aggiornamento nablus



Ricevo e inoltro dai peacekeepers campani
Nathan Never

LA GUERA DELLE OLIVE  (Persichetti e Dedella)

Nablus, 5 Luglio 2005

(Persichetti)
La rumorosa battaglia virtuale sul cosiddetto "Piano di disimpiego" (smantellamento degli insediamenti e ritiro dell'esercito dalla striscia di Gaza) nasconde alla maggior parte degli israeliani un'altra guerra molto reale che si sta svolgendo non lontano.
Da tre anni ormai i campi di olivi durante la stagione autunnale del raccolto, dietro la linea verde, sono diventati campi di battaglia. 
La guerra delle olive (come è stata denominata dai media israeliani) inizio' nel 2002.
Dopo l'operazione scudo difensivo, i contadini palestinesi subirono per la prima volta ingenti danni ad opera dei coloni, senza che l'esercito intervenisse. Furti di olive ebbero luogo sotto gli occhi di tutti. Con l'inizio della costruzione del muro di separazione antichi alberi di olivo molto produttivi, fonte di sostentamento di intere famiglie palestinesi, divennero piante ornamentali nei giardini di ricchi israeliani, alla stregua di piante esotiche. A quell'epoca questi fatti facevano ancora notizia, ed i media riportarono numerose dichiarazioni di condanna dell'operato di coloni e militari; Zeev Shiff, corrispondente militare di Ha'aretz, solitamente ben informato, scrisse :"L'esercito privato dei coloni ha cominciato a sostituirsi alla legge, in dispregio delle forze regolari dell' IDF" ("l'esercito dovrebbe porre fine ai saccheggi", Ha'aretz, 30 ottobre, 2002). 
Il giornale israeliano di orientamento conservatore maggiormente diffuso Yedioth Adharonot dedico' un'intero supplemento a questo argomento dopo aver inviato un suo corrispondente che si fece assumere come bracciante giornaliero, per la raccolta delle olive in un insediamento. Egli descrisse nei dettagli tutto cio' che avveniva: ai contadini veniva negato l'accesso ai loro campi, la raccolta veniva fatta dai coloni, servendosi di lavoratori tailandesi; l'olio veniva spremuto dalle olive rubate e venduto in Israele. Gli alberi dei palestinesi, nelle vicinanze degli insediamenti, venivano bruciati o abbattuti. Un altro giornalista scrisse un servizio sull'itinerario degli alberi che venivano sradicati con il pretesto della costruzione del muro di separazione: intraprendenti proprietari di vivai si sceglievano le piante migliori (molte delle quali erano state piantate all'epoca dei romani) e andavano via con la "merce" da vendere ai loro clienti.
Non e' esagerato affermare che queste notizie scioccarono i lettori israeliani piu' delle notizie delle uccisioni o delle persone ferite, o delle sofferenze inflitte a causa della muro.  Nella mentalità dei cittadini comuni, ogni cosa associata alle attività miltari e al muro rientra nella categoria della "Sicurezza dello Stato", quindi non criticabile.
Ma quando le persone vengono derubate dei frutti del loro lavoro, quando olivi millenari vengono sradicati al cospetto di contadini inermi, beh tutto questo e' difficile da giustificare con ragioni di sicurezza. 
La campagna mediatica del 2002 non ha cambiato nulla; e non solo la situazione non e' migliorata, ma e' divenuta ancora piu' difficile e confusa. 
Oggi siamo stati in un villaggio (Tana) a pochi kilometri da Nablus 

TANA!
(Dedella)
…tanto per rimanere in tema: TANA!!! 31 salvitutti. 
In questo leggendario gioco dire TANA è sinonimo di sollievo, liberazione, scampato pericolo o addirittura vittoria. "Come è amara la vita", direbbe Lubna, perchè la stessa parola qui è stata scelta come nome di una piccola frazione di un villaggio vicino Nablus.
Poche capanne fatte di lamiera, una piccola scuola, una vecchia moschea. Servivano ai pastori in alcuni periodi dell'anno, ci tenevano i mangimi, il cibo, gli strumenti del mestiere, per alcuni periodi ci vivevano, un po meno di una casa, un po più di una bottega. Questa era Tana...era perchè ora non c'è più. 
In un paio d'ore pochi buldozer hanno raso tutto al suolo, ad eccezione della moschea, perchè in fondo gli israeliani sono uomini di fede e certe cose le rispettano. Non si puo’ dire la stessa cosa per la proprietà altrui, ne tanto meno per la dignità delle persone, per il lavoro secolare di gente semplice, per la storia di piccole grandi comunità. Ci hanno chiamato chiedendo di raccogliere con la telecamera questa ulteriore testimonianza della lenta agonia del popolo palestinese. L'abbiamo fatto non solo con gli occhi, ma, mi sento di poter parlare a nome di tutti, anche col cuore. Avremmo voluto abbracciarli tutti (sarebbe venuto il muezzin in persona ad incatenarci al minareto x farci pregare 5 volte al giorno, fino ad imparare il corano a memoria, per una promiscuità cosi’ grave) quei pastori che tra le lacrime ci mostravano quel che rimaneva, le impronte dei buldozer, i banchetti dela scuola distrutta, la moschea ancora in piedi, e in ultimo, forse la reale causa di quella devastazione: una fonte d'acqua.
Vicino Tana (a 2 km) c'è “Itamar” colonia israeliana, e quell'acqua, probabilmente, farebbe tanto comodo. 
Il lavoro di una vita, tradizioni di famiglia, ricordi, fortuna, identità, dignità, insomma tutto ciٍ che rende la vita degna di questo nome, è stato spazzato via in poche ore, ingranando la marcia di un cingolato. Ci hanno consegnato la loro rabbia e il loro dolore per farcelo raccontare, ed io non posso far altro che ingoiare il groppo alla gola, ringraziare di tanta fiducia, di tanta ospitalità, anche nella tragedia, e scrivere. 
Mi hanno guardato attoniti quando ho fatto la domanda più stupida del mondo: " Ma da quanto siete qui, su questo pezzo di terra? " ed addirittura increduli di fronte alla mia ingenuità quando ho continuato con "e ora che avete intenzione di fare? ". Per loro la risposta era ovvia: loro solo li da sempre, da generazioni, e per quanto possa essere duro, faticoso e lungo, le loro case le ricostruiranno. Perchè quel pezzo di terra è la loro terra e non gliene frega niente se qualcuno in lontane e fredde città europee ha deciso che quella è zona C, cioè sotto il totale controllo dell'autorità israeliana.

(Persichetti)
Per un contadino che abita in uno dei nostri paesi, che si affacciano sul Mediterraneo, l'olivicultura e' alla base della vita. La raccolta delle olive era come una festa che durava un mese e mezzo: per quel periodo la famiglia si trasferiva in pratica nel proprio appezzamento. Un buon raccolto di olive era l'annuncio di un anno di abbondanza e riforniva intere industrie. La raccolta nella coscienza nazionale palestinese ha acquisito un significato sia pratico che simbolico negato dalla brutale interferenza con i ritmi e dallo sconvolgimento di un ordine stabilito da generazioni.
Dai palestinesi e dalle palestinesi tutto cio’ e' percepito come una catasrofe nazionale, come morte la di una cultura.

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