SADDAM HUSSEIN



SADDAM HUSSEIN: IL PRIMA E IL DOPO
di Agostino Spataro



La lezione irachena e la lotta per la libertà- Da baluardo a nemico
efferato dell'Occidente- Tutto era permesso al tiranno, anche l'uso delle
armi chimiche-
Un processo internazionale per accertare tutte le responsabilità-
Dopo Saddam: l'autogoverno del popolo iracheno.




La lezione irachena e la lotta per la libertà
La cattura di Saddam Hussein è stato certamente un importante evento
mediatico e propagandistico, ma, per favore, non si dica che è stato un
atto eroico. Secondo fonti israeliane ben informate, pare che il dittatore
sia stato "impacchettato" dai suoi fedelissimi che l'hanno venduto agli
americani per intascare la favolosa taglia di 25 milioni di dollari.
Un'indiretta conferma di tale ricostruzione si può ricavare dalle modalità
di svolgimento dell'operazione "alba rossa" in cui sono stati impegnati
600 uomini (fra curdi e statunitensi) i quali, senza colpo ferire, hanno
catturato il dittatore, già prigioniero, in quella tana per topi.   
Cattura rumorosa, dunque, ma non eroica. In questa strana guerra
"preventiva" si sta stravolgendo perfino il concetto, un po' romantico, di
eroismo mediante un abuso dell'aggettivo "eroico", in altri tempi riferito
a casi davvero emblematici ed eccezionali.
Comunque siano andate le cose, l'arresto di Saddam libera il campo di una
presenza ossessionante,  perciò è una buona notizia per tutti gli amanti
della pace e della libertà e soprattutto per quanti hanno, effettivamente,
subito morte e sofferenze inenarrabili a causa di quella spietata dittatura.
Per molti, invece, dovrebbe essere, più sommessamente, un'occasione di
sincera meditazione affinché, passandosi una mano sulla coscienza, dicano
al mondo se hanno o non hanno fatto tutto il possibile per impedire al
dittatore iracheno di costruire e rafforzare il suo sistema di potere
assolutistico e crudele.
Senza una seria riflessione di questo tipo, la lezione irachena non servirà
a nessuno: né agli iracheni che l'hanno subita sulla loro pelle, né a
quanti si sono assunti- in modo unilaterale- il ruolo di liberatori.     

Da baluardo a nemico efferato dell'Occidente
Non bisogna, infatti, dimenticare che c'è stato un tempo, non tanto remoto,
in cui molti dei suoi attuali, acerrimi nemici blandivano il dittatore di
Bagdad come un baluardo della civiltà occidentale,  magari per  strappargli
contratti miliardari.
Erano gli anni '80, un periodo d'oro per Saddam saldamente insediato al
potere dopo aver soppiantato il presidente legittimo ed eliminato, anche
fisicamente, centinaia di oppositori interni al suo stesso partito (il
Baath)  e fra i partiti nazionalisti e di sinistra ex alleati di governo,
fra cui l'intero gruppo dirigente del Partito comunista iracheno.
Fra le prime immagini inviate dalla CNN nel giorno della cattura del
dittatore, ne abbiamo visto una  davvero autentica e fugace (forse sfuggita
alla censura di guerra) che mostrava le manifestazioni di giubilo dei
militanti comunisti che sventolavano le loro eroiche bandiere rosse. Qui
l'aggettivo "eroico" è più che appropriato, poiché sotto Saddam chi si
professava comunista veniva incarcerato, torturato e sovente anche
ucciso.    
Insieme ai comunisti iracheni, hanno sicuramente diritto di gioire le
popolazioni curde, soprattutto quelle che sono state gasate col micidiale
"sarin", e gli sciiti del sud perseguitati per tutto il periodo della
guerra Iran-Iraq.
Queste sono state le principali vittime, e non casuali, della sanguinosa
repressione di Saddam Hussein.
Tutti gli altri, quelli che oggi inalberano i vessilli della libertà,
soprattutto all'esterno dell'Iraq, prima di esultare, dovrebbero spiegare
al mondo alcuni "passaggi" cruciali, ancora non del tutto chiari.
Non è un mistero che vari governi occidentali e arabi (Usa e sauditi in
testa) mobilitarono i loro mass-media per presentare Saddam all'opinione
pubblica mondiale come l'eroe  che, scatenando la guerra di aggressione
contro l'Iran sciita, s'interponeva come una diga (armata di tutto punto
dalle potenze della Nato e del Patto di Varsavia) fra l'ondata minacciosa
della rivoluzione khomeynista  e gli immensi giacimenti di petrolio
iracheni e della penisola arabica.        

Tutto era permesso al tiranno, anche l'uso delle armi chimiche
Quella sporca guerra durò 8 anni e fece milioni di morti, fra i quali
decine di migliaia di bambini/martiri inviati al fronte da Khomeyni a farsi
saltare sopra le mine per spianare la strada
all'avanzata dei suoi carri armati  e centinaia di migliaia di donne,
vecchi e bambini iracheni periti sotto le bombe  dell'aviazione iraniana.
Già in quella guerra, Saddam usò le armi chimiche, tuttavia nessuno in
Occidente e in Oriente si scandalizzò più di tanto, né sui giornali né
nelle assisi internazionali. Addirittura, al Consiglio di sicurezza e
nell'Assemblea generale dell'Onu furono bloccate diverse risoluzioni di
condanna presentate dagli iraniani.
Allora tutto era consentito al grande dittatore che stava salvando i pozzi
di petrolio  (e quindi garantito il regolare rifornimento all'occidente) e
che, per altro, continuava ad acquistare costosi sistemi d'arma dai
principali Paesi della Nato e del blocco orientale.
Un affare lucroso per decine e centinaia di miliardi di dollari, al quale
parteciparono anche diverse  imprese italiane, pubbliche e private, che
vendettero all'Iraq di Saddam un'intera flotta militare, componenti per
costruire il temutissimo "supercannone" e perfino materiali per la
fabbricazione di ordigni chimici. Alcune di queste operazioni scatenarono,
all'interno del variegato mondo dei mercanti d'armi, gravi contrasti e
oscure trame; in una di queste restò impigliata la filiale  di Atlanta
della Banca Nazionale del Lavoro.
A parte questo, tutto filò liscio comeŠ il petrolio. Con la benedizione dei
vari governi che facevano a gara per ingraziarsi i favori di Saddam e del
suo entourage, ovvero di tutti  quei personaggi raffigurati nel famoso
mazzo di carte da poker.

Un processo internazionale per accertare tutte le responsabilità 
Tutto ciò ed altro, bisognerebbe ricordare a chi finge di aver dimenticato
e ai giovani che non hanno vissuto quella fase terribile per la vita del
popolo iracheno e della sue forze progressiste.
E non per ritorsione polemica, ma per amore della verità storica e
soprattutto per evitare che questo improvviso "impulso di
democratizzazione", che si vorrebbe imporre con la guerra preventiva, si
possa esaurire con la cattura di Saddam; lasciando indisturbati altre
decine di dittatori, arabi e non, di continuare ad opprimere miliardi di
uomini  nella più assoluta impunità, coperti dal più inverecondo
silenzio-stampa.
Per queste ragioni è auspicabile che Saddam Hussein arrivi vivo e cosciente
al processo, che dovrà essere svolto secondo le norme del diritto
internazionale, evitando sentenze sommarie e vendicative, affinché
l'imputato abbia la possibilità di raccontare ai giudici tutta la verità in
ordine alle sue tremende responsabilità e a quelle di chi lo ha collaborato
e aiutato, dentro e fuori l'Iraq. Poiché è chiaro che, da solo, non poteva
fare tutto quello di cui è accusato.
Il processo potrebbe essere, dunque, l'occasione per fare piena luce sugli
ultimi 30 della storia politica e sociale dell'Iraq e delle sue relazioni
internazionali.
Solo partendo da questo fondamentale chiarimento, si potrà avviare, con
l'intervento dell'Onu, un autentico processo di riconciliazione nazionale e
di transizione democratica, basato sulla partecipazione e sull'autogoverno
del popolo iracheno.

Dopo Saddam: l'autogoverno del popolo iracheno.
La drammatica sequenza di attentati conferma il fatto che, anche dopo
l'arresto di Saddam, la guerriglia continua a tirare colpi micidiali. Solo
uno sprovveduto può ritenere che un uomo ridotto nelle condizioni penose in
cui è stato trovato potesse progettare e dirigere azioni così clamorose e
micidiali. Certo, non conosciamo il quadro reale delle forze in campo nella
confusa situazione dell'Iraq occupato, tuttavia non era difficile
prevederne gli attuali, tragici sviluppi.
E' davvero stupefacente assistere alla perdurante inefficienza dei servizi
segreti più agguerriti del mondo, dotati di sistemi informativi e di mezzi
sofisticatissimi, i quali non riescono a prevenire nulla (dall'attentato
dell'11 settembre alle torri gemelle a quello di Nassirya e ai tanti altri
che si verificano quotidianamente) e soprattutto ad arrestare, senza
l'incentivo di cospicue taglie, gli strateghi e i responsabili dei vari
gruppi operativi.
Così come non si capisce cosa stiano facendo i famosi e super pagati
analisti della Casa bianca, del Pentagono, della Cia e dei vari Paesi della
coalizione; quali analisi stiano fornendo ai governi committenti visto che
li stanno spingendo verso le sabbie mobili di una guerriglia atipica,
condotta con metodi terroristici e sulla base di una forte motivazione
religiosa e patriottica, che potrebbe addirittura sfociare in una guerra
civile e quindi infiammare l'Iraq e le aree contigue.
Tutto ciò è strano, molto strano, inspiegabile, in base ad una normale
logica politica.
Sorge, perfino, il dubbio che, forse, i responsabili politici desiderino
far degenerare ed allargare il conflitto. Per quali obiettivi ? Forse per
legittimare la "guerra di civiltà" già preventivata dai fondamentalisti
d'Occidente e d'Oriente?
Mai la politica dei grandi Paesi democratici si è mostrata così avventata
come, oggi, in Iraq.
Perciò, l'Europa e l'Italia non dovrebbero farsi trascinare in questa
pericolosa  avventura. Anzi, devono reclamare, con più forza e unità, la
fine dell'occupazione militare straniera dell'Iraq e l'affidamento all'Onu
della responsabilità della transizione, verso un governo nazionale e
democratico, espressione della volontà di rinascita degli elettori iracheni.
Senza pretendere d'indicare, o peggio di esportare, il nostro modelloŠ        

                                                              Agostino Spataro


(19 dicembre 2003)

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