Newsletter Osservatorio Iraq; 18/2005







Newsletter Osservatorio Iraq
18/2005

17 novembre – 2 dicembre 2005



Mercoledì 30 novembre. E’ il giorno dell’atteso discorso di Bush, che
ribadisce i suoi punti fermi: in Iraq va tutto sempre meglio, e gli Usa non
si ritireranno finché lui sarà presidente.

Ma il ritiro delle truppe è già cominciato: non di quelle statunitensi, ma
di quelle degli altri paesi che
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1701>partecipano alla
missione in Iraq. Della “coalizione dei volenterosi”, forte all’inizio di
44 membri, fanno oggi parte meno di venti paesi. Le ultime truppe in ordine
di tempo a partire sono quelle dell’Ucraina, che pochi giorni fa hanno
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1689
>lasciato all’esercito iracheno il controllo della città di Kut.

Dopo due anni, gli iracheni continuano a chiedere di governare in maniera
autonoma: i risultati dell’ennesimo
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1710>sondaggio
, condotto da un centro di ricerca iracheno, mostrano che la maggioranza
degli intervistati vuole il ritiro immediato delle truppe di occupazione
dal paese, e rifiuta la presenza straniera in Iraq sotto qualunque forma
essa venga regolamentata.

Di recente, i lavoratori della centrale elettrica di
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1694>Musseyba ,
nei pressi di Baghdad, hanno visto la loro fabbrica trasformata in una base
militare dalle forze armate statunitensi : anche questa è occupazione.

La questione della necessità di un ritiro è stata sancita anche dalla
riunione
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1695>preparatoria
alla conferenza di riconciliazione nazionale, che si è svolta al Cairo dal
19 al 21 novembre. Per la prima volta, le diverse forze politiche irachene
si sono trovate d’accordo nel chiedere il ritiro delle forze straniere dal
paese secondo un calendario.

Forse questo è il motivo per cui il tema sembra meno all’attenzione della
campagna elettorale in vista del voto del 15 dicembre. Vengono invece alla
luce gli altri problemi che affliggono l’Iraq: non a caso l’ex premier Iyad
Allawi ha di fatto aperto la sua
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1703>campagna
elettorale   presentandosi come paladino dei diritti umani.

Del resto sarebbe impossibile non parlarne: sono sempre più numerose le
denunce degli abusi della polizia, come ricorda il settimanale Observer in
un suo recente
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1705>articolo,
che si intrecciano con quelli commessi dalle
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1680>milizie
, spesso protette dalla stessa polizia.

Senza parlare poi degli omicidi mirati, che hanno causato in due anni la
morte di oltre duecento
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1709>docenti
universitari   .

Sono
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1682>i
morti non contati   , quelli nascosti, quelli dimenticati: intere categorie
professionali che rischiano di sparire dal paese, mettendo a repentaglio il
suo futuro intellettuale.

L’assenza di sicurezza e di diritto, sia essa provocata dalla polizia
irachena o dalle milizie, colpisce adesso anche la piccola economia:
secondo quanto riportato dal quotidiano iracheno
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1712>Azzaman 
, sono duecento i commercianti di Baghdad che negli ultimi mesi hanno
scelto di chiudere la propria attività e di fuggire all’estero. Il crollo
dell’economia quotidiana è segno di un paese sempre più
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1676 >povero
, dove si fugge da un luogo all’altro cercando di sopravvivere con i pochi
soldi a disposizione e il poco lavoro.

La situazione dell’Iraq dunque non è così rosea come l’ha descritta George
W. Bush nel suo discorso. E il timore che possa diventare evidente a tutti
spinge i militari in Iraq a scrivere essi stessi
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1715>gli
articoli sui giornali   , immaginando un paese che non c’è.

Difficilmente scriveranno di quello che avviene nella provincia di Maysan,
da mesi sottoposta ad una
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1704>“guerra
di logoramento”  , o racconteranno dei profughi e degli sfollati della
provincia di
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1716>Al
Anbar  . In Iraq, va tutto per il meglio.




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