Re: [pace] Gli aquiloni di Gaza



condivido l'analisi, mi ritrovo nell'indignazione e nell'emozione profonda
provata in questi giorni
... se può essere utile pubblicheremo la lettera sul nostro sito
http://www.medmedia.org

Nadia Gambilongo


----- Original Message ----- From: "Ettore Masina" <ettore at ettoremasina.it>
To: <pace at peacelink.it>
Sent: Tuesday, January 20, 2009 9:22 AM
Subject: [pace] Gli aquiloni di Gaza



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Ettore Masina
<http://www.ettoremasina.it>http://www.ettoremasina.it
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LETTERA 138
gennaio 2009


Gli aquiloni di Gaza
Vi sono momenti in cui la storia e il vangelo si incrociano e pare si
confermino a vicenda. Il 28 dicembre di ogni anno la Chiesa rilegge la
pagina del Nuovo Testamento in  cui si racconta della strage di bambini di
Betlemme ordinata da Erode. La Chiesa definisce quei piccoli con il nome
di Santi Martiri Innocenti. In realtà si tratta di un racconto midrashico,
cioè simbolico: nessun testo storico registra un avvenimento del genere
nella Palestina di quel tempo. Adesso questo avvenimento e il nome che lo
descrive sono diventati realtà: proprio a partire dagli ultimi giorni del
dicembre scorso e proprio in  Palestina, decine e decine di bambini
vengono uccisi, non da sgherri assatanati ma da un esercito fra i più
potenti della Terra con generali, bandiere,  ferrea disciplina, minuziosi
piani di battaglia.
Perché Santi e Martiri quei bambini di Betlemme coetanei del Signore? La
liturgia risponde con una formula che a me pare stupenda: martiri e dunque
santi perché non loquendo sed moriendo confessi sunt, perché non con
parole ma con la morte hanno testimoniato il Cristo. Così, una volta di
più, la riflessione evangelica coglie il nesso intimo fra il Salvatore e i
più poveri dei poveri: il loro destino, la loro storia ignorata dai libri,
persino la storia effimera (di pochi giorni, mesi o anni) dei piccini
uccisi dalla violenza degli adulti sono storia sacra, inscritta nel
mistero della croce. Qualcuno mi ha detto tempo fa che nelle icone
ortodosse dell'Epifania la culla di Gesù bambino ha la forma di una bara.
(Ma le notizie che arrivano da Gaza mentre scrivo, il 6 gennaio, dicono
che la popolazione non riesce più a seppellire i suoi morti).
Non con le parole ma con la morte testimoniano la realtà tutti i piccoli
schiantati  dalla nostra follìa o dalla nostra inerzia. Siano i bambini
violati dai "turisti del sesso" o quelli schiacciati dalle fatiche di
certi lavori "minorili",  le creaturine vietnamite che nascono deformi a
causa dei defolianti disseminati dagli americani durante la guerra; o
siano  i ragazzini-soldati di certe aree africane o quelli uccisi,
mutilati o psichicamente straziati dai conflitti, come i piccoli afghani e
congolesi e sudanesi, quelli israeliani assassinati dai terroristi o,
adesso, quelli massacrati dall'esercito israeliano, le vittime infantili
del nostro tempo testimoniano che il male distende le sue ali di tenebra
in tutte le epoche e i luoghi, e può insediarsi nel cuore di ogni uomo.  I
bambini violati e uccisi  accompagnano con le loro ombre il nostro cammino
e vanificano con i loro lamenti o i loro insanguinati silenzi la nostra
pretesa di essere autori di una civiltà sempre più !
"umana": giusta, cioè, libera, generosa. E tenera.
Credo fermamente che nessuno di noi possa "chiamarsi fuori" da queste
realtà planetarie, che legami più o meno visibili ci saldino ai mali del
nostro tempo e che non sia possibile  uscire dalla nostra inevitabile
condizione di carnefici (o, almeno, di favoreggiatori di carnefici) se non
cercando di cogliere in tutta la sua valenza le nostre responsabilità.
Credo, cioè, che innanzi tutto il nostro dovere non sia soltanto di
piangere le piccole vittime ma di conoscere le condizioni storiche che le
hanno crocifisse, per vedere se non sia possibile da parte nostra qualche
intervento per un mutamento della realtà. Senza questa ricerca di
informazioni è come se ci rifiutassimo di vedere il volto di quei bambini,
di conoscerne il nome, di ascoltarne il lamento. Questa mancanza di
informazioni emerge più che mai, oggi, davanti a Gaza. Mi sembra
terribile: su un dramma planetario che da più di sessant'anni  insanguina
una Terra santa a tre religioni monoteiste, dunque a miliardi di p!
ersone, la gente ha idee confuse o addirittura non ne ha.
Gaza,  la strage di tanti bambini (e dei loro genitori), la nostra pretesa
di neutralità o addirittura la nostra compassione pesata al bilancino per
l'una e l'altra parte in lotta, sono infatti una tragedia alimentata dalla
disinformazione o dalla manipolazione dell'informazione. Se i palestinesi,
i loro diritti violati, la libertà che gli viene negata sono così spesso
ignorati da noi, cioè condannati, da mezzo secolo, all'insignificanza, è
perché l'opinione pubblica internazionale è stata fortemente condizionata
dalla propaganda israeliana. È ovviamente impossibile esaminare
dettagliatamente  come e perché, ma chi, come me, segue con attenzione, da
cinquant'anni la vicenda medio-orientale sa bene che  è un discorso
necessario per uscire da una situazione di profonda ingiustizia: e che si
possono porre, al riguardo, alcune considerazioni   incontrovertibili.
Bisogna cominciare da lontano: dopo la prima guerra mondiale, che aveva
disgregato l'impero ottomano, le cosiddette Gr!
andi Potenze  ridisegnarono a loro piacimento, con sprezzante cinismo, la
carta geopolitica dell'area. Con tutta la violenza dell'ideologia
colonialista, considerarono primitivi e indegni di piena libertà  i popoli
arabi: imposero loro monarchi feudali o  regimi corrotti, servili nei
confronti di Londra e di Parigi. Fu in quel tempo che si cominciò a
progettare, su pressione del movimento sionista, dei suoi amici altolocati
e della vergogna dei pogrom europei, uno stato ebraico da erigere nelle
antiche terre dei Patriarchi e dei Profeti. Subito dopo la seconda guerra
mondiale, il progetto fu tradotto in realtà. Fu la realizzazione di un
sogno per gli ebrei, ma una terribile sciagura per gli arabi che abitavano
da secoli la Palestina. Su di loro si abbatté come un maglio la cattiva
coscienza dell'Europa e degli Stati Uniti per non avere efficacemente
impedito il genocidio ebraico: il nuovo stato  fu insediato non già in una
regione semi-deserta ("Una terra senza popolo per u!
n popolo senza terra")¿Le guerre dei regimi arabi contro lo St!
ato ebra
ico rinforzarono questa supremazia mediatica: i farneticanti proclami del
loro odio, la loro incapacità di promuovere l'idea di uno stato pluralista
e laico anziché di due stati creati con   drammatici spostamenti della
popolazione locale, rinsaldarono nell'opinione pubblica internazionale
l'immagine di un piccolo Israele permanentemente minacciato da una enorme
valanga di nemici e dunque costretto a un duro esercizio della forza. Ben
pochi si accorsero, nel passare degli anni, che questa immagine era sempre
meno autentica perché non teneva conto dei crescenti aiuti e garanzie
prestati dagli Stati Uniti allo stato ebraico, tali da creare ormai una
realtà inattaccabile dai suoi vicini: uno stato che possiede il quinto
esercito della Terra per potenza di fuoco e un rilevante armamento
nucleare Chi ha indicato questa evidente realtà, sostenendo che, ormai
garantita la sicurezza di Israele, era giunto il momento di chiedergli  un
maggiore e sincero assenso a una pace che garanti!
sse giustizia ai palestinesi, è stato sempre messo a tacere con l'accusa
di antiebraismo: vorresti forse una nuova Shoah? Tre generazioni di
israeliani si sono ormai succedute dalla fondazione del nuovo Stato,
accade persino che i nonagenari scampati al genocidio lamentino che il
"loro" governo lesini aiuti alla loro vecchiaia, la caratteristica di
Israele come "stato-rifugio" per gli ebrei in diaspora è ormai una
romantica illusione, ma l'accusa di antigiudaismo viene ancora rivolta a
chi critica i governanti di Israele. Qualche volta l'accusa è di
"antisemitismo": i filo-israeliani meno colti non sanno neppure che anche
i palestinesi sono semiti.
Le sconfitte arabe hanno consegnato a Israele, di fatto, l'intera area
destinata, secondo gli illusori progetti dell'ONU, a uno stato
palestinese. Questo avvenimento epocale ha stravolto gli stessi
fondamenti ideali  dello stato ebraico. Nella sua dichiarazione di
Indipendenza stava scritto: "Lo Stato di Israele si  dedicherà allo
sviluppo di questo paese per il bene di tutti i suoi cittadini; sarà
fondato  sui principi di libertà, giustizia e pace, e sarà guidato dalla
visione dei profeti di Israele; garantirà pieni e eguali diritti, sociali
e politici, a tutti i suoi  cittadini, indipendentemente dalle differenze
di religione, di razza o di sesso; tutelerà  la libertà di religione, di
coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura". Di fatto, invece,
Israele, quasi sospinta da un vento malvagio, si è trasformata in una
potenza brutalmente coloniale che opprime con continue violazioni dei
diritti umani un popolo in crescente disperazione. Centinaia di
risoluzioni dell'!
ONU contro questi eccessi sono finiti nei cestini della carta straccia
premurosamente forniti dagli Stati Uniti, grazie al loro potere di veto.
Hanno vita durissima i pacifisti israeliani, coraggiosi, creativi,
incessanti costruttori di ponti fra i due popoli che il cinismo dei
governanti distrugge  demolendo ogni speranza di pace. Nello stato ebraico
sono presenti, distruttivamente, forze politiche che sognano di
costringere gli arabi a un esodo definitivo dalla loro terra, altre, più
numerose, che premono per la costruzione di un regime permanente di
apartheid  affidato all'esercito perché lo indurisca di quando in quando
affinché i palestinesi "non creino problemi ", altre ancora disponibili
alla creazione di uno stato arabo ma a pelle di leopardo: bantustan
collegati fra loro da esili corridoi. Queste forze eversive si sono sempre
schierate (esplicitamente o sotterraneamente) contro ogni piano di pace.
Certamente, al riguardo, non mancano responsabilità palestinesi. Ver!
gognosamente traditi d¿ Gli psicologi israeliani denunziano l'!
insorgen
za di nevrosi collettive. Vi sono segni di insensibilità crescente. Eccone
uno, di oggi: "Piombo fuso" è un giocattolo donato ai bambini israeliani
nella recente festa di Hanukkah.  I generali hanno dato questo nome
(Operazione Piombo fuso) ai piani dell'offensiva contro Gaza. I generali
sanno bene che metà della popolazione di Gaza ha meno di 15 anniS  E sanno
che Gaza e la Striscia, con 2500 persone per chilometro quadrato, sono la
più popolosa area della Terra. Bombardarla dal cielo e dal mare, come si
sta facendo, o invaderla per combattere casa per casa significa mettere in
atto un macello che ricorda certe imprese naziste.
Scrivo queste cose non per esecrare il popolo di Israele, al quale auguro
invece di tutto cuore di diventare propulsore di pace e di benessere, ma
perché sono convinto che molti non le sappiano, e che, invece, la
diffusione della verità sia la strada necessaria alla giustizia. Ma
interessa la verità  ai mass-media italiani? Voglio raccontare un episodio
al  riguardo. Nel 1991 ero presidente del Comitato della Camera per  i
diritti umani.  L'agenzia dell'ONU per i profughi mi invitò a portare una
delegazione di parlamentari in visita ai campi in cui si accalcavano
decine di migliaia di palestinesi. Fu un'esperienza drammatica: vedemmo un
popolo che ci sembrò allo stremo, angariato da anni in mille modi, portato
al furore da una congerie di leggi, decreti, bandi militari che ne
impedivano ogni crescita e libertà. Ricordo come questa mancanza di
diritto fosse evidente a Gaza, immensa metropoli di poverissima gente. Gli
occupanti vi applicavano leggi israeliane, egiziane e persi!
no del mandato britannicoS Tornati a Roma presentammo la nostra relazione
al presidente della Commissione Esteri, Flaminio Piccoli. Egli rilevò che
nonostante la diversità politica (la delegazione "andava" da Democrazia
Proletaria al MSI), il documento era unitario e  la documentazione era
importante. Decise di convocare una conferenza stampa. I giornalisti
accreditati a Montecitorio sono più di 300. Non uno (non uno, avete
capito bene) venne ad ascoltarci.
Milioni e milioni di italiani (la grande maggioranza) hanno come esclusiva
fonte di informazione il TG1. Da anni questa testata affida il notiziario
sull'area medio-orientale a un giornalista, Claudio Pagliara, che è
certamente assai meno obiettivo deii giornalisti israeliani. Per esempio,
continua a ripetere che l'offensiva israeliana è dovuta israeliana al
fatto che Hamas aveva rotto la tregua stabilita con Israele. In realtà
Hamas ha deciso di non rinnovare la tregua scaduta, motivando questa
decisione con l'inasprimento del blocco alla Striscia e il bombardamento
del 4 novembre, che ha causato la morte di 6 miliziani. In questo modo -
ha scritto la stampa israeliana - si è  "innescato un nuovo ciclo di
pericolosa, anche se controllata, violenza, caratterizzata da occasionali
colpi ed incursioni da parte di Israele e da corrispondenti lanci di razzi
e  spari da parte palestinese" (Daniel Levy, Haaretz, 19 dicembre").
Tzahal, l'esercito israeliano, non consente ai giornalisti di entrare
nella Striscia e dunque le notizie che ci arrivano dai luoghi della
battaglia sono tutto fuorché obiettive; ad aumentare questo squilibrio, il
giornalista del TG1 è prodigo di servizi sui danni   che i razzi di Hamas
procurano ad alcune città israeliane. Ora questi lanci sono un'iniziativa
criminale ma non sono, purtroppo, una prerogativa di Hamas. Pagliara ha
sempre taciuto che da anni - e anche durante i tentativi di trattative di
pace - Tzahal  lancia missili sui territori occupati, dichiarando che si
tratta di "esecuzioni a distanza" di supposti criminali. Questi missili
hanno provocato ormai centinaia e centinaia di "danni collaterali"
palestinesi. I missili sono intrinsecamente diversi dai razzi?
Tanto meno il giornalista italiano ha espresso i dubbi dei suoi colleghi
israeliani sulle reali ragioni dell'attacco a Gaza. Per esempio: "Fonti
dell'establishment della Difesa hanno dichiarato che il ministro della
difesa Ehud Barak ha ordinato alle Forze Aeree Israeliane di prepararsi
per l'operazione più di sei mesi fa, anche mentre Israele iniziava a
negoziare un accordo per il cessate il fuoco con Hamas". (Barak Ravid,
Operation "Cast Lead": Israeli Air Force strike followed months of
planning, Haaretz, 27 dicembre 2008).
Infine l'inviato del TG1 non si è mai dilungato sulle sofferenze inflitte
alla popolazione di Gaza dall'assedio israeliano sottolineate da altri
suoi colleghi: "L'assedio di Gaza ha distrutto per un'intera generazione
la possibilità di vivere una vita degna di essere vissuta" (Tom Seghev,
Haaretz 29 dicembre 2008); e anche "Mancano l'acqua, l'elettricità, i
medicinali e il personale sanitario è spesso costretto alla drammatica
scelta di quali feriti curare e quali abbandonare a se stessi, (New York
Times, 1 gennaio 2009).
Concludo questo tragico cammino per le strade insanguinate della Palestina
e di Israele facendo mie le parole con le quali Pietro Ingrao ha
commentato la strage in atto a Gaza: "Sono convinto che non è con quella
violenza iniqua che Israele può tutelare il suo domani. Anzi credo, temo
che con questa aggressione infausta essa seminerà nuovo alimento per gli
estremisti disperati di Hamas". Nel 1991 io credetti di vedere nascere nei
campi profughi una nuova leva di kamikaze. Ricordo gli occhi di un
quindicenne a Deishah mentre mi raccontava del pianto disperato di una sua
sorellina quando, a un chek-point un soldato le aveva sventrato una
bambola, convinto che in essa si celasse dell'esplosivo. A Gaza ci sono
più di 750 mila bambini. Ricordo con il cuore che piange gli aquiloni che
essi levavano in mezzo al fango dell'inverno in cui li vidi e che mi
sembrarono speranze levate verso il cielo. Quanto odio sta fermentando nel
cuore di quei piccini, accanto alla paura? Non solo le !
lacrime degli orfani ma anche il rancore muto, e forse ancor più desolato,
degli orfani "psicologici": quelli che si sentono traditi da un padre che
sembra non sapere, non volere difenderli, lui stesso terrorizzato,
affamato. Che ricco raccolto per gli estremisti, per la violenza del loro
odio che a un bambino può sembrare forza. I sedicenti amici di Israele non
lo capiscono?
La pace è una bambina che corre verso un rifugio in cui sentirsi
finalmente al sicuro. Palestinese o israeliana, che importa? Il suo grido
dovrebbe strapparci alla nostra inerzia, che forse non è tale ma disperata
sensazione di inutilità. Ma non dobbiamo cedere al pessimismo della
ragione. Come cittadini, come cristiani (quelli di noi che osano dirsi
tali) dobbiamo trovare modi per far sentire ai nostri governanti  che la
loro prudenza ci sembra viltà. Nella triste decadenza dei partiti la
nostra solidarietà deve trovare nuove forme. Internet ne offre e non
dobbiamo ritenerle troppo piccole, troppo deboli. Tra il poco e il nulla
c'è un abisso.
Ai diplomatici Benedetto XVI ha detto che per vincere "l'inaudita
violenza" dell'attacco a Gaza è forse necessario un ricambio generazionale
dei governi, dunque un grande coraggio. Io ricordo quello di Paolo Vi che,
per riportare lo sguardo della Chiesa sul mistero del Cristo, non si
lasciò fermare dalla situazione militare della Terra Santa, ma sfidò la
prudenza dei diplomatici annunziando con semplicità che lui sarebbe
comunque partito. Davanti a lui, almeno per qualche ora, si aprì una
meravigliosa strada che io ricordo di avere percorso con Eugenio Montale:
era un viottolo che zigzagava fra crateri di bombe nella no men's land, la
terra di nessuno fra la Gerusalemme della Legione Araba e quella di
Tzahal. Per qualche ora la Città Santa tornò una, la Bella dei Profeti,
del Vangelo e del Corano.
E però noi non possiamo richiedere coraggio soltanto ai governanti. Decine
di riservisti israeliani in questo momento si stanno trasformando in
refuznik, obiettori di coscienza, che per questo saranno incarcerati. Non
vogliamo assomigliargli almeno un poco? Davvero ci terrorizza la
probabilità di essere definiti "amici di Hamas"?
Ettore Masina












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