e-government per inciuci



 
il manifesto - 12 Maggio 2002 
 
 
E-government per inciuci vecchio stile? 
Iniezioni di tecnologia informatica senza affrontare i problemi
organizzativi e di competenza esistenti nella burocrazia pubblica. Ricetta
vecchia e sprechi sicuri
FRANCO CARLINI
Vanno e vengono le parole nel settore dell'alta tecnologia. Talora
segnalano l'effettivo emergere di nuove tendenze, ma spesso sono vestiti
che ricoprono precedenti promesse mai realizzate, magari riverniciandole di
nuove suggestioni. Uno dei termini più popolari di questi tempi, ovviamente
in lingua inglese, è l'e-government, sovente abbreviato in «e trattino gov»
(e-gov). L'espressione è suggestiva, anche se arriva un po' tardi, quando
il prefisso e- sembrava già passato di moda. Ma proprio lì sta la sua
forza: essendosi rivelati illusori l'e-commerce e in genere l'e-business,
si spera tuttavia che la massiccia introduzione di tecnologie elettroniche
e di rete nelle amministrazioni pubbliche possa svolgere quella funzione di
volano e di spinta che il mercato privato non ha garantito. In altre parole
dietro tanto entusiasmo per l'e-gov c'è anche una vecchia idea, assai poco
liberista: che lo stato (i vari stati nazionali) farebbe bene a spendere
molto in infrastrutture tecnologiche, in questo modo assicurando commesse
di lungo termine alle aziende dei computer e delle telecomunicazioni che di
questi tempi appaiono un po' acciaccate.

Allo stesso filone concettuale, quello di bussare ai ministeri nei momenti
di difficoltà appartiene l'azione di lobby che anche in Italia si sta
svolgendo nei confronti del ministero delle comunicazioni (Gasparri)
perché, magari di concerto con quello per l'innovazione tecnologica
(Stanca), favorisca lo sviluppo di reti a larga banda nel nostro paese,
infrastruttura quanto mai necessaria per l'economia. La metafora richiama
quella delle «autostrade dell'informazione» che venne lanciata nell'ormai
lontanissimo 1995 in America da Al Gore. Si tratterebbe di inventare, anche
in questo caso, robuste esenzioni fiscali per coloro che investono in reti
di telecomunicazione, con meccanismi analoghi alla legge Tremonti bis, la
quale permette di detrarre il 50% dei nuovi investimenti produttivi (e
aggiuntivi).

Curiosa davvero questa riscoperta del ruolo trainante (e persino dirigista)
dello stato; la quale riscoperta, oltre a tutto, ha il benefico effetto di
ridare apparentemente ruolo a un ministero come quello delle comunicazioni
che invece, a rigore di logica, di buon senso e di riforme. andrebbe
definitivamente chiuso, a prescindere da chi lo diriga: essendo le Poste
ormai un'azienda autonoma, esistendo bene o male (talora persino bene)
un'autorità indipendente di regolazione delle comunicazioni, essendo la Rai
diretta da un consiglio di amministrazione nominato dai presidenti di
Camera e Senato e vigilata da una apposita commissione parlamentare, a che
serve quel ministero che il centro sinistra così come il centro destra
tengono accuratamente in piedi? La risposta è assai semplice: serve a
gestire un potere politico e di negoziazione tra partiti e aziende del
settore, magari nell'occasione riciclando precedenti boiardi di stato: una
funzione di cui sinceramente non si sente alcun bisogno.

Ministero anomalo a parte, l'e-gov, nelle sue migliori formulazioni,
contiene una promessa sociale, quella che, vestendosi di efficienza
elettronica, lo stato possa meglio servire i cittadini, nell'occasione
denominati «clienti». L'espressione può apparire fastidiosa e in effetti lo
è, ma a essere onesti vuole indicare una cosa importante: per il semplice
fatto di pagare, il cliente di un negozio è titolare di certi diritti e il
negoziante ha un interesse diretto e assai materiale a trattarlo bene, non
per bontà d'animo, ma per utilità: dall'incontro di due interessi egoistici
(quello del venditore e quello del compratore) nasce un reciproco
benessere. Così il cittadino cliente è per sua natura (di cittadino)
titolare di certi diritti che la legge gli garantisce, ma anche un cliente
pagante, attraverso le tasse e i bolli e dunque deve essere trattato con lo
stesso rispetto che i commessi di un autosalone riservano a un potenziale
compratore.

Qui entra in gioco dunque la tecnologia. La formulazione ingenua e
ottimistica, che viene spinta con particolare convinzione dal ministero
dell'innovazione (il ministro Stanca, già Ibm) immagina che una massiccia
infusione di computer e reti nella pubblica amministrazione possa darle
quella efficienza che finora è mancata e spingere i funzionari e tutto il
personale a un salto di qualità. Ancora nei giorni scorsi, in occasione del
salone romano della pubblica amministrazione (ForumPA) il ministro della
funzione pubblica Frattini ha fatto notare come dopo la fase
dell'autocertificazione (dovuta essenzialmente a Bassanini), sia ora
possibile fare del tutto a meno anche di tale procedura cartacea: se
l'ufficio anagrafe già possiede in maniera precisa e digitale tutti i miei
dati, perché l'Enel deve chiedermeli di nuovo per accendere un contatore?
Basta che l'una banca dati consulti l'altra e che le due si scambino in
maniera elettronica un cenno di assenso: «Franco Carlini esiste, è vivo, e
abita effettivamente in via Tal dei Tali».

Come è facile immaginare dietro tali transazioni elettroniche,
concettualmente banali, si celano mille insidie e difficoltà: ovviamente
problemi di riservatezza, ma anche di autenticità e sicurezza dei dati. E
giganteschi problemi di armonizzazione tra i diversi archivi. Qui c'è
un'eredità del passato (gli informatici la chiamano «legacy») che comporta
inevitabili inerzie e grandi problemi hardware e software: allo stato delle
cose sarebbe persino più facile e meno costoso progettare degli archivi
tutti nuovi, che far parlare tra di loro quelli esistenti. Cosa
evidentemente impossibile.

Ambiziosissimi progetti di e-gov sono stati lanciati negli anni scorsi un
po' da tutti i paesi, sia nell'occidente ricco che nel sud del mondo. Tutti
stanno rivelando quanto l'architettura ideale disegnata dai loro promotori
sia in realtà difficile e costosa a realizzarsi. Tra i più attivi il
governo inglese, che ha una speciale ministra per il problema, quello
francese e quello americano. L'Unione europea sostiene, finanzia e lancia
persino dei concorsi annuali che premiano le più intelligenti innovazioni
in questo campo. In qualche caso sembra di sognare: può capitare nella
solita Finlandia (paesi tra i più cablati al mondo e patria dei cellulari
Nokia) che quando uno cambia casa gli basti segnalare il cambiamento, via
Internet o di persona, a un unico sportello; le nuove informazioni verranno
automaticamente propagate a tutte le organizzazioni pubbliche e private
coinvolte nel cambiamento di indirizzo, dalla mutua ai telefoni, dalle
imposte al registro automobilistico.

Ma forse non c'è bisogno di andare così lontano: cronisti fino a ieri
disattenti hanno infine scoperto, in occasione del ForumPA, che da tempo
l'Inps offre ai suoi assistiti un servizio «sconvolgente»: dagli sportelli
territoriali dell'istituto, via telefono o via Internet, ognuno può
ottenere in maniera precisa e chiara lo stato dei suoi versamenti
pensionistici, anno per anno, con eventualmente l'indicazione di «quanto
gli manca» per la pensione, gli importi dei versamenti volontari da
effettuare, se del caso, e tutto quanto lo riguarda.

La richiesta telefonica prevede una risposta via lettera riservata, con il
sistema Postel, che arriva puntuale il giorno dopo. Curiosamente (e
colpevolmente) l'Istituto di previdenza non ha mai sufficientemente
pubblicizzato tale servizio, che è reso possibile sia dalla esistenza di un
archivio ben fatto e aggiornato, che risale ormai a diversi anni fa. E' un
caso di studio che molti altri paesi ci invidiano e che contrasta con altre
sconvolgenti inefficienze della macchina amministrativa italiana.

Valga per tutti il caso del registro automobilistico (il Pra), sovente ai
disonori delle cronache per la lentezza nelle immatricolazioni e per la
pervicacia con cui sovente si rifiuta di prendere atto dell'avvenuta
rottamazione e continua a pretendere il bollo di circolazione per vetture
ormai finite in fonderia. Forse che i computer dell'uno sono migliori di
quelli dell'altro? Non di questo si tratta; la differenza è nella
organizzazione: nel caso dell'Inps si tratta di un ente pienamente titolare
dei propri dati, e che dunque è stato in grado di organizzarsi
adeguatamente per lavorare meglio al proprio interno e per meglio servire i
famosi clienti. Nel caso dell'auto, diversi enti configgono per il possesso
dei database e nessun riformatore di sinistra come di destra è stato finora
capace di sciogliere il relativo conflitto di interessi.

Da qui la vera e principale lezione che dovrebbe sempre ricordare chiunque
pronunci la parola e-gov: le tecnologie aiutano (tantissimo) e sono
un'ottima occasione per fare meglio, ma vanno sempre considerate degli
strumenti, delle ancelle, rispetto ai problemi di riorganizzazione della
struttura organizzativa e umana. In caso contrario, quando computer e reti
vengano immessi nei precedenti apparati senza cambiarli, avranno l'effetto
di peggiorare addirittura le cose o comunque di congelare all'infinito una
macchina organizzativa inadeguata.