[Nonviolenza] La domenica della nonviolenza. 397



 

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 397 del 13 novembre 2016

 

In questo numero:

1. L'appello "Non una di meno"

2. "Non una di meno": verso il 26 e 27 novembre

3. "Dalla parte delle vittime, dalla parte della democrazia. Votare no al referendum". Una conversazione a Vetralla

4. Raniero La Valle: Con Trump e la politica in pezzi teniamo ferma la garanzia della Costituzione

5. Massimo Villone: Con la riforma Renzi-Boschi le Regioni a statuto speciale restano fuori dal Senato

6. Judith Butler: Quelle urne sommerse da sessismo e razzismo

7. Michael Moore: Cinque cose da fare dopo la vittoria di Trump

 

1. HIC ET NUNC. L'APPELLO "NON UNA DI MENO"

[Dal sito nonunadimeno.wordpress.com riprendiamo il seguente appello]

 

Non una di meno!

Tutte insieme contro la violenza maschile sulle donne

Verso una grande manifestazione: il 26 novembre tutte a Roma

*

Il 25 novembre e' la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza sulle donne. Vogliamo che sabato 26 novembre Roma sia attraversata da un corteo che porti tutte noi a gridare la nostra rabbia e rivendicare la nostra voglia di autodeterminazione.

Non accettiamo piu' che la violenza condannata a parole venga piu' che tollerata nei fatti. Non c'e' nessuno stato d'eccezione o di emergenza: il femminicidio e' solo l'estrema conseguenza della cultura che lo alimenta e lo giustifica. E' una fenomenologia strutturale che come tale va affrontata.

La liberta' delle donne e' sempre piu' sotto attacco, qualsiasi scelta e' continuamente giudicata e ostacolata. All'aumento delle morti non corrisponde una presa di coscienza delle istituzioni e della societa' che anzi continua a colpevolizzarci.

I media continuano a veicolare un immaginario femminile stereotipato: vittimismo e spettacolo, neanche una narrazione coerente con le vite reali delle donne. La politica ci strumentalizza senza che ci sia una concreta volonta' di contrastare il problema: si riduce tutto a dibattiti spettacolari e trovate pubblicitarie. Non c'e' nessun piano programmatico adeguato. La formazione nelle scuole e nelle universita' sulle tematiche di genere e' ignorata o fortemente ostacolata, solo qualche brandello accidentale di formazione e' previsto per il personale socio-sanitario, le forze dell'ordine e la magistratura. Dai commissariati alle aule dei tribunali subiamo l'umiliazione di essere continuamente messe in discussione e di non essere credute, burocrazia e tempi d'attesa ci fanno pentire di aver denunciato, spesso ci uccidono.

Dal lavoro alle scelte procreative si impone ancora la retorica della moglie e madre che sacrifica la sua intera vita per la famiglia.

Di fronte a questo scenario tutte siamo consapevoli che gli strumenti a disposizione del piano straordinario contro la violenza del governo, da subito criticato dalle femministe e dalle attiviste dei centri antiviolenza, si sono rivelati alla prova dei fatti troppo spesso disattesi e inefficaci se non proprio nocivi. In piu' parti del paese e da diversi gruppi di donne emerge da tempo la necessita' di dar vita ad un cambiamento sostanziale di cui essere protagoniste e che si misuri sui diversi aspetti della violenza di genere per prevenirla e trovare vie d'uscita concrete.

E' giunto il momento di essere unite ed ambiziose e di mettere insieme tutte le nostre intelligenze e competenze.

A Roma da alcuni mesi abbiamo iniziato a confrontarci individuando alcune macro aree - il piano legislativo, i Cav e i percorsi di autonomia, l'educazione alle differenze, la liberta' di scelta e l'Ivg - sappiamo che molte altre come noi hanno avviato percorsi di discussione che stanno concretizzandosi in mobilitazioni e dibattiti pubblici.

Riteniamo necessario che tutta questa ricchezza trovi un momento di confronto nazionale che possa contribuire a darci i contenuti e le parole d'ordine per costruire una grande manifestazione nazionale il 26 novembre prossimo.

Proponiamo a tutte la data di sabato 8 ottobre per incontrarci in una assemblea nazionale a Roma, e quella del 26 novembre per la manifestazione.

Proponiamo anche che la giornata del 27 novembre sia dedicata all'approfondimento e alla definizione di un percorso comune che porti alla rapida revisione del Piano Straordinario Nazionale Anti Violenza.

Queste date quindi non sono l'obiettivo ma l'inizio di un percorso da fare tutte assieme.

Realta' promotrici: Rete IoDecido, D.i.Re - Donne in Rete Contro la violenza, UDI - Unione Donne in Italia

 

2. HIC ET NUNC. "NON UNA DI MENO": VERSO IL 26 E 27 NOVEMBRE

[Dal sito nonunadimeno.wordpress.com riprendiamo il seguente appello]

 

Verso la manifestazione nazionale del 26 novembre contro la violenza maschile sulle donne.

Per la costruzione dell'assemblea nazionale con tavoli tematici del 27 novembre.

*

Un terzo delle donne italiane, straniere e migranti, subisce violenza fisica, psicologica, sessuale, spesso fra le mura domestiche e davanti ai suoi figli. Dall'inizio dell'anno decine e decine di donne sono state uccise in Italia per mano maschile. La violenza maschile sulle donne non e' un fatto privato ne' un'emergenza ma un fenomeno strutturale e trasversale della nostra societa', un dato politico di prima grandezza che affonda le sue radici nella disparita' di potere fra i sessi. Le politiche di austerity e riforme come quelle del lavoro e della scuola, in continuita' con quanto accaduto negli ultimi dieci anni, non fanno altro che minare i percorsi di autonomia delle donne e approfondire le discriminazioni sociali, culturali e sessuali.

La violenza attraversa ogni aspetto dell'esistenza, controlla e addomestica i corpi e le vite delle donne: in famiglia, sui luoghi di lavoro, a scuola, all'universita', per strada, di notte, di giorno, negli ospedali, sui media, sul web.

La violenza maschile sulle donne puo' essere affrontata solo con un cambiamento culturale radicale, come ci hanno insegnato l'esperienza e la pratica del movimento delle donne e dei Centri Antiviolenza, che da trent'anni resistono a ogni tentativo delle istituzioni di trasformarli in servizi di accoglienza neutri, negando la loro natura politica e di cambiamento.

Adesso basta! e' il grido che si alza da piu' parti nel mondo.

In Polonia, in Argentina, in Spagna gli scioperi e le proteste delle donne che si ribellano alla violenza e al femminicidio e lottano per l'autodeterminazione femminile hanno paralizzato interi paesi. I corpi delle donne invadono le strade, costruiscono ponti e narrazioni comuni da una parte all'altra del mondo. La mobilitazione dilaga ben al di la' dei confini nazionali e porta alla ribalta la potenza politica delle donne.

Anche a Roma lo scorso 8 ottobre, dopo mesi di mobilitazione, un'assemblea affollata da centinaia di donne ha deciso di scendere in piazza, di riprendere parola di fronte alla strage di donne e alle tante forme di quotidiana violenza.

Questa lotta appartiene a tutte, cancella i confini e non conosce geografie. Va in tal senso rispedita al mittente qualsiasi strumentalizzazione razzista che tenti di ridurre la violenza a un problema di ordine pubblico. Con la stessa forza va denunciata ogni forma di violenza contro lesbiche e transessuali, tesa a imporre un modello eteronormato di societa' non rispondente ne' alla realta' ne' ai desideri delle persone. Se toccano una toccano tutte!

Per queste ragioni il prossimo 26 novembre, in corrispondenza con la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, scenderemo in piazza a Roma da tutta Italia dietro lo striscione comune con lo slogan Non Una di Meno!, per una grande manifestazione delle donne aperta a tutt* coloro che riconoscono nella fine della violenza maschile una priorita' nel processo di trasformazione dell'esistente.

Il corteo partira' da piazza della Repubblica alle 14, attraversera' le vie del centro di Roma toccando alcuni luoghi simbolici, e terminera' in Piazza San Giovanni. Non saranno accettati all'interno del corteo bandiere, slogan, striscioni istituzionali di organizzazioni di partito e sindacali. L'obiettivo sara' al contrario di articolare, diffondere e comunicare, nel modo piu' efficace possibile, i contenuti e le parole d'ordine emersi nella costruzione condivisa a livello nazionale e territoriale della mobilitazione. A questo scopo, il blog https://nonunadimeno.wordpress.com/ si mette a disposizione come spazio di confronto e di condivisione di materiali comunicativi e contributi di approfondimento in vista del 26 novembre.

Consideriamo il 26 la prima tappa di un percorso capace di proporre un Piano Femminista contro la violenza  maschile e una grande mobilitazione che affermi e allarghi l'autodeterminazione femminile.

E' quindi convocata per il 27 novembre dalle 10, nella scuola elementare Federico Di Donato (via Nino Bixio 83), una nuova assemblea nazionale, articolata per tavoli tematici, definiti nel corso dell'assemblea dell'8 ottobre, e che si concludera' con una plenaria in cui discutere di come dare continuita' e respiro al percorso di elaborazione, di confronto e proposta.

#NonUnaDiMeno!

 

3. INCONTRI. "DALLA PARTE DELLE VITTIME, DALLA PARTE DELLA DEMOCRAZIA. VOTARE NO AL REFERENDUM". UNA CONVERSAZIONE A VETRALLA

 

La sera di sabato 12 novembre 2016 a Vetralla (Vt) il responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani", Peppe Sini, ha tenuto una conversazione sul tema "Dalla parte delle vittime, dalla parte della democrazia. Votare no al referendum".

Di seguito una sintesi dei principali argomenti svolti.

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Dalla parte delle vittime

La conversazione si e' aperta con la commemorazione delle vittime delle stragi avvenute a Parigi un anno fa.

E nell'addolorato ricordo di quelle vittime ricordiamo altresi' tutte le vittime di tutte le uccisioni, di tutti gli atti di terrorismo, di tutte le guerre. E rinnoviamo l'impegno affinche' cessino le stragi, e perche' cessino le stragi e siano rispettate tutte le vite occorre innanzitutto cessare di produrre le armi che uccidono, occorre contrastare ogni struttura ed ogni ideologia che le uccisioni consentono e preparano, occorre contrastare l'adorazione della violenza ed affermare invece la fondamentale verita' che solo la nonviolenza contrasta la violenza, che solo il bene contrasta il male, che ogni vittima ha il volto di Abele, che ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita' e alla solidarieta', e che quindi il primo dovere di ogni essere umano, ed a maggior ragione degli umani istituti, e' salvare le vite, tutte le vite.

La regola aurea di ogni umana relazione e': agisci verso le altre persone come vorresti che esse agissero nei tuoi confronti; riconosci e rispetta la pluralita' degli esseri umani, la loro preziosa individualita' e diversita', la pienezza e l'eguaglianza di diritti e dignita' di ogni persona; condividi i beni necessari alla vita, sii tu esempio e costruttore di una societa' in cui da ciascuna persona sia dato secondo le sue capacita' ed a ciascuna persona sia dato secondo i suoi bisogni.

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L'inquietante vittoria di Trump

Successivamente e' stato analizzato il probabile catastrofico impatto sulla situazione internazionale dell'elezione a presidente degli Stati Uniti d'America di uno speculatore razzista, maschilista, sostenitore dell'uso sfrenato delle armi e di brutali rapporti di dominazione, che disprezza la democrazia e la dignita' umana.

E questo mentre nel mondo ed anche in Europa e in Italia montano regimi autoritari e movimenti neofascisti, militarismo, riarmismo e bellicismo, razzismo, maschilismo, rapporti di produzione e di proprieta' sempre piu' schiavisti, e prosegue a ritmo sempre piu' accelerato la distruzione della biosfera.

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L'umanita' al bivio

L'umanita' e' a un bivio: tra una politica al servizio della barbarie del capitale finanziario e della guerra o una politica della nonviolenza al servizio dell'umanita'.

Se si persevera in una politica al servizio della barbarie del capitale finanziario che oggi presiede ai destini del mondo la catastrofe e' inevitabile; basta aprire gli occhi sullo stato presente del mondo per rendersene conto: catastrofe ecologica, dittature, terrorismo e guerre, migrazioni forzate di milioni di vittime, crescita esponenziale dell'ingiustizia e della violenza.

Occorre allora necessariamente ed urgentemente passare a una politica della nonviolenza al servizio dell'umanita': una politica che difenda i diritti umani di tutti gli esseri umani; una politica che rispetti, preservi e risani il mondo vivente casa comune dell'umanita'; una politica che abolisca la guerra, il razzismo e il maschilismo; una politica del bene comune, della sicurezza comune, della liberazione comune, della condivisione e della convivenza.

Come ha scritto Giuliano Pontara la nonviolenza e' l'antibarbarie, e' la sola proposta culturale, morale e politica che in modo concreto e coerente si oppone al totalitarismo, ad ogni dittatura politica, economica e culturale. La nonviolenza e' l'antifascismo pienamente autocosciente in atto e in azione nella ferma e limpida coerenza tra i mezzi e i fini, tra il progetto e il processo; e' nitida e intransigente la lotta di liberazione dell'umanita' che invera la civilta' nel rispetto, nella difesa e nel sostegno di tutte le vite.

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Hic et nunc, quid agendum

Alcune cose sono assolutamente indispensabili e non piu' rinviabili.

Per contrastare la guerra e tutte le uccisioni occorre il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti (e dei territori, e delle istituzioni, e delle culture), e una politica internazionale di cooperazione e di aiuto umanitario, di promozione della democrazia e di difesa dei diritti umani con metodi coerenti e adeguati. La pace si costruisce realmente soltanto con il disarmo e la smilitarizzazione, con l'abolizione degli eserciti e delle armi, con l'alternativa nonviolenta della difesa popolare nonviolenta, dei corpi civili di pace, dell'aiuto umanitario ovunque occorre, della costruzione di relazioni di giustizia, di solidarieta', di liberazione, di responsabilita', di condivisione.

Per contrastare il razzismo e tutte le persecuzioni occorre riconoscere a tutti gli esseri umani liberta' di movimento in tutto il pianeta; occorre soccorrere, accogliere e assistere tutte le persone in fuga dalla fame e dalle guerre, dalle dittature e dalle devastazioni; occorre riconoscere a tutte le persone che vivono in un luogo il diritto di voto in quel luogo.

Per contrastare il maschilismo che e' la prima radice e il primo modello di ogni violenza occorre sostenere i centri antiviolenza promossi dal movimento delle donne, occorre applicare integralmente la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, occorre contrastare e abolire ogni ideologia, pratica e struttura che nega la piena eguaglianza di diritti e di dignita' di tutti gli esseri umani.

Per contrastare la planetaria rapina e il planetario schiavismo e il planetario esaurimento delle risorse vitali e avvelenamento della natura intrinsechi alla dominazione globale del capitale finanziario occorre una politica della solidarieta' e della liberazione dei popoli e delle persone, una politica socialista e libertaria, femminista ed ecologista, nonviolenta.

Per contrastare la menzogna e la violenza, l'ignoranza e l'indifferenza, la complicita' e la manipolazione, occorre la scelta della nonviolenza come inveramento pieno e operoso del riconoscimento della dignita' e dei diritti di ogni essere umano.

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Il 26 novembre, "Non una di meno"

Tra due settimane, il 25 novembre, ricorre la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Ed in Italia sabato 26 novembre a Roma si svolge la manifestazione nazionale "Non una di meno" promossa dai movimenti delle donne e da innumerevoli persone di volonta' buona postesi all'ascolto e alla scuola del femminismo e quindi impegnate in modo concreto e coerente contro la violenza maschile, le sue strutture, le sue ideologie e le sue pratiche.

Adoperiamoci affinche' l'iniziativa abbia la massima partecipazione e la massima risonanza; adoperiamoci affinche' con riferimento ad essa ovunque si svolgano ulteriori iniziative di coscientizzazione ed azione nonviolenta.

Ed impegniamoci a sostenere le esperienze di contrasto alla violenza e di solidarieta' con le vittime promosse dai movimenti delle donne, ed in particolare a Viterbo e nel viterbese sosteniamo il centro antiviolenza "Erinna".

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Il 4 dicembre, "No al golpe"

Infine, piu' che mai urgente e' ora impegnarsi per difendere la Costituzione della Repubblica italiana dall'aggressione golpista che sta subendo. Nel referendum del 4 dicembre occorre votare No: no al golpe, no al fascismo, no alla barbarie.

A cosa servono le buone leggi? A difendere il debole dalla violenza del forte.

Cosa e' la democrazia? La condivisione delle decisioni su cio' che tutti riguarda affinche' nessuno sia oppresso.

Cosa sono le Costituzioni? Le Costituzioni hanno il fine specifico di impedire gli abusi da parte dei potenti, di limitare lo strapotere dei governi, di difendere i diritti di chi non ha altra difesa.

La Costituzione della Repubblica italiana e' il frutto maggiore della lotta antifascista, e' la prima difesa delle nostre comuni liberta', e' il fondamento giuridico dei nostri diritti e dell'ordinamento democratico. Impediamo che sia stravolta dal golpe degli apprendisti stregoni.

Concludendo questa conversazione puo' forse essere utile riproporre testualmente un appello nonviolento e una sorta di "decaloghetto" che abbiamo gia' diffuso qualche tempo fa.

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Un appello nonviolento per il 4 dicembre: Un parlamento eletto dal popolo, uno stato di diritto, una democrazia costituzionale. Al referendum votiamo No al golpe

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

No al golpe, no al fascismo, no alla barbarie.

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

Senza odio, senza violenza, senza paura.

Il Parlamento, l'istituzione democratica che fa le leggi, deve essere eletto dal popolo, e deve rappresentare tutti i cittadini con criterio proporzionale.

Ma con la sua riforma costituzionale il governo vorrebbe ridurre il senato a una comitiva in gita aziendale, e con la sua legge elettorale (il cosiddetto Italicum) vorrebbe consentire a un solo partito di prendersi la maggioranza assoluta dei membri della camera dei deputati anche se ha il consenso di una risibile minoranza degli elettori, e con il "combinato disposto" della riforma costituzionale e della legge elettorale il governo, che e' gia' detentore del potere esecutivo, vorrebbe appropriarsi di fatto anche del potere legislativo, rompendo cosi' quella separazione e quell'equilibrio dei poteri che e' la base dello stato di diritto.

Se prevalessero le riforme volute dal governo sarebbe massacrata la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista, sarebbe rovesciata la democrazia, sarebbe negata la separazione dei poteri e quindi lo stato di diritto.

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

No al golpe, no al fascismo, no alla barbarie.

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

Senza odio, senza violenza, senza paura.

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Un decaloghetto in forma di "Dieci coltellate. Minima una guida al referendum"

Intitolare questi brevi ragionamenti "dieci coltellate" e' un espediente retorico: a indicare la necessita' e l'urgenza di squarciare la cortina delle menzogne ed uscire dalla subalternita' al discorso dominante che e' il discorso falso e fraudolento della classe dominante che tutte e tutti ci opprime.

Indicheremo qui di seguito tre trappole in cui non cadere (la trappola delle velocita', la trappola del risparmio, la trappola della governabilita'), formuleremo tre elogi (del perfetto bicameralismo, della rappresentanza proporzionale, del costituzionalismo nemico dell'assolutismo), dichiareremo tre beni irrinunciabili (la repubblica parlamentare; lo stato di diritto, ovvero la separazione e il controllo dei poteri; la democrazia, ovvero la sovranita' popolare) e giungeremo a una conclusione che ci sembra coerente e doverosa: il 4 dicembre votare No al golpe degli apprendisti stregoni; difendiamo la Costituzione della Repubblica italiana.

E valga il vero.

1. La trappola della velocita'

Quando si prendono decisioni importanti non si discute mai abbastanza. Quando si fanno le leggi, piu' ci si pensa e meglio e'. La democrazia e' un processo decisionale lento e paziente; come scrisse Guido Calogero si contano tutte le teste invece di romperle. Solo le dittature sono veloci, velocissime, e il frutto di quella velocita' e' sempre e solo la schiavitu' e la morte di innumerevoli esseri umani.

2. La trappola del risparmio

Da quando in qua per risparmiare quattro baiocchi occorre massacrare la Costituzione, che e' la legge a fondamento di tutte le nostre leggi, la base del nostro ordinamento giuridico e quindi della nostra civile convivenza? Da quando in qua per risparmiare quattro baiocchi occorre distruggere la forma istituzionale repubblicana del nostro paese e sostituirla con la dittatura del governo, ovvero con la dittatura del capitale finanziario transnazionale di cui il governo in carica e' servo sciocco? Per ridurre i costi dell'attivita' parlamentare basterebbe una legge ordinaria che riduca gli emolumenti a tutti i parlamentari portandoli a retribuzioni ragionevoli.

3. La trappola della governabilita'

Cio' che si nasconde dietro la parola magica - ovvero la cortina fumogena - della "governabilita'" altro non e' che il potere dei potenti di imporre la loro volonta' e i loro abusi senza opposizioni e senza controlli. La governabilita' non e' ne' un valore ne' un bisogno in nome del quale devastare la democrazia, lo stato di diritto, i diritti civili, politici e sociali che ad ogni persona appartengono.

4. Elogio del perfetto bicameralismo

In un parlamento due camere sono meglio di una: se nell'una si commette un errore l'altra puo' correggerlo; se nell'una prevale un'alleanza di malfattori, l'altra puo' contrastarla. Due camere si controllano reciprocamente. Cosi' si sbaglia di meno. Benedetto sia il bicameralismo perfetto.

5. Elogio della rappresentanza proporzionale

In una democrazia il potere e' del popolo che lo esercita attraverso i suoi rappresentanti. Il parlamento che fa le leggi in nome del popolo deve essere rappresentativo di esso in modo rigorosamente proporzionale. Se invece una minoranza si appropria della maggioranza dei seggi quel parlamento non e' piu' democratico, diventa solo la foglia di fico di un regime oligarchico. E se il governo si sostituisce al parlamento nella sua funzione legislativa non solo quel parlamento diventa una foglia di fico a tentar di occultare l'oscenita' del potere reale, ma quel potere non e' piu' ne' democratico ne' repubblicano, e' diventato un'autocrazia. Benedetta sia la rappresentanza proporzionale.

6. Elogio del costituzionalismo, nemico dell'assolutismo

Il fine e il senso di ogni Costituzione e' impedire o almeno limitare gli abusi dei potenti. Nelle societa' divise in classi di sfruttatori e sfruttati, di proprietari ed espropriati, di governanti e governati, chi esercita funzioni di governo e' costantemente esposto alla forza corruttiva del potere. Nessun potere deve essere assoluto, ogni potere deve avere limiti e controlli. Benedetto sia il costituzionalismo, nemico dell'assolutismo.

7. Una repubblica parlamentare, non una dittatura

Se il governo attraverso la riforma costituzionale, la riforma elettorale ed il loro "combinato disposto" (ovvero l'effetto sinergico delle norme contenute nelle due riforme) mutila ed esautora il parlamento e si appropria di fatto del potere legislativo e lo somma a quello esecutivo che gia' detiene, viene meno la repubblica parlamentare. Ma per noi la repubblica parlamentare e' un bene irrinunciabile.

8. Uno stato di diritto, ovvero la separazione e il controllo dei poteri

Se il governo attraverso la riforma costituzionale, la riforma elettorale ed il loro "combinato disposto" (ovvero l'effetto sinergico delle norme contenute nelle due riforme) si appropria di fatto del potere legislativo e lo somma a quello esecutivo che gia' detiene, annienta la separazione e il controllo dei poteri, che sono il fondamento dello stato di diritto. Ma per noi lo stato di diritto, ovvero la separazione e il controllo dei poteri, e' un bene irrinunciabile.

9. Una democrazia, ovvero la sovranita' popolare

Se il governo attraverso la riforma costituzionale, la riforma elettorale ed il loro "combinato disposto" (ovvero l'effetto sinergico delle norme contenute nelle due riforme) riduce il parlamento a un giocattolo nelle sue mani, si fa un senato non piu' eletto dal popolo, si fa una camera dei deputati in cui una minoranza rapina la maggioranza assoluta dei seggi, si appropria di fatto del potere legislativo e lo somma a quello esecutivo che gia' detiene, la sovranita' popolare e' annichilita e con essa la democrazia. Ma per noi la democrazia, ovvero la sovranita' popolare, e' un bene irrinunciabile.

10. No al golpe, difendiamo la Costituzione della Repubblica italiana

Nel referendum del 4 dicembre si vota per dire si' o no al golpe. Chi vota si', come vuole il governo degli apprendisti stregoni, accetta il golpe che distrugge il parlamento eletto dal popolo, lo stato di diritto, la democrazia costituzionale. Chi vota no, contro la volonta' del governo degli apprendisti stregoni, difende il parlamento eletto dal popolo, lo stato di diritto, la democrazia costituzionale, e quindi si oppone al golpe. No al golpe. No al fascismo. No alla barbarie. Al referendum votiamo No. Senza odio, senza violenza, senza paura. Difendiamo la Costituzione della Repubblica italiana.

 

4. RIFLESSIONE. RANIERO LA VALLE: CON TRUMP E LA POLITICA IN PEZZI TENIAMO FERMA LA GARANZIA DELLA COSTITUZIONE

[Riceviamo e diffondiamo il testo del discorso tenuto da Raniero La Valle il 9 novembre nell'Auditorium "Fabia Gardinazzi" di Viadana (Mantova).

Raniero La Valle e' nato a Roma nel 1931, prestigioso intellettuale, giornalista, gia' direttore de "L'avvenire d'Italia", direttore di "Vasti - scuola di ricerca e critica delle antropologie", presidente del Comitato per la democrazia internazionale, gia' parlamentare, e' una delle figure piu' vive della cultura della pace; autore, fra l'altro, di: Dalla parte di Abele, Mondadori, Milano 1971; Fuori dal campo, Mondadori, Milano 1978; Dossier Vietnam-Cambogia, 1981; (con Linda Bimbi), Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano 1983; Pacem in terris, l'enciclica della liberazione, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1987; Prima che l'amore finisca, Ponte alle grazie, Milano 2003; Chi e' dunque l'uomo?, Servitium, 2004; Agonia e vocazione dell'Occidente, Terre di mezzo, 2005; Se questo e' un Dio, Ponte alle grazie, Milano 2008; Paradiso e liberta', Ponte alle grazie, Milano 2010; Quel nostro Novecento, Ponte alle Grazie, Milano 2011; Un Concilio per credere, Emi, Bologna 2013; Chi sono io, Francesco?, Ponte alle Grazie, Milano 2015]

 

Il 9 novembre al Centro Sociale di Salerno ho partecipato a un incontro sul referendum il cui titolo era: "Le ragioni del Si', quelle del No, le ragioni del dubbio".

Il prof. Alfonso Conte che mi interrogava mi ha rivolto una domanda cruciale: "davvero se si vota Si' si innesca una deriva autoritaria, ed e' a rischio la stessa democrazia? E si puo' pensare che un Renzi, che cita La Pira e vanta una formazione da scout, proponga una riforma che e' contro i poveri e manca di lealta' verso la democrazia?".

A questa domanda ho risposto appellandomi alla terza delle tre ipotesi in discussione: le ragioni del dubbio.

Non e' certo che con la nuova Costituzione della Boschi e di Renzi si prepari un futuro autoritario e che la democrazia vada perduta. E' vero, si diminuiscono le difese e si aprono dei varchi, ma non si puo' dare per certo che la democrazia perisca, ne' che, al contrario, essa continui e si rafforzi. Sulla scorta delle analisi dei maggiori costituzionalisti, e' lecito il dubbio; anzi proprio il dubbio e' la posizione piu' ragionevole.

Ma il problema e': quando sono in gioco la democrazia, la pace sociale, i giusti rapporti tra il popolo e il potere, possiamo permetterci il dubbio? Noi sappiamo bene quanto questi valori, di recente acquisiti, siano costati, in lotte, dolori e sangue; sappiamo quanto sia vitale che mai piu' siano perduti e sappiamo che cosa essi valgano per noi e per i nostri figli, proprio i figli a beneficio dei quali si dice che sarebbero fatte "le riforme". Possiamo giocare d'azzardo, mettere sul tavolo verde democrazia e liberta', nel dubbio scommettere che il potere non abusi dei suoi nuovi artigli, in nome di procedure piu' stringenti e spicciative?

Se il dubbio non e' rimosso (e non e' nemmeno il cambiamento della legge elettorale che potrebbe scioglierlo) e la democrazia e' a rischio, occorre far ricorso, al principio di precauzione che e' quello che si deve adottare quando sono in gioco valori supremi, come la stessa vita. E' questo ad esempio il principio che viene invocato nelle discussioni sul futuro della terra, quando si dibatte se davvero il sovvertimento climatico provocato dall'uomo possa mettere fine alla vita sulla terra: nel dubbio, e prima che l'irreparabile accada, responsabilita' vuole che si faccia la scelta dettata dal principio di precauzione; devono essere bloccate o diminuite le possibilita' stesse che cio' accada.

Questa scelta di responsabilita' tanto piu' deve essere fatta quando con l'elezione di Trump in America tutte le previsioni, anche le piu' scontate, sono saltate; il fallimento della globalizzazione (che e' in realta' il nuovo nome del capitalismo), l'incapacita' della politica a dare risposte al problema di 62 milioni di fuggiaschi, di profughi e di migranti gettati nel mondo, stanno provocando reazioni angosciose negli elettorati e hanno aperto una nuova fase nella storia del mondo, in cui tutto e' possibile.

Non sono colpite le ideologie, ma la vita, le case, gli ambienti vitali, il futuro delle persone. Guerra ed esodo, che ci sono sempre stati, stanno assumendo, con la loro pervasivita' universale, caratteristiche nuove e distruttive non solo delle cose, ma del nucleo piu' profondo della personalita' umana.

Una psicoterapeuta, adusa alla frequentazione di queste sofferenze, Anna Sabatini Scalmati, cosi' ha evocato questi due fenomeni in una relazione a un convegno su "Psicoanalisi e luoghi del trauma sociale", tenutosi il 22 ottobre a Lecce.

"Nelle aree di guerra - ha detto Anna Sabatini - la morte lavora all'ingrosso, conta il numero dei 'colpiti' con cifre a piu' zeri, annienta la vita psichica; i bombardamenti trasformano in cumuli di macerie i luoghi di culto; i monumenti - rimandi culturali eretti a memoria di eventi fondativi della comunita'; le abitazioni civili, gli edifici che il contratto sociale ha eretto a protezione della vita: ospedali, scuole, palazzi della politica, istituti culturali, ecc.

"La guerra mette tra parentesi l'interdetto delle tavole della legge, rende lecito l'uccidere, ottunde l'autorevolezza dei garanti metasociali, svilisce la Dichiarazione universale dei Diritti. Distrugge le infrastrutture: la rete idrica, elettrica, i ponti e  le linee di comunicazione. Semina la terra con mine antiuomo, rende insicure l'agricoltura e la pastorizia: antiche, primarie fonti di sussistenza.

"La guerra opacizza il lutto. Dei bombardamenti si conosce il numero approssimativo dei morti; ma il macroscopico oblitera il microscopico. Si piangono i singoli, non le migliaia; piu' il numero e' grande, piu' l'individuo, la singolarita', l'unicita' della sua esperienza, scompare.

"Sulla scia della guerra avanza lo spettro della fame e l'alito malsano della miseria. L'angoscia si duplica e macula l'orizzonte di paure.

"La paura discende dal cielo che - da regno del sole e della luna, da reggia dell'olimpo, del dio delle religioni monoteiste, a cui per millenni l'umanita' ha offerto sacrifici, rivolto preghiere, bruciato incenso e tratti presagi dal volo degli uccelli - e' divenuto un inverecondo arsenale di morte. Dai suoi spazi solcati da fortezze volanti - F16, droni, caccia, ecc. - precipitano sulla terra uragani di bombe.

"La paura sgorga dal mare sulle cui acque navigano portaerei, sottomarini atomici.

"La paura abita la terra ove avanzano rombanti le truppe amiche e nemiche e, nei luoghi ove pulsa la vita quotidiana, esplodono i kamikaze.

"Paure che sopravanzano ogni pensiero, tingono di vergogna l'immagine dell'umano che reca la morte a se' e al simile, rendono nefasta la stanzialita' e impossibile la continuita' della vita sulla terra degli antenati. La paura rizza la pelle e nel contempo chiede di prendere atto della realta', di cio' che non si puo' pensare fino in fondo: abbandonare la terra, la casa, le mura che, mute testimoni dei linguaggi affettivi, dei progetti dell'intimita' coniugale, dai vagiti dei nuovi nati, hanno protetto il sonno dopo pesanti ore di lavoro e assistito al 'supremo scolorir del sembiante' di coloro che vi sono deceduti. Abbandonare la casa, pelle seconda, esterna, pregna di proiezioni, consce e meno, del proprio 'Io/ambiente/mondo', e' una decisione lacerante.

"La sopravvivenza, la razionalita', suggerisce la fuga, ma la mente - appesantita da oscure paure - fa fatica a sostenerla. Si preparano i fagotti, si serrano le porte, ma le gambe tremano, un'inedita vulnerabilita' le soverchia; uno stato di insensatezza dissolve il senso dell'esistenza".

E riguardo allo sradicamento di uomini e donne in fuga dalla loro patria, e al rifiuto di accoglierli, la relatrice dice:

"Non indignarsi di fronte ai fatti che sbarrano la strada alle popolazioni in fuga da una morte certa ci spoglia di ogni innocenza. Tra le vittime e gli oppressori, sottolinea Escobar, 'tra chi fa e chi guarda non c'e' un confine netto, ma un'area grigia nella quale gli 'innocenti' rischiano di trasformarsi in complici. Si tratta di un rischio che riguarda tutti, e che a tutti tocca di valutare'.

"L'imponente flusso dei profughi dei nostri giorni avanza con rischi che l'intera comunita' e' chiamata ad affrontare affinche' le diversita' culturali non degenerino in metastasi sociali e non umilino con divieti paranoici - no al Burqa, no al Burqini - la comunita'. Lo 'spettro che si aggira per l'Europa', non e' l'umanita' in cerca di salvezza, ma l'intolleranza verso l'altro, il diverso. Intolleranza che corrompe le coscienze, virus che con inattesa rapidita' infetta intere nazioni e rende il vicino di ieri il nemico di oggi".

E chi deve rispondere, chi deve curare queste patologie? Gli psicanalisti? I medici? Le guardie di frontiera, la protezione civile? No, la politica; solo la politica puo' correggere i guasti della globalizzazione, puo' aver ragione della guerra, puo' dare risposte al dramma di un'umanita' che e' una, ma che oggi e' divisa tra residenti e profughi, tra stanziali e fuggiaschi, tra cittadini e stranieri, tra necessari ed esuberi, tra presi e scartati. La politica, e naturalmente le Costituzioni e, piu' ancora, il costituzionalismo, sono le grandi risorse di cui ci siamo dotati per maneggiare le crisi.

Resta la domanda: si puo' pensare che riformatori che vengono da tradizioni democratiche, da esperienze cristiane, da ideologie di sinistra, con le loro ostinate proposte di riforma vogliano mettere a rischio costituzionalismo e democrazia?

Respingendo qui la tentazione del dubbio, si puo' rispondere di no. Pero' spesso in politica c'e' un'eterogenesi dei fini. Per calcoli sbagliati, o incauti, o un'insufficiente etica pubblica, si puo' aprire la strada a esiti non voluti. A vedere certe esibizioni sul referendum, soprattutto quelle televisive, si direbbe che questa riforma sia piu' frutto di ignoranza che di cattiveria. Ma questo rende ancora piu' doverosa l'adozione del principio di precauzione, e tanto piu' dopo la vittoria di Trump, che mostra che cosa succede quando a governare sono le banche e il denaro, e la gente cerca un'altra offerta politica. E se le offerte politiche alternative non sono all'altezza della sfida, come ultima difesa resta la Costituzione.

Chi ha il potere e maldestramente lo usa, puo' finire, e condurre altri, dove non voleva. C'e' una figura famosa in letteratura che e' quella dell'apprendista stregone. Quando ero giovane non ero abbastanza colto da aver letto la ballata di Goethe "L'apprendista stregone" ispirata a un testo di Luciano di Samosata, pero' fui colpito dal film Fantasia di Walt Disney, in cui l'incauto apprendista per rubare il mestiere al maestro stregone mise in movimento delle forze incontrollabili che non fu piu' in grado di far rientrare nell'ordine. Anche se gli apprendisti stregoni sono in buona fede, basta un No per impedire loro di nuocere.

 

5. RIFLESSIONE. MASSIMO VILLONE: CON LA RIFORMA RENZI-BOSCHI LE REGIONI A STATUTO SPECIALE RESTANO FUORI DAL SENATO

[Dal sito www.referendumcostituzionale.online riprendiamo il seguente intervento.

Massimo Villone, costituzionalista, docente universitario, gia' senatore, e' autore di molte pubblicazioni]

 

Il nuovo senato e' una miniera di affascinanti scoperte. L'ultima e' che i consiglieri senatori delle regioni a statuto speciale non arriveranno nemmeno a sedersi sull'agognata poltrona.

Il vigente art. 122 Cost. dispone l'incompatibilita' tra la carica di consigliere regionale e quella di parlamentare. La legge Renzi-Boschi cancella l'incompatibilita' per quanto riguarda i senatori, eletti dai consigli regionali nel proprio ambito. Sono dunque senatori in quanto consiglieri, e se cessano dalla carica regionale perdono anche il seggio in senato.

Il problema nasce perche' la incompatibilita' tra consigliere e parlamentare e' separatamente stabilita anche dagli statuti speciali, adottati con legge costituzionale (art. 3 SI; art. 17 SA; art. 28 TAA; art. 17 VdA; art. 15 FVG). Si ha dunque un paradosso: il senatore deve necessariamente essere un consigliere, ma il consigliere delle regioni a statuto speciale non puo' essere senatore. Il consiglio di regione speciale che eleggesse un proprio componente al senato, dovrebbe poi dichiararlo decaduto dalla carica di consigliere. Ma cosi' verrebbe meno anche la legittimazione a sedere in senato, con conseguente decadenza anche da quella carica. Esiste dunque tra la legge Renzi-Boschi e gli statuti speciali un contrasto insanabile, che si puo' superare solo cancellando l'incompatibilita' disposta dai secondi.

La domanda e': puo' la Renzi-Boschi modificare gli statuti speciali? In apparenza si', perche' e' legge costituzionale come gli statuti speciali, e dunque - essendo successiva - entrando in vigore con la vittoria dei si' li modificherebbe cancellando l'incompatibilita'.

Ma non e' cosi'. Perche' pur essendo gli statuti speciali una legge costituzionale come la Renzi-Boschi, sono modificabili solo con un procedimento particolare, che aggiunge a quello previsto dall'art. 138 Cost. il parere obbligatorio del consiglio regionale ed esclude il referendum nazionale nel caso di approvazione delle modifiche (art. 43 ter St.si.; 103 TAA; 50 V.d.A.; art. 63 F.V.G.). Lo Statuto della Sardegna prevede anche la possibilita' di un referendum consultivo tra la prima e la seconda deliberazione (art. 54). Lo statuto speciale e' - come dicono i costituzionalisti - una fonte atipica rinforzata, modificabile solo con il procedimento in essa specificamente previsto.

La cosa si spiega considerando che siamo di fronte a due ordinamenti diversi: l'ordinamento statale e l'ordinamento regionale. Sono due sistemi separati, ciascuno modificabile con il procedimento in esso previsto. Quello statale potra' essere modificato con il procedimento ex art. 138 Cost., quello regionale con le modalita' dell'art. 138 piu' le modalita' aggiuntive previste da ogni statuto speciale. Quindi la Renzi-Boschi puo' cancellare la incompatibilita' nell'ordinamento statale, ma non in quello regionale, dal quale potra' essere rimossa solo con altra legge costituzionale approvata secondo quanto previsto dagli statuti. E fino a questa ulteriore legge un consiglio di regione speciale che eleggesse i consiglieri senatori dovrebbe poi dichiararne la decadenza. Se omettesse di farlo, violerebbe lo Statuto. E non dimentichiamo l'interesse a far dichiarare la decadenza di chi avrebbe titolo a subentrare. Prepariamoci a un festival di carte bollate.

Agli errori si accompagnano omissioni e bugie. Sentiamo i sostenitori del si' rassicurare le comunita' locali che temono il neo-centralismo statalista con la favola che manterranno il pieno controllo sul proprio territorio. Ma omettono di dire che la clausola di supremazia prevista dalla Renzi-Boschi permette alla legge statale di invadere qualsiasi materia di competenza regionale per ragioni di interesse nazionale o di unita' giuridica ed economica della Repubblica. Nessuna materia sfugge, dalle trivelle all'ambiente, alla sanita'. E per la legge adottata in base alla clausola di supremazia il voto della Camera prevale su quello del Senato dei territori. E' questo l'argine a difesa delle comunita'?

L'arroganza e la prevaricazione che hanno segnato l'approvazione della Renzi-Boschi hanno prodotto pressapochismo e sciatteria. In fondo, per evitare pastrocchi bastava che a Palazzo Chigi leggessero le carte. Ma questo e' appunto il problema: bisognava saper leggere.

 

6. RIFLESSIONE. JUDITH BUTLER: QUELLE URNE SOMMERSE DA SESSISMO E RAZZISMO

[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 novembre 2016 riprendiamo il seguente intervento della prestigiosa filosofa ed attivista dal titolo "Quelle urne sommerse da sessismo e razzismo" e il sommario "Elezioni Usa. Un commento inedito della filosofa statunitense a proposito dell'elezione presidenziale di Donald Trump. Con quali condizioni abbiamo a che fare se l'odio piu' scatenato e la piu' sfrenata smania di militarizzazione riescono a ottenere il consenso della maggioranza?"]

 

Due sono le domande che gli elettori statunitensi che stanno a sinistra del centro si stanno ponendo. Chi sono queste persone che hanno votato per Trump? E perche' non ci siamo fatti trovare pronti, davanti a questo epilogo? La parola "devastazione" si approssima a malapena a cio' che sentono, al momento, molte tra le persone che conosco. Evidentemente non era ben chiaro quanto enorme fosse la rabbia contro le elites, quanto enorme fosse l'astio dei maschi bianchi contro il femminismo e contro i vari movimenti per i diritti civili, quanto demoralizzati fossero ampi strati della popolazione, a causa delle varie forme di spossessamento economico, e quanto eccitante potesse apparire l'idea di nuove forme di isolamento protezionistico, di nuovi muri, o di nuove forme di bellicosita' nazionalista. Non stiamo forse assistendo a un backlash del fondamentalismo bianco? Perche' non ci era abbastanza evidente?

Proprio come alcune tra le nostre amiche inglesi, anche qui abbiamo maturato un certo scetticismo nei riguardi dei sondaggi. A chi si sono rivolti, e chi hanno tralasciato? Gli intervistati hanno detto la verita'? E' vero che la vasta maggioranza degli elettori e' composta da maschi bianchi e che molte persone non bianche sono escluse dal voto? Da chi e' composto questo elettorato arrabbiato e distruttivo che preferirebbe essere governato da un pessimo uomo piuttosto che da una donna? Da chi e' composto questo elettorato arrabbiato e nichilista che imputa solo alla candidata democratica le devastazioni del neoliberismo e del capitalismo piu' sregolato?

E' dirimente focalizzare la nostra attenzione sul populismo, di destra e di sinistra, e sulla misoginia - su quanto in profondita' essa possa operare.

Hillary viene identificata come parte dell'establishment, ovviamente. Cio' che tuttavia non deve essere sottostimata e' la profonda rabbia nutrita nei riguardi di Hillary, la collera nei suoi confronti, che in parte segue la misoginia e la repulsione gia' nutrita per Obama, la quale era alimentata da una latente forma di razzismo.

Trump ha catalizzato la rabbia piu' profonda contro il femminismo ed e' visto come un tutore dell'ordine e della sicurezza, contrario al multiculturalismo - inteso come minaccia ai privilegi bianchi - e all'immigrazione. E la vuota retorica di una falsa potenza ha infine trionfato, segno di una disperazione che e' molto piu' pervasiva di quanto riusciamo a immaginare.

Cio' a cui stiamo assistendo e' forse una reazione di disgusto nei riguardi del primo presidente nero che va di pari passo con la rabbia, da parte di molti uomini e di qualche donna, nei riguardi della possibilita' che a divenire presidente fosse proprio una donna? Per un mondo a cui piace definirsi sempre piu' postrazziale e postfemminista non deve essere facile prendere atto di quanto il sessismo e il razzismo presiedano ai criteri di giudizio e consentano tranquillamente di scavalcare ogni obiettivo democratico e inclusivo - e tutto cio' e' indice delle passioni sadiche, tristi e distruttive che guidano il nostro paese.

Chi sono allora quelle persone che hanno votato per Trump - ma, soprattutto, chi siamo noi, che non siamo state in grado di renderci conto del suo potere, che non siamo stati in grado di prevenirlo, che non volevamo credere che le persone avrebbero votato per un uomo che dice cose apertamente razziste e xenofobe, la cui storia e' segnata dagli abusi sessuali, dallo sfruttamento di chi lavorava per lui, dallo sdegno per la Costituzione, per i migranti, e che oggi e' seriamente intenzionato a militarizzare, militarizzare, militarizzare? Pensiamo forse di essere al sicuro, nelle nostre isole di pensiero di sinistra radicale e libertario? O forse abbiamo semplicemente un'idea troppo ingenua della natura umana?

Con quali condizioni abbiamo a che fare se l'odio piu' scatenato e la piu' sfrenata smania di militarizzazione riescono a ottenere il consenso della maggioranza?

Chiaramente, non siamo in grado di dire nulla a proposito di quella porzione di popolazione che si e' recata alle urne e che ha votato per lui. Ma c'e' una cosa che pero' dobbiamo domandarci, e cioe' come sia stato possibile che la democrazia parlamentare ci abbia potuti condurre a eleggere un presidente radicalmente antidemocratico. Dobbiamo prepararci a essere un movimento di resistenza, piu' che un partito politico. D'altronde, al suo quartier generale a New York, questa notte, i supporter di Trump rivelavano senza alcuna vergogna il proprio odio esuberante al grido di "We hate muslims, we hate blacks, we want to take our country back".

 

7. RIFLESSIONE. MICHAEL MOORE: CINQUE COSE DA FARE DOPO LA VITTORIA DI TRUMP

[Riceviamo e diffondiamo il seguente intervento del regista e attivista statunitense]

 

1. Restituire il Partito Democratico al popolo. Ha fallito miseramente.

2. Licenziare chi ha fatto previsioni sbagliate: esperti, profeti, sondaggisti, chiunque del mondo della comunicazione si sia rifiutato di ascoltare o riconoscere cosa stava realmente accadendo. Quegli stessi parolai ora ci diranno che dobbiamo "superare le divisioni" e "unirci". Diranno ulteriori balle nei giorni a venire. Spegneteli.

3. Ogni membro democratico del Congresso che oggi non si sia svegliato con la voglia di combattere, resistere e ostacolare come hanno fatto i repubblicani con Obama tutti i giorni degli ultimi otto anni, si faccia da parte e lasci il posto a chi e' pronto ad arginare la follia che sta per cominciare.

4. Basta dire che siete "scioccati" e "sconvolti". Dovreste piuttosto dire che avete vissuto in una bolla e non avete fatto attenzione ai vostri fratelli americani piu' disperati. Per anni sono stati ignorati da entrambi i partiti, la rabbia e la voglia di vendetta contro il sistema non ha fatto che aumentare. Poi e' arrivata la star della tv il cui piano era distruggere i partiti, quindi la vittoria di Trump non e' una sorpresa. Trattare Trump come fosse uno scherzo non ha fatto che renderlo piu' forte. E' una creatura dei media, ma anche una creazione dei media.

5. Hillary ha vinto il voto popolare, ricordatelo a chiunque incontrate. La maggioranza dei votanti l'ha preferita a Trump. Punto e basta. E' un dato di fatto. L'unico motivo per cui lui e' stato eletto presidente e' una folle e arcana idea datata XVIII secolo e chiamata Collegio elettorale. Finche' non la cambiamo, continueremo ad avere presidenti che non abbiamo eletto e che non vogliamo. Viviamo in un Paese dove la maggioranza e' d'accordo sul cambiamento in atto, sulla parita' di salario fra uomini e donne, sull'educazione libera da debiti. Una maggioranza di cittadini che non vuole invadere altri paesi, vuole un aumento del salario minimo e un sistema sanitario che funzioni, insomma una maggioranza che ha posizioni "liberali". Ci manca solo la leadership liberale per realizzare tutto questo.

 

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 397 del 13 novembre 2016

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