La nonviolenza e' in cammino. 890



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 890 del 5 aprile 2005

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Solidarieta' con Farid Adly, minacciato di morte
2. Il 25 aprile in difesa della Costituzione
3. Piero Calamandrei: Epigrafi per donne, uomini e citta' della Resistenza
4. Carla Cohn: Il prato
5. Anna Bravo ricorda Maria Occhipinti
6. Chiara Vergano intervista Serge Latouche
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. APPELLI. PEPPE SINI: SOLIDARIETA' CON FARID ADLY, MINACCIATO DI MORTE
[Farid Adly, autorevole giornalista e prestigioso militante per i diritti
umani, e' direttore di "Anbamed. Notizie dal Mediterraneo" (per contatti:
anbamed at katamail.com)]

Farid Adly, persona buona e coraggiosa, prestigioso giornalista impegnato
per la verita' e i diritti di tutti, operatore di pace e di giustizia,
costruttore di dialogo, amico della nonviolenza, ha ricevuto una grave
minaccia di morte.
A Farid Adly esprimiamo la nostra piena solidarieta'.
A tutti coloro che ci leggono chiediamo di prendere posizione, di diffondere
la notizia, di esprimere sostegno a Farid, di far sapere a chi lo minaccia
che Farid non e' solo con i suoi compagni di lotta di Acquedolci, ma che
insieme a lui vi sono tantissime donne ed uomini che con lui lottano per la
verita' e la giustizia, per la pace e i diritti umani di tutti gli esseri
umani, per la difesa della biosfera e una societa' libera, giusta, solidale.
Le dichiarazioni di solidarieta' con Farid Adly possono essere inviate
all'agenzia "Anbamed. Notizie dal Mediterraneo" di cui e' direttore: e-mail:
anbamed at katamail.com
*
Riportiamo di seguito un comunicato stampa emesso il 4 aprile 2005
dall'unita' di base di Acquedolci dei Democratici di sinistra che da'
notizia dei fatti.
"Il nostro compagno ing. Farid Adly, della direzione provinciale Ds -
federazione dei Nebrodi, nonche' giornalista, collaboratore del "Corriere
della Sera", di Radio Popolare e del "Manifesto", e' stato oggetto di
minaccia di morte da parte di una persona sconosciuta che lo ha affrontato
in auto nel centro di Acquedolci, paese in provincia di Messina, suo luogo
di residenza. Le minacce fanno riferimento ad una trasmissione televisiva,
sulla rete regionale Onda Tv, di confronto con amministratori locali durante
la quale l'ing. Farid Adly ha denunciato i mali del territorio acquedolcese
ed in particolare le discariche a cielo aperto nelle valli dei torrenti
Inganno e del Furiano.
Uno sconosciuto ancora da identificare si e' avvicinato in auto e ha
intimato all'ing. Farid Adly, in dialetto siciliano, di "parlare di meno in
tv, altrimenti ti manderemo al tuo paese in una bara". Alla pronta azione
dell'ing. Adly che ha chiamato a raccolta i cittadini presenti nella via
Nazionale nei pressi della piazza municipale, il 'picciotto' e' fuggito in
macchina.
Queste inqualificabili minacce sono avvenute la sera di sabato 2 aprile
2005, successivamente all'azione di linciaggio morale compiuta lo stesso
pomeriggio durante i lavori del consiglio comunale, quando un consigliere
comunale ha avuto l'ardire di chiedere retoricamente i risarcimenti per i
danni arrecati, a suo dire, all'immagine di Acquedolci. Il sindaco aveva
ulteriormente rincarato la dose, facendo un discorso sopra le righe e senza
la possibilita' di ribattere da parte nostra, accusando l'ing. Farid Adly di
essere all'origine del ritardo della bonifica delle bombe ecologiche,
"perche' le sue denunce con le 'gite turistiche', ha affermato il sindaco,
avevano allertato l'Antimafia, i Carabinieri e la Guardia di Finanza e
provocato il conseguente sequestro dei siti definiti vere e proprie bombe
ecologiche".
"Non facciamo un collegamento diretto tra i discorsi del consiglio comunale
e le minacce mafiose, ha detto il segretario dei Democratici di sinistra di
Acquedolci, Giuseppe Carone, ma il linciaggio morale e l'istigazione
all'odio dei politici, possono dare l'impressione dell'isolamento del nostro
partito presso i 'picciotti' e da li' il passo e' breve verso l'azione
intimidatoria. Ma non ci intimidiscono! Noi continueremo a denunciare i mali
di questa citta' e il fallimento di questa amministrazione, che ha portato
al declino di Acquedolci".
L'ing. Farid Adly ha sporto regolare denuncia alle autorita' competenti per
l'identificazione dell'autore dell'atto intimidatorio. "Sono per natura e
per impegno un seguace della nonviolenza, ha detto Adly, chiunque abbia
messo in atto questa azione si qualifica da se'; noi risponderemo con la
fermezza, la legalita' e con la massima fiducia nelle istituzioni. Chiediamo
a tutti di rispettare il confronto democratico e di rispondere alle nostre
critiche con la dialettica politica. Altrimenti - ha aggiunto - si darebbe
spazio a coloro che vogliono pescare nel torbido. I nostri amministratori
devono dimostrare determinazione contro le illegalita' palesi che si
compiono quotidianamente nel nostro territorio. Non e' ammissibile
rovesciare la logica, sostenendo che chi denuncia i mali del territorio
infanga il nome della citta'. Noi riaffermiamo che il nome di Acquedolci e'
infangato da chi non compie il suo dovere di amministratore. Che si faccia
un esame di coscienza prima di pronunciare accuse. Il signor sindaco non
puo' dire in televisione che io sporco i giornali, piuttosto faccia pulire
le strade del paese e provveda alla bonifica delle pattumiere a cielo aperto
nelle valli dei torrenti".
"Ringraziamo i tanti che ci hanno espresso solidarieta', fiducia e
sostegno - ha concluso il segretario Giuseppe Carone - e promettiamo loro
che non demorderemo dall'azione legale e coerente per l'interesse collettivo
di tutti. Siamo sicuri di essere in tanti e in buona compagnia".
Cosi' il comunicato stampa dei Ds di Acquedolci. Per ogni ulteriore
informazione: tel. 3398599708, o anche 0941730053.
*
Ci permettiamo di chiedere a tutte e tutti coloro che ci leggono di fare,
subito, un gesto di solidarieta', diffondendo la notizia e scrivendo a Farid
Adly (presso "Anbamed. Notizie dal Mediterraneo", e-mail:
anbamed at katamail.com); un gesto di solidarieta' che e' anche un segno di
gratitudine per quanto Farid Adly da tanti anni sta facendo.

2. APPELLI. IL 25 APRILE IN DIFESA DELLA COSTITUZIONE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 aprile 2005 riprendiamo il seguente
appello. Tra i primi firmatari: Dario Fo, Lidia Menapace, Franca Rame. Per
adesioni: mario.agostinelli at lombardiacom.it,
paolo.cagnaninchi at fastwebnet.it]

Sessant'anni fa il nostro paese usciva da una guerra doppiamente tragica: un
conflitto mondiale con perdite umane mai prima d'allora immaginabili, lo
sterminio pianificato dei campi di concentramento; in patria la guerra
civile che con la Resistenza ci restituiva dignita' e un posto tra le
nazioni civili.
Ne nasceva una Costituzione, patto di cittadinanza fondato sul ripudio della
guerra, sul lavoro e su un equilibrio di poteri che garantiva la vita civile
e politica.
Sessant'anni dopo, oggi, alla vigilia dell'anniversario del XXV Aprile, una
maggioranza senza principi, ricattata da una Lega cresciuta sull'egoismo
becero e sul razzismo, porta a compimento lo scempio di questo patto: dopo
aver buttato a mare l'articolo 11 che ripudia la guerra, rompe l'equilibrio
tra i poteri dello stato e lo stato stesso con un premierato arbitrario e un
federalismo che cancella il diritto all'eguaglianza dei cittadini. Questo
strappo puo' fare della nostra Costituzione carta straccia e aprire la via a
un nuovo regime.
Non bastano percio' gli strumenti istituzionali di una democrazia delegata
sempre piu' debole, occorre una mobilitazione generale che restituisca voce
ai cittadini subito e apra una forte e costante campagna di
sensibilizzazione che si concluda con la vittoria al referendum.
Con questo appello proponiamo per il XXV Aprile, anniversario della
Liberazione dal nazifascismo e inizio di una nuova Italia, una grande
manifestazione nazionale a Milano, riscoprendo che anche oggi si puo'
ripartire dal nord - oggi culla del berlusconismo e del leghismo - perche'
come allora il popolo italiano difenda la sua dignita', la sua democrazia,
il suo ruolo tra le nazioni civili riaffermando i valori e i principi della
sua Costituzione.

3. MAESTRI. PIERO CALAMANDREI: EPIGRAFI PER DONNE, UOMINI E CITTA' DELLA
RESISTENZA
[I testi che qui ancora una volta riproponiamo sono estratti dal libro di
discorsi, scritti ed epigrafi di Piero Calamandrei, Uomini e citta' della
Resistenza, edito nel 1955 e successivamente ristampato da Laterza, Bari
1977 (l'edizione da cui citiamo), piu' recentemente riproposto da Linea
d'ombra, Milano 1994. Piero Calamandrei, nato a Firenze nel 1889 ed ivi
deceduto nel 1956, avvocato, giurista, docente universitario, antifascista
limpido ed intransigente, dopo la Liberazione fu costituente e parlamentare,
fondatore ed animatore della rivista "Il Ponte", impegnato nelle grandi
lotte civili]

VIVI E PRESENTI CON NOI
FINCHE' IN LORO
CI RITROVEREMO UNITI

MORTI PER SEMPRE
PER NOSTRA VILTA'
QUANDO FOSSE VERO
CHE SONO MORTI INVANO

(In limine al libro Uomini e citta' della Resistenza)

*

DA QUESTA CASA
OVE NEL 1925
IL PRIMO FOGLIO CLANDESTINO ANTIFASCISTA
DETTE ALLA RESISTENZA LA PAROLA D'ORDINE
NON MOLLARE
FEDELI A QUESTA CONSEGNA
COL PENSIERO E COLL'AZIONE
CARLO E NELLO ROSSELLI
SOFFRENDO CONFINI CARCERI ESILII
IN ITALIA IN FRANCIA IN SPAGNA
MOSSERO CONSAPEVOLI PER DIVERSE VIE
INCONTRO ALL'AGGUATO FASCISTA
CHE LI RICONGIUNSE NEL SACRIFICIO
IL 9 GIUGNO 1937
A BAGNOLES DE L'ORNE
MA INVANO SI ILLUSERO GLI OPRESSORI
DI AVER FATTO LA NOTTE SU QUELLE DUE FRONTI
QUANDO SPUNTO' L'ALBA
SI VIDERO IN ARMI
SU OGNI VETTA D'ITALIA
MILLE E MILLE COL LORO STESSO VOLTO
VOLONTARI DELLE BRIGATE ROSSELLI
CHE SULLA FIAMMA RECAVANO IMPRESSO
GRIDO LANCIATO DA UN POPOLO ALL'AVVENIRE
GIUSTIZIA E LIBERTA'

(Epigrafe sulla casa dei fratelli Rosselli, in Firenze, via Giusti n. 38)

*

GIUSTIZIA E LIBERTA'

PER QUESTO MORIRONO
PER QUESTO VIVONO

(Epigrafe sulla tomba dei fratelli Rosselli, nel cimitero di Trespiano -
Firenze)

*

NON PIU' VILLA TRISTE
SE IN QUESTE MURA
SPIRITI INNOCENTI E FRATERNI
ARMATI SOL DI COSCIENZA
IN FACCIA A SPIE TORTURATORI CARNEFICI
VOLLERO
PER RISCATTARE VERGOGNA
PER RESTITUIR DIGNITA'
PER NON RIVELARE IL COMPAGNO
LANGUIRE SOFFRIRE MORIRE
NON TRADIRE

(Epigrafe sulla villa di via Bolognese, a Firenze - dove fu la sede della
banda Carita' - nella quale Enrico Bocci fu torturato: e che fu chiamata in
quei mesi "Villa triste")

*

GIANFRANCO MATTEI
DOCENTE UNIVERSITARIO DI CHIMICA
NELL'ORA DELL'AZIONE CLANDESTINA
FECE DELLA SUA SCIENZA
ARMA PER LA LIBERTA'
COMUNIONE COL SUO POPOLO
SILENZIOSA SCELTA DEL MARTIRIO

SU QUESTA CASA OVE NACQUE
RIMANGANO INCISE
LE ULTIME PAROLE SCRITTE NEL CARCERE
QUANDO SOTTRASSE AL CARNEFICE
E INVITTA CONSEGNO' ALL'AVVENIRE
LA CERTEZZA DELLA SUA FEDE
"SIATE FORTI - COME IO LO FUI"

Milano 11 dicembre 1916 - Roma febbraio 1944

(Epigrafe sulla casa di Milano, ove nacque l'11 dicembre 1916 Gianfranco
Mattei)

*

LA MADRE

QUANDO LA SERA TORNAVANO DAI CAMPI
SETTE FIGLI ED OTTO COL PADRE
IL SUO SORRISO ATTENDEVA SULL'USCIO
PER ANNUNCIARE CHE IL DESCO ERA PRONTO
MA QUANDO IN UN UNICO SPARO
CADDERO IN SETTE DINANZI A QUEL MURO
LA MADRE DISSE
NON VI RIMPROVERO O FIGLI
D'AVERMI DATO TANTO DOLORE
L'AVETE FATTO PER UN'IDEA
PERCHE' MAI PIU' NEL MONDO ALTRE MADRI
DEBBAN SOFFRIRE LA STESSA MIA PENA
MA CHE CI FACCIO QUI SULLA SOGLIA
SE PIU' LA SERA NON TORNERETE
IL PADRE E' FORTE E RINCUORA I NIPOTI
DOPO UN RACCOLTO NE VIENE UN ALTRO
MA IO SONO SOLTANTO UNA MAMMA
O FIGLI CARI
VENGO CON VOI

(Epigrafe dettata per il busto, collocato nella sala del consiglio del
Comune di Campegine, di Genoveffa Cocconi, madre dei sette fratelli Cervi,
morta di dolore poco dopo la loro fucilazione)

*

A POCHI METRI DALL'ULTIMA CIMA
AVVOLTA NEL NEMBO
QUALCUNO PIU' SAGGIO DISSE SCENDIAMO
MA LIVIO COMANDA
QUANDO UN'IMPRESA SI E' COMINCIATA
NON VALE SAGGEZZA
A TUTTI I COSTI BISOGNA SALIRE

DALLA MONTAGNA NERA
DOPO DIECI ANNI DAL PRIMO CONVEGNO
S'AFFACCIANO LE OMBRE IN VEDETTA
L'HANNO RICONOSCIUTO
SVENTOLANO I VERDI FAZZOLETTI
RICANTAN LE VECCHIE CANZONI
E' LIVIO CHE SALE
E' IL LORO CAPO
CHE PER NON RINUNCIARE ALLA VETTA
TRA I MORTI GIOVANI
GIOVANE ANCH'EGLI
E' VOLUTO RESTARE

ASCIUGHIAMO IL PIANTO
GUARDIAMO SU IN ALTO
IN CERCA DI TE
COME TI VIDERO I TEDESCHI FUGGENTI
FERMO SULLA RUPE
LE SPALLE QUADRATE MONTANARE
LA MASCHIA FRONTE OSTINATA
L'OCCHIO ACCESO DI DOLCE FIEREZZA
FACCI UN CENNO LIVIO
SE VACILLEREMO
A TUTTI I COSTI BISOGNA SALIRE
ANCHE SE QUESTO
E'
MORIRE

(Epigrafe per la morte di Livio Bianco avvenuta nel luglio del 1953, per una
sciagura di montagna)

*

DALL'XI AGOSTO MCMXLIV
NON DONATA MA RICONQUISTATA
A PREZZO DI ROVINE DI TORTURE DI SANGUE
LA LIBERTA'
SOLA MINISTRA DI GIUSTIZIA SOCIALE
PER INSURREZIONE DI POPOLO
PER VITTORIA DEGLI ESERCITI ALLEATI
IN QUESTO PALAZZO DEI PADRI
PIU' ALTO SULLE MACERIE DEI PONTI
HA RIPRESO STANZA
NEI SECOLI

(Epigrafe apposta dopo la liberazione sulla parete di Palazzo Vecchio che
guarda Via dei Gondi, a Firenze)

*

SULLE FOSSE DEL VOSTRO MARTIRIO
NEGLI STESSI CAMPI DI BATTAGLIA
O SUPPLIZIATI DI BELFIORE
O VOLONTARI DI CURTATONE E MONTANARA
DOPO UN SECOLO
MANTOVA VI AFFIDA
QUESTI SUOI CADUTI DELLA GUERRA PARTIGIANA

COME VOI SONO ANDATI INCONTRO ALLA MORTE
A FRONTE ALTA CON PASSO SICURO
SENZA VOLTARSI INDIETRO
ACCOGLIETELI OMBRE FRATERNE
SONO DELLA VOSTRA FAMIGLIA

MUTANO I VOLTI DEI CARNEFICI
RADETZKY O KESSELRING
VARIANO I NOMI DELLE LIBERAZIONI
RISORGIMENTO O RESISTENZA
MA L'ANELITO DEI POPOLI E' UNO
NELLA STORIA DOVE I SECOLI SONO ATTIMI
LE GENERAZIONI SI TRASMETTONO
QUESTA FIAMMA RIBELLE
PATIBOLI E TORTURE NON LA SPENGONO
DOPO CENT'ANNI
QUANDO L'ORA SPUNTA
I CIMITERI CHIAMANO LIBERTA'
DA OGNI TOMBA BALZA UNA GIOVANE SCHIERA
L'AVANZATA RIPRENDE
FINO A CHE OGNI SCHIAVITU' SARA' BANDITA
DAL MONDO PACIFICATO

(Epigrafe murata nella sala del Palazzo Provinciale di Mantova nel primo
decennale della Resistenza, giugno 1954)

*

RITORNO DI KESSELRING

NON E' PIU' VERO NON E' PIU' VERO
O FUCILATI DELLA RESISTENZA
O INNOCENTI ARSI VIVI
DI SANT'ANNA E DI MARZABOTTO
NON E' PIU' VERO
CHE NEL ROGO DEI CASALI
DIETRO LE PORTE INCHIODATE
MADRI E CREATURE
TORCENDOSI TRA LE FIAMME
URLAVANO DISPERATAMENTE PIETA'

AI CAMERATI GUASTATORI
CHE SI GLORIARONO DI QUELLE GRIDA
SIA RESA ALFINE GIUSTIZIA
RIPRENDANO TORCE ED ELMETTI
SI SCHIERINO IN PARATA
ALTRI ROGHI DOVRANNO ESSERE ACCESI
PER LA FELICITA' DEL MONDO

NON PIU' FIORI PER LE VOSTRE TOMBE
SONO STATI TUTTI REQUISITI
PER FARE LA FIORITA
SULLE VIE DEL LORO RITORNO
LI COMANDERA' ANCORA
COLL'ONORE MILITARE
CUCITO IN ORO SUL PETTO
IL CAMERATA KESSELRING
IL VOSTRO ASSASSINO

*

IL MONUMENTO A KESSELRING

LO AVRAI
CAMERATA KESSELRING
IL MONUMENTO CHE PRETENDI DA NOI ITALIANI
MA CON CHE PIETRA SI COSTRUIRA'
A DECIDERLO TOCCA A NOI

NON COI SASSI AFFUMICATI
DEI BORGHI INERMI STRAZIATI DAL TUO STERMINIO
NON COLLA TERRA DEI CIMITERI
DOVE I NOSTRI COMPAGNI GIOVINETTI
RIPOSANO IN SERENITA'
NON COLLA NEVE INVIOLATA DELLE MONTAGNE
CHE PER DUE INVERNI TI SFIDARONO
NON COLLA PRIMAVERA DI QUESTE VALLI
CHE TI VIDE FUGGIRE

MA SOLTANTO COL SILENZIO DEI TORTURATI
PIU' DURO D'OGNI MACIGNO
SOLTANTO CON LA ROCCIA DI QUESTO PATTO
GIURATO FRA UOMINI LIBERI
CHE VOLONTARI SI ADUNARONO
PER DIGNITA' NON PER ODIO
DECISI A RISCATTARE
LA VERGOGNA E IL TERRORE DEL MONDO

SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE
AI NOSTRI POSTI CI RITROVERAI
MORTI E VIVI COLLO STESSO IMPEGNO
CHE SI CHIAMA
ORA E SEMPRE
RESISTENZA

(Lapide murata nel Palazzo Comunale di Cuneo il 21 dicembre 1952)

*

ALL'OMBRA DI QUESTE MONTAGNE
IL 12 SETTEMBRE 1943
POCHI RIBELLI QUI CONVENUTI
ARMATI DI FEDE E NON DI GALLONI
FURONO LA PRIMA PATTUGLIA
DELLA RESISTENZA PIEMONTESE
CHE DOPO DUE INVERNI
CON DUCCIO E LIVIO AL COMANDO
PER OGNI CADUTO CENTO SOPRAGGIUNTI
DIVENTO'
L'ESERCITO DI GIUSTIZIA E LIBERTA'
DILAGANTE VITTORIOSO IN PIANURA

NEL PRIMO DECENNALE
I VIVI SALUTANO I MORTI
DORMITE IN PACE COMPAGNI
L'IMPEGNO DI MARCIARE INSIEME
VERSO L'AVVENIRE
NON E' CADUTO

(Epigrafe murata sulla Chiesa di Madonna del Colletto, inaugurata il 27
settembre 1953 con un discorso di Ferruccio Parri)

*

CONTRO OGNI RITORNO

INERMI BORGATE DELL'ALPE
ASILO DI RIFUGIATI
PRESE D'ASSALTO COI LANCIAFIAMME
ARSI VIVI NEL ROGO DEI CASALI
I BAMBINI AVVINGHIATI ALLE MADRI
FOSSE NOTTURNE SCAVATE
DAGLI ASSASSINI IN FUGA
PER NASCONDERVI STRAGI DI TRUCIDATI INNOCENTI
QUESTO VI RIUSCI'

S. TERENZIO BERGIOLA ZERI VINCA
FORNO MOMMIO TRAVERDE S. ANNA S. LEONARDO
SCRIVETE QUESTI NOMI
SON LE VOSTRE VITTORIE
MA ESPUGNARE QUESTE TRINCEE DI MARMO
DI DOVE IL POPOLO APUANO
CAVATORI E PASTORI
E LE LORO DONNE STAFFETTE
TUTTI ARMATI DI FAME E DI LIBERTA'
VI SFIDAVA BEFFARDO DA OGNI CIMA
QUESTO NON VI RIUSCI'
ORA SUL MARE SON TORNATI AL CARICO I VELIERI

E NELLE CAVE I BOATI DELLE MINE
CHIAMAN LAVORO E NON GUERRA
MA QUESTA PACE NON E' OBLIO
STANNO IN VEDETTA
QUESTE MONTAGNE DECORATE DI MEDAGLIE D'ORO
AL VALORE PARTIGIANO
TAGLIENTI COME LAME
IMMACOLATO BALUARDO SEMPRE ALL'ERTA
CONTRO OGNI RITORNO

(Epigrafe scolpita sul marmo della stele commemorativa delle Fosse del
Frigido, inaugurata il 21 ottobre 1954)

*

FANTASMI

NON RAMMARICATEVI
DAI VOSTRI CIMITERI DI MONTAGNA
SE GIU' AL PIANO
NELL'AULA OVE FU GIURATA LA COSTITUZIONE
MURATA COL VOSTRO SANGUE
SONO TORNATI
DA REMOTE CALIGINI
I FANTASMI DELLA VERGOGNA
TROPPO PRESTO LI AVEVAMO DIMENTICATI
E' BENE CHE SIANO ESPOSTI
IN VISTA SU QUESTO PALCO
PERCHE' TUTTO IL POPOLO
RICONOSCA I LORO VOLTI
E SI RICORDI
CHE TUTTO QUESTO FU VERO
CHIEDERANNO LA PAROLA
AVREMO TANTO DA IMPARARE
MANGANELLI PUGNALI PATIBOLI
VENT'ANNI DI RAPINE DUE ANNI DI CARNEFICINE
I BRIGANTI SUGLI SCANNI I GIUSTI ALLA TORTURA
TRIESTE VENDUTA AL TEDESCO
L'ITALIA RIDOTTA UN ROGO
QUESTO SI CHIAMA GOVERNARE
PER FAR GRANDE LA PATRIA
APPRENDEREMO DA FONTE DIRETTA
LA STORIA VISTA DALLA PARTE DEI CARNEFICI
PARLERANNO I DIPLOMATICI DELL'ASSE
I FIERI MINISTRI DI SALO'
APRIRANNO
I LORO ARCHIVI SEGRETI
DI OGNI IMPICCATO SAPREMO LA SEPOLTURA
DI OGNI INCENDIO SI RITROVERA' IL PROTOCOLLO
CIVITELLA SANT'ANNA BOVES MARZABOTTO
TUTTE IN REGOLA
SAPREMO FINALMENTE
QUANTO COSTO' L'ASSASSINIO
DI CARLO E NELLO ROSSELLI
MA FORSE A QUESTO PUNTO
PREFERIRANNO RINUNCIARE ALLA PAROLA
PECCATO
QUESTI GRANDI UOMINI DI STATO
AVREBBERO TANTO DA RACCONTARE

(Epigrafe pubblicata sul "Ponte" dopo le elezioni politiche del 7 giugno
1953)

4. TESTIMONIANZE. CARLA COHN: IL PRATO
[Ringraziamo di cuore Carla Cohn (per contatti: carlacohn at tele2.it) per
averci messo a disposizione questo suo racconto-testimonianza, scritto
alcuni anni dopo la liberazione del campo di lavoro Lenzing - Mauthausen
avvenuta il 6 maggio 1945; la traduzione dall'inglese e' di Paola del Re con
la collaborazione dell'autrice; e' stato pubblicato nel periodico dell'Aned
"Triangolo Rosso", anno XX, n. 3, settembre 2000. Carla (Carola) Cohn, nata
a Berlino nel 1927, deportata e sopravvissuta ai campi di sterminio, e'
psicoterapeuta e testimone della Shoah. Un'altra sua straordinaria
testimonianza e' nel n. 883 di questo notiziario]

Verde, verde, nient'altro che sfumature di verde. Tutto intorno. Erba forte,
steli grassi e lucenti. E ora, improvvisamente sembra acqua, acqua
trasparente. Quel prato mosso dal vento d'estate, come le onde del mare.
Quelle piccole foglie turgide e fresche, cosi' vicino al viso,
improvvisamente sembrano animarsi; nelle loro vene si puo' quasi vedere
pulsare la vita. Piccole formiche si arrampicano industriose su quegli
steli, ponti nel loro cammino. Mondo affascinante e pieno di pace in tanta
frenetica attivita'. Un caleidoscopio di verdi dai disegni sempre mutevoli.
E in quel mondo la ragazza si confonde, diviene parte di esso e perfino i
grilli tacciono silenziosi di fronte a quel corpo sdraiato nell'erba,
tutt'uno con essa.
"Aspetta un attimo". Quella voce sgraziata, cattiva lacera improvvisamente
quel lembo dorato di pace che le sue mani stavano stringendo. Sembra venire
da lontano a interrompere il suo sonno. Era infatti scivolata nel sonno
senza accorgersene e ora si rende conto che le voci che l'hanno
all'improviso svegliata appartengono a delle persone che si trovano poco
distante. Ma lei non voleva essere disturbata nel dorato e verde rifugio del
prato.
"Ti ho detto di aspettare. Metti questo giornale per terra prima di sederti,
altrimenti il tuo vestito bianco si macchiera'". "Dammi quel sandwich. Tu
prima a casa hai detto che non lo volevi. Ora e' mio". Ciaff, ciaff... Uno
strillo e un rumore di carta.
Evidentemente un picnic di famiglia. Ora e' la voce del padre a farsi
sentire: "Smettetela di litigare. Tutti e due. Smettetela. La mamma vi dara'
da mangiare". Plop. Quello era il rumore del tappo di una bottiglia. E la
voce tace. "Mamma, lo volevo io quel cetriolo e lei lo ha preso".
Sembra che quando le persone litigano i nomi non esistono. Esiste solo "lei"
o "lui" su cui e' piu' facile scaricare la rabbia. Come potevano litigare
ora che finalmente erano assieme, per quel solo giorno della settimana che
vedeva tutta la famiglia riunita, senza piu' l'affanno quotidiano,
circondata da tanta bellezza. Come potevano ignorarla. Eppure per loro
sembrava non esistere. Sembrava fossero ancora in citta', fra il cemento
privo di quella bella natura, dove ora erano immersi. Eppure erano venuti
qui a cercarla per il loro picnic. La discussione andava avanti ora per un
motivo, ora per un altro, interrotta solo per masticare o per un ostinato,
ombroso silenzio.
La ragazza si alzo' senza guardarsi attorno e si allontano' sul prato
finche' si senti' di nuovo al sicuro, lontana da quel mondo. Ma la brusca
interruzione aveva fatto cessare la sua reverie e il sentirsi tutt'una con
quell'oasi di verde e cosi comincio' a pensare. Certo per quelle persone il
suo prato non poteva avere neppure l'ombra del significato che aveva per
lei: avevano mai guardato un prato con gli occhi di una prigioniera in un
Lager?
*
Lunghe code di donne emaciate, in file di cinque per riga. File
interminabili allineate su un sentiero polveroso. All'alba, al tramonto,
sempre su strade piene di polvere. Uomini delle SS ogni poche righe, con i
loro cani da guardia, tenuti da corti guinzagli, che cercavano di farle
marciare in un ordine perfetto. Avanti e indietro dal campo di lavoro
forzato da schiavi dove erano state portate.
Se era al mattino, erano gia' in piedi da ore, dalle tre, cacciate fuori dai
loro "letti", letti a castello a due piani per sei di loro. I "pagliericci"
erano sacchi pieni di vecchi giornali. E questa era una fortuna, altrimenti
che cosa avrebbero usato nelle latrine? Svegliate dal sibilo dei fischietti
delle donne delle SS che urlavano di fare in fretta: "schnell", "raus". Di
corsa, fuori nelle notti ghiacciate. Fuori per Zaehl-Appell - la conta di
controllo. Conta riga per riga, fintanto che tutte avessero risposte, per
essere sicuri che tutte fossero la'.
Alba dopo alba, durante le fredde, grigie e buie ore dell'alba. E ogni sera,
come se fosse ancora rimasta loro un po' di forza, energia o volonta' dopo
il giorno passato al lavoro da schiavi.
L'appello della mattina era seguito dalla "colazione": liquido orrendo di
colore scuro: caffe' - ersatz - e forse un piccolo pezzo di "pane", la
razione giornaliera che consisteva, per la maggior parte, di segatura mista
a bucce di patate. Le urla di "schnell" accompagnate dai sibili delle fruste
delle SS che fendevano l'aria. Infilarsi alla svelta le giacche a righe
grigie e blu, il berretto, e cercare gli zoccoli di legno che non erano mai
della misura giusta e spesso spaiati, perche' bisognava fare in fretta per
l'appello. Spesso gli zoccoli si mischiavano ed era meglio rimanere scalze
piuttosto che avere ai piedi due sinistre o destre, oppure una misura troppo
piccola o troppo grande, per poter correre, e fare "schnell". Fuori in righe
di cinque, file di cento controllate dalle SS e dai loro cani, fame e
stanchezza infinite, mentre il mattino avanzavo e la luce si faceva piu'
chiara. Cosi' come la stradina diventava piu' visibile.  Era in arrivo una
bella giornata, irreale dopo il terribile freddo d'inverno.
Il sentiero si snodavo polveroso in mezzo a un prato fitto di erba dove
spuntava anche qualche bocca di leone, con i suoi fiori carnosi e freschi.
Tutte loro cercavano il modo di camminare il piu' vicino possibile ai bordi
del prato. Piu' vicine all'erba verde. Aspettavano che gli uomini delle SS
non guardassero verso di loro e allora si piegavano svelte e strappavano
quanta piu' erba potevano. Alcune di loro se la mettevano subito,
avidamente, in bocca, masticandola mentre camminavano; altre la nascondevano
sotto la giacca a righe sperando di poter aumentare il bottino. Se soltanto
quei bastardi le avessero lasciate a raccoglierne ancora un po'... invece
minacciavano di sparare se soltanto avessero fatto un passo fuori dalla loro
fila.
Questo veniva definito Flucht Versuch - tentativo di fuga - ed era punibile
con la morte. Ma la fame era piu' forte della paura: che cosa mai poteva
essere la morte a confronto con la loro sopravvivenza. Come si poteva temere
la morte, spesso cosi' desiderata, se la speranza di vivere era ormai
svanita. Se dovevano morire per una pallottola, probabilmente non si
sarebbero neppure accorte di morire. Se soltanto non ti avessero torturato,
lentamente.
Meglio non pensare. No. Non pensare. C'e' ancora dell'erba e fra questa
anche qualche bella bocca di leone. Il suo fiore cosi bello, cosi
appetitoso.
Quella mattina la SS che controllava la loro riga sembrava essere diventato
quasi decente: faceva finta di essere intento a guardare qualcosa all'altro
lato della strada. Presto, presto, le mani afferavano quell'erba preziosa
per nasconderla dentro la giacca.
Ancora, ancora, ma l'occhio e' anche attento a mantenere l'ordine della
fila. Piccoli passi. Piegarsi e rapidamente strappare l'erba, tanta, quanta
piu' e' possibile, poi alzarsi, allungare il passo, veloci anche se gli
zoccoli di legno hanno formato piaghe ai tuoi piedi.
Quelle foglie d'erba forse sporche, ma erano mangiabili, anzi sapevano di
fresco, di meraviglioso.
Rappresentavano la sopravvivenza, il nutrimento. Un sapore che una volta
avevano tutte le estati. Ancora un'altra manciata. Forse domani non si
sarebbe presentata un'altra occasione e questa era la loro unica
opportunita' per sopravvivere.
Se soltanto fosse stato loro concesso un intero, lungo minuto per metterne
da parte abbastanza per nutrirsi per alcune ore. Mangiarla, nascoste nella
latrina.
*
La ragazza fantasticava di un prato... Tanta erba da mangiare. Mangiare,
mangiare ancora. Mangiare tutte quelle belle bocche di leone senza paura.
Bocche di leone pulite, fresche, raccolte nel prato, non sul polveroso bordo
della strade. Che cos'altro poteva sperare?
E cosi' i mesi erano passati. Impossibile pensare all'inverno trascorso:
giorni, notti entrambi temuti.
I turni di giorno paventati per la tanta stanchezza dopo una notte
disturbata dalle donne che rientravano dal loro turno, dal rumore dei loro
zoccoli di legno.
Le luci venivano accese, per permettere loro di cercare i pidocchi e le loro
uova. Forse erano troppo stanche per questa attivita', ma non sarebbero
state in grado di dormire se non si fossero uccisi questi parassiti che si
cibavano del tuo sangue e che lasciavano punture che prudevano e che
portavano malattie come il tifo.
Turni di notte, paventati perche' era troppo buio per piegarti rapidamente a
raccogliere tutta l'erba che potevi.
Fame... fame...
Hai mai guardato un prato con gli occhi di una prigioniera del K. Z.?
*
Un giorno alcuni soldati americani aprirono quei cancelli. Le SS erano
fuggite. Erano libere, libere. Incredibile. Liberta'.
Un soldato lancio' una pagnotta di pane: non fece in tempo a toccare il
suolo perche' 499 donne si precipitarono, le mani tese, per afferrarla. Un
mucchio di corpi, braccia, mani. Erano ancora la' a cercare per terra
briciole mischiate alla polvere.
Nel filo spinato elettrificato di recinzione si era creato un grande
squarcio. La ragazza lo attraverso'. Guardo' il prato al di la' della
strada. La' c'era tutta quella bella erba verde, fresca, pulita, lontano
dalla polvere, stendersi in quel prato, immergersi, sentirsi una cosa sola
con quel mare di verde... nascondersi e mangiare, mangiare, mangiare. Al
riparo da tutto il mondo. Finalmente al sicuro.

5. MEMORIA. ANNA BRAVO RICORDA MARIA OCCHIPINTI
[Ringraziamo Anna Bravo (per contatti: anna.bravo at iol.it) per averci messo a
disposizione questo suo profilo di Maria Occhipinti apparso nell'ampio
lavoro collettaneo, a cura di Eugenia Roccella e Lucetta Scaraffia,
Italiane, 3 voll., Roma 2004 (precisamente nel volume terzo, alle pp.
206-207). Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a
Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne,
di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura
dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a
convegni nazionali e internazioneli. Ha fatto parte del comitato scientifico
che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned
(Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa'
italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico
della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre
istituzioni culturali. Opere di Anna Bravo:  (con Daniele Jalla), La vita
offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza,
Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di
memoria della deportazione dall'Italia,  Angeli, Milano 1994; (con Anna
Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza,
Roma-Bari 1995; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri,
1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e
donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja,
Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne
nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il
Mulino, Bologna 2003]

Povera, combattiva, di sinistra, la giovane ragusana Maria Occhipinti
(1921-1996) non si capacitava che a chiuderla in galera in quel gennaio 1945
fosse la nuova Italia democratica e antifascista. Lei figlia di un muratore
e di una cucitrice, costretta a lasciare la scuola a dispetto dell'amore per
i libri, lei con la sua storia di sofferenze e riscatto, dall'infanzia
difficile alla guerra, da una gravidanza di stenti alla morte della bimba
appena nata, dalla ripresa degli studi all'approdo al comunismo, alle grandi
speranze all'arrivo degli americani, alle lotte contro il carovita. Quasi un
prototipo di biografia militante da portare a esempio - ma solo fino
all'inverno '44-'45, quando il governo Bonomi emana i bandi di leva per un
contingente da affiancare alle truppe alleate: al nord partigiano si addice
il volontariato, al sud toccano le cartoline rosa. Di fronte alla renitenza
generalizzata in tutto il centro-sud e nelle isole, si passa ai
rastrellamenti casa per casa e alle retate, e ne nascono scontri
violentissimi con migliaia di arresti, decine di morti e feriti. E' la
rivolta chiamata dei "non si parte", che cambia segno alla vita di Maria.
Sulla provinciale di Ragusa il 4 gennaio 1945 avanzava un camion carico di
ragazzi catturati nel popolare quartiere "Russia"; e tra la piccola folla di
donne disperate c'era lei, incinta di cinque mesi, che quattro anni prima
aveva visto partire il marito e ora, decisa a non sopportare piu' che lo
stato si impadronisca dei giovani, si stende davanti alle ruote, dando il
via alla fuga dei rastrellati. Comincia cosi' la breve epopea della citta',
e comincia la repressione giudiziaria. Identificata come leader, Maria e'
portata al confino a Ustica, dove partorisce la sua seconda bambina e
rischia di perderla per mancanza di cure, poi al carcere di Palermo. Quando
esce per amnistia, il 7 dicembre 1946, scopre che il marito l'ha
abbandonata, peregrina per molte citta', in Svizzera incontra un mondo
diverso, che le sembra piu' adulto, piu' rispettoso ed equilibrato nei
rapporti uomo/donna e che le fa apparire gli uomini siciliani "piccini,
quasi balbettanti". Resta fuori d'Italia per molti anni, mentre sulla lotta
dei "non si parte" c'e' un generale silenzio.
All'estero lavora duramente, ma trova il tempo di scrivere Una donna di
Ragusa, meta' autobiografia meta' cronaca della rivolta. Racconta i
protagonisti, studenti, donne, contadini, reduci da tutti i fronti, molti
socialisti e comunisti. Spiega che semplicemente nessuno voleva piu' saperne
di fare la guerra, tanto meno per Vittorio Emanule e Badoglio; che nessuno
credeva piu' sulla parola a chi prometteva un esercito diverso, epurato
dalle vecchie ingiustizie e gerarchie. Mostra quanto abbiano avuto torto le
forze politiche, compreso il suo partito di riferimento, il Pci, che hanno
liquidato la rivolta come frutto di manovre separatiste o di un rigurgito
fascista.
La calda simpatia di alcuni intellettuali, in primo luogo di Enzo Forcella,
non basta a creare consenso intorno a un testo scomodo e a una figura come
Maria, antifascista che disobbedisce agli ordini dell'antifascismo,
comunista dal cuore anarchico. Una donna di Ragusa resta a lungo un libro
per pochi[1], mentre nell'autrice si vede soprattutto l'erede delle donne di
ancien regime tante volte insorte a difesa degli interessi della comunita'.
in parte e' cosi'. Ma Maria e' anche una moderna ribelle che fa un gesto
imprevisto: molto prima che nascano l'interesse per la storia "dal basso" e
il mito della spontaneita' popolare, rivendica per se' il diritto di parola
e di giudizio disconoscendo a politici e specialisti il monopolio
dell'interpretazione. Dal suo racconto esce male la nuova Italia,
nordcentrica, sprezzante verso il sud, incapace di riconoscere le proprie
aporie e incline a vedere in ogni lotta "irregolare" un anacronismo o un
complotto; ne esce esaltata l'iniziativa personale, senza capi ne'
organizzazione. Ancora oggi, che abbiamo imparato a distinguere i diversi
dopoguerra e le diverse reazioni popolari, della difficilmente catalogabile
eroina di Ragusa nei convegni sulla Resistenza spesso ci si dimentica di
parlare.

6. RIFLESSIONE. CHIARA VERGANO INTERVISTA SERGE LATOUCHE
[Da un comunicato dell'ufficio stampa della rete Lilliput (per contatti:
e-mail: ufficiostampa at retelilliput.org, sito: www.retelilliput.org)
riprendiamo la seguente intervista apparsa sul quotidiano "L'Unita'" del
primo aprile 2005.
Chiara Vergano, giornalista, corrispondente da Bologna dell'agenzia
"Redattore sociale". Opere di Chiara Vergano: (a cura di), Dalla parte
sbagliata, Fara Editore, Rimini 1999; (con Elisabetta Norzi), Corpi a
tratta, La meridiana, Molfetta 2003.
Serge Latouche, docente universitario a Parigi, sociologo dell'economia ed
epistemologo delle scienze umane, esperto di rapporti economici e culturali
Nord/Sud, e' una delle figure piu' significative dell'odierno impegno per i
diritti dell'umanita'. Opere di Serge Latouche: L'occidentalizzazione del
mondo, Il pianeta dei naufraghi, La megamacchina, L'altra Africa, La sfida
di Minerva, Giustizia senza limiti, tutti presso Bollati Boringhieri,
Torino; Il mondo ridotto a mercato, Edizioni Lavoro, Roma; I profeti
sconfessati, La meridana, Molfetta. Cfr. anche il libro intervista curato da
Antonio Torrtenzano, Immaginare il nuovo, L'Harmattan Italia, Torino 2000]

Per l'Occidente, "bolide che corre all'impazzata senza autista e senza
freni", c'e' forse ancora una ricetta, una via d'uscita. Serge Latouche, a
Bologna per una conferenza, parla di "pedagogia della catastrofe". Una
catastrofe - prossima, futura - che sara' ancora piu' grande delle
precedenti: solo allora, forse, la gente sapra' risvegliarsi, reagire e
costruire una societa' diversa, giusta, rispettosa dell'ambiente. Perfino
pacifica. Negli ultimi venticinque anni Serge Latouche ha contribuito alla
chiarificazione e alla maturazione dei concetti intorno a cui si sono
costruiti i movimenti new global. Nato a Vannes, in Bretagna, nel 1940, e'
economista di formazione e antropologo per esperienza. Negli anni settanta
ha trascorso molto tempo in Africa occidentale, e qui ha maturato una svolta
del suo pensiero, che dalle posizioni marxiste tradizionali lo ha portato a
una critica radicale delle ideologie del "progresso" e dello "sviluppo",
anche nella loro versione di sinistra. Nell'81 ha fondato con Alain Caille'
il Mauss (Movimento antiutilitarista nelle scienze sociali), e l'omonima
rivista di cui Bollati Boringhieri pubblica l'edizione italiana. La stessa
casa editrice ha pubblicato in Italia i suoi libri piu' importanti.
*
- Chiara Vergano: Professore, questa crisi profonda in cui vive l'Occidente
si riflette nella struttura stessa di tante citta', delle metropoli
"esplose" e sovraffollate. Lei e' appena tornato dall'Africa; cos'ha visto?
- Serge Latouche: Ero stato a Dakar l'ultima volta cinque anni fa, la mia
impressione e' che anche qui il caos nel frattempo sia aumentato. Il
traffico e' terrificante, ci vogliono ore per spostarsi dalla periferia al
centro. Bus e taxi sono molto vecchi, bruciano carburante che causa, a
livello urbano, un inquinamento enorme. Non c'e' piu' Stato; ovunque c'e'
solo la polizia, che non fa il suo lavoro. In passato avevano previsto di
costruire alcune autostrade, ma il denaro stanziato e' scomparso. Una cosa,
pero', e' rimasta identica cosi' com'era cinque anni fa: la gioia di vivere
della gente, i tantissimi giovani che incontri nelle strade.
- Chiara Vergano: In un mondo ormai al collasso, si parla sempre piu' di
sviluppo sostenibile. E' un riferimento obbligato per i politici e i
cittadini?
- Serge Latouche: E' un ossimoro, nient'altro. Lo sviluppo non puo' essere
sostenibile: tutti questi danni - ambientali, climatici - vengono dallo
sviluppo. Il problema e' che non siamo capaci di rinunciare alle nostre
comodita', vogliamo avere, come si dice in Francia, "il burro e il denaro
del burro". Il nostro modo di vivere non conosce futuro: vogliamo produrre
di piu', depredare di piu', crescere di piu'. Ma una crescita infinita non
e' possibile in un pianeta finito.
- Chiara Vergano: E' lecito, a questo punto, sperare che ci sia una qualche
possibilita' di salvezza all'orizzonte?
- Serge Latouche: Gli uomini non diventeranno certo tutti ragionevoli
dall'oggi al domani. Il fatto e' che, a un certo punto, saremo piu' o meno
costretti a rivedere il nostro modo di vivere. Per quanto tempo avremo
ancora petrolio a buon mercato? Non lo sappiamo. Ma quando non ci sara' piu'
non vedremo aerei volare in cielo, ne' automobili sfrecciare nelle nostre
metropoli. Allora, tutto il sistema andra' ripensato, necessariamente. I
tempi non sono troppo lontani: fra pochi anni dovremo, per amore o per
forza, rivedere il nostro modo di vivere, di funzionare. Tanto piu' che gia'
oggi noi - intendo l'Occidente, bolide che corre all'impazzata senza autista
e senza freni - viviamo male. Non siamo felici: potremmo stare molto meglio,
distruggendo meno l'ambiente. In Africa, invece, nonostante tutti i
problemi, la gente ha ancora un'incredibile capacita' di fabbricare gioia di
vivere.
- Chiara Vergano: Nei suoi scritti, piu' volte lei auspica per la societa'
una "decrescita". Di cosa si tratta, precisamente?
- Serge Latouche: E' un termine per indicare la necessita' e l'urgenza di
un'inversione di tendenza rispetto al modello dominante. Dobbiamo
ricostruire un'altra civilta': abbiamo conosciuto la civilta' dello
sviluppo, ora e' tempo di uscire dall'economia, ritrovare la dimensione
sociale, politica. La rifondazione del sociale e del politico passa per la
decrescita. Dobbiamo imparare a ricostruire i legami.
- Chiara Vergano: Quanto puo' contribuire a questo processo la societa'
civile?
- Serge Latouche: Societa' civile e' un'espressione usata e abusata. Penso
alla Francia, dove piu' che di societa' possiamo parlare di un gruppo di
individui che si muovono qua e la'. Certo, esistono anche dei movimenti,
come quello contro la globalizzazione. E sono proprio i movimenti che
dovranno farsi carico della ricostruzione. Al tempo stesso, pero', e' questa
stessa societa' civile, se vogliamo chiamarla cosi', che deve
"decolonizzare" il suo immaginario, cioe' liberarsi dai falsi miti
dell'economia, dello sviluppo, del progresso. Bisogna fare resistenza e
dissidenza, come igiene di vita. In teoria tutti sono d'accordo: ci vuole
piu' giustizia, bisogna vivere meglio, ci deve essere meno inquinamento. Ma
in Francia, quando il prezzo della benzina era un po' piu' alto, tutti sono
scesi in piazza a protestare. A questo punto, non mi resta che pensare alla
"pedagogia della catastrofe".
- Chiara Vergano: Ovvero?
- Serge Latouche: Quando le catastrofi non sono troppo gravi per distruggere
tutto, ma lo sono abbastanza per far prendere coscienza alla gente del
rischio che si corre, ecco, a quel punto hanno un ruolo pedagogico. La gente
si risveglia. Penso a Chernobyl, che ha convinto gli italiani a dire "no" al
nucleare. Nei prossimi anni ci aspettano sempre piu' catastrofi;
praticamente, siamo impegnati in una gara tra cambiamento e catastrofe. Ed
e' davvero importante prepararsi a cambiare strada.
- Chiara Vergano: In questo scenario, la pace e' destinata a rimanere
un'utopia?
- Serge Latouche: Se fra alcuni anni ci sara', come penso, una profonda
crisi di questo sistema, allora ci saranno anche le condizioni per
ricostruire un mondo davvero pacifico. Adesso sembra impossibile, con quanto
sta accadendo. Gli Stati Uniti, dopo l'11 settembre, potevano scegliere tra
due strade: capire che non potevano piu' funzionare come potenza
imperialistica, oppure impegnarsi in questa guerra senza fine. Hanno scelto
la seconda opzione, ora ne vediamo le conseguenze. Il neo-conservatorismo di
Bush incoraggia l'integralismo, non solo islamico. Fa crescere il
risentimento, anche perche' gli Stati Uniti sono difensori di un modello che
genera sempre piu' disuguaglianza, a livello planetario. La miseria cresce,
e favorisce la frustrazione, la disperazione. Fa il gioco dei movimenti
fanatici, integralisti, nutre il terrorismo. Vincere gli Stati Uniti sul
piano monetario non e' possibile; ma loro stessi dovranno fare i conti con
il sistema che hanno creato, da cui verranno, prima o poi, inevitabilmente
paralizzati.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 890 del 5 aprile 2005

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