Bush sta perdendo la guerra?



Da Il Manifesto del 13 Ottobre 2001 
  

AFGHANISTAN
Bush sta perdendo la guerra? 
ASTRIT DAKLI 




Al sesto giorno di bombardamenti sull'Afghanistan, la domanda che circola con sempre più allarme nelle cancellerie di tutto il mondo è drammaticamente semplice: "qual è l'obiettivo di George W. Bush?". Il presidente americano ha già risposto più di una volta a questa domanda: ogni volta in modo diverso, purtroppo, rivelando così la completa mancanza - o forse l'impossibilità - di una strategia definita. E rendendo chiaro che, per incredibile che possa apparire, i rischi che la campagna militare in corso finisca in una sconfitta sono tutt'altro che lievi.

Dietro la formulazione costante ma ovvia e in fondo un po' astratta dell'obiettivo di Bush - "prendere Osama bin Laden, distruggere al-Qaeda" - il problema concreto è infatti il cosa fare del paese che lo ospita: finora Bush aveva sempre respinto l'idea del nation-building, cioè di costruire un nuovo stato "amico" dopo la distruzione dei taleban. Giovedì sera, ha cambiato radicalmente posizione sposandone due opposte insieme: nel suo discorso, centrato tutto sull'Afghanistan invece che sui terroristi, ha parlato di nation-building, affermando che in questo compito potrebbe svolgere un ruolo l'Onu, ma offrendo a sorpresa una "seconda opportunità" ai taleban - salvare il loro regime, anche all'ultima ora, con la consegna di bin Laden.

La verità è che gli Stati uniti si stanno rendendo conto di aver costruito una alleanza contro il terrorismo che comprende, in ruoli cruciali, elementi che hanno progetti del tutto incompatibili tra loro. Da una parte il Pakistan non è disposto ad accettare in nessun modo che i taleban vengano sostituiti a Kabul da un governo formato dai guerriglieri dell'Alleanza del nord, ad esso ostili ed etnicamente estranei (oltre che legati alla Russia); dall'altra Mosca - e con essa i governi di Uzbekistan e Tagikistan, tutti e tre cruciali per qualunque azione militare in territorio afghano - ha inteso la grande alleanza antiterrorista come l'occasione per imporre finalmente a Kabul un governo amico, usando proprio l'Alleanza del nord come ariete. Bush ha promesso tutto a tutti, e ora è nei guai.

Lo si vede proprio dalla condotta della guerra. Nonostante quel che dicono i taleban sul numero delle vittime (affermazioni per ora inverificabili), è evidente che fino a questo punto l'aviazione americana ha condotto operazioni di bassa intensità - enormemente minori per volume e "peso" rispetto non solo alla Guerra del Golfo ma anche alla campagna contro la Jugoslavia. La pompatura mediatica ha enfatizzato con serietà concetti espressi dal ministro della difesa Donald Rumsfeld senza tema del ridicolo come la "raggiunta supremazia nei cieli", la "distruzione delle infrastrutture" e l'"annientamento delle difese antiaeree" dei taleban: quando questi ultimi erano già dall'inizio senza aviazione e senza infrastrutture.

Quanto alla difesa antiaerea, essa non è stata per niente distrutta: solo poche, vecchie e inefficienti postazioni fisse sono state colpite, mentre restano intatte centinaia di postazioni di cannoncini e razzi antiaerei montate su camion e in continuo movimento, nonché qualche decina di missili Stinger portati a spalla: tutti arnesi inutili contro i B-1 e i B-2 che bombardano da diecimila metri d'altezza ma molto efficaci e pericolosi contro i velivoli che operano a bassa quota e contro gli elicotteri. E a questo punto è molto dubbio che il Pentagono possa davvero passare subito alla tanto annunciata "fase due", quella delle incursioni a bassa quota per colpire reparti militari e appoggiare l'infiltrazione diretta di commandos a terra che dovrebbero (mah!) cercare bin Laden - azioni oltre a tutto possibili solo da basi che il Pakistan non è per incline a lasciar usare a questo scopo.

Nessun serio attacco aereo, invece, è stato finora condotto sulle forze taleban che stanno accumulandosi contro i guerriglieri dell'Alleanza del nord, proprio per evitare un'avanzata di questi ultimi su Kabul, che significherebbe la rottura con il Pakistan e forse il suo ritiro dalla grande alleanza. Solo ieri su quel fronte è stato annunciato il lancio di alcune bombe a frammentazione. La forza militare dei taleban insomma è stata appena intaccata, se pur lo è stata. Nel frattempo, però, i guerriglieri anti-taleban si sono molto esposti, certi che gli americani li avrebbero aiutati con l'aviazione; e quel che più conta, al loro fianco si sono esposti i governi che tradizionalmente li aiutano, Uzbekistan e Tagikistan, e soprattutto la Russia. Nelle ultime settimane in Afghanistan si sono spostati interi reparti della 201ma divisione russa di stanza in Tagikistan, con tank, blindati e artiglieria, con il compito di riarmare i guerriglieri e spingerli verso Kabul: se l'appoggio aereo americano continuerà a mancare, Mosca si troverà in un dramma, costretta a scegliere tra un ritiro precipitoso e il lancio di un'offensiva "in proprio"; e in entrambi i casi la nuova alleanza mondiale salterà prima di diventare operativa.

D'altra parte, come possono pensare gli americani di "vincere" in qualche modo la terribile partita in cui si sono fatti trascinare, se alla fine i taleban continueranno a starsene tranquillamente in sella, senza aver ceduto di un'unghia alle richieste di Washington? Sarebbe una pura e semplice ammissione di sconfitta, tanto più insostenibile in quanto nel frattempo la "guerra santa" terroristica sarà andata avanti a colpire. Dunque, prima o poi, gli Stati uniti presumibilmente dovranno per forza andare più a fondo contro i taleban e rischiare ancor di più che il mondo islamico (in particolare il Pakistan, integralista e nucleare) esploda in modo incontrollato. Qualunque sia l'obiettivo di George W. Bush, gli scenari del prossimo futuro sono da incubo, per lui e per noi.


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