Come un pendolo



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America latina - Bogotà - 23.5.2006
Come un pendolo
Il modello economico latinoamericano ha sempre oscillato, pro e contro la popolazione, pro e contro la povertà


Scritto per noi da
Simone Bruno

Il modello economico che si applica in America Latina ha da sempre un andamento pendolare.

Un po' di storia. Alla fine del 1800 la potenza dominante era l’Inghilterra e proponeva al resto del mondo un modello economico basato sulla divisione internazionale del lavoro. Un mondo liberale, senza barriere per cose o persone dove all’America Latina si assegnava il ruolo di fornitore di materie prime che alimentavano i paesi del “capitalismo centrale”. Con i ricavi si compravano i beni manifatturieri europei e tutti avrebbero dovuto vivere felici e contenti. Ma quel modello, nonostante avesse portato i latinoamericani a un relativo sviluppo, significò anche un loro ulteriore allontanamento dallo sviluppo delle potenze europee e, con il cambio di egemonia tra le due guerre, da quello del nuovo gigante del nord, gli Usa.

Il disgelo. La dipendenza da un mercato internazionale piuttosto fluttuante, i vari oligopoli terrieri e una mancanza totale di controlli doganali furono tra le cause della crisi devastante dei primi decenni del 1900. Il pendolo stava oscillando. Le politiche promosse dalla Cepal (Commissione economica per l’America Latina) e la debolezza causata dalla dipendenza dal mercato esterno spinsero i governi dei paesi latini ad adottare modelli di sviluppo del mercato interno e della propria industria nazionale. I paesi latini videro un tasso di crescita paragonabile a quello dei paesi europei fino a circa la metà degli anni Sessanta, alcuni furono addirittura definiti paesi a medio reddito o a media industrializzazione (tra tutti il Brasile). Mancava certo una adeguata distribuzione interna delle ricchezze e la rapida urbanizzazione stava creando nuove fasce di povertà urbana, ma in generale lo stato con il suo ruolo forte stava dando una crescita che la regione non aveva mai conosciuto prima. Intanto, a livello mondiale, si cominciava a parlare di disgelo: Cuba non spaventava più e l’alleanza per il progresso che il governo Kennedy aveva promosso come freno alla svolta a sinistra dell’America Latina divenne un ricordo.

Nuova fase. Si arrivò così alla metà degli anni Settanta: il liberismo tornò a essere di moda con molta più radicalità di prima. Nacquero i regimi del cono sud che imposero il modello neoliberale in maniera schiacciante. Si cominciò a smantellare lo stato e a vendere tutto. Nozick inspirò le politiche Reganiane e quelle delle repubbliche latinoamericane, lo stato veniva ridotto al minimo e si privatizzava tutto. La crescita del Pil si dimezzò rispetto gli anni precedenti in quasi tutti i paesi, il debito pubblico esplose e si cominciò di nuovo a produrre solo beni di esportazione. Non solo: le multinazionali ebbero via libera per accaparrarsi ogni industria nazionale.

Oggi. Tutto questo portò al disastro degli anni Ottanta, i cui effetti si sono prolungati per buona parte dei Novanta, quando il pendolo ha cominciato a precipitare di nuovo sull’altro fronte. Ed eccoci al giorno d’oggi. Questa volta i movimenti popolari sono ben più forti, eleggono presidenti, ma arrivare al potere è dura. Poi in Venezuela cambia qualche cosa: un presidente comincia a rispettare le promesse, diventa un magnete che attrae le politiche di sinistra degli altri presidenti sparsi sul continente. Adesso quest’onda sembra inarrestabile: l’opposizione alle politiche neoliberali è concreta. L’integrazione regionale è rafforzata. Altri paesi svoltano a sinistra e lo stato ricomincia a prendere forza, valga d’esempio la recente nazionalizzazione degli idrocarburi in Bolivia. Le differenze tra paese e paese restano e i cambiamenti non sono certo immediati, ma la tendenza è ben chiara.

La pecora nera. Sepolta l’Associazione di libero commercio delle Americhe (Alca), ufficialmente a La Plata, in Argentina, durante l’ultimo incontro di tutti i presidenti del continente, si sta dando nuovi impulsi ai Trattati di libero commercio bilaterali (Tlc) tra i pochi paesi disposti e gli Stati Uniti. Ma le tensioni salgono. L’accordo non ancora approvato con la Colombia ha già creato un forte scontro con il Venezuela di Hugo Chavez. I due paesi sono uniti nella Comunità Andina (Can). E l’economia colombiana dipende fortemente dagli scambi con il vicino paese, che passano appunto per la Can, mentre il Tlc dovrebbe distruggere l’attuale settore agricolo e industriale per trasformare il paese in un fornitore di prodotti esotici. Chavez è da tempo molto più vicino ai paesi del Conosur, avendo aderito, così come la Bolivia del neoeletto Morales farà a breve, al Mercato comune del sud (Mercosur), che rappresenta il più grande sforzo di integrazione regionale mai realizzato. Duole quindi il colpo inferto dal presidente dell’Uruguay, Tabare Vazquez, che, a braccetto con Gorge Bush e lisciato dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca interamericana per lo sviluppo, sembra preannunciare un avvicinamento al Tlc con gli Usa.

Non è giunta l'ora. La fattibilità di un Tlc con gli Usa sembra poco probabile per i tempi stretti, che vedono il mandato di negoziazione in mano al presidente Bush scadere a metà del 2007 con un congresso forse ancora più ostile di quello che approvò il TLC con il Centro America per solo un voto di scarto.
Non è ancora ora per il pendolo di tornare dall’altra parte.