"Giano" 50 - indice - editoriale



Cari amici,
                 sta per uscire il n. 50 di "Giano". Vi inviamo in anteprima
l'indice e l'editoriale di L. Cortesi, 1945-2005: sessant'anni dalla guerra
e dalla Resistenza.
Cordiali saluti
Vincenzo Pugliano
per la Segreteria di Redazione

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"Giano" pace ambiente problemi globali

Rivista quadrimestrale intredisciplinare - n. 50, maggio 2005, a. XVI

Questo numero / This Issue

Editoriali
Luigi Cortesi, 1945-2005: sessant'anni dalla guerra e dalla Resistenza
Massimo Serafini, Nucleare? Ancora una volta: "No, grazie!"

Dossier Acqua
a cura di Vittorio Sartogo

Premessa. La crisi idrica globale
Giorgio Nebbia, L'acqua, dalla natura alla merce
Fabio Marcelli, Acqua, sovranità sulle risorse naturali e patrimonio comune
dell'umanità
Federico Valerio, Fiumi, laghi e mari: un sistema integrato per lo
smaltimento dei rifiuti
Vittorio Sartogo, Mediterraneo. Ecologia dell'acqua, ecologia dei rapporti
sociali
Marina Forti, Dighe, "progresso" e violenza sociale
Michele Paolini, Leviatano e Behemot. Nota sui corridoi marittimi e i punti
di strozzatura
Francesco Martone, La Banca mondiale, l'Fmi e la privatizzazione dell'acqua

Quadrante

Raniero La Valle, Sul pensiero e sull'opera di Karol Woityla e sul nuovo
papato
Diana Johnstone, Il lato militare della Costituzione europea
Jamal Juma, Palestina: la "terza fase" del Muro israeliano (a cura di Anna
Cotone)
Patrizia Zanelli, Riforme in Egitto: la spinta sociale e le distorsioni di
Washington
Sheik Hassan Al Zargani,"Resistenza a viso scoperto". Intervista a cura di
"Iraq libero"

Analisi.
Raffaele Nocera, La "rivoluzione bolivariana" in Venezuela

Inedito.
Pier Giovanni Donini, Cattolicesimo e Islam

Note critiche.
Domenico Di Fiore, L'Occidente diviso di Jürgen Habermas

Lettere a "Giano".
Andrea Panaccione, A proposito di Ucraina e democrazia, con postilla di
Luigi Cortesi

Libri
Recensioni
Le XX siècle des guerres (Mariagrazia Meriggi); O. Bartov, Fronte
orientale - H. Mommsen, La soluzione finale (Luigi Cortesi); M. Armiero - S.
Barca, Storia dell'ambiente (Silvio Silvestri)
Segnalazioni
a cura di Luigi Cortesi, Rosa Colleoni, Enrico Maria Massucci, Raffaele
Nocera, Vincenzo Pugliano, Patrizia Zanelli, Gabriele Garibaldi, Silvio
Silvestri.

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Editoriale


1945-2005: sessant'anni dalla guerra e dalla Resistenza

di Luigi Cortesi







Anche questo sessantesimo anniversario della fine della seconda guerra
mondiale e della Resistenza non sembra propizio ad analisi e ad acquisizioni
critiche nuove. Se anche qualche voce si leva dal campo degli studi e del
pensiero critico essa è coperta dal gran berciare mediatico-pubblicitario e
dalle sempre più oblique mediazioni culturali dei pensatori da terza pagina.
Le idee che vengono diffuse al grosso pubblico della guerra e dei suoi
contesti, delle forze e degli interessi in campo, delle opposte "ragioni",
degli svolgimenti sperati dalla vittoria e in parte concordati e degli esiti
effettivi - sono quanto di più lontano possa immaginarsi dalla realtà
storica. Alcune falsificazioni semplici e di facile presa sono alla base
della Grande Menzogna, altre fanno sì che l'elaborazione del passato sia
soltanto parziale; e tutte insieme portano a rovesciare il senso della
nostra storia, in una gigantesca operazione di rimozione e sostituzione che
deve radicarsi nella mente dei figli e dei nipoti.

Facciamone una breve e parziale rassegna. Il patto Ribbentropp-Molotov è
stato la vera origine della guerra, il cui peccato originale è quindi
impresso nell'anima dei comunisti; fascismo e comunismo erano infatti, a
pari titolo totalitario, nemici della civiltà e dell'Europa; gli Stati Uniti
d'America sono corsi per la seconda volta a salvare il vecchio, caro
Continente; ed è stato un salvataggio disinteressato, non da un solo nemico,
ma dal doppio volto del male; nella sfida tra le forze della morte e dell'
abisso è quindi la Democrazia che esce vincitrice e vergine, per proporsi al
mondo - già allora - come "fine della storia"; la lotta antifascista e la
Resistenza sono infiltrate e sporcate dai "rossi"; i movimenti di
liberazione delle colonie o vengono fatti scomparire dal quadro o vengono
riconfigurati nel profilo più acconcio alle sorti magnifiche e progressive
di un Occidente naturalmente virtuoso. Basta così.

Nessuno (o quasi) ricorda più che le origini e le vicende della seconda
guerra maturarono in un processo infausto (quello che viene comparativamente
definito come "nuova guerra dei Trent'anni") nel quale - se i regimi
fascisti furono la parte ideologicamente e politicamente promotrice - le
Potenze democratiche ebbero responsabilità gravissime; che l'Urss ne veniva
di fatto isolata e messa in mortale pericolo; che l'orrore del patto
germano-sovietico dell'agosto 1939 fu figlio dell'orrore del patto di Monaco
del settembre 1938; che gli Stati Uniti intervennero (vennero trascinati)
tardivamente in guerra, con la faccia rivolta assai più ai loro interessi
imperialistici nel Pacifico che alla civiltà euro-atlantica; che la ferma
condotta di guerra della Gran Bretagna fu resa possibile soprattutto dalla
resistenza dell'Urss - per i tre anni centrali della guerra sola ad opporsi
all'espansione della coalizione nazi-fascista, sola a sostenere l'urto e a
vincere - fino allo sbarco in Normandia del giugno 1944; che ai 27 milioni
di morti militari e civili sovietici del fronte orientale sono impari
contrappeso - dispiace usare questo linguaggio - le centinaia di migliaia di
caduti delle tre grandi democrazie; che l'Unione Sovietica fu il simbolo
altissimo e la "proiezione" d'una causa di liberazione di cui solo le
vicende del lungo dopoguerra avrebbero rivelato ai più e sviluppato i dati
negativi; che i movimenti di Resistenza furono resi possibili da una base
sociale europea che aveva rifiutato e rifiutava la guerra come tale, che
insorse non per parteciparvi ma per negarla, e che progettava un ordine
sociale profondamente diverso, e anzi contrario al meccanismo che tra Otto e
Novecento aveva generato un corso di avvenimenti tanto atroce; e che i
movimenti di liberazione in Asia e in Africa sono lì a ricordarci le
responsabilità delle democrazia occidentale per la sua simbiosi con l'
imperialismo - fatta di genocidi sistematici fisici, ambientali e culturali.
Infine, proprio dovremmo tacere dei crimini di guerra occidentali e
americani che si riassumono nei terribili bombardamenti "a tappeto" e
specialmente nell'introduzione della bomba atomica tra gli agenti politici
della storia?

Ci fermiamo al 1945, ma molto ci sarebbe da dire del dopo. E concediamo,
ovviamente e ampiamente, ad una visione la più critica dello stalinismo e
della sua politica, della sua stessa condotta di guerra, sul piano militare
e sul piano civile, delle responsabilità che gli derivarono da una chiusura
politica che era preclusione alla conoscenza e all'autoconoscenza. Elementi
di barbarie si mescolarono ad elementi di socialismo fino a ridurre l'Unione
Sovietica e la sua leadership estranei al complesso di significati del 1917
ed inaccettabili alla civiltà del movimento operaio. Tutti i discorsi vanno
fatti, e devono essere aperti. Non esiste una storia "pura", come scriveva
durante la prima guerra mondiale Lenin sulle tracce di Hegel.

È comprensibile che l'establishment del Cremlino abbia rilanciato per il 60°
della vittoria simbologie, riti, memorie della guerra; ma è paradossale che
gli istituti scientifici russi non abbiano promosso un confronto
internazionale tra storici a latere delle celebrazioni formali, e distinto
da esse, come momento di riflessione critica. Ma allo stesso modo ci
meravigliamo (o forse no) delle disinvolte ellissi di molti storici
occidentali, la cui concezione di democrazia ignora, oltre ai motivi di
crisi della democrazia stessa, la tendenza della politica globale americana
ad asservire la storia ad una propria, e molto chiara, linea di svolgimento.

Ogni sforzo va fatto per difendere l'unità di passato e presente e l'
indipendenza della ragione critica. Teniamoci stretti alla prova della
ricerca storica; non buttiamo a mare gli spazi di riflessione che sono
consegnati nelle nostre biblioteche, ed anzi alimentiamoli di nuovi studi e
di nuovi dubbi; non prostituiamo i canoni della conoscenza e le acquisizioni
della coscienza al martellamento dei media più forti. Chi conosce il secolo
sa che gli abusi pubblici e le forzature della storia hanno sempre preparato
nuovi terribili lutti. Lo storico, per la sua responsabilità sociale e
comunicativa, non deve più rendersi complice - neppure col silenzio - di
quei processi di accecamento collettivo che sono le premesse dell'
accettazione di una nuova guerra e che comportano poi risvegli lenti e
dolorosi, oppure moti di reazione critica anch'essi capaci di estremismi
rischiosi. Non lasciamo la presunzione della verità storica a Bush, e non
lasciamo la presunzione della sua difesa a Putin. Mai come in questi decenni
post-sovietici, di militarizzazione globale americana, di sostituzione della
forza armata ad una egemonia criticamente e razionalmente fondata, di
proliferazione delle "armi di distruzione di massa" possiamo tornare a
paragonare il compito dell'intellettuale a quello di un sacerdote della
ricerca instancabile e incondizionata di vie nuove: il "cacciatore" scettico
di Lessing. Attesoché né le vie antiche, né le recenti di Bush e di Putin,
dei Blair e della Rice, della nuova "Cina" e della stessa vecchia Europa,
del terrorismo statale o privato ci sembra possano preparare al mondo altro
che un nuovo mercato della guerra - questa volta veramente totale.

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