l'energia di domani



da boiler.it
venerdi 20 giugno 2003


L'era del petrolio? Sta per finire. Anzi no...

 Le società industriali sono sull'orlo del collasso: l'era del consumo del
petrolio sta per concludersi in modo disastroso. È questo il tema del libro
del giornalista, scrittore e professore di ecologia americano Richard
Heinberg intitolato The party is over: Oil, War and the Fate of industrial
Societies. Famoso per le sue prese di posizione contro la società
industriale e capitalista, Heinberg affronta in questo testo il problema
delle fonti energetiche. Secondo le sue previsioni tra i tre e i dodici
anni, il consumo di petrolio raggiungerà il suo picco sia nei paesi più
avanzati come gli Usa che in quelli in via di sviluppo come l'India e la
Cina. Passato questo picco, però, ci sarà un crollo della disponibilità di
combustibili fossili. Heinberg cita a questo proposito il geologo Colin
Campbell per il quale «adesso per ogni barile di petrolio ne troviamo uno
solo». Gli effetti di questa mancanza di combustibili fossili si faranno
sentire in una sorta di globalizzazione al contrario. Le metropoli
torneranno alla dimensione di città, perché la gente si sposterà il più
vicino possibile alle fonti di cibo e alle sorgenti di acqua. Gli scambi e
di conseguenza le monete non saranno più mondiali, ma locali, l'energia
elettrica sarà distribuita da piccole cooperative e le biciclette
sostituiranno le automobili. L'unico modo per evitare questo "ritorno al
passato", sarà ridurre la propria dipendenza dal petrolio, sviluppare un
modo di vita meno dispendioso e muoversi verso le energie rinnovabili e il
risparmio energetico.

 Le stime ufficiali, in realtà, parlano tutta un'altra lingua rispetto a
quella di Heinberg. Quella di un aumento ragguardevole dei consumi di
combustibili fossili, soprattutto di petrolio e gas naturale, in tutto il
mondo entro il 2030. Questo almeno viene indicato in uno studio effettuato
da un consorzio di équipe di ricerca dell'Ue, fra cui Enerdata e Cnrs-Iepe
in Francia, il Bureau Fédéral du Plan in Belgio e il Centro comune di
ricerca della Commissione Europea di Siviglia, Spagna e pubblicato con il
titolo Prospettive a livello mondiale delle politiche in materia di energia,
tecnologia e clima. Il rapporto prevede che la domanda mondiale di energia
aumenterà di circa l'1,8 per cento tra il 2000 e il 2030. Nei paesi
industrializzati si registra un rallentamento della crescita della domanda
di energia pari, almeno nell'UE, allo 0,4 per cento l'anno. Viceversa, la
domanda di energia dei paesi in via di sviluppo aumenta rapidamente. Si
prevede che nel 2030 oltre la metà della domanda di energia verrà dai paesi
in via di sviluppo, rispetto al 40 per cento attuale. Il sistema energetico
mondiale continuerà ad essere dominato dai combustibili fossili che
rappresenteranno quasi il 90 per cento dell'approvvigionamento complessivo
di energia nel 2030. Il petrolio resterà la fonte principale di energia (34
per cento), seguito dal carbone (28 per cento). Quasi i due terzi
dell'aumento dell'offerta di carbone tra il 2000 e il 2030 verrà dall'Asia.
Si prevede che il gas naturale rappresenterà nel 2030 un quarto
dell'approvvigionamento energetico mondiale, un aumento dovuto
essenzialmente alla produzione di elettricità. Nell'UE, si prevede che il
gas naturale rappresenterà la seconda principale fonte di energia, dopo il
petrolio ma prima del carbone e della lignite. Le energie nucleari e
rinnovabili rappresenteranno nell'insieme poco meno del 20 per cento
dell'approvvigionamento energetico dell'UE.

Diverso, infine, il tono del ministero dell'Industria e del commercio
britannico che ha pubblicato un Libro bianco sull'energia con tutte le
previsioni di scenario per gli anni futuri. Tra vent'anni, sostiene il
rapporto, nulla sarà più come prima. Secondo il documento, infatti, intorno
al 2020 l'energia sarà distribuita in una rete in grado di ottimizzare la
domanda che congloberà i venticinque paesi dell'Unione allargata. Sempre
secondo le ottimistiche previsioni del libro vi sarà un utilizzo crescente
di centrali dislocate in mare che sfrutteranno le maree e il moto ondoso
mentre cresceranno gli impianti di piccola e media taglia alimentate con
rifiuti, vento e biomasse. Crescerà inoltre l'impiego del solare per usi non
elettrici. L'evoluzione della tecnologia porterà anche all'installazione in
tutte le centrali termoelettriche di dispositivi che cattureranno l'anidride
carbonica che verrà confinata sottoterra o in depositi sicuri. Un ampio
capitolo è dedicato ovviamente all'idrogeno che a parere dei britannici
grazie alle proprietà combustibili sarà impiegato in misura massiccia nei
trasporti. Passi da gigante farà anche nel nucleare la fusione che in un
periodo medio-lungo potrebbe giungere allo sfruttamento commerciale.


Il futuro dell'idrogeno è nell'aria

 WASHINGTON - Nonostante l'idrogeno sia stato a lungo celebrato come
combustibile pulito in grado di sostituire le fonti fossili di energia, una
ricerca recente conclude che un suo utilizzo su larga scala potrebbe
aggravare l'entità del buco presente nello strato d'ozono che protegge la
Terra dalle radiazioni ultraviolette. Secondo la rivista Science, che ha
pubblicato nei giorni scorsi i risultati dello studio, la nuova ipotesi
avanzata dagli scienziati non intende arrestare lo sviluppo delle celle a
combustibile. È necessario, però, tenere presente che nel roseo futuro
energetico c'è un rovescio della medaglia, e che bisognerà adottare adeguate
misure di sicurezza per evitare una ricaduta ecologica dell'economia a
idrogeno.

Un pericolo per l'ozono

 Da quando il presidente americano Bush, all'inizio di quest'anno, ha
dichiarato lo sviluppo dell'idrogeno una priorità energetica nazionale, il
termine "combustibile" è diventato subito di moda nei dibattiti di settore.
Il Congresso ha intenzione di investire miliardi di dollari nella ricerca,
come punto fondamentale della sua agenda, e l'amministrazione Bush parla di
incentivi internazionali all'affermazione della nuova infrastruttura. Al
contrario dei combustibili fossili - carbone, petrolio e gas naturali - che
bruciando producono residui chimici inquinanti per l'aria ed emettono
anidride carbonica (che è un gas serra e, come tale, pericoloso per l'
ambiente), le cellule idrogeno rilasciano energia generando, come prodotto
di scarto, solo acqua.

Ma nell'articolo pubblicato da Science, i ricercatori del California
Institute of Technology avanzano l'ipotesi che un'eventuale economia dell'
idrogeno possa rivelarsi meno ecologica di quanto ci si sarebbe aspettati.
Secondo la ricerca, se il nuovo combustibile sostituisse interamente l'
energia di origine fossile, una percentuale di idrogeno compresa tra il
dieci e il venti per cento della produzione totale finirebbe per evaporare
dai distributori, dai magazzini, dalle raffinerie, dalle cellule e dagli
impianti delle automobili. L'idrogeno è un elemento molto volatile, in grado
di raggiungere velocemente l'atmosfera. Secondo gli scienziati, un suo
utilizzo diffuso arriverebbe a triplicare le molecole di idrogeno - prodotte
da fonti umane e naturali - che arrivano alla stratosfera, dove si
trasformerebbero in acqua attraverso un processo di ossidazione. «Il
fenomeno finirebbe col raffreddare eccessivamente i livelli inferiori della
stratosfera, interferendo con le reazioni chimiche che avvengono nella
fascia di ozono», spiegano i ricercatori. Risultato? La formazione di
 "buchi" più grandi e più duraturi nell'ozono sovrastante l'Artide e l'
Antartide, dove lo spessore della fascia è - secondo le rilevazioni - in
netto calo da vent'anni a questa parte. L'idrogeno potrebbe peggiorare la
situazione di un ulteriore otto per cento.

Un pericolo da non sottovalutare: l'ozono funge da schermo di protezione al
nostro pianeta dalle radiazioni solari ultraviolette, che a lungo termine
possono provocare tumori della pelle, cataratte e altre gravi patologie.
Finora, il deterioramento dell'ozono è stato tenuto sotto controllo
attraverso la messa al bando e l'eliminazione dal commercio dei prodotti a
base di clorofluorocarbori, i massimi responsabili del "buco". Secondo i
ricercatori del Caltech, però, un elevato aumento della concentrazione di
idrogeno nella stratosfera «potrebbe significativamente rallentare il
processo di recupero dello spessore originario», in via di miglioramento
dopo i controlli sui Cfc. Un rischio immediato, anche se la piena
affermazione della nuova economia energetica è ancora di là da venire.


Per alcuni è solo fobia.

Secondo John Eiler, docente di geochimica al Caltech e coautore dell'
articolo di Science, sappiamo ancora molto poco del ciclo dell'idrogeno per
giungere a delle conclusioni definitive. Gran parte dell'elemento evaporato,
per esempio, potrebbe venire assorbito dal terreno, invece che disperdersi
nell'aria. «In tal caso, le ricadute ambientali della nuova economia
potrebbero rivelarsi molto minori. Ma non dobbiamo dimenticare che l'
atmosfera è l'elemento cruciale del processo, e che quella del
raffreddamento della stratosfera e della conseguente distruzione dell'ozono
è l'ipotesi più probabile», spiega. Un altro degli autori della ricerca,
Tracey Tromp, ha sottolineato che, con un'adeguata consapevolezza del
problema, le future infrastrutture potrebbero essere appositamente
progettate per controllare meglio le evaporazioni e limitare le conseguenze
negative per l'ecosistema. «In passato, ci siamo sempre resi conto degli
inconvenienti dopo troppo tempo, quando il danno era già avvenuto», commenta
a tale proposito Eiler, riferendosi al rapporto tra Cfc e buco dell'ozono e
all'anidride carbonica, principale prodotto della combustione dei carburanti
fossili, che inizialmente non era stata vista come un problema, e ora invece
è il principale gas serra responsabile delle anomalie climatiche.

Nejat Veziroglu, presidente dell'International Association for Hydrogen
Energy e direttore del Clean Energy Research Institute dell'Università di
Miami, mostra un certo scetticismo in merito alle scoperte del Caltech. «L'
evaporazione sarà un fenomeno molto più limitato di quanto ci si aspetti»,
commenta. E Jeremy Rifkin, il principale sostenitore della futura economia a
idrogeno, osserva: «Quando si passa a una nuova fonte di energia, è naturale
pensare che ci possano essere delle ricadute ambientali». Ma l'idrogeno
resta la «sua speranza per il futuro». Rifkin, in una recente intervista, si
è detto fermamente convinto che il nuovo combustibile possa rimpiazzare, in
breve tempo, le energie fossili. «La temperatura del pianeta sta continuando
ad aumentare. Sappiamo che ciò dipende dai combustibili fossili. E l'
idrogeno è la nostra unica via d'uscita».


Gran Bretagna, ecco la turbina per produrre elettricità con le onde

 È STATA INSTALLATA sulle coste del Devon, in Inghilterra, la prima turbina
per produrre energia elettrica con le onde marine. La turbina, costata tre
milioni di sterline (circa 4,3 milioni di euro) è stata costruita
direttamente in mare, a un chilometro e mezzo da Lynmouth. La turbina è
composta di una sola pala lunga undici metri, ed è in grado di produrre
trecento chilowatt di elettricità. Fungerà da banco di prova per le
successive turbine a energia marina. Le aziende che hanno sviluppato il
progetto, la Marine Current Turbines Ltd e la Seacore, sperano che la
turbina venga allacciata alla rete nazionale di distribuzione elettrica
entro la fine di agosto. Martin Wright, della Marine Current Turbines, spera
di ottenere in futuro almeno dieci gigawatt di energia dalle onde marine nel
solo Regno Unito. La turbina del Devon è la prima installazione permanente
al mondo a generare energia elettrica. Se si comporterà come sperano i suoi
sostenitori, presto nell'area ne verranno collocate molte altre. Il progetto
è stato finanziato dal Ministero inglese per il commercio e l'industria e
dal Programma per l'energia dell'Unione europea.


Islanda, apre la prima stazione per celle a combustibile

 LA PRIMA STAZIONE al mondo per rifornire di idrogeno gli autoveicoli a
celle di combustibile è stata aperta in Islanda. La stazione produce
idrogeno attraverso l'elettrolisi dell'acqua grazie a una tecnologia fornita
dalla Norsk Hydro. Il governo islandese crede molto nell'idrogeno. Il suo
obiettivo è infatti raggiungere entro il 2030 l'indipendenza dalle fonti
energetiche non rinnovabili. Già oggi, buona parte del fabbisogno energetico
dell'isola è soddisfatto attraverso l'uso di fonti geotermiche. Rimane però
il problema degli autoveicoli, che potrebbe essere risolto dall'idrogeno,
prodotto grazie all'elettricità ottenuta da una stazione geotermica.
«L'apertura di questa stazione è uno dei passi più importanti verso la
realizzazione di una società basata sull'idrogeno», ha detto il ministro
dell'energia islandese Valgerdur Sverrisdottir. La stazione è stata
costruita da un consorzio che comprende oltre alla Norsk Hydro, anche il
distributore locale della Shell e la DaimlerChrysler.