il tempo del lavoro



dal corriere di giovedi 16 maggio 2002

 Giovedì 16 Maggio 2002 
 
 
Mestieri ambiti e rifiutati

IL TEMPO DEL LAVORO


Il mercato del lavoro assomiglia a una sala cinematografica: diverse
poltrone sono occupate, ma molte sono vuote, e molta gente se ne sta in
piedi in fondo alla sala, senza capire bene quale film stia per essere
trasmesso. Milano, metropoli caotica e affannata, non sfugge a questa
immagine. Sono molte le opportunità di lavoro che offre, ma molte occasioni
restano vacanti. E’ un problema di culture del lavoro e di mancanza di
orientamento. L’ultimo caso è quello degli ausiliari della sosta, i
vicevigili: su un migliaio di posti disponibili, circa 700 sono vacanti.
Nessuno si candida. Eppure ci saranno persone disponibili a prendere da 600
(orario ridotto) a 1.200 euro lordi (tempo pieno) al mese per dare multe ai
milanesi? Il rifiuto di questi posti sta nella loro temporaneità (contratti
di sei mesi, rinnovabili) e, probabilmente, nella speranza del posto fisso:
il Comune ha infatti annunciato la volontà di passare dagli attuali 3.200
vigili a 5 mila. E si tratta di posti fissi e sicuri. 
Insomma, il mito del posto fisso si aggira anche nella metropoli del lavoro
flessibile. Segno, probabilmente, che siamo arrivati a un punto limite:
l’accettabilità dei posti a termine si sposa con l’età e con i più giovani.
Ma quando questa fascia è relativamente satura, non si trovano persone più
avanti con gli anni disponibili al posto a tempo. Quando si ha o si vuol
metter su famiglia e prender casa, il posto temporaneo non serve, anzi. Il
risultato è chiaro: non ci si sposa, niente mutuo, niente casa, niente
famiglia. 
Ma anche i più giovani «sembrano» avere le idee chiare. Vogliono posti di
lavoro che permettano loro di imparare e di crescere. Mentre spesso si
vedono offrire posti non adeguati, nel loro immaginario, al titolo di
studio e alle loro aspettative. Vogliono un lavoro che lasci loro del tempo
e offra occasioni per apprendere. E poi rifiutano la «fabbrica», ma anche
l’«azienda». Ne hanno un’immagine vecchia, spesso non corrispondente alla
realtà, e non la prendono in considerazione. Preferiscono vagheggiare il
mito di posti elitari e lontani (il top manager, il diplomatico, il
direttore di giornali), mentre sotto sotto aspettano la dritta dei più
grandi (la raccomandazione) o il concorso per un posto pubblico.
Ambirebbero a posti da liberi professionisti (possibilmente notai e
commercialisti), ma in fondo si «accontenterebbero» di un posto in banca. 
Nella metropoli del lavoro, ancora scossa dall’ultimo appello del cardinal
Martini («No al lavoro precario e totalizzante, che richiede una dedizione
così totale e monopolizzante che lo si potrebbe catalogare sotto l’elenco
delle idolatrie deprecate dalla Scrittura»), cui hanno fatto eco
dichiarazioni per la verità in parte dissonanti del Papa («Con il lavoro
l’uomo diventa più uomo»), c’è tanta fame di orientamento. I giovani
esprimono un disagio e una difficoltà verso il lavoro, un disorientamento
da esploratori senza bussole e senza direzione. Per questo è necessario che
dentro il Patto per il lavoro recentemente firmato a Milano sia dato uno
spazio grande alla formazione e all’orientamento. Ma chi dovrà fare
orientamento? Riusciranno le imprese, le famiglie, la scuola, le
istituzioni, i sindacati a svolgere un orientamento all’altezza della
situazione?  
di WALTER PASSERINI