Verità, sincerità, convenienza, relativismo, nichilismo



Dire la verità

La sincerità non è ancora la verità, ma ne è il primo grado, cioè la veridicità, il “dire” le verità di fatto, le cose come stanno, e almeno la verità che conosco: «Chi potrà salire sul tuo santo monte? Chi dice la verità che ha nel cuore» (salmo 15). Forse ciò che so, che mi risulta, non è la verità esatta, intera, ma è ciò che vedo e so. Questo devo dire, e allora la mia parola è onesta, veridica, veritiera. E se anche tu mi parli in verità, entrambi cresciamo nella verità. La persona sincera non possiede la verità, ma è sul cammino della verità.

Ma se dico non ciò che so e vedo, ma solo ciò che mi conviene; se il mio dire è tutto arma contro il mio avversario; se la mia parola è partigiana, partito preso, posizione collettiva impersonale, allora sono mentitore. La menzogna, o anche la parola sospetta perché utilitaria, avvelenano la relazione umana. Non so se ho davanti un uomo libero e pensante, responsabile, oppure uno strumento parlante. E tu hai lo stesso timore a mio riguardo. Quando le parole pubbliche, i messaggi politici, culturali, sono tutti e solo utili a una parte contro l’altra, allora non c’è più verità nel discorso pubblico, non ci sono più neppure fatti certi, tutto è sospetto e minaccioso-minacciato, nulla è credibile, non c’è umanità, ma rapporti tra uomini finti. Allora l’umanità è perduta, nessuno può riconoscersi nell’altro. È come se ogni volto attorno a noi scomparisse, e gli altri fossero sagome vuote, ma pericolose.

Tra noi tutti, più ancora del denaro, circola la parola. Quando la parola è una moneta falsa, svalutata, sospetta, i nostri rapporti sono rovinati più ancora di quando il commercio è fraudolento. La frode in parola è frode in umanità. Relativismo e nichilismo, quando significano questo, sono davvero mali profondi, gravi, mortali. La parola soltanto relativa a chi parla, ma non elemento della relazione interpersonale; la parola che non dice la realtà, ma rimbomba di niente, è qualcosa che disintegra l’unità umana. Senza una qualche modesta verità comune, senza ricerca di un modesto basilare bene comune, non c’è umanità, non c’è società, ciascuno è solo, minacciato, impaurito, allarmato, senza amici né ambiente amico, aggressivo perché aggredito nella sua essenza umana di essere dialogico.

Quando, in politica come nel quotidiano, tutti dicono di tutti: «Fanno soltanto il loro interesse», allora l’unica cosa comune è la perdita dell’umanità altrui, perciò anche della propria. Riconoscere una certa verità e una qualche ragione, seppur dicutibile, nell’avversario, è la via d’uscita da questa perdita; senza affatto smettere la critica onesta, è il ponte verso la comune umanità.

Enrico Peyretti, 7 dicembre 2006