La nonviolenza e' in cammino. 889



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 889 del 4 aprile 2005

Sommario di questo numero:
1. Sergio Paronetto: Un grande dono
2. Giuliana Sgrena: I miei trenta giorni di prigionia (parte seconda e
conclusiva)
3. Anna Bravo ricorda Nuto Revelli
4. Angela Giuffrida: Date alla madre quello che e' della madre
5. Roberto Ciccarelli: Un volume di "Aut aut" su Michel Foucault e il potere
psichiatrico
6. Il "Cos in rete" di aprile
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. MEMORIA E APERTURA. SERGIO PARONETTO: UN GRANDE DONO
[Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto at yahoo.com)
per questo intervento. Sergio Paronetto insegna presso l'Istituto Tecnico
"Luigi Einaudi" di Verona dove coordina alcune attivita' di educazione alla
pace e ai diritti umani. Tra il 1971 e il 1973 e' in Ecuador a svolgere il
servizio civile alternativo del militare con un gruppo di volontari di
Cooperazione internazionale (Coopi). L'obiezione di coscienza al servizio
militare gli viene suggerita dalla testimonianza di Primo Mazzolari, di
Lorenzo Milani e di Martin Luther King. In Ecuador opera prima nella selva
amazzonica presso gli indigeni shuar e poi sulla Cordigliera assieme al
vescovo degli idios (quechua) Leonidas Proano con cui collabora in programmi
di alfabetizzazione secondo il metodo del pedagogista Paulo Freire. Negli
anni '80 e' consigliere comunale a Verona, agisce nel Comitato veronese per
la pace e il disarmo e in gruppi promotori delle assemblee in Arena
suscitate dall'Appello dei Beati i costruttori di pace. In esse incontra o
reincontra Alessandro Zanotelli, Tonino Bello, Ernesto Balducci, David Maria
Turoldo, Desmond Tutu, Rigoberta Menchu', Perez Esquivel, Beyers Naude' e
tanti testimoni di pace. Negli anni '90 aderisce a Pax Christi (che aveva
gia' conosciuto negli anni Sessanta) del cui Consiglio nazionale fa parte.
E' membro del Gruppo per il pluralismo e il dialogo e, ultimamente, del
Sinodo diocesano di Verona. Opere di Sergio Paronetto, La nonviolenza dei
volti. Forza di liberazione, Editrice Monti, Saronno (Va) 2004]

"E' ben noto - lo sanno in particolare coloro che vengono dalle terre
insanguinate dai conflitti - che la violenza genera sempre violenza. La
guerra spalanca le porte all'abisso del male. Con la guerra tutto diventa
possibile, anche quello che non ha logica alcuna. Per questo la guerra e' da
considerarsi sempre una sconfitta: una sconfitta della ragione e
dell'umanita'. Venga presto, allora, un sussulto spirituale e culturale che
porti gli uomini a bandire la guerra. Si', mai piu' la guerra! Ne ero
convinto in quell'ottobre 1986 ad Assisi quando chiesi agli appartenenti a
ogni religione di riunirsi gli uni accanto agli altri per invocare da Dio la
pace. Ne sono ancora piu' convinto oggi: mentre si riducono le forze del
corpo, sento ancora piu' viva la forza della preghiera"
(Dal messaggio rivolto da Giovanni Paolo II ai partecipanti all'incontro su
"Uomini e religioni" tenutosi a Milano dal 6 all'8 settembre 2004)

Care amiche e cari amici,
seguendo il percorso culturale-ecclesiale di Giovanni Paolo II degli ultimi
anni, mi sono convinto che il papa ha offerto un (quasi) solitario e
inascoltato magistero di pace. Che ha proposto il valore profetico della
nonviolenza come unico realismo politico.
In molte sue espressioni lungimiranti, avverto tre istanze:
- l'esigenza di riassumere il significato della propria vita affidando ai
giovani un testamento di alta spiritualita': "mai piu' la guerra";
- una visione radicale, alternativa e globale del panorama internazionale
basata sull'analisi lucida dei "segni dei tempi" e del fenomeno "guerra"
oggi;
- il nucleo profondo di una nuova teologia (laica-cristiana) della pace che
porta a maturazione l'eredita' culturale ed ecclesiale della "Pacem in
terris" di Giovanni XXIII e della "Populorum progressio" di Paolo VI.
Un grande dono per l'umanita' e per i credenti.
Secondo me, pochi se ne sono accorti. Lo dimostrano i grandi elogi dei
"potenti" che sento, Dio mi perdoni, ipocriti e interessati.
Shalom.

2. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: I MIEI TRENTA GIORNI DI PRIGIONIA (PARTE
SECONDA E CONCLUSIVA)
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 aprile 2005. Giuliana Sgrena,
intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e'
tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e
islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di,
La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i
califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma
2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004); e' stata inviata del
"Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente
stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4
febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo. Dal sito del quotidiano "Il
manifesto" riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a
Masera, in provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha
studiato a Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista
diretta da Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre
lavorato nella redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene
il Corno d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in
Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i
bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del
lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di
raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con
professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese.
Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le
fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a
parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista". La
parte precedente di questo articolo abbiamo pubblicato nel n. 887 di questo
foglio]

"Facciamo un video per chiedere a Berlusconi il ritiro delle truppe italiane
dall'Iraq e poi ti lasciamo andare a casa". I miei sequestratori me
l'avevano detto da subito, appena rapita all'uscita dall'universita' di
An-Nahrein.
Invece ho dovuto aspettare piu' di una settimana prima che si presentassero
i "responsabili" del video promesso. Avevo paura, ma ero quasi contenta che
succedesse qualcosa e soprattutto di incontrare qualcuno del gruppo dei
sequestratori a un livello piu' alto: finalmente avrei potuto cercare di far
valere le mie ragioni. E in effetti una discussione c'e' stata.
Si e' presentato uno col volto coperto da una kefiah a scacchi rossi e
bianchi. Aveva in mano un biglietto e ha cominciato a leggere: "Noi abbiamo
il diritto di liberare il nostro paese. Come il Vietnam, l'Algeria...", a
questo punto l'ho interrotto. "Certo che ne avete il diritto, ma lo venite a
dire a me che mi sono sempre battuta contro la guerra e contro
l'occupazione?". Allora, quello a volto coperto ha risposto: "sappiamo
benissimo chi sei pero' ci devi aiutare, devi fare un appello per il ritiro
delle truppe a Berlusconi".
La mia rabbia aumentava: "Se il ricatto e' la mia vita in cambio del ritiro
delle truppe potete uccidermi subito, perche' non otterrete nulla.
Berlusconi e' un alleato di Bush, non vuole il ritiro e poi non accettera'
mai questi condizionamenti. Al contrario, l'opinione pubblica in Italia e'
molto sensibile alla situazione irachena e la contrarieta' alla presenza
italiana in Iraq e' molto diffusa, quindi dovete contare sul popolo italiano
piu' che su Berlusconi. Altrimenti, uccidetemi subito: e' piu' facile
uccidere una povera donna indifesa che andare a combattere i soldati Usa per
strada", ho azzardato.
Mi hanno detto che non mi avrebbero uccisa, ma senza convincermi: "Aiutaci
solo a fare questo appello". Abbiamo discusso molto prima di girare questo
video sulla necessita' di rivolgersi al governo, al popolo italiano e alla
famiglia. Insistevano molto sulla famiglia. Quando mi avevano presa mi
avevano chiesto quanti anni avevo - 56 - se ero sposata - avevo risposto di
si' anche se non sono sposata legalmente (ma il distinguo poteva risultare
difficile da spiegare) e quanti anni aveva mio marito - 53. "Come, hai un
marito piu' giovane? E quanti figli hai?", "Nessuno". "Nessuno!". Troppe
incongruenze (per loro), forse volevano mettermi alla prova chiedendomi di
rivolgermi a mio marito.
Avevano una piccola videocamera che non sapevano usare bene. Il tutto mi
sembrava molto improvvisato. Eravamo nella stanza dove mi hanno tenuto per
tutti i trenta giorni. Mi hanno fatto indossare i miei vestiti, quelli che
avevo al momento del sequestro. Avevo una maglia nera, non so perche' nel
video trasmesso dalle televisioni risultava verde. Mi hanno raccontato che
in Italia sul colore dei miei abiti si e' molto discusso, ci si voleva
leggere chissa' quale segnale. Ma era la mia vecchia felpa nera. Forse il
cambiamento di colore e' stato causato dal neon usato quando e' saltata la
luce.
*
Il primo video
Nessuno di loro sapeva l'italiano quindi mi hanno fatto scegliere tra
francese o inglese. Ho scelto il francese. Nel momento in cui dovevo
rivolgermi al mio compagno ho invocato Pier: mi hanno interrotto subito.
"Devi dire mio marito!". "Ma si chiama Pier", ho cercato di ribattere. "Non
importa". Ma dopo il per me insolito "mio marito", ho aggiunto Pier. A quel
punto, quando ho iniziato a rivolgermi a lui, senza rendermene conto sono
passata all'italiano. E in quello stesso momento mi ha assalito una grande
emozione. L'emozione di parlare direttamente a lui. Ovviamente io contavo
molto su Pier, noi due abbiamo passato una vita insieme, una storia d'amore
ma anche di politica, sapevo che avrebbe fatto di tutto per salvarmi. Ma
temevo di responsabilizzarlo troppo. "Salvami tu", gli dicevo. E se poi
finiva male? Capivo che gli stavo buttando addosso un peso enorme. Eppure
non potevo fare altro in quel momento.
Poi quando ho chiesto a uno dei miei guardiani se avesse visto il video
trasmesso da al Jazeera mi ha risposto di no: "Il satellite non funziona e
poi il video deve essere riuscito cosi' male che penso non sia stato
utilizzato", mi ha detto. "Meno male", mi sono consolata.
Pensavo proprio di aver sovraccaricato Pier di responsabilita'. Non sapevo
quale livello di drammaticita' potesse avere il video, io non sapevo nemmeno
che faccia avessi. Sono stata venti giorni senza potermi guardare allo
specchio. Durante la registrazione, i sequestratori volevamo che io
caricassi ancora di piu' i toni, che mi mostrassi terrorizzata, piu' di
quanto lo fossi.
A parte le forzature che mi imponevano, nel testo e nell'atteggiamento, le
cose che ho detto nel video sono le cose che ho sempre sostenuto. Penso che
chi lo ha visto e mi conosce abbia capito che ero molto presente, ero in
qualche modo razionale. Non ero completamente nelle loro mani, manipolata
fino in fondo. In genere non sono mai molto razionale e calcolatrice, invece
in quel frangente mi sono scoperta meno emotiva del solito. L'emozione stava
tutta in quelle lacrime.
*
La maglietta di Totti
Qualche giorno dopo, uno dei miei due guardiani, quello che era solitamente
piu' "duro", e' venuto a dirmi che era rimasto stupefatto di aver visto il
mio nome sulla maglietta di Totti. Mentre l'altro passava pomeriggi interi
ad ascoltare i versetti del Corano, questo preferiva le partite di calcio
alla televisione e fin dai primi giorni del sequestro mi parlava dei
giocatori italiani, mi faceva domande sulle squadre di calcio.
Lui era un tifoso della Roma, Francesco Totti era il suo idolo e vedere
Totti con il mio nome sulla maglia per lui era il massimo. Allora io
scherzando gli ho detto: "Sai, io sono della Juve". E lui ha cominciato a
sbeffeggiare Del Piero. Eppure questa storia e' servita a far capire ai miei
sequestratori quanto fosse ampia la solidarieta' nei miei confronti in
Italia.
Quando stavo la' io non avevo capito fino a che punto fosse stata alta la
mobilitazione per la mia liberazione. Della manifestazione di Roma
organizzata dal "Manifesto" avevo avuto solo una mezza idea. Ancora oggi,
ogni giorno scopro chi e come si e' dato da fare per salvarmi la vita. E
alla fine, prima di liberarmi, anche i miei rapitori mi hanno detto:
"Abbiamo capito che tu sei molto apprezzata nel tuo paese. Scusaci per
quello che ti abbiamo fatto".
*
Una doccia
I rapporti con i miei guardiani subivano alti e bassi, a volte erano piu'
disponibili, in altre occasioni erano tesi e arroganti. A volte si
impuntavano sulle cose piu' stupide, come quante volte andare in bagno. Se
mi rivolgevo a uno di loro mentre ero nel corridoio mi sgridavano: "Una
donna non deve parlare nel corridoio", dicevano. A volte invece, quando
vedevano che stavo male, si davano da fare per trovare la medicina giusta.
Se non mangiavo provavano a portarmi qualcos'altro. Devo confessare che a
volte giocavo sul fatto che ero un povera donna, una donna debole. Era
l'unico tasto sul quale potevo battere con loro. Affermazioni contro le
quali ho lottato tutta la vita... ma non potevo fare altro.
C'e' stato un momento in cui ho avuto bisogno dell'assistenza di una donna.
L'ho detto loro ed effettivamente hanno fatto venire una donna che mi ha
portato tutto quello di cui avevo bisogno. Negli stessi giorni ho spiegato
che avevo molti dolori articolari e mi hanno fatto avere delle medicine. Per
quattro, cinque giorni sono rimasta sempre a letto. Mi alzavo solo per
andare in bagno, faceva freddo e quindi mi mettevo sempre la sciarpa in
testa. Loro mi portavano da mangiare e andavano via. Alla fine della
settimana mi sentivo lercia, dovevo assolutamente fare una doccia. Non era
una cosa semplice. Con l'acqua fredda non l'avrei mai fatta, quindi
bisognava aspettare che ci fosse l'energia elettrica almeno per due ore in
modo da poter riscaldare l'acqua e che questo avvenisse a un'ora decente,
non in piena notte. Avere i capelli bagnati, la cervicale, insomma i malanni
che capitano a una certa eta', non era il caso. Loro non capivano molto ma a
volte cercavano di aiutarmi. Alla fine sono riuscita a fare la doccia. Poi
sarebbe diventato un mio obiettivo realizzabile ogni quattro o cinque
giorni.
*
Aria di trattativa
Quando mi hanno fatto consegnare l'orologio e mi hanno detto che doveva
andare a Roma perche' mio marito doveva riconoscerlo ho capito che la
trattativa stava cominciando. Loro mi dicevano: "Tornerai a Roma". E io
dicevo si', ma quando? Rispondevano sempre: "Domani, inshallah!".
Poi una mattina mi hanno regalato una catena d'oro: "Tieni, il nostro capo
ti regala questa". Io ho pensato che era un buon segnale, mica mi
regaleranno una collana se vogliono uccidermi, mi consolavo. Il pomeriggio
dello stesso giorno mi hanno detto: per noi la tua vicenda e' conclusa,
realizziamo il video della liberazione e te ne vai a Roma. Naturalmente mi
hanno detto cosa dovevo dire: dovevo ringraziare per essere stata trattata
bene e l'esibizione della collana sarebbe stato il segno. "Sorridi", mi
dicevano. Ma io ero nervosa, accanto a me vi erano due mujahidin armati, uno
di loro prima del mio "ringraziamento" aveva letto un proclama, io non avevo
capito nulla, nemmeno le parole arabe che conosco, avevo paura che quella
fosse una rivendicazione, oppure che fossero le condizioni per la mia
liberazione. Allora ho guardato negli occhi il mujahidin che aveva letto il
proclama: "Ma e' vero che mi libererete?". E lui mi ha risposto, sempre
fissandomi negli occhi: "Muslims no lies", i musulmani non mentono.
Inshallah! Ma invece i giorni passavano, e non succedeva nulla, fino a
venerdi' 4 marzo.
*
Venerdi' 4 marzo
Come al solito avevo chiesto se era il giorno buono per la mia partenza. E
loro mi avevano detto che c'erano ancora dei problemi da risolvere.
Improvvisamente, dopo alcune ore, sono arrivati i miei due carcerieri
vestiti in maniera insolita, con i pantaloni e la camicia all'occidentale:
"Complimenti, parti per Roma", mi hanno detto stringendomi la mano. Mi hanno
restituito cio' che avevo nella borsa, documenti e soldi, tranne il telefono
satellitare, il cellulare, la macchina fotografica digitale e un blocchetto
di appunti.
Il momento era estremamente delicato, me ne rendevo conto: "Se hai paura,
prima di uscire devi tranquillizzarti - mi hanno detto -. Se usciamo e ci
intercetta una pattuglia americana o irachena e tu fai qualche segnale noi
siamo pronti a rispondere al fuoco e saltiamo tutti in aria. Non si salva
nessuno". Avevo capito e avevo una paura folle.
Avrei voluto indossare un vestito come quelli delle donne wahabite, come
quelli che ricordavo indosso alle due Simone nel video della loro
liberazione, mi sarei sentita piu' tranquilla. Invece non hanno voluto, mi
hanno fatto mettere i miei occhiali da sole, li hanno imbottiti di cotone e
poi mi hanno fatto calare sugli occhi la mia sciarpa nera e siamo usciti.
*
L'ultima ora
Da quel momento io non ho visto piu' niente, mi hanno messa in macchina e
siamo partiti.
Non so quanto tempo ci abbiamo messo per arrivare nel posto dove ci siamo
fermati, ma non molto. Forse una ventina di minuti, anche se avevo la
percezione del tempo molto dilatata per la paura. Oltre ai due sequestratori
c'era, mi pare di aver capito, anche un autista. Quel giorno a Baghdad
pioveva, proprio come il giorno del sequestro. La macchina a un certo punto
si e' fermata su una pozzanghera, ho sentito lo splash e ho pensato: proprio
adesso dovevamo impantanarci... Invece eravamo arrivati.
Da quel momento e' iniziato un conto alla rovescia interminabile. Mi hanno
detto: "Adesso ti verranno a prendere" e mi hanno lasciata sola. Sentivo
intorno a me altre macchine, voci in lontananza, qualche sirena della
polizia, e soprattutto un elicottero americano che volteggiava sopra di me,
si allontanava e poi tornava.
Ero veramente terrorizzata perche' mi rendevo conto che bastava un nonnulla
per far saltare tutto. A un tratto uno dei sequestratori e' tornato e mi ha
detto: "Ancora dieci minuti". "Dieci minuti - ho pensato - come posso
resistere". Non sapevo che fare e ho deciso di contare fino a 600, ma
lentissimamente in modo che i dieci minuti finissero prima della conta e
forse nel frattempo qualcuno sarebbe arrivato. Invece no. "Continuo fino a
700", mi sono detta.
E' stato allora che mi sono resa conto che una macchina mi stava illuminando
con i fari. Istintivamente mi sono rincantucciata. Poi avrei saputo che era
la macchina dei miei liberatori. Stavo li' in questo angolo buio senza
muovermi, vestita tutta di nero. E pensavo: se adesso si apre la porta cosa
faccio?
Poi la porta si e' aperta davvero e ho sentito quella voce: "Giuliana,
Giuliana sono Nicola, non avere paura, sono amico di Gabriele e di Pier,
sono venuto a prenderti, sei libera, libera".
Pensavo fosse finita, invece era finito solo il sequestro.
(Fine - la prima parte abbiamo pubblicato nel n. 887)

3. MEMORIA. ANNA BRAVO RICORDA NUTO REVELLI
[Ringraziamo Anna Bravo (per contatti: anna.bravo at iol.it) per averci messo a
disposizione questo suo ricordo di Nuto Revelli apparso sul bel periodico
"Diario" nel 2004, subito dopo la scomparsa dell'eroico comandante
partigiano e straordinario testimone del "mondo dei vinti".
Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha
insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e
genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non
omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni
nazionali e internazioneli. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha
diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione
nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle
storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza
in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni
culturali. Opere di Anna Bravo:  (con Daniele Jalla), La vita offesa,
Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza,
Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di
memoria della deportazione dall'Italia,  Angeli, Milano 1994; (con Anna
Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza,
Roma-Bari 1995; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri,
1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e
donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja,
Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne
nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il
Mulino, Bologna 2003.
Nuto Revelli e' nato a Cuneo nel 1919 ed e' scomparso nel 2004; ufficiale
degli alpini nella tragedia della campagna di Russia, eroe della Resistenza,
testimone della cultura contadina e delle sofferenze delle classi popolari
in guerra e in pace. Le sue opere non sono letteratura, ma grande
testimonianza storica, lucido impegno civile, e limpida guida morale. Opere
di Nuto Revelli: La guerra dei poveri, La strada del davai, Mai tardi,
L'ultimo fronte, Il mondo dei vinti, L'anello forte, Il disperso di Marburg,
Il prete giusto, Le due guerre, tutti pubblicati presso Einaudi. Opere su
Nuto Revelli: AA. VV., Memorie di vita e di Resistenza. Ricordi di Nuto
Revelli 1919-2004, Nuova Iniziativa Editoriale - L'Unita', Roma 2004]

Nuto Revelli, nato a Cuneo nel 1919, tenente degli alpini nella campagna di
Russia, comandante partigiano di Giustizia e Liberta', studioso del mondo
popolare, della guerra e della resistenza, marito di Anna Delfino, padre di
Marco, amato da una molltitudine di lettori di tutti i tipi. I suoi libri:
Mai tardi. Dario di un alpino in Russia, La guerra dei poveri, La strada del
davai, L'ultimo fronte. Lettere di soldati caduti o dispersi nella seconda
guerra mondiale (materiali che aveva salvato fortunosamente dal macero), Il
mondo dei vinti, L'anello forte,  Il disperso di Marburg, Il prete giusto,
Le due guerre.
Lungo gli anni settanta e ottanta, Nuto Revelli andava per paesi, borgate,
cascine, baite del cuneese, e con il suo pesante registratore professionale
intervistava centinaia di uomini e donne. Lavorava con ponderazione,
reiterando molti colloqui, rivedendo piu' volte le trascrizioni, ma credo
anche con l'ansia del tempo che correva e la pena per i testimoni che
scomparivano. Dopo aver retto all'emigrazione di massa, al primo decollo
industriale, alla crisi della grande guerra, il mondo contadino era davvero
alla fine, e Nuto voleva preservarne la memoria. Non per riportarlo in vita
cosi' com'era stato, perche' ne conosceva le asprezze, ma per cercargli un
posto nella storia, come aveva fatto con gli alpini di Russia e con i suoi
stessi partigiani, ragazzi di banda presto tornati nell'anonimato. A Nuto
era cara la gente dimenticata, appartata, magari cupa, l'opposto dello
sfavillio anni ottanta; e l'aggettivo "vincente" doveva sembrargli
un'oscenita'.
Veri boom editoriali e pietre miliari delle ricerche sulla memoria, Il mondo
dei vinti e L'Anello forte portano in primo piano le voci della pianura,
della collina, della montagna, delle Langhe: quasi un secolo di storia se si
guarda all'eta' dei testimoni, piu' di un secolo se si tiene conto che i
discorsi incorporano tradizioni familiari e di comunita' che risalgono ai
tempi di madri, padri, nonni.
In quegli anni all'universita' ci appassionavamo intorno allo statuto
scientifico delle fonti orali, e Nuto ci guardava con simpatia un po'
distratta. Preferiva vedersi come un semplice raccoglitore-archivista,
mentre era molto di piu', un grande catalizzatore, regista e garante della
memoria. E uno scrittore magistrale, che considerava il linguaggio un dono
da maneggiare con cura, mai una parola sprecata ne' una mancata.
Era anche uno straordinario narratore in prima persona. D'estate a Verduno,
sotto una quercia gigantesca al centro di un prato, scenario da favola,
raccontava storie di comizi del primo dopoguerra, di piccole amministrazioni
comunali, di passioni politiche - e di Giunchiglia Fior del male e delle
famose sorelle Nete, che cantavano Un bacio a mezzanotte in un programma di
Arbore. Profilo perfetto, un velo di abbronzatura, vestiti a fiori, a volte
un lavoro a maglia fra le mani, l'amatissima Anna c'era sempre.
Andando via, ci si trovava a pensare che una sinistra buona esisteva, e che
il matrimonio poteva essere una cosa bellissima.

4. RIFLESSIONE. ANGELA GIUFFRIDA: DATE ALLA MADRE QUELLO CHE E' DELLA MADRE
[Ringraziamo Angela Giuffrida (per contatti: frida43 at inwind.it) per questo
testo, estratto dal suo saggio di seguito citato. Angela Giuffrida e'
docente di filosofia ed acuta saggista; tra le sue pubblicazioni: Il corpo
pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002]

Ormai e' certo che il patriarcato per affermarsi nel mondo ha tentato di
annientare l'ordine materno attraverso l'imposizione di un sistema di
simboli maschili che hanno sostituito in parte la simbologia femminile,
portatrice di civilta'. Quali che siano le vie che gli uomini hanno seguito
per imporsi - la vittoria cruenta dei popoli nomadi sulle popolazioni
sedentarie dedite all'agricoltura, di cui ci da' notizia l'archeologa Marija
Gimbutas, o il passaggio graduale dalla discendenza matrilineare a quella
patrilineare come e' avvenuto nelle isole Trobriand, di cui ci informa
l'etnologo Bronislaw Malinowski - l'universalita' del loro dominio denota la
mancata accettazione della naturale centralita' della donna e la volonta' di
sostituirsi a lei.
L'irruzione del patriarcato ha prodotto la supremazia dei "valori" maschili
incentrati sulla forza, sul potere di dominare e distruggere,
sull'individualismo e la conflittualita' esasperata che legittimano
l'oppressione sociale e l'istituzionalizzazione della bellicosita'; i valori
femminili incentrati sul potere di generare e sostenere la vita, sulla
solidarieta' e la cooperazione sono stati sviliti e messi in ombra e restano
tuttora invisibili.
Poiche' le societa' dei padri traggono alimento dal rovesciamento originario
dei valori materni, causa di inenarrabili sofferenze e lutti, per liberare
la specie dall'abbraccio mortale della distruttivita', bisogna ricostituire
l'universo di simboli femminili, abbandonando il modello maschile che
interpreta i rapporti come perenne conflitto tra poli opposti, dominatori e
dominati, superiori e inferiori.
*
A prima vista l'impresa appare piuttosto ardua perche' la simbologia
maschile, a causa della sua universalita', sembra possedere profonde e salde
radici, ma uno sguardo piu' attento ne coglie con facilita' l'intima
inconsistenza; infatti solo il controllo delle menti prolungato nel tempo ne
ha permesso la diffusione e la penetrazione ad ogni livello, non certo la
solidita' dei suoi fondamenti. L'ordine simbolico patrifocale riposa sul
desiderio di rimpiazzare le madri, usurpando il loro ruolo di guida delle
comunita' umane; non c'e' nulla al di la' del desiderio puro e semplice che
lo sostenga, nulla che giustifichi il potere dei padri, ora che i suoi
cardini - preminenza del fallo e superiore razionalita' della mente
maschile - si sono letteralmente dissolti sotto i colpi incrociati delle
ricerche scientifiche piu' avanzate e della cognizione dell'irrazionalita'
dei sistemi androcentrici, resa sempre piu' certa ed evidente dai mezzi di
comunicazione di massa.
Bisogna ammettere che ci vuole talento per edificare sul puro nulla, e gli
uomini sono stati capaci di costruire sul niente non solo case, ma
grattacieli, non solo piccoli stati, ma grandi imperi. Se impiegassero in
imprese socialmente utili tutte le energie mentali che sfruttano per tessere
frodi, insidie e tradimenti e per seminare lutti, la specie umana avrebbe
fatto un bel balzo in avanti; il fatto e' che, invece, si ingegnano a
rendere inoperanti, se non addirittura dannose, anche le loro realizzazioni
piu' positive. Basti pensare che l'uso corretto della tecnologia potrebbe
migliorare la qualita' della vita di tutti gli abitanti del pianeta,
eliminando la fame, prevenendo e curando malattie, premunendoci  dai
disastri naturali.
Scrive Germaine Greer: "Non dobbiamo essere noi a servire la tecnologia, la
tecnologia esiste per servire noi. Basta formulare questo concetto che
subito scorgiamo l'abisso che si spalanca tra gli scopi della societa'
tecnocratica e i bisogni umani. Oggi la tecnologia potrebbe evitare che
milioni di persone muoiano per malattie da malnutrizione; saremmo in grado
di distribuire il cibo in maniera razionale dai luoghi dove abbonda a quelli
dove scarseggia: non lo facciamo. Potremmo fornire acqua potabile a ogni
essere umano sulla terra: non lo facciamo. Potremmo utilizzare i nostri
eserciti e i loro equipaggiamenti del valore di miliardi di sterline per
proteggere la gente dalle conseguenze di disastri naturali: non lo
facciamo".
Come si vede l'estremo squilibrio con cui le risorse e le conoscenze vengono
gestite alimenta contraddizioni e scompensi, impedendo, attraverso la
consueta polarizzazione e gerarchizzazione, una ricaduta ugualitaria delle
conquiste fatte; senza contare la dissennatezza con cui spesso tali
conquiste sono ottenute: mancato rispetto dell'ambiente, incapacita' di
collegare organicamente un dato agli altri dati del contesto e di prevedere
le conseguenze di una determinata "scoperta". Ci vuole un'altra mente per
gestire la complessita' del reale, una mente che sia prima di tutto in grado
di "tollerarla".
*
Ora sappiamo che tale mente esiste ed e' quella delle donne, ma perche' la
razionalita' femminile possa assolvere il compito che le e' proprio deve
poter uscire allo scoperto e operare a tutto campo. Per riannodare i fili
spezzati delle antiche culture materne e ricominciare a tessere la tela
della civilta', le devono essere riconosciute apertamente le sue qualita' e
i suoi meriti; poiche' l'occupazione del fuoco delle comunita' da parte dei
padri si e' rivelata nient'altro che un miserevole inganno, occorre che la
centralita' della madre riacquisti solare visibilita' a tutti i livelli.
L'ordine simbolico della madre potra' affermarsi in tutta la sua pienezza e
fecondita' allorquando le donne rioccuperanno il posto che compete loro per
natura e cultura, in quanto, pur essendo la loro centralita' un fatto
naturale, le speciali qualita' che hanno saputo sviluppare le hanno rese
uniche nel mondo animale. E' necessario dare il giusto rilievo a cio' che
esse hanno rappresentato e rappresentano per l'umanita', e' necessario che
godano del dovuto rispetto per cio' che hanno fatto e fanno, se davvero si
vuole che la specie riprenda il cammino evolutivo bruscamente interrotto.
Perche' cio' sia possibile non si possono sottacere o semplicemente
minimizzare le differenze che le rendono le sole idonee ad invertire la
pericolosa tendenza verso l'autodistruzione; chiunque abbia sul serio a
cuore la sopravvivenza della nostra specie e di tutte le forme di vita
esistenti sulla terra non puo' non riconoscere il prius femminile, anche
perche' non rappresenta un pericolo per nessuno visto che e' di natura
diversa rispetto a quello maschile, realizzato artificiosamente.
Non potendo occupare il centro, di naturale pertinenza delle madri, gli
uomini hanno trasformato le comunita' umane in piramidi di cui occupano i
vertici, mutando il potere di guidare, di sostenere, di prendersi cura degli
altri in potere di dominare, controllare, utilizzare gli altri come mezzi
per raggiungere i propri, spesso poco nobili scopi. Sappiamo oramai che,
essendo la sua weltanschauung di tipo "orizzontale", la donna non e' portata
a riprodurre le gerarchie tipiche di una visione del mondo "verticale", non
prevede l'esistenza del superiore e dell'inferiore, non e' interessata ad
elevarsi sugli altri, autoproclamandosi unita' di misura di tutto cio' che
e' e anche di quel che non e'. Poiche' la sua mente e' in grado di reggere
la complessita' e la mutevolezza, non e' costretta ad ingabbiare il reale
entro schemi la cui fissita' produce i ben noti fenomeni di emarginazione,
riconoscendo il diritto di cittadinanza alla diversita' in ogni sua forma.
*
Credere che l'attribuzione del potere alle donne significhi una semplice
sostituzione al vertice, lasciando sussistere il dominio in forma
rovesciata, significa rimanere allíinterno dei paradigmi interpretativi
maschili. Le madri hanno dimostrato in epoca preistorica di saper gestire il
potere in modo equilibrato, instaurando quella naturale democrazia del
lavoro che i padri non sono mai riusciti a realizzare, nonostante abbiano
abbondantemente sprecato sangue e inchiostro; ma senza spingerci tanto
lontano nel tempo anche oggi le donne sembrano in genere poco attratte dal
potere, nonostante gli anatemi da piu' parti lanciati contro l'arrivismo
delle cosiddette "donne in carriera", di cui, invero, abbiamo notizia piu'
attraverso i films e i dibattiti televisivi che per esperienza diretta.
L'esiguita' di rappresentanti del gentil sesso nelle stanze del potere non
dipende unicamente dall'arroccamento difensivo degli uomini, ma anche e
soprattutto dalla ripugnanza delle donne per il potere fine a se stesso e
per i giochi meschini cui da' origine. Poiche' il potere e' inteso dalle
donne come servizio, gli uomini hanno tutto da guadagnare dalla gestione
femminile delle comunita': come le societa' androcratiche riverberano,
moltiplicandolo, lo scompenso della mente maschile, cosi' l'equilibrio della
mente femminile produrra' i suoi benefici effetti, sostenendo anche lo
sforzo degli uomini di allentare i legami con quegli aspetti naturali che
frenano l'acquisizione di comportamenti piu' evoluti.
*
La maggioranza delle donne che conosco ha reagito alle scoperte sul
dimorfismo cerebrale, tentando di minimizzarne la portata. Nessuna ha
mostrato segni di "trionfante disprezzo" per il maschio, ne' di un pur
comprensibile spirito di revanche, per cui e' altamente improbabile che si
produca un rifiuto speculare dell'uomo da parte della donna. Io stessa
esplicito con estrema chiarezza, rimarcandola, la difformita' tra le due
menti, unicamente perche' convinta che la nostra specie potra' riprendere la
sua evoluzione solo se la "differenza" femminile verra' riconosciuta senza
alcuna riserva e non sara' immolata sull'altare di una fantomatica
uguaglianza, non prevista dalla natura.
Gli uomini sembrano invece persuasi che la situazione prendera' per loro una
brutta piega. Su "La Repubblica" del 28 maggio 1999 un articolo dal
significativo titolo "Uomo, fatti piu' in la', il potere sara' donna"
esprimeva tale preoccupazione: "Il giorno in cui la donna gestira' in tutto
e per tutto la sua maternita' con la fecondazione artificiale per l'uomo
sara' la disfatta totale. Relegato a fare il facchino, il giardiniere,
l'uomo delle pulizie o lo strumento sessuale, il povero maschio finira' per
vivere in una riserva dorata". E' proprio vero che se il bue potesse
immaginare dio lo immaginerebbe di sicuro con le corna! Come al solito alle
donne vengono attribuiti sentimenti e pensieri estranei alla loro mente e
gli "esperti" intervistati lo hanno sottolineato, ammettendo che "in ogni
caso, una societa' con le donne al potere consentirebbe un mondo senza
guerre. Quale madre infatti manderebbe il proprio figlio al fronte?".
Ora, se la differenza femminile riuscira' nell'impresa - che appare al
momento sovrumana - di bandire la guerra dal mondo, non sara' in grado di
bandire anche il razzismo e la discriminazione, qualunque sia la loro forma?
Se nessuna madre manderebbe il proprio figlio al fronte, per quale motivo
dovrebbe umiliarlo, discriminarlo, ridurlo a cosa?
*
A me pare che sia arrivato il tempo di guardare in faccia la realta' senza
infingimenti, perche' la mente maschile ha ideato un sistema distruttivo che
si autoalimenta, potenziando i suoi meccanismi e perfezionando i suoi
strumenti ad un tale livello da mettere in serio pericolo la vita stessa sul
pianeta, non solo la sopravvivenza della nostra specie. La gravita' della
situazione impone il massimo rigore.
La realta' va vista e letta per quello che e': aderenza al concreto,
chiarezza e logicita' di giudizio non devono essere offuscati da illusioni o
inquinamenti di sorta. Non si puo', ad esempio, continuare a fingere che i
maschi amministrino in modo equilibrato le comunita' e che la follia esploda
di tanto in tanto qua e la' per motivi contingenti, ne' si puo' continuare
ad ignorare il fatto eclatante che ovunque i figli escludano le madri, le
sfruttino vergognosamente e le perseguitino ferocemente. Da piu' di
quattromila anni, infatti, vige una guerra senza quartiere di cui, tranne
qualche sporadica denuncia, nessuno vuole parlare, anche se ha lasciato sul
campo piu' morti e feriti delle guerre guerreggiate, e anche se e' in
assoluto la piu' ignobile visto che e' diretta contro chi da' agli uomini
gratuitamente la vita.
I testi di storia non riportano, se non in modo insignificante, accanto alle
altre guerre, la guerra contro le donne, siano esse madri, mogli, sorelle o
figlie, che l'inimicizia maschile conduce da millenni ora in modo scoperto,
ora in modo subdolo, nella vana illusione di superare la dipendenza
attraverso il controllo, la coercizione e la violenza.
Ma poiche' in questo insensato conflitto la sconfitta e' ineluttabile come
la morte, la frustrazione e il risentimento costituiscono una miccia sempre
accesa, destinata ad alimentare all'infinito il conflitto stesso. Visto il
bilancio assolutamente fallimentare di una guerra nella quale i maggiori
sconfitti sono proprio i vincitori, a cui la vendetta piu' spietata non
consentira' mai di appropriarsi della centralita' e della potenza delle
madri, e' arrivato il momento che gli uomini facciano i conti con la propria
invidia.
E' del tutto comprensibile il fascino potentissimo che la capacita'
creatrice della madre esercita sul figlio cosi' come il suo desiderio di
imitarla, diventando a sua volta maestro. Di questo desiderio si nutrono la
religione, che presenta un Dio maschio con la capacita' tutta materna di
generare figli a sua immagine e somiglianza; la scienza, dove e' possibile
emulare la madre attraverso un "parto maschio", alla maniera di Bacone; la
filosofia in cui la maieutica socratica rappresenta uno degli esempi piu'
illuminanti; ma anche la letteratura e l'arte.
Questo desiderio, che sta alla base delle molteplici realizzazioni degli
uomini, sostiene pero' anche la loro distruttivita' perche' la legittima
aspirazione ad imitare il modello materno si e' trasformata nella volonta'
di sostituirla tout court.
Scrive la Muraro: "Non c'e' dubbio che la storia della filosofia, come la
cultura di cui e' parte, mostri i segni di una rivalita' con l'opera e
l'autorita' della madre. Il racconto simbolico di Platone che ha modellato
la forma mentis di antichi, medioevali e moderni, e' la metafora di una
seconda nascita e, fuori di metafora... e' una concezione politica del
giusto e del vero che vuole soppiantare un altro ordine simbolico, che
Platone chiama il regno della generazione e presenta come intrinsecamente
ingiusto e ingannevole. Questa operazione sara' ripetuta innumerevoli volte.
E' un'operazione molto semplice... consiste nel trasferire alla produzione
culturale (come la scienza, il diritto, la religione, ecc.) gli attributi
della potenza e dell'opera della madre, spogliando e riducendo lei a natura
opaca e informe, sopra la quale il soggetto... deve innalzarsi per
dominarla".
Tale impossibile operazione ha accentuato la tipica tendenza a fuggire dalla
realta', alimentando la follia maschile e il maschile desiderio di
onnipotenza. Un ritorno urgente alla concretezza e' imposto dalla gran mole
di sofferenze e lutti che le pericolose illusioni degli uomini hanno causato
e dai danni gravi che continuano a causare ai propri simili e all'ambiente.
*
La centralita' della donna in ambito naturale non ammette sostituti, e
poiche' la sua posizione in natura le ha permesso di sviluppare quelle
prerogative che sono divenute la sostanza stessa della civilta', nessuna
sostituzione e' possibile a qualsiasi livello. Attribuendosi le qualita'
femminili, il maschio ha commesso un furto, atto in se' deprecabile, reso
ancora piu' abietto dal fatto che, essendo perpetrato ai danni della madre,
si traduce di fatto nel tradimento di gran lunga piu' odioso. Le societa'
patricentriche traggono, dunque, principio e alimento da un crimine
originario che, riprodotto e moltiplicato all'infinito come un marchio
d'infamia, nullifica ogni possibilita' di evoluzione. Ma la menzogna e
l'inganno sono stati alla fine scoperti ed hanno lasciato nudo il re, come
nella favola di Andersen.
Privo degli attributi strappati alla madre, dei quali si era pomposamente
ornato, il maschio umano si rivela per quello che e', un individuo fragile e
carente che, per aver rafforzato gli aspetti egoistici della sua natura, sta
spingendo la propria specie in rovinosa caduta verso la barbarie. Non solo,
la rivolta contro la madre lo ha portato ad inscenare un colossale bluff, il
cui esito e' quella "riduzione a niente della vita" che, spinta alle sue
estreme conseguenze, conduce direttamente all'estinzione.
*
A questo punto occorre sciogliere il nodo del rapporto con la donna che ha
prodotto la malattia mortale dell'uomo, sotto forma di inadeguato sviluppo
razionale. L'inutilita' e la pericolosita' dei tentativi di rimpiazzo
dovrebbero convincerlo che non gli e' possibile sostituire la madre e che,
se vuole evolversi, deve seguire i suoi insegnamenti, riconoscendo a lei la
funzione di guida e accettando per se' la naturale condizione di figlio. E'
cosi' difficile, visto che e' la verita' piu' vera che ci sia? Gli uomini
sono e resteranno i figli delle donne finche' gravera' su spalle femminili
la perpetuazione della specie, e una ulteriore, mancata accettazione di
questa elementare e imprescindibile verita' continuera' a produrre danni
gravi perche', e' inutile dirlo, fintantoche' gli uomini non saranno capaci
di riconoscere e rispettare le madri, alle quali devono tutto, proprio tutto
quello che hanno, non saranno in grado di nutrire rispetto per niente e per
nessuno, e non solo non saranno adatti a gestire alcuna comunita' civile, ma
neanche potranno legittimamente farne parte. D'altra parte protrarre ancora
nel tempo il misconoscimento della realta' significa accentuare il tipico
disancoramento del maschio dal mondo della concretezza, permettendogli di
smarrirsi nell'evanescente dimensione dell'inconsistenza. Solo il coraggioso
riconoscimento della realta' potra' favorire il recupero delle proprie
radici corporee e terrene, consentendogli di sfuggire a un destino di morte
altrimenti inevitabile.

5. RIVISTE. ROBERTO CICCARELLI: UN VOLUME DI "AUT AUT" SU MICHEL FOUCAULT E
IL POTERE PSICHIATRICO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo aprile 2005.
Roberto Ciccarelli (Bari, 1973) svolge attivita' di ricerca presso
l'Istituto Universitario Orientale di Napoli; e' autore di vari saggi. Tra
le sue pubblicazioni: con Marino Centrone, Pensare la differenza, Levante,
Bari 1999; (a cura di), Inoperosita' della politica, DeriveApprodi, Roma
1999.
Michel Foucault, filosofo francese (Poitiers 1926 - Parigi 1984), critico
delle istituzioni e delle ideologie della violenza e della repressione.
Opere di Michel Foucault: Storia della follia nell'eta' classica, Rizzoli;
Raymond Roussel, Cappelli; Nascita della clinica, Einaudi; Le parole e le
cose, Rizzoli; L'archeologia del sapere, Rizzoli; L'ordine del discorso,
Einaudi; Io, Pierre Riviere..., Einaudi; Sorvegliare e punire, Einaudi; La
volonta' di sapere, Feltrinelli; L'uso dei piaceri, Feltrinelli; La cura di
se', Feltrinelli. Cfr. anche i tre volumi di Archivio Foucault. Interventi,
colloqui, interviste, Feltrinelli. In italiano sono stati pubblicati in
volume anche molti altri testi e raccolte di interventi di Foucault, come
Malattia mentale e psicologia, Cortina; Questa non e' una pipa, Serra e
Riva, Scritti letterari, Feltrinelli; Dalle torture alle celle, Lerici;
Taccuino persiano, Guerini e associati; e varie altre raccolte di materiali,
trascrizioni di conferenze, seminari. Opere su Michel Foucault: tra le molte
disponibili segnaliamo Stefano Catucci, Introduzione a Foucault, Laterza;
Vittorio Cotesta, Linguaggio, potere, individuo, Dedalo; Hubert L. Dreyfus,
Paul Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, Ponte alle Grazie; Didier
Eribon, Michel Foucault, Flammarion; Francois Ewald, Anatomia e corpi
politici. Su Foucault, Feltrinelli; Jose' G. Merquior, Foucault, Laterza;
Judith Revel, Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri; Paolo
Veronesi, Foucault: il potere e la parola, Zanichelli.
"Aut aut", come e' noto, e' una della maggiori riviste filosofiche italiane,
un dono grande dell'indimenticabile Enzo Paci]

Multipla e discontinua, cosi' appare a un primo sguardo l'opera di Michel
Foucault. La traiettoria della sua ricerca riserva una miriade di luoghi e
di centri d'interesse che lo portarono nel corso degli anni Settanta a un
imponente ma sotterraneo lavoro sul tema dell'analitica del potere e della
"governamentalita'". Per orientarsi in questo labirinto in cui Foucault
amava condurre la sua ricerca con liberta' silenziosa giunge il numero 324
di "Aut Aut", Michel Foucault e il potere psichiatrico, (Il Saggiatore,
pp.174, euro 19) con una introduzione di Pier Aldo Rovatti.
Foucault inizio' a studiare la divisione tra la ragione e il suo doppio
inquietante nella Storia della follia (1961), di cui in questo numero di
"Aut Aut" viene tradotta una parte espunta dalla traduzione italiana. In
quell'indagine, Foucault ragionava sulle trasformazioni del discorso e delle
pratiche del controllo sociale: il folle, considerato vicino al divino nel
Medioevo, tra il XVIII e XIX secolo veniva trasformato in un soggetto
pericoloso, malato, piu' vicino alla bestia che all'umano, soggetto da
disciplinare negli asili psichiatrici. La nascita dei dispositivi di potere
iniziava ad accompagnare quelli teorici che assegnavano la gestione della
follia alla psichiatria.
Quando nel 1973 Foucault intraprese il corso sul "potere psichiatrico" al
College de France (pubblicato in Italia da Feltrinelli), La storia della
follia forni' retrospettivamente una giustificazione culturale e politica
anche ai movimenti dell'antipsichiatria che erano cresciuti nel decennio
precedente in Inghilterra e, grazie all'opera di Franco Basaglia, in Italia
con le esperienze negli ospedali di Gorizia, Trieste e Parma.
Foucault riconosceva cosi', scrivono nei loro contributi Mario Colucci e
Agostino Pirella, l'esistenza dei "saperi minori" che esercitavano la
propria critica al potere psichiatrico sotto forma di una disobbedienza
volontaria, o di una "indocilita' ragionata", che contestava il primato
della scientificita' della psichiatria.
Per Stefano Mistura, pur con qualche differenza, Foucault e Basaglia
giunsero a conclusioni sovrapponibili: il ruolo del potere psichiatrico non
era semplicemente quello della reclusione o della repressione dei
comportamenti considerati devianti, ma la loro regolazione all'interno di un
nuovo paradigma del potere, quello della "governamentalita'" che mirava al
controllo della vita degli individui.
L'analisi del potere psichiatrico, scrive Pierangelo Di Vittorio, fu il
terreno sul quale Foucault comincio' a circoscrivere il nuovo dispositivo
del potere al quale piu' tardi, nel corso del 1978-'79 (pubblicato nel 2004
in Francia), avrebbe dato il nome di "biopolitica". La psichiatria, anzi, e'
il potere-sapere strategicamente decisivo perche' la biopolitica si affermi.
Contribuendo al "governo degli uomini", aggiunge Mauro Bertani, il potere
psichiatrico svolgeva insieme ai collegi e alle prigioni un ruolo
fondamentale nel disciplinare la popolazione.
Per Alessandro Fontana il gesto inaugurale della ricerca di Foucault fu la
critica del cogito cartesiano e del suo ruolo nel distinguere il vero dal
falso, la ragione dalla sragione, che lo spinse ad una ricerca fuori
dall'imperialismo della verita' filosofica, scientifica e tecnica.
L'interrogazione del potere lo porto' cosi' a una ricerca genealogica e alla
scoperta della problematica della parresia e dell'ermeneutica del se'.
Il senso piu' ampio dei corsi al College de France sta dunque nella nuova
analitica del potere che per Foucault nasceva da un cambiamento di
paradigma: da un'arte del governo improntata ai principi delle virtu'
individuali e della sovranita', a un'arte del governo la cui razionalita',
stabilita dallo stato, si esercitava nel governo degli uomini.
Il rapporto tra potere psichiatrico e "governamentalita'" costituisce
senz'altro uno dei pilastri del dibattito sulla biopolitica. Con
un'interessante variante rispetto alle interpretazioni riconosciute: nella
nuova griglia concettuale dell'analitica del potere, infatti, l'indocilita'
ragionata e' la spinta iniziale che permette ai soggetti di elaborare
un'etica critica per affrontare strategicamente la rete dei poteri in cui si
trovano inseriti.

6. STRUMENTI. IL "COS IN RETE" DI APRILE
[Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti:
l.mencaroni at libero.it) riceviamo e diffondiamo]

Vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di aprile 2005 del "C.O.S. in rete"
(sito: www.cosinrete.it).
Nello spirito del C.O.S. di Capitini, le nostre e le vostre risposte e
osservazioni a quello che scrive la stampa sui temi capitiniani:
nonviolenza, difesa della pace, liberalsocialismo, partecipazione al potere
di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta,
antifascismo, tra cui: Irene a Palermo; Per evitare le scorciatoie del
pensiero; L'uso distorto della nonviolenza; Le scarpe cinesi; Al contadino
non far sapere; La fine dei partiti; Liberte', egalite', coppia viva e
vincente; Law and order; La lingua che fa uguali; A lezione dai poveri;
L'esame rifiutato; Dopo la tortura;  Le atrocita' coperte; Vecchie idee
sull'America; Dall'oppio al voto; Mazzini, la fonte oscurata; Romero
catto-comunista; Plutocrazia e omnicrazia; Da Capitini a Marcon; La patria
in pericolo; Chi festeggera' il 25 aprile; ecc.
Piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale
sugli stessi temi.
Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al
"C.O.S. in rete" e' libera e aperta a tutti mandando i contributi a
capitini at tiscali.it, come pure la discussione nel sito blog:
http://cos.splinder.com
Ricordiamo che il sito con scritti di e su Aldo Capitini ha cambiato
indirizzo in www.aldocapitini.it

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 889 del 4 aprile 2005

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