nonviolenza biblica nel Secondo Isaia



Bibbia, violenza e nonviolenza
    Molti cristiani sono turbati dalla violenza presente nella Bibbia, addirittura attribuita a Dio, tanto più se vogliono essere cercatori di nonviolenza e costruttori di pace.
    Facendo maggiore attenzione al problema, si vede che la Bibbia è una lunga e varia narrazione e riflessione, che contiene un cammino di ricerca accidentato e tortuoso, con le sue contraddizioni, però con una linea sempre più chiara.
    Tra gli studiosi, un bravo biblista italiano, purtroppo morto prematuramente, Giuseppe Barbaglio, ha affrontato l'argomento in due libri. Propongo qui una semplice recensione del secondo, il minore e più accessibile: Amore e violenza. Il Dio bifronte (in calce e nel sito
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti ).
    Leggendo oggi, venerdì santo, un altro piccolo prezioso libro di un amico, teologo e biblista laico, Aldo Bodrato, L'avventura della Parola. Volti e voci del profetismo biblico (Effatà editrice, 2009), trovo un'altra indicazione importante, ben chiarita.
    Nel capitolo sul Secondo Isaia, e precisamente nell'analisi dei quattro "canti del Servo" (specialmente alle pagine 134-137), Bodrato mostra come, nella figura del Servo, il profeta prospetta un personaggio, portatore della salvezza di Dio, che è capace di "tradurre la forza in mitezza e la mitezza in forza", di "trasformare il mondo senza far uso della violenza e senza cedere ad irenici ottimismi, semplicemente guidandolo alla giustizia e alla pace con paziente chiarezza d'intenti, con sincerità di parola, con fermezza di fronte al dolore e alla temporanea sconfitta, con fiducia nella volontà di salvezza del Signore".
    Si tratta di una "nuova rivelazione: quella del Dio che salva attraverso la potenza kenotica dell'amore ben più che attraverso la forza guerriera del suo braccio" (kenosis è il termine greco usato nella bibbia cristiana, specialmente in Filippesi 2, per dire l'abbassamento e lo svuotamento di sé compiuto da Dio nella persona umana di Gesù, quindi la sua scelta di offrire un amore indifeso alla libera accettazione o rifiuto degli uomini, unica via per invitarli nella libertà all'amore che salva dal male).
    Gandhi conosceva e ammirava incondizionatamente le breatitudini evangeliche, ma non accettava la bibbia ebraica, in cui vedeva solo la divina durezza. Se avesse conosciuto questi testi del Secondo Isaia e questa interpretazione illuminata, forse vi avrebbe potuto leggere l'annuncio del messia mite, dalla forza nonviolenta, che possiamo riconoscere in Gesù Cristo, il vero volto nonviolento e forte di Dio.
    Enrico Peyretti
    Venerdì santo, 10 aprile 2009
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Libri

Dio bifronte: amore e violenza

Giuseppe Barbaglio, Amore e violenza. Il Dio bifronte, Pazzini editore, Villa Verucchio (RN) 2006, pp. 73, € 8,00

 

«Il nostro compito è toglierla [l’immagine di Dio] dalle mani dei lettori violenti

e metterla in quelle di lettori nonviolenti: l'obiettivo è il riscatto della Bibbia»

(Giuseppe Barbaglio, nel forum

«Il cammino di liberazione delle fedi del Mediterraneo», Bari, dicembre 2005).

 

L’Autore di questo libretto, teologo e biblista laico profondo e fecondo, morto troppo presto il 28 marzo 2006, ci lascia qui una sintesi del tema già affrontato ampiamente in Dio violento? (Cittadella, 1991). Anche nella Bibbia, come in generale nelle religioni, l’immagine di Dio è duplice: affascinante e tremendo. Il 90% delle scritture ebraiche e cristiane riflette questa ambivalenza, archetipo religioso riscontrabile persino in Gesù (pp. 19, 56),  ma lo straordinario è il 10% di immagini chiare di un Dio di amore.

La contraddizione non è (come credeva Marcione) tra scritture ebraiche e scritture cristiane, ma interna ad entrambe, anche se nelle seconde «cade il Dio bifronte per lasciar posto unicamente al Dio donatore di vita», di perdono e amore. Il Dio violento, punitivo, vendicativo, è frutto di proiezione della violenza umana in Dio, come supremo difensore e giustiziere. Così si vede Dio esercitare e comandare la violenza messa in atto dal popolo eletto contro i nemici. Si pensa che Dio debba togliere di mezzo i malvagi per realizzare un mondo di pace. Eppure, fin dall’inizio Dio vieta di uccidere, anche di uccidere Caino. L’umanità corrotta, Dio la stermina nel diluvio, ma ne conserva il seme, e poi si pente dello sterminio. Il popolo che ha eletto, lo libera dalla schiavitù sterminando gli egiziani (ma un midrash narra che Dio piange per loro), e gli assegna la terra promessa togliendola ad altri popoli. La contraddizione è intrinseca, con diverse accentuazioni nelle diverse tradizioni interne alla Bibbia.

Le sofferenze umane sono anzitutto viste come castigo divino per le nostre colpe. Ma questo schema è contestato nella Bibbia stessa, in Giobbe. Dio minaccia, ma perdona, e questo scandalizza Giona. I salmi invocano spesso la vendetta di Dio sui nostri persecutori, sapendo che sarà più giusta della nostra. L’esilio in Babilonia è il grande castigo di Dio sul popolo infedele, ma è anche l’occasione spirituale per comprendere meglio la sua presenza interiore e la sua misericordia.

«Al Dio che ama i buoni e punisce i cattivi subentra il Dio che ama tutti, perché tutti sono ugualmente sue creature» (p. 47). Il Battista annuncia ancora castighi, ma Gesù porta soprattutto un vangelo di misericordia, anche per i peccatori, per gli smarriti, purché non vogliano ipocritamente apparire giusti. Anche in Gesù ritorna il giudizio di salvezza o condanna, ma spicca in primo piano il Padre «che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Matteo 5,45): questa immagine di Dio scandalizza i religiosi. La morte di Gesù non è il castigo del Padre sull’umanità nel sacrificio del suo figlio migliore, fatto vittima della sua ira, ma il fedele e coraggioso offrirsi del giusto nello scontro col potere cieco e malvagio, per farsi scudo e riparo di tutti dal male, per purificare i cuori col suo cuore puro, donato fino all’estremo, perché non si rimedi più al male con vittime espiatorie, ma con l’amore che perdona e vivifica. Il Padre conferma la morte per amore del Figlio col dargli la vita risorta. Questa dinamica chiarificatrice si svolge negli altri scritti neotestamentari.

Il compianto Autore conclude: «L’immagine di Dio sta tra noi e lui: ecco perché è così importante che noi coltiviamo un’immagine non violenta di Dio, un’immagine che ci permetta di avvicinarci a lui e di diventare a nostra volta meno violenti. A sua volta, la nostra vita meno violenta ci aiuta ad approfondire l’immagine del Dio non violento: c’è un reciproco influsso tra l’immagine che ci facciamo di Dio e l’immagine che abbiamo di noi stessi e che guida la nostra esistenza e la nostra azione. L’immagine di un Dio non violento ci aiuta a camminare verso la nonviolenza: è questo il contributo che la teologia del Dio biblico offre a una cultura della pace» (p. 72).

Enrico Peyretti, sabato 7 aprile 2007