chiamato dall'interprete. Qualcuno deve ripassargli davanti per andare a
prendere in camerata il sacchetto con le poche cose. E si riprende un'altra
sventola. Ride il carabiniere, occhiali e carnagione pallida. E ridono anche
i suoi colleghi. Altra frustata. Per loro e' solo un gioco. L'interprete e i
poliziotti fanno finta di non vedere. Ma tra le file sedute a terra, ragazzi
e uomini mormorano di rabbia. "Italiano, puttana, cornuto", sussurra lo
smilzo con la maglietta di Bergkamp.
*
Non sembra per niente un centro di accoglienza. E qui dentro non c'e'
nemmeno l'atteggiamento di rispetto che i poliziotti dell'ufficio di
identificazione avevano alla fine mantenuto. Bilal e tutti gli altri devono
rimanere seduti e rannicchiati per piu' di un'ora perche' dopo l'appello si
resta in coda per il pranzo. Un piatto di plastica con pasta e tonno, un
altro con bocconcini di pesce fritto (forse) e verdura in agrodolce, un
panino, una mela e una bottiglia di due litri d'acqua da dividere in due
senza bicchieri. Un'occasione per socializzare ma anche un rischio se
qualcuno e' entrato con malattie infettive. Nemmeno Bilal e' stato visitato
dal medico del centro. Si mangia per terra sotto il sole rovente,
appoggiando pane e mela sull'asfalto o sui muretti. Il pomeriggio bisogna
trovare un posto dove ripararsi dal caldo. I letti a castello sono tutti
occupati. Dormono a decine perfino sui tavoli della mensa. Nessun assistente
della Misericordia spiega a Bilal cosa deve fare. Dietro alla
mensa-dormitorio c'e' qualche materassino lasciato da chi e' appena partito.
Guardando meglio molti sono pieni di insetti minuscoli, forse pulci. E non
ci sono nemmeno le lenzuola di carta per proteggersi, abbandonate fuori
perche' un poliziotto aveva fatto capire che la Misericordia le avrebbe
distribuite una volta dentro la gabbia. Ma non era vero. Bilal crolla
addormentato sotto il sole, proteggendosi la testa con l'asciugamano che gli
hanno dato come coperta. Lo risveglia un egiziano: "Ehi, ashara-ashara".
Ashara? In arabo significa dieci. "Ashara-ashara", urlano pattuglie di
carabinieri entrate nel campo con i manganelli Tonfa infilati nel cinturone.
Bisogna andare a risedersi sul viale dei liquami. In file da dieci,
"ashara-ashara". E' un altro trasferimento: questa volta l'aereo
dell'Alitalia parte per Crotone. Chiamano anche lo scafista egiziano di
Rosetta che ha guidato la barca di 161 persone arrivata ieri sera.
Carnagione chiara, capelli neri voluminosi. Nel suo zainetto gli hanno
trovato (e lasciato) cinquemila euro in contanti, la paga per il suo lavoro.
"Questo qua e' la terza volta quest'anno che passa da Lampedusa", lo indica
un appuntato dei carabinieri. Qualcuno dovrebbe pero' spiegare perche'
questa volta lo scafista e' rimasto a Lampedusa meno di 24 ore.
*
Prima di sera l'ufficio identificazioni scopre che le impronte di Bilal
corrispondono a quelle di un altro immigrato: Roman Ladu, nato a Bucarest il
29 dicembre 1970. E' il nome che ho usato nel 2000 per entrare nel Cpt di
via Corelli a Milano, poi chiuso per le precarie condizioni di detenzione.
Il computer pero' non dice ai poliziotti che Roman Ladu e' in realta' un
giornalista. E forse nemmeno che il giornalista, alias Roman Ladu, per
quell'inchiesta e' stato denunciato e condannato a venti giorni di carcere.
Cosi' Bilal, vero pregiudicato, puo' tenere duro. "Tu sei romeno e parli
italiano", insiste un ispettore in borghese. Un suo collega si avvicina e
chiede "Ce face?", come stai. E poi all'orecchio di Bilal sussura: "Pizda,
pizda, pizda, pizda, pizda...", un modo poco elegante usato in Romania e
altrove per chiamare i genitali femmili. Lo sguardo di Bilal resta fisso nel
vuoto. Ci riprovano con un'interprete marocchina che alla fine conclude:
"Non credo sia romeno. Parla l'arabo, pero' continua a chiedere che
l'interrogatorio sia in inglese".
*
Domenica 25 settembre
Bilal ha deciso di andare al gabinetto quando e' notte. I gabinetti sono
un'esperienza indimenticabile. Il prefabbricato che li ospita e' diviso in
due settori. In uno, otto docce con gli scarichi intasati, quaranta
lavandini. E otto turche di cui tre stracolme fino all'orlo di un impasto
cremoso: la sorgente dei due rigagnoli. L'altro settore ha cinque water, di
cui due senza sciacquone, cinque docce e otto lavandini. Dai rubinetti esce
acqua salata. Non ci sono porte, non c'e' elettricita', non c'e' privacy. Si
fa tutto davanti a tutti. Qualcuno si ripara come puo' con l'asciugamano. E
non c'e' nemmeno carta igienica: bisogna usare le mani. La' dentro e' meglio
andarci di notte perche' di giorno il livello dei liquami sul pavimento e'
piu' alto dello spessore delle ciabatte e bisogna affondarci i piedi. Ma
anche il pediluvio nel lavandino prima di uscire diventa un problema:
perche' non appena si sfila il piede, la ciabatta comincia a galleggiare e a
navigare con la corrente. Eppure il 15 settembre il leghista Mario
Borghezio, guidando una delegazione di europarlamentari, ha detto che il
centro di Lampedusa e' un hotel a cinque stelle e che lui ci abiterebbe:
quel giorno il ministero dell'Interno gli aveva fatto trovare soltanto 11
reclusi e quella settimana i trafficanti avevano deviato la rotta dei
barconi fino in Sicilia. Chissa', forse nell'appartamento di Borghezio e'
normale avere i pavimenti coperti di liquami. Ma la maggior parte degli
immigrati rinchiusi qui dentro viene da case pulite in cui si entra
addirittura a piedi nudi.
*
La colazione e' un bicchiere di latte freddo, due cornetti e la bottiglia
d'acqua da dividere in due. All'ashara-ashara del mattino i carabinieri si
accorgono che mancano cinque persone. Ma parlando tra loro decidono di non
segnalarlo. Impossibile sapere chi sia scappato perche' non si fa nessun
appello: i reclusi vengono solo contati. A meta' della recinzione che separa
dall'aeroporto, proprio dietro uno dei pali con le telecamere a circuito
chiuso, il filo spinato e' tagliato. E sul palo sono rimasti due lacci di
stoffa bianca, forse legati li' per facilitare la presa di chi si e'
arrampicato fin sopra la rete. I carabinieri rifanno il conto un'altra volta
e rimettono tutti a sedere sotto il sole. Si resta cosi' ore perche' c'e'
un'altra chiamata. Fanno partire tutti gli eritrei e gli etiopi sbarcati
lunedi' 19. Tra loro, un'intera famiglia di fratelli e cugini, gli Abraham.
Sono scappati dall'Eritrea per non essere mandati al fronte, vogliono
continuare a studiare in Europa. Uno di loro, Youssef, e' una promessa
dell'atletica: ha continuato ad allenarsi anche nel centro, ogni mattina
alle sei. Ci sono molti minorenni, rinchiusi da una settimana insieme agli
adulti. Un carabiniere la' davanti mostra loro un grosso telefonino e
qualcuno si copre gli occhi con le mani. Ma non si capisce perche'. Ahmed
Ibrahim ha da giorni un'infezione intestinale. Chiede di andare alla
toilette e dopo qualche minuto i carabinieri gli danno il permesso di
alzarsi. Al gabinetto ci resta un bel po'. "Ma e' tornato quello che e'
andato in bagno?", domanda uno dei militari. "E no che non e' tornato,
adesso vado a fare un giro". Altri chiedono di andare in bagno, ma i
carabinieri non danno piu' il permesso. Dopo quasi mezz'ora Ahmed Ibrahim
riappare, sudato e sfinito. "Tu", gli urla il carabiniere che mostrava il
telefonino, "tu sei un cornuto". Ahmed lo guarda spaventato. "Sei un
cornuto. Vai a sederti e non ti alzare piu'". I colleghi ridono. Alla fine
partono in 150, forse per il centro di Caltanissetta. Ci si rialza e ci si
risiede subito dopo per l'ashara-ashara del pranzo. Bilal ora e' in terza
fila. Un'altra lunga attesa, seduti e rannicchiati. Si avvicina il
carabiniere con il grosso telefonino. E' il meno robusto tra i suoi
colleghi. Ha capelli neri curati, un neo ben visibile sulla guancia destra,
un bracciale argentato e uno di cuoio con medagliette dorate al polso
destro, e un orologio con cinturino in pelle al polso sinistro. Dopo aver
fatto sentire un po' di musica tecno, schiaccia un altro tasto e il
telefonino comincia ad ansimare. Lui si china, mostra lo schermo ai
minorenni seduti accanto a Bilal. Sono immagini di un film porno scaricate
forse da Internet. Il carabiniere si rialza e sorride: "E dopo, shampoo",
annuncia ai minorenni mimando il gesto della masturbazione. I ragazzini
ridono. Poi si china di nuovo sulla prima fila, la percorre e pretende che
tutti guardino. Un trentenne si copre gli occhi con le mani. E' uno dei
ragazzi che ieri sera ha guidato la preghiera sul marciapiede-moschea. E' un
musulmano praticante e non vuole guardare. Il carabiniere con il neo gli
strappa le mani dagli occhi: "E guarda che cosi' impari", dice piazzandogli
lo schermo davanti al naso. Il trentenne si volta, guarda Bilal con gli
occhi lucidi. Un carabiniere alle loro spalle scherza con il collega: "Ma
lascia perdere che quello e' frocio".
*
Arriva il comandante, un appuntato che nel tempo libero gira con bandana,
camicione e pantaloni fino al polpaccio. E il tormento non e' finito.
L'appuntato vuole farsi fare una foto davanti ai reclusi. Lui grida "Italia"
e tutti devono alzare il pollice destro e rispondere "Uno". "Forza", dice un
altro carabiniere, "chi non risponde 'uno' non mangia". Bilal non risponde e
non alza nemmeno il braccio. Il carabiniere lo vede. Bilal lo fissa negli
occhi e quello lascia perdere.
*
Poco dopo la polizia rivuole Bilal in ufficio. Ma non e' per un
interrogatorio. Due ispettori, sempre gentili e rispettosi, gli fanno
indossare il giubbotto di salvataggio che hanno sequestrato la notte dello
sbarco. Vogliono semplicemente fare una foto ricordo con lui. Uno si mette a
destra, l'altro a sinistra: "Bilal smile, sorridi". Da quello scatto nessuno
si occupera' piu' dell'identita' dello strano immigrato curdo. Passa
un'altra giornata. Su uno spiazzo di sassi appuntiti si gioca a calcio. Non
ci sono scarpe per tutti. Cosi' meta' giocatori calza la destra, l'altra
meta' la sinistra e i due portieri restano a piedi nudi. Poco prima di cena
cala il silenzio, all'improvviso. Un pullmino e un'ambulanza scaricano 21
immigrati neri. Sono sfiniti, affamati, seccati dal sale e bruciati dal
sole. Passano davanti al cancello e agli sguardi fissi sulla loro
sofferenza. Vengono fotografati, registrati, spogliati e perquisiti.
Ricevono un te' caldo, un cornetto, un asciugamano e chi ha i vestiti
logori, anche una tuta. Non si reggono in piedi. Ma dopo mezz'ora il
cancello si apre e a gruppi di sei vengono spinti nella gabbia. Non sanno
dove andare, barcollano. Due sono senza scarpe e quando vedono le condizioni
del gabinetto tornano indietro a chiederne un paio. Cherriere, un
arabo-francese sospettato di essere uno dei piu' famosi scafisti del
Mediterraneo, impone ai carabinieri che gli ultimi arrivati siano serviti
prima di tutti. Cherriere e' il vero mediatore culturale: carabinieri e
polizia lo chiamano spesso per farsi aiutare con l'arabo o per smussare le
tensioni. Il medico ha mandato nella gabbia anche un uomo malato di scabbia.
Non riesce nemmeno a sedersi per le piaghe, ma i militari insistono perche'
si metta come gli altri. L'ultimo entrato deve avere un colpo di sole
perche' continua a ciondolare. I carabinieri lo fanno andare avanti e
indietro tre volte. "Quanto ha bevuto questo?", ride un militare. Bilal e
Cherriere ottengono che anche lui sia messo in prima fila con i compagni di
viaggio. Poi un carabiniere parla di Bilal convinto di non essere capito: "A
questo qua dobbiamo insegnargli a farsi i cazzi suoi". Ma per le scarpe non
c'e' niente da fare. "Le scarpe le abbiamo date a tutti, dite a quei due che
non scassino la minchia", gracchia il caposervizio della Misericordia, un
uomo con i capelli bianchi, molto diverso da Angelo, Andrea o il cuoco, i
ragazzi sempre disponibili anche se lavorano sodo tutto il giorno. E i due
restano a piedi nudi. Dopo cena gli ultimi arrivati guardano la rotta tra la
Libia e Lampedusa dipinta sul prefabbricato all'ingresso: "Abbiamo perso
l'orientamento e siamo rimasti in mare sette giorni. Mia moglie diceva: we
gonna die, moriremo. Ma io le dicevo: no, Dio ci portera' in Europa". Sono
quasi tutti cristiani. Prima di andare a dormire intonano un gospel di
ringraziamento al buio di una camerata. Impossibile trattenere le lacrime.
*
Lunedi' 26 settembre
Bilal finalmente ha trovato una branda su cui dormire. Stesso materasso di
gommapiuma e stessa coperta usata da chissa' quante persone, in una stanza
con gli scafisti egiziani e alcuni loro passeggeri. Ma la notte finisce
presto. La sveglia e' un lamento. Si alzano in molti e vanno a cercare chi
sta male. Forse viene dalla prima camerata. Ma avvicinandosi il lamento
prende la forma di una canzone stonata: "Ma quanto tempo e ancora, ti fai
sentire dentro, quanto tempo e ancora...". Viene da oltre il cancello: i
carabinieri giocano al karaoke con il computer portatile della polizia. Sono
le quattro e mezzo del mattino, e' lo stesso turno che ieri mattina ha
mostrato le scene porno sul telefonino. C'e' anche il loro appuntato. Sono
di spalle e non si accorgono. Si torna a letto. Ma non si riesce piu' a
dormire perche' un Airbus della Windjet continua a girare a bassa quota
sopra Lampedusa. La torre di controllo ha le luci spente e i piloti
aspettano che qualcuno si svegli per farli atterrare.
*
Subito dopo la colazione Bilal deve risolvere un problema serio: far sapere
ai familiari e alla redazione che e' rinchiuso nel centro. Al quarto giorno
di silenzio, qualcuno potrebbe preoccuparsi. La possibilita' di contattare
la famiglia e' al secondo posto tra i diritti degli immigrati secondo
l'avviso che la Prefettura di Agrigento ha fatto appendere nelle camerate e
nei bagni. Ma ogni volta che Bilal e gli altri hanno chiesto di ricevere o
di comprare una scheda telefonica, il caposervizio della Misericordia ha
risposto: "Non io, direttore". Oppure: "Bukara, domani". Oppure: "Non
scassare la minchia". Sara' per questo che alcuni scafisti, chiusi da
settimane nella gabbia, fanno affari d'oro vendendo a 20 euro schede da 3.
Ma visto che nessuno puo' uscire, chi le passa dentro il cancello? Bilal
deve assolutamente telefonare e ogni sistema di aprire la linea con un fil
di ferro non funziona. Idea: il 118 risponde gratis. "Ho bisogno di aiuto,
sono chiuso in un centro per immigrati e non ci fanno telefonare", dice
Bilal in francese, "Devo avvertire la famiglia, per favore, vi do un numero
di telefono italiano, chiamate e dite che Bilal e' vivo. Vi costa meno di un
euro". Non e' uno scherzo: centinaia di papa' e figli qui dentro hanno la
stessa grave necessita'. Ma nessuno e' disposto a fare questo favore. Bilal
riprova facendo a caso un po' di numeri verdi. All'800-400-400 risponde lo
sportello di Madre segreta della Provincia di Milano. E' una giunta di
centro-sinistra: magari sono piu' sensibili ai diritti di un immigrato.
Invece dopo mezz'ora di insistenze in inglese, la ragazza al telefono si
inventa perfino una legge: "Non posso, la legge sul terrorismo mi vieta di
fare questa telefonata". A nessuno interessano le angosce di questi
immigrati chiusi in gabbia.
*
La sera, dopo cena, si prepara un'altra notte d'inferno. A Lampedusa sta
arrivando una barca alla deriva con quasi 350 stranieri. I poliziotti
dell'ufficio identificazione e i dipendenti della Misericordia tornano al
lavoro. Anche i carabinieri della Brigata Mobile sono pronti per le
perquisizioni. Ma stasera e' di turno una squadra di persone per bene. La
comanda un brigadiere che da' gli ordini con accento napoletano. E' un uomo
con i capelli grigi e un po' di calvizie. In tutta la settimana nessuno dei
suoi ragazzi e' mai stato sentito gridare o insultare un immigrato. E quando
arrivano stremati i primi passeggeri della barca, loro si fanno capire a
gesti, senza urlare.
*
Martedi' 27 settembre
E' una giornata umida. Molti hanno la pelle della fronte e delle mani piena
di punture. Le piu' grandi sono zanzare, le piu' piccole forse pulci. Bilal
ogni volta che cerca di attraversare indenne la toilette pensa alla casa di
Borghezio. E' una giornata di attesa. I trasferimenti annunciati ieri sono
rinviati perche' la polizia deve prima identificare gli ultimi arrivati. E'
l'unico giorno in cui vengono pulite le camere. Uno dei dipendenti della
Misericordia usa la stessa scopa con cui ha inutilmente rimosso i liquami
dai bagni. Hanno mandato anche un autospurghi. Ma le schifezze invece di
essere aspirate sono state sparate tutt'intorno alle turche. Anche nel
mangiare c'e' qualcosa che non quadra. Sabato sera e poi ancora altre volte
la piccola cotoletta non era fatta di carne ma di pan grattato, farina e
forse uovo. Tanto che era possibile tagliarla con un cucchiaino di plastica.
Se e' cosi' vuol dire che a Lampedusa qualcuno spaccia pan grattato per
carne. Bilal e gli altri vengono privati non solo della liberta' ma anche
delle proteine.
*
Mercoledi' 28 settembre
L'ashara-ashara di mezzogiorno e' una parata fascista. Sono quelli dello
stesso turno che sabato ha fatto sedere Bilal nei liquami. Nella gabbia ci
sono ormai 600 immigrati. Sono tutti seduti ad aspettare il pranzo. Un
carabiniere si affaccia a una porta e imita il Duce. Un brigadiere, che a
Mussolini un po' ci assomiglia, mette le mani ai fianchi e molleggia sulle
ginocchia. Poi saluta i colleghi con il braccio destro teso. "No", lo
corregge un carabiniere, "quello e' il saluto nazista. Quello fascista e'
cosi'. Italiani!... La prossima volta a questi ci insegniamo Faccetta
nera?". Il brigadiere e' uno dei piu' rispettosi con gli immigrati della
gabbia. Ieri pomeriggio Bilal l'ha visto portare un malato in braccio,
dall'infermeria alla sua branda. Ma di notte questi ragazzi dimostrano di
che pasta sono fatti. I reclusi sono a dormire. Bilal e' nascosto dietro una
rete. Ascolta e osserva. Un'altra notte durissima. I poliziotti hanno
lavorato fino a tardi per gli ultimi interrogatori sullo sbarco di lunedi'.
E adesso ci sono 180 nuovi arrivi da registrare, perquisire e sistemare.
Seduti su un muretto, due gemelline di due anni, la mamma e il papa'. I
carabinieri con mascherina e guanti in lattice cominciano subito a
controllare tasche e borse. Li aiuta un collega in borghese, forse fuori
servizio, basette curate, capelli neri con il gel e una maglietta con alcune
scritte sul petto. "Spogliati nudo", dice a un ragazzo in canottiera che sta
tremando per il freddo e la paura. Lui non capisce. Resta immobile un minuto
intero. "What is the problem?", urla il carabiniere e gli tira uno schiaffo
sulla testa. L'immigrato, pallido e magro come uno scheletro, trema. Altro
schiaffo. Tutte le persone in quel momento nude davanti ai carabinieri
vengono prese a schiaffi. Da mezz'ora quei ragazzi parlavano di fare il
corridoio e nel gergo militare non e' un ambiente che unisce due locali.
Cosa sia lo dimostrano subito dopo: una fila di sei stranieri da portare
nella gabbia passa in mezzo a loro e ciascuno si prende la sua razione di
schiaffi. Quattro carabinieri fanno quattro schiaffi a testa. Appare
finalmente il brigadiere che a mezzogiorno imitava Mussolini. Ma non
rimprovera nessuno. "Questo ti da' problemi?", chiede al collega in
borghese. E spara un pugno sullo sterno all'immigrato magro, che non capisce
proprio che cosa ha sbagliato ed e' ancora in piedi immobile, in canottiera.
Passa un'altra fila di immigrati, altro corridoio. Questa volta li
accompagna un dipendente in divisa della Misericordia. Uno con il pizzetto e
una piccola cicatrice vicino al naso, che una sera quando un ragazzo ha
chiamato i musulmani alla preghiera, si e' messo ad abbaiare ogni volta che
sentiva dire Allahu akbar. Forse li fara' smettere. Invece no, guarda e
ride. Davanti alla fila si sistema il brigadiere. Fa il passo dell'oca e
finge di portare una lancia: "Avanti marsh". Soltanto un carabiniere
napoletano non partecipa al gioco. Gli schiaffi risuonano nell'aria per
mezz'ora. E finalmente una funzionaria di polizia se ne accorge. E' una
ragazza bionda, non tanto alta, che di giorno raccoglie i capelli dentro una
bandana. "Maresciallo", dice nervosa, "vada di la' a vedere cosa stanno
facendo i suoi ragazzi perche' sento troppe mani che si muovono". Il
maresciallo volta l'angolo e raggiunge gli altri carabinieri: "Uhe' ragazzi,
mi raccomando", dice loro e si mettono a ridere tutti insieme. Gli ultimi
sei immigrati vengono portati dentro la gabbia a notte fonda, vanno a
dormire sull'asfalto perche' non ci sono piu' brande. E i carabinieri
festeggiano con una grigliata nel cortile.
*
Giovedi' 29 settembre
Bilal passa tutta la giornata a convincere un gruppo di ferventi musulmani
che non puo' assolutamente seguirli a pregare. Alle sei di sera, prima
dell'ashara-ashara della cena, una voce femminile gli cambia l'umore. "El
Habib Ibrahim Bilal. Domani mattina alle otto presentati al cancello perche'
verrai trasferito", dice l'interprete marocchina in arabo. "Quale
destinazione?". "Agrigento". "Bilal va via", dice Cherriere. E davanti a
Bilal si forma una coda di prigionieri della gabbia che vogliono salutarlo.
Rachid, 31 anni, marocchino, sbarcato ieri sera, gli spiega come funziona:
"Ti danno un foglio di via. Tu per cinque giorni lo tieni e ti sposti fin
dove devi arrivare. Poi lo butti. Io faro' cosi', a Padova da mio cugino ho
gia' un lavoro che mi aspetta. Modi diversi di entrare in Italia non ce ne
sono". La sera sbarcano altri 350 immigrati. Ma e' il turno del brigadiere
per bene e nessuno viene picchiato. Appena entra nella gabbia John, 27 anni,
partito dal Togo e altri suoi compagni di viaggio chiedono dove si puo'
mangiare. Ma la Misericordia fa sapere che il primo pasto sara' distribuito
solo l'indomani mattina. "We are starving, non mangiamo da sette giorni",
trema John, "Quando siamo sbarcati ho visto un negozio e volevo comprare
qualcosa ma la polizia ci ha detto che non potevamo e che qui dentro avremmo
mangiato. Abbiamo i nostri soldi. Se siamo liberi, perche' non possiamo
comprare da mangiare?". Bilal vede passare il medico, lo chiama e gli spiega
la situazione. "Porto qualche brioche", dice il medico. Invece va via e non
porta nulla. John e gli altri vanno a dormire su un marciapiede perche' sono
finiti anche i materassini. Un funzionario in borghese rovescia una lattina
di Coca Cola addosso agli immigrati attraverso le sbarre. "Perche' questo?",
grida Teemer, 26 anni, palestinese, "Siamo clandestini, ma non siamo
animali". Il funzionario si scusa. Le camerate sono strapiene di gente fin
sotto i letti. La radio a tutto volume in cucina canta cio' che centinaia di
bimbi forse pensano ogni giorno dei loro papa' rinchiusi qui dentro: 'How I
wish, how I wish you were here', come vorrei tu fossi qui. Si va a dormire
in una scena da fine del mondo.
*
Venerdi' 30 settembre
Quando torna dalla sua doccia notturna, Bilal trova il letto occupato da
altre due persone. Sono le ultime ore nella gabbia, puo' anche rimanere
alzato. Il cielo e' illuminato da lampi e fulmini. Il temporale dura poco ma
gli scrosci d'acqua risvegliano le centinaia di persone che si erano
addormentate all'aperto. Davanti al cancello stanno registrando un nuovo
sbarco. E i carabinieri stanno di nuovo picchiando i ragazzi che
perquisiscono. I primi sono due uomini che non si erano seduti al loro
ordine. Uno lo chiamano Maradona. Volano sberle e per Maradona anche un
calcio. Si fermano solo quando passa il tenente in borghese, un ragazzo con
il pizzetto. Poi prendono a schiaffi un ventenne che non capisce che cosa
deve fare. E altri due ragazzi che al "sit-down" non si sono seduti perche'
parlano arabo e francese. Bisogna fermare questo schifo. Bilal grida in
inglese: "State picchiando la gente, perche'?". Un carabiniere tira un
calcio alla rete da dove sta osservando, cercando di colpirlo. Bilal viene
chiamato fuori dal cancello. E' un faccia a faccia tesissimo, gli occhi di
Bilal dentro gli occhi di un carabiniere con i capelli un po' brizzolati e
la mascherina per nascondersi. Ma almeno smettono di picchiare. Quando il
sole e' alto dentro la gabbia sono state ammassate 1250 persone. "Questo e'
'o Professore", dice di Bilal un carabiniere a due colleghi, "Avete visto
cosa ha fatto prima? Questo qua un giorno lo chiamiamo fuori e gli diamo una
ripassata". Ma cinque minuti dopo e' la polizia a chiamarlo fuori. Bilal
viene portato vicino all'uscita, dove lo aspetta il gruppo che sta per
essere trasferito. Nove adulti e 35 minori. La Misericordia distribuisce una
maglietta bianca a tutti e le scarpe ai tre rimasti senza. Ma non
restituisce i soldi che i ragazzini avevano depositato in segreteria. I
carabinieri li hanno accompagnati all'uscita senza dire loro che sarebbero
stati trasferiti da Lampedusa. "Oggi non e' giornata, non c'e' nessuno in
ufficio che possa dare quei soldi", spiega un giovane della Misericordia.
Bilal insiste in inglese: "Sono centinaia di euro, e' importante che partano
con i soldi". Un carabiniere dice di no con il dito e allarga le mani.
*
Si parte senza soldi. All'imbarco del traghetto gli ultimi turisti della
stagione guardano la fila di immigrati sotto scorta dai carabinieri.
Ciascuno ha un sacchetto con due panini e una bottiglia d'acqua. Si viaggia
fino a sera nella sala soggiorno della nave, piantonata da un brigadiere e
due carabinieri molto cortesi. Youssef, 16 anni, e' sicuro sia una
deportazione in Libia e si mette a pregare verso prua, convinto che la rotta
sia verso Sud-Est. Ma quando sull'orizzonte appaiono le montagne della
Sicilia, tutti gli altri si incollano al finestrino e ridono: "Jebel
Scisciglia". A Porto Empedocle i 45 sono caricati su un autobus della ditta
Cuffaro scortato dalla polizia. La carovana sale fino alla questura di
Agrigento. Bilal e gli altri 8 adulti vengono separati dai minorenni. I
teenager sono destinati a un istituto in attesa di essere affidati ai
parenti gia' in Italia. Gli altri ricevono tre fogli, un sacchetto con due
panini e una bottiglia d'acqua. Poi vengono caricati su un furgone che parte
a tutta velocita'. "Bilal, ho paura. Secondo me ci portano in Libia", dice
Abdrazak, 18 anni marocchino, che vuole raggiungere lo zio a Catania. Invece
si finisce alla stazione. Ma il treno per Palermo e' gia' partito: "Minchia,
non parte mai in orario", s'arrabbia un ispettore. Nuova corsa in auto,
furgone e sirena fino ad Aragona, la stazione successiva. E questa volta il
treno non e' ancora arrivato. "Ragazzi ascoltatemi", spiega un funzionario
in inglese, "Avete cinque giorni di tempo per lasciare l'Italia. Siete
liberi". Anche Bilal e' libero, nonostante il suo alter ego rumeno e i
precedenti penali. Gli altri quando capiscono, esultano. Uno si attacca al
collo dell'ispettore che sorride, ma preferisce non essere baciato. Tutti,
tranne uno, hanno un lavoro o un parente che li aspetta: a Milano, a Torino,
a Napoli e Catania. L'ultimo ostacolo e' un bigliettaio, la mattina dopo
alla stazione di Palermo. E' convinto che abbia davanti immigrati che non
parlano italiano e li insulta. Maltratta anche un pendolare che si e'
offerto di aiutarli: "Lei che c'entra, crede che non li capisca?". Bilal
esplode: "Ma se nun capisti mancu l'italiano, lo fate o no 'sta minchia di
biglietto?". Il bigliettaio sorpreso si mette subito al lavoro. "Che lingua
era Bilal?", chiede Abdrazak in francese, "era curdo?".
*
Scheda. Istruzioni per la fuga
"Se vai a Crotone te la puoi cavare con 150 euro. A Bari puoi scappare dal
centro di detenzione la notte, saltando la rete e seguendo i sentieri. A
Caltanissetta e Trapani no, se ti chiudono la' dentro esci solo quando lo
decide la polizia". Ahmed, cosi' dice di chiamarsi, 26 anni, egiziano del
delta del Nilo, e' chiuso da qualche settimana nel centro di Lampedusa e di
mestiere fa lo scafista. Il suo desiderio e' essere trasferito al centro per
immigrati di Crotone: "Perche' la' e' piu' facile uscire. E' per questo che
alcuni di noi viaggiano con il telefono satellitare: quando sono vicini a
Lampedusa, chiamano qualcuno a Crotone e rivelano quale nome useranno quando
si presenteranno alla polizia". Vuol dire che e' possibile condizionare la
propria destinazione? "No, se qui a Lampedusa sanno che vuoi andare a
Crotone, ti mandano da un'altra parte. Pero' succede che alcuni di noi
riescano piu' facilmente ad andare a Crotone di altri. Il punto di
riferimento e' un gruppo di sudanesi. Una volta liberi, andiamo a Roma,
facciamo un duplicato del passaporto e rientriamo in Egitto. Dopo un po' di
riposo, torniamo in Libia legalmente e siamo pronti per un nuovo incarico.
Fanno cinquemila euro a viaggio o seimila dollari. Alcuni poliziotti libici
chiedono invece tra i cinquemila e i ventimila euro per lasciar partire le
navi. Dipende dal numero dei passeggeri". Gli arrivi in massa degli ultimi
giorni segnano la fine dell'accordo tra Silvio Berlusconi e il colonnello
Gheddafi. La barca approdata a Lampedusa con quasi 350 immigrati il 26
settembre e' addirittura partita dalla Tunisia: "Ci hanno raccolti in Libia
e portati oltre il confine", raccontano i passeggeri.
*
Scheda. I diritti umani secondo il Viminale
In sette giorni di reclusione nel centro per immigrati di Lampedusa, la
detenzione di Bilal Ibrahim el Habib non e' stata convalidata da nessun
giudice: nonostante nessun cittadino possa essere privato della liberta'
senza il giudizio di un magistrato entro un tempo massimo di 48 ore. Gli
immigrati rilasciati la sera di venerdi' 30 settembre hanno ricevuto
l'ordine di lasciare l'Italia entro cinque giorni firmato dal questore di
Agrigento e il decreto di respingimento con accompagnamento alla frontiera.
In realta' solo una formalita', perche' nessuno e' stato fisicamente
accompagnato al confine. Ma soprattutto in nessun documento consegnato dalla
Questura risulta la detenzione degli immigrati per una settimana o piu'. La
Prefettura ha invece pagato ai nove stranieri il biglietto ferroviario da
Agrigento a Palermo. Il ministero dell'Interno ha recentemente confermato
alla Commissione europea e alla Corte europea per i diritti umani il
rispetto della dignita' umana nelle procedure di identificazione degli
stranieri: in particolare grazie alla sostituzione dell'inchiostro per le
impronte digitali con i Visa Scanner che non sporcano le mani. Il Viminale
ha anche assicurato all'Unione Europea che per ogni straniero detenuto a
Lampedusa avviene un'udienza di convalida davanti a un giudice di pace. Nei
casi di Bilal Ibrahim el Habib e degli stranieri detenuti tra il 24 e il 30
settembre nella gabbia del centro per immigrati sull'isola questa
affermazione e' falsa.
*
Scheda. E' l'ora della mangeria
A Lampedusa si usa uno slang che fonde idiomi diversi.
- Maifrend: dall'inglese my friend, mio amico. e' il modo con cui
carabinieri, poliziotti e assistenti si rivolgono agli immigrati rinchiusi
nella gabbia di Lampedusa quando si tratta di un singolo. Il plurale diventa
cornuti ed e' usato soltanto dai carabinieri.
- Ashara-ashara: dall'arabo ashara, dieci. E' il richiamo per l'adunata
poiche' ci si siede sull'asfalto in file da dieci. E' anche l'indicazione
data la sera alla distribuzione delle sigarette: dieci a testa, un pacchetto
ogni due reclusi.
- Fisa-fisa: dall'arabo, e' l'ordine dato quando gli immigrati devono
muoversi o fare qualcosa velocemente. Si usa anche visa-visa.
- Mangeria: e' l'ora dei pasti (colazione, pranzo o cena). Gli egiziani la
chiamano anche mangheria o mangaria.
- Asciugamano: nella gabbia di Lampedusa ha molti significati e funzioni in
piu' rispetto all'esterno. Sta al posto di coperta, cuscino, parasole,
pantaloni, separe' nel wc, turbante, fazzoletto, stuoia e serve a
proteggersi gli occhi dalla luce dei fari per dormire la notte.
- Kulu kulu: derivato dall'arabo, e' tutto cio' che riguarda il mangiare.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1079 del 10 ottobre 2005

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