Fw: guerra e politica



 
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Sent: Saturday, December 01, 2007 2:56 AM
Subject: guerra e politica

Colombia: guerra e politica

Se come dice Von Clausewitz, uno dei più illustri studiosi della storia militare e della filosofia bellica: “La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, in Colombia è invece vero l’opposto: la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi.

Dopo l’ebbrezza informativa, l’euforia nazionalista, accecati dai fumi delle ire presidenziali, trasportati delle parole pesanti che volano oltre la frontiera, dagli insulti personali, delle reazioni esagerate, è importante non perdere di vista i fatti e alcune accuse, gravi e fondate, anche se espresse tra i fuochi artificiali.

Accuse che arrivano alla radice del conflitto interno Colombiano, un conflitto che tutto lo comprende e tutto lo giustifica.

Il presidente Chávez accusa il suo omologo Colombiano fondamentalmente di una cosa. Non volere la pace, ne lui ne i suoi collaboratori e di aver per questo usato una scusa per estrometterlo dai negoziati con le FARC.

Uribe arriva alla presidenza nel 2002 dopo l’interminabile e frustrante processo di pace del presidente Pastrana durato 4 anni. Un processo nato tra grandi speranze, che si è trasformato in un inganno, poi di nuovo in qualcosa di concreto fino alla sua distruzione indubbiamente legata ai fatti del 11/9 del 2001.

Le guerre al terrorismo e la trasformazione del “Plan Colombia” in un piano quasi esclusivamente militare ha convinto le elite del paese che era possibile sconfiggere le guerriglie militarmente, risparmiandosi un riassetto dell’equilibrio sociale che avrebbe comportato un processo di pace.

Il fallimento del processo si appoggiava a una campagna mediatica senza precedenti, la cui onda lunga porta alla il discorso belligerante del presidenza Alvaro Uribe nelle elezioni seguenti.

Uribe nega l’esistenza di un conflitto, trasforma gli attori armati da politici a semplici terroristi e fa della via armata l’unica soluzione.

Costruisce un discorso politico dove tutto ha senso solo in quanto esiste un nemico terrorista da distruggere, i piani militari si susseguono, le battaglie si intensificano e la vittoria finale sembra sempre cosa di giorni.

La realtà è che la vittoria finale non la vuole nessuno.

Senza un nemico, il bellicoso presidente potrebbe andare in pensione insieme al suo governo, senza un nemico l’esercito Colombiano non godrebbe degli enormi aiuti militari statunitensi, degli armamenti più avanzate e del potere sulla società civile senza restrizioni.

Ma anche i guerriglieri stessi amano le negoziazioni in quanto tali, negoziando sono visibili, un attore riconosciuto, escono dalle liste terroriste e raccolgono consensi. Durante i negoziati di pace la guerriglia si riproduce.

E poi il conflitto è un affare, per tutti. Gli imprenditori possono far fuori i sindacalisti scomodi, come conferma il casi chiquita brands, il governo reprime la protesta sociale, tacciandola di terrorismo. E il narcotraffico fiorisce riempiendo le tasche un po’ di tutti.

Il conflitto permette che il potere si perpetui, che gli affari vadano bene e che il potere militare non sia questionato.

Questo vuole dire Chávez che ha provato ad avvicinarsi come mediatore tra chi mediazione non vuole.

Questa guerra non avrà una soluzione dall’alto, non ci sarà nessun mediatore con la bacchetta magica. Questo conflitto avrà fine quando i Colombiani comuni diranno basta. Quando le famiglie che forniscono la carne da cannone (a volte un figlio nella guerriglia e uno nell’esercito) si stancheranno.
Quando i militari di basso livello, quelli che marciano con il fucile nella giungla a 17 anni per far fuori i loro coetanei, smetteranno di farsi prendere in giro da generali sovrappeso e pretenderanno che i loro colleghi sequestrati tornino liberi.
Quando si riconoscerà che nel paese esiste una guerra perché esiste un disagio sociale vergognoso che, né lo stato, né i guerriglieri sono capaci o si preoccupano di risolvere.

Esiste una Colombia lacerata e senza voce, stanca della guerra e della violenza, gente che è nata e sta invecchiando in un paese in guerra. Gente come la senatrice Piedad Cordoba che in una intervista a “voces del secuestro” saputo della interruzione dei negoziati che lei facilitava, è scoppiata in un pianto disperato di rabbia e impotenza e tra i singhiozzi bisbigliava: “non possiamo continuare così, questo paese non può continuare così..”.
il pianto di tutta una Nazione avvolta in una spirale frammentata di dolore e disperazione che si avvolge all’infinito su se stessa.
Solo dalle lacrime e dalla presa di coscienza dei Colombiani può nascere la pace.


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