(Fwd) [noomc-it] La guerra delle valute e quella dei soldati



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Subject:        	[noomc-it] La guerra delle valute e quella dei soldati

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La guerra delle valute e quella dei soldati

di Guido Carandini, tratto da "Avvenimenti" n.19 del 16-22 maggio 
2003

Sta lentamente emergendo attraverso fonti non ufficiali un vero e
proprio "segreto di stato" che le autorità americane e il grande
circuito mediatico hanno tenuto sin qui celato per ragioni
comprensibili per i falchi dell'amministrazione Bush ma difficili da
afferrare per chi cerca la verità sulla politica imperialista
statunitense.

E il segreto consisterebbe in questo: la guerra all'Iraq avrebbe una
nascosta ma fortissima ragione nella minaccia che l'euro possa
soppiantare il dollaro come moneta di riserva mondiale. Dunque al di
là dell'esigenza di assicurarsi le fonti di approvvigionamento del
petrolio e della conseguente necessità di rafforzare gli avamposti
armati nella regione del Golfo, al di là anche delle motivazioni
economiche che possono spingere gli Stati Uniti, come in passato, a
cercare nel riarmo un mezzo per creare una domanda carente sul 
mercato
e per uscire così dal pericolo di una grave recessione, è la difesa
armata del dollaro che muove la potenza militare americana. L'incubo
del Federal Reserve è che l'Opec possa a un certo punto decidere di
sostituire nelle sue transazioni internazionali il dollaro standard
con l'euro standard imitando ciò che aveva già cominciato a fare
Saddam Hussein nel 2000 - quando l'Euro valeva 82 centesimi di 
dollaro
- per vendicarsi delle sanzioni volute da Washington e per
accattivarsi il favore delle nazioni europee. E segnando così il suo
destino.

Il 16 febbraio di quest'anno la rivista inglese The Observer ha 
denunciato il fatto in un articolo intitolato "L'Iraq fa un 
bell'utile scaricando il dollaro per l'euro", nel quale ha osservato
che l'euro, dalla data della decisione di Saddam Hussein, ha
guadagnato circa il 30 per cento sul dollaro. Inoltre, dal 2001, 
anche
il petrolio venduto in base al programma delle Nazioni Unite "Oil for
Food" è stato pagato in euro per un ammontare di 26 miliardi.
L'ingente guadagno dell'Iraq rivela qual è la perdita subita dai 
paesi
produttori di petrolio con la svalutazione del dollaro. Incluso il
Venezuela, che però avrebbe cominciato anch'esso a muoversi verso
l'area dell'euro. Proviamo a immaginare l'effetto che avrebbe
l'eventuale decisione dell'Opec di quotare le vendite di petrolio in
euro anziché in dollari. Improvvisamente le nazioni consumatrici,
inclusi gli Stati Uniti, dovrebbero convertire in euro le riserve in
dollari attualmente detenute dalle loro banche centrali. Si
determinerebbe un crollo del dollaro e una fuga dei capitali dalle
borse americane e da ogni altra attività denominata in dollari. Il
deficit della bilancia dei pagamenti americana, già alto allo stato
attuale, diventerebbe ingovernabile con effetti gravissimi su tutta
l'economia mondiale. Inoltre i detentori di riserve in dollari sul
mercato mondiale, Giappone in testa, andrebbero incontro a crisi
finanziarie devastanti.

Un simile scenario è ovviamente impensabile dato che l'intera 
economia americana e di riflesso quella mondiale è legata al ruolo di
moneta di riserva del dollaro. Fin dai lontani anni cinquanta e
sessanta gli Stati Uniti sono l'unico paese al mondo che ha potuto
fare a meno di garantire il valore della propria moneta assicurando
l'equilibrio della propria bilancia dei pagamenti. Questo ha prodotto
per lungo tempo forti disavanzi che il Tesoro americano ha coperto
immettendo nella circolazione internazionale quantità illimitate di
dollari facilmente assorbiti proprio per il ruolo di moneta di 
riserva
che avevano assunto. Ma come evitare adesso che la progressiva
svalutazione eroda la fiducia del dollaro e che quindi esso perda 
quel
ruolo a fronte di un euro che si avvantaggia ogni giorno con aumenti
che in un solo anno hanno superato il 17%? 

Si può comprendere, a questo punto, che il vero problema degli Stati
Uniti consiste nel fronteggiare con ogni mezzo questa minaccia e,
ancora di più, nel negarla per non creare panico negli ambienti
finanziari. L'aver abbattuto il regime di Saddam Hussein ha
sicuramente scongiurato l'eventualità che l'Iran e l'Arabia Saudita 
ne
imitino a breve gli atteggiamenti favorevoli alla sostituzione del
dollaro con l'euro, ma l'intervento militare non garantisce ancora
affatto che il dollaro si rafforzi. E neppure che l'Europa modifichi
il suo atteggiamento ostile verso la politica americana di intervento
armato proprio in ragione del rafforzamento dell'euro e del peso che
esso potrà avere nel determinare gli equilibri geo-politici del
futuro.

Questa diversa prospettiva di una guerra dollaro-euro spiega 
probabilmente la fretta dell'intervento armato e getta una nuova luce
sulle ragioni, altrimenti poco chiare, sia della politica francese
che, all'opposto, di quella inglese. Tutto sommato il peso dell'euro,
della sua crescente forza competitiva rispetto al dollaro, conferisce
all'Europa politicamente debole un ruolo di primo piano che la 
potenza
militare americana non è in grado di contrastare. Dunque la Francia,
malgrado sia ora in difficoltà, potrebbe nel tempo trascinare dietro 
a
sé in un ruolo egemone non soltanto la Germania ma l'intera Unione
Europea grazie alla forza della sua moneta. 

Quanto alla Gran Bretagna, anch'essa produttrice di petrolio, si può
comprendere che il suo splendido isolamento nella difesa della
sterlina, unica superstite delle monete nazionali europee, la
costringa alla difesa strenua del dollaro e, di conseguenza,
all'appiattimento sulla politica dell'amministrazione Bush. Gli Stati
Uniti, per parte loro, non sono in grado di far fronte a questa
situazione e di rafforzare la propria divisa accrescendo 
ulteriormente
il proprio deficit con altri tagli alle tasse dei ricchi. Infatti le
iniezioni di liquidità nel sistema militare- industriale dovute alle
spese per il riarmo richiederebbero, per essere produttive, una
politica fiscale opposta a quella dell'attuale amministrazione che
rischia di ridurre pesantemente il potere d'acquisto delle classi
medie e di aggravare così la recessione.

Come si vede i giochi sono assai diversi da quelli che ci propinano i
media giornalmente. La questione che emerge e che sarà sicuramente al
centro delle prossime mosse dei centri finanziari degli Stati Uniti e
dell'Europa è la seguente: come avviare una fase di transizione che
eviti effetti devastanti sugli equilibri internazionali ma che porti
alla luce il contrasto euro-dollaro? Come iniziare una trattativa
internazionale che dia forma a un duplice standard euro-dollaro 
basato
su accordi del peso che hanno avuto quelli di Bretton-Woods, che 
mezzo
secolo fa rimediarono al disordine nella situazione delle monete alla
fine del secondo conflitto mondiale? E' almeno curioso il fatto che 
di
questo pochissimo si parli ancora. Ma fino a quando?


Il denaro rappresenta la ricchezza che viene creata mediante il 
lavoro. In condizioni ideali deve esistere un rapporto tra la massa 
di
denaro circolante e la ricchezza prodotta sotto forma di beni e
servizi di 1:1 cioè se un paese ha un PNL di 1.000 miliardi di euro,
la popolazione deve disporre di una quantità di denaro in proporzione
di almeno 1.000 miliardi di euro, altrimenti non sarebbe in grado di
acquistare tutti i beni e servizi prodotti (come attualmente si
verifica in Argentina). Questo fatto comporta che nel caso sia
necessario creare nuova ricchezza occorre emettere una nuova quantità
di denaro in proporzione alla nuova ricchezza che si vuole creare ed
investirla opportunamente.

E' quanto gli Stati Uniti fanno quando stampano nuove banconote per
pagare il petrolio e altre merci importate. In linea di principio è
giusto perché le importazioni rappresentano la nuova ricchezza creata
e le nuove banconote stampate rappresentano il nuovo denaro 
necessario
per pagare la nuova ricchezza (e incentivarne la produzione della
medesima).

Le difficoltà sorgono quando la ricchezza viene distrutta tramite
l'utilizzo, ad esempio quando il petrolio viene bruciato per produrre
energia, mentre il denaro, al contrario, resta in circolazione. In
questo modo si crea una situazione nella quale la massa di denaro
circolante aumenta ogni anno molto di più rispetto alla ricchezza
creata sotto forma di beni e servizi durante un anno (il PNL). Per
esempio secondo le stime la massa di dollari in circolazione nel 
mondo
supera di decine di volte il PNL degli Stati Uniti.

Una soluzione ideale a questo problema è rappresentata dall'articolo:
"Lezioni di storia monetaria" (Unterguggenberger riuscì a risolvere i
problemi dell'economia ma fu fermato dai creatori del denaro che
crearono le condizioni propizie all'ascesa di Hitler)
http://www.laleva.cc/economia/storiamonetaria.html




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