legge sul lavoro in libano



diffondo questo articolo di christian elia, giornalista di peace-reporter,
sul nuovo provvedimento che dovrebbe abolire la dicriminante legge sul
lavoro in libano, che non permette ai rifugiati palestinesi di esercitare
un cospicuo numero di professioni.
persiste il divieto di associazionismo, di conseguenza rimane negato
l'accesso a tutte quelle professioni lavorative che prevedono l'iscrizione
ad un albo.
mrc

questo è il link dell'articolo:

http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idpa=&idc=3&ida=&idt=&idart=3140

Tra le forme di discriminazione più originali merita un posto di riguardo
la legge libanese che impediva ai profughi palestinesi nati in Libano, che
vivono in quel Paese dai tempi della prima guerra israelo-palestinese nel
1948, di svolgere 73 tipi di lavori. Adesso sembra che sia finita.

Riforma di civiltà.

Tarrad Hamadeh,  ministro del Lavoro del Libano, ha annunciato di aver
revocato il provvedimento il 28 giugno scorso. Quindi adesso i palestinesi
che vivono e lavorano in Libano possono sentirsi, se non completamente
equiparati, almeno un po' più liberi di condurre una vita dignitosa.
Restano alcuni distinguo, come l'inibizione per i palestinesi a svolgere
tutte le professioni che necessitano di un'iscrizione a un albo
professionale: ingegnere, architetto, medico e avvocato. “Con questo
provvedimento”, ha annunciato il ministro, “ho voluto restituire ai
palestinesi i loro diritti”. Il provvedimento, oltre che ai palestinesi
figli di profughi nati in Libano, sarà esteso anche a tutti i palestinesi
che hanno il permesso di residenza o risiedono nel Paese dei cedri da
oltre dieci anni. L'Autorità Nazionale Palestinese ha salutato la
decisione del governo libanese con gioia e ha fatto sapere di considerarla
“un passo nella giusta direzione”.

Una massa di lavoratori.

Per sottolineare l'importanza della decisione, basta fare una riflessione
sui numeri. Secondo Saleh al-Adawi, responsabile del sindacato dei
lavoratori palestinesi in Libano, a beneficiare di questa riforma saranno
circa 325mila lavoratori di origine palestinese. La motivazione che veniva
data all'esclusione dei discendenti dei profughi palestinesi dalle 73
occupazioni elencate nella legge, fino a oggi, era che si voleva impedire
ai profughi di mettere radici in Libano. Pubblicamente lo si faceva per
un'interpretazione un po' forzata del concetto di sostegno alla causa
palestinese. Secondo la versione ufficiale infatti, impedire ai
palestinesi d'insediarsi definitivamente in un Paese nel quale erano
profughi era un modo di sostenere i loro sforzi tesi al ritorno a casa.
Più prosaicamente però, per molti, era uno strumento come un altro della
battaglia religioso-demografica che si combatte in Libano. La popolazione
del Paese dei cedri infatti è divisa tra cristiani e musulmani, con un
equilibrio precario. Il totale inserimento della comunità palestinese
avrebbe, in modo irreversibile, alterato questo equilibrio a favore dei
palestinesi.

Un futuro più sereno.

“C'è molta malizia coinvolta in questa interpretazione”, ha ribattuto il
ministro Hamadeh, “forse che se i palestinesi muoiono di fame, saranno in
grado di tornare a casa loro?”. La smentita di Hamadeh è volta al passato
però e oggi la comunità palestinese in Libano festeggia la riforma della
legge. Per molti osservatori però, non a caso, il provvedimento arriva a
pochi mesi dall'esodo di centinaia di lavoratori siriani che, fino alle
manifestazioni oceaniche contro il governo di Damasco che hanno mobilitato
la società libanese dopo l'omicidio di Hariri, rappresentavano la
maggioranza della forza lavoro. L'esodo quindi avrebbe causato degli
sconvolgimenti nel mercato del lavoro libanese. Ma sono tutte illazioni,
che non avranno mai risposta. Resta la riforma che, seppur in modo
inconpleto, restituisce ai palestinesi che lavorano in Libano la dignità
di poter scegliere quello che vogliono fare per guadagnarsi la vita con
dignità.

christian elia