[Nonviolenza] Telegrammi. 2130



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2130 dell'8 ottobre 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. L'adempimento

2. Auguri a Desmond Tutu. Un incontro a Viterbo contro guerra, razzismo e maschilismo

3. Movimento Nonviolento, Peacelink e Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo: Un appello per il 4 novembre: "Ogni vittima ha il volto di Abele"

4. Verso la "Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne" del 25 novembre

5. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"

6. In memoria di Willy Brandt, di Marina Cvetaeva, di Jacques Derrida, di Harriet Hardy Taylor, di Gabriel Marcel

7. Irene Bignardi presenta "La fattoria degli animali" di George Orwell

8. Cesare G. De Michelis presenta "Il maestro e Margherita" di Michail Bulgakov

9. Giuseppe Dierna presenta "L'insostenibile leggerezza dell'essere" di Milan Kundera

10. Daniela Pasti presenta "Il signore delle mosche" di William Golding

11. Segnalazioni librarie

12. La "Carta" del Movimento Nonviolento

13. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. L'ADEMPIMENTO

 

Nulla e' piu' necessario ed urgente che impegnarci per salvare le vite degli esseri umani minacciate dalla fame e dalle guerre, dalle devastazioni e dall'orrore.

Il primo dovere di ogni essere umano, di ogni umano istituto, dell'intera umanita' e' abolire la guerra e tutte le uccisioni: e per ottenere questo esito occorre il disarmo e la smilitarizzazione.

Il primo dovere di ogni essere umano, di ogni umano istituto, dell'intera umanita' e' soccorrere, accogliere, assistere ogni essere umano in pericolo, ogni essere umano nel dolore, ogni essere umano nel bisogno.

Il primo dovere di ogni essere umano, di ogni umano istituto, dell'intera umanita' e' preservare il mondo vivente.

*

Chiamiamo nonviolenza l'adempimento di questo nostro primo dovere.

Chiamiamo nonviolenza salvare le vite.

Chiamiamo nonviolenza l'opposizione a tutte le uccisioni, a tutte le violenze, a tutte le menzogne, a tutte le vilta'.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.

 

2. INCONTRI. AUGURI A DESMOND TUTU. UN INCONTRO A VITERBO CONTRO GUERRA, RAZZISMO E MASCHILISMO

 

Ricorrendo il compleanno di Desmond Tutu, l'arcivescovo anglicano sudafricano nato il 7 ottobre 1931, una delle figure piu' luminose della lotta nonviolenta contro il razzismo, per la pace, per i diritti umani, per la difesa dell'ambiente, si e' svolto nel pomeriggio di mercoledi' 7 ottobre 2015 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di riflessione e di testimonianza contro la guerra, contro il razzismo, contro il maschilismo; un incontro di impegno per la democrazia, la giustizia sociale, i diritti umani, la civile convivenza, la protezione della biosfera; un incontro in cui si e' ancora una volta voluto attestare la gratitudine di ogni persona di volonta' buona a Desmond Tutu.

Nel corso dell'incontro sono stati letti e commentati alcuni testi di Desmond Tutu e sono state rievocate sia la lotta contro l'apartheid, sia la successiva esperienza della Commissione per la verita' e la riconciliazione, che in Desmond Tutu e in Nelson Mandela hanno avuto fondamentali punti di riferimento.

*

Un minuto di silenzio e un appello al Parlamento

L'incontro si e' aperto con un minuto di silenzio per le vittime di tutte le guerre assassine e della scandalosa, disumana omissione di soccorso che tuttora fa strage di migranti nel Mediterraneo.

Le persone partecipanti all'incontro hanno nuovamente espresso la richiesta al Parlamento che l'Italia soccorra, accolga ed assista tutte le persone in fuga dalla fame, dalle guerre e dalle dittature; che l'Italia cessi di partecipare alle guerre e si impegni per la pace, il disarmo, la smilitarizzazione dei conflitti; che siano abolite tutte le scellerate misure razziste che in Italia violano i fondamentali diritti umani.

*

Per salvare le vite dei migranti

E' stato nuovamente condiviso un documento che chiede un impegno immediato per salvare le vite dei migranti; di cui di seguito si riporta il testo:

"Occorre soccorrere, accogliere, assistere tutti gli esseri umani in fuga dalla fame e dalle guerre.

Occorre riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere in modo legale e sicuro nel nostro paese.

Occorre andare a soccorrere e prelevare con mezzi di trasporto pubblici e gratuiti tutti i migranti lungo gli itinerari della fuga, sottraendoli agli artigli dei trafficanti.

Occorre un immediato ponte aereo di soccorso internazionale che prelevi i profughi direttamente nei loro paesi d'origine e nei campi collocati nei paesi limitrofi e li porti in salvo qui in Europa.

Occorre cessare di fare, fomentare, favoreggiare, finanziare le guerre che sempre e solo consistono nell'uccisione di esseri umani.

Occorre proibire la produzione e il commercio delle armi.

Occorre promuovere la pace con mezzi di pace.

Occorre cessare di rapinare interi popoli, interi continenti.

In Italia occorre abolire i campi di concentramento, le deportazioni, e le altre misure e pratiche razziste e schiaviste, criminali e criminogene, che flagrantemente confliggono con la Costituzione, con lo stato di diritto, con la democrazia, con la civilta'.

In Italia occorre riconoscere immediatamente il diritto di voto nelle elezioni amministrative a tutte le persone residenti.

In Italia occorre contrastare i poteri criminali, razzisti, schiavisti e assassini.

L'Italia realizzi una politica della pace e dei diritti umani, del disarmo e della smilitarizzazione, della legalita' che salva le vite, della democrazia che salva le vite, della civilta' che salva le vite.

L'Italia avvii una politica nonviolenta: contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' e la biosfera.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Salvare le vite e' il primo dovere.

Ogni vittima ha il volto di Abele".

*

Contro la guerra una lettera al Presidente della Repubblica

Al termine dell'incontro e' stata data lettura della lettera inviata ieri al Presidente della Repubblica dalla struttura nonviolenta viterbese, di cui di seguito si riporta il testo:

"Signor Presidente della Repubblica,

"L'Italia ripudia la guerra" e' scritto nella Costituzione della Repubblica italiana.

E allora perche' l'Italia continua a prendere parte alla guerra afgana?

E allora perche' l'Italia rifornisce di armi regimi assassini e guerre in corso?

E allora perche' l'Italia sperpera oscenamente 72 milioni di euro al giorno per le spese militari?

E allora perche' l'Italia continua a far parte di un'organizzazione terrorista e stragista come la Nato?

E allora perche' l'Italia sostiene alleanze, organizzazioni, regimi assassini?

"L'Italia ripudia la guerra" e' scritto nella Costituzione della Repubblica italiana.

In questo tragico momento della storia dell'umanita' l'Italia torni al rispetto della sua legge fondamentale: ripudi la guerra.

Signor Presidente della Repubblica,

si adoperi affinche' cessi questo immane crimine, si adoperi affinche' cessi ogni complicita' dell'Italia con la guerra e le stragi, si adoperi per il rispetto rigoroso della legalita' costituzionale che ripudia la guerra, si adoperi per il rispetto rigoroso del primo principio che fonda ogni civile convivenza: salvare le vite invece di sopprimerle.

Ogni vittima ha il volto di Abele. Salvare le vite e' il primo dovere".

 

3. REPETITA IUVANT. MOVIMENTO NONVIOLENTO, PEACELINK E CENTRO DI RICERCA PER LA PACE E I DIRITTI UMANI DI VITERBO: UN APPELLO PER IL 4 NOVEMBRE: "OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE"

[Riproponiamo l'appello promosso gia' negli scorsi anni da Movimento Nonviolento, Peacelink e Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo per il 4 novembre: "Ogni vittima ha il volto di Abele"]

 

Intendiamo proporre per il 4 novembre l'iniziativa nonviolenta "Ogni vittima ha il volto di Abele".

Proponiamo che il 4 novembre si realizzino in tutte le citta' d'Italia commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre, commemorazioni che siano anche solenne impegno contro tutte le guerre e le violenze.

Affinche' il 4 novembre, anniversario della fine dell'"inutile strage" della prima guerra mondiale, cessi di essere il giorno in cui i poteri assassini irridono gli assassinati, e diventi invece il giorno in cui nel ricordo degli esseri umani defunti vittime delle guerre gli esseri umani viventi esprimono, rinnovano, inverano l'impegno affinche' non ci siano mai piu' guerre, mai piu' uccisioni, mai piu' persecuzioni.

Queste iniziative di commemorazione e di impegno morale e civile devono essere rigorosamente nonviolente. Non devono dar adito ad equivoci o confusioni di sorta; non devono essere in alcun modo ambigue o subalterne; non devono prestare il fianco a fraintendimenti o mistificazioni. Queste iniziative di addolorato omaggio alle vittime della guerra e di azione concreta per promuovere la pace e difendere le vite, devono essere rigorosamente nonviolente.

Occorre quindi che si svolgano in orari distanti e assolutamente distinti dalle ipocrite celebrazioni dei poteri armati, quei poteri che quelle vittime fecero morire.

Ed occorre che si svolgano nel modo piu' austero, severo, solenne: depositando omaggi floreali dinanzi alle lapidi ed ai sacelli delle vittime delle guerre, ed osservando in quel frangente un rigoroso silenzio.

Ovviamente prima e dopo e' possibile ed opportuno effettuare letture e proporre meditazioni adeguate, argomentando ampiamente e rigorosamente perche' le persone amiche della nonviolenza rendono omaggio alle vittime della guerra e perche' convocano ogni persona di retto sentire e di volonta' buona all'impegno contro tutte le guerre, e come questo impegno morale e civile possa concretamente limpidamente darsi. Dimostrando che solo opponendosi a tutte le guerre si onora la memoria delle persone che dalle guerre sono state uccise. Affermando il diritto e il dovere di ogni essere umano e la cogente obbligazione di ogni ordinamento giuridico democratico di adoperarsi per salvare le vite, rispettare la dignita' e difendere i diritti di tutti gli esseri umani.

A tutte le persone amiche della nonviolenza chiediamo di diffondere questa proposta e contribuire a questa iniziativa.

Contro tutte le guerre, contro tutte le uccisioni, contro tutte le persecuzioni.

Per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

Movimento Nonviolento, per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

Peacelink, per contatti: e-mail: info at peacelink.it, sito: www.peacelink.it

Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo, per contatti: e-mail: nbawac at tin.it e centropacevt at gmail.com, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

4. REPETITA IUVANT. VERSO LA "GIORNATA INTERNAZIONALE PER L'ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE" DEL 25 NOVEMBRE

 

Si svolge il 25 novembre la "Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne".

Ovunque si realizzino iniziative.

Ovunque si contrasti la violenza maschilista e patriarcale.

Ovunque si sostengano i centri antiviolenza delle donne.

Ovunque si educhi e si lotti per sconfiggere la violenza maschilista e patriarcale, prima radice di tutte le altre violenze.

 

5. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"

 

Per sostenere il centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.

O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.

Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it

Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.

 

6. ANNIVERSARI. IN MEMORIA DI WILLY BRANDT, DI MARINA CVETAEVA, DI JACQUES DERRIDA, DI HARRIET HARDY TAYLOR, DI GABRIEL MARCEL

 

Ricorre oggi, 8 ottobre, l'anniversario della scomparsa di Willy Brandt (Lubecca, 18 dicembre 1913 - Unkel, 8 ottobre 1992), della nascita di Marina Cvetaeva (Mosca, 8 ottobre 1892 - Elabuga, 31 agosto 1941), della scomparsa di Jacques Derrida (El Biar, 15 luglio 1930 - Parigi, 8 ottobre 2004), della nascita di Harriet Hardy Taylor (Londra, 8 ottobre 1807 - Avignone, 3 novembre 1858), della scomparsa di Gabriel Marcel (Parigi, 7 dicembre 1889- 8 ottobre 1973).

*

Anche nel ricordo di Willy Brandt, di Marina Cvetaeva, di Jacques Derrida, di Harriet Hardy Taylor, di Gabriel Marcel, proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' e la biosfera.

 

7. LIBRI. IRENE BIGNARDI PRESENTA "LA FATTORIA DEGLI ANIMALI" DI GEORGE ORWELL

[Dal sito del quotidiano "La Repubblica" (www.repubblica.it) riprendiamo il seguente articolo dal titolo "Quando i maiali prendono il potere" del primo ottobre 2002]

 

"Negli ultimi dieci anni mi sono convinto che la distruzione del mito sovietico era essenziale se si voleva ridare vita al movimento socialista. E (...) ho pensato di denunciare il mito sovietico in una storia che potesse essere facilmente capita da quasi tutti... Tuttavia non riuscivo a inventare i dettagli della storia fino al giorno (...) in cui ho visto un ragazzino, forse di dieci anni, condurre un grande cavallo da tiro lungo uno stretto sentiero, frustandolo ogni volta che cercava di girarsi. Mi ha colpito l'idea che se solo gli animali fossero consapevoli della loro forza non avremmo su di loro alcun potere, e che gli uomini sfruttano gli animali nello stesso modo in cui i ricchi sfruttano il proletariato".

Così George Orwell racconto', nella prefazione all'edizione ucraina, l'origine di uno dei piu' celebri libri del mondo - uno smilzo volumetto di novantacinque pagine dall'accattivante e arcadico titolo, La fattoria degli animali. Quella che lui chiamava una fiaba "politica" (oltre che "il libro su cui ho piu' sudato") racconta, come sanno anche i bambini che hanno visto il classico cartone animato di Halas e Batchlor, quello che accade nella fattoria di Mr Jones, quando, per i maltrattamenti continui subiti dagli animali, questi decidono di sollevarsi, di impadronirsi della proprieta' e di gestirla da soli, guidati da un gruppo di intelligentissimi maiali che organizzano la comunita' animale secondo un credo comunistico e rivoluzionario. Salvo tradire ben presto l'ideale rivoluzionario, reinventare antiche forme di repressione e di dispotismo, allearsi con gli umani e ricreare il peggio del defunto regime di Mr Jones.

Un libro che puo' essere letto, oggi, come la satira esopiana o swiftiana della degenerazione di qualsiasi rivoluzione e della predestinazione al fallimento di ogni rivolta, oltre che come un libro di assoluta comicita': anche un bambino si diverte di fronte all'idea dei maiali che, dopo la rivoluzione, danno pia sepoltura a dei prosciutti trovati nella casa di Mr Jones, o davanti alle civetterie della cavalla Mollie, o al coro degli animali che tutti insieme cantano il loro inno Beasts of England (sulla musica, precisa Orwell, a scelta, di My Darling Clementine o di La Cucaracha).

Ma all'epoca, un'epoca di passioni ideologiche fortissime e di revisionismi non ancora inventati, anche ai piu' distratti La fattoria degli animali apparve per quello che era, una satira della rivoluzione sovietica: il vecchio Mr Jones non e' lo Zar di tutte le Russie? Il teorico della rivoluzione, Old Major, che sogna di un'utopia in cui "tutti gli animali sono uguali" non e' forse una fusione di Marx e di Lenin? E i due astuti ed intelligenti maiali che conducono la rivoluzione, Napoleon, invasato dalla sua sete di potere e dal gusto della ferocia, e Palla di Neve, che verra' cacciato in esilio, non ricordano rispettivamente Stalin e Trotzkij? E la conclusione, che tutti gli animali sono eguali ma alcuni sono piu' eguali degli altri, non ricorda nulla?

Correva, alla pubblicazione, l'anno 1945. Ma l'idea di Animal Farm era nata molti anni prima, nel 1937, anche se la sua stesura fu iniziata solo nel novembre del 1943 e fu terminata nel febbraio del 1944. Era il punto terminale di una lunga storia di passioni civili e politiche iniziata vent'anni prima, quando George Orwell, che allora si chiamava Eric Blair e lavorava nella Indian Imperial Police in Birmania, come gia' suo padre e suo nonno, si trasformo', grazie al suo lavoro, in un uomo che "odiav(a) l'imperialismo che stav(a) servendo".

In Inghilterra comincio' a scrivere come mestiere e divenne un militante socialista, pubblicando alcuni bei libri (Senza soldi a Parigi e a Londra e La strada per Wigan Pier) molto attenti alla situazione politica e sociale. Nel 1936 era andato in Spagna, prima come corrispondente di guerra, poi arruolandosi nel Poum, il partito operaio marxista unito, come "Eric Blair, verduraio". Aveva visto le minoranze del movimento comunista e repubblicano tradite dall'ideologia staliniana dominante, aveva assistito alla fine del Poum e delle speranze rivoluzionarie e repubblicane (la storia da lui raccontata nel bellissimo diario di quei giorni, Omaggio alla Catalogna, messa recentemente in immagini da Ken Loach nel suo film Terra e liberta'), e aveva capito molte cose - o almeno cosi' vorra' ricordare piu' tardi: "Ogni riga di lavoro serio che ho scritto dopo il 1936 e' stata scritta, direttamente o indirettamente, contro il totalitarismo e per il socialismo democratico, cosi' come lo intendo io". E al ritorno in patria, negli anni prima e durante la guerra, la sua posizione si era andata radicalizzando in una sorta di socialismo anarchico e patriottico allo stesso tempo (lui si definiva un "rivoluzionario patriottico"), che, per la sua singolarita' e la sua complessita', ha dato molto lavoro e molta occasione di polemiche a chi si e' occupato del suo caso: amici (pochi ma buoni, come il suo biografo Bernard Crick) e lettori affezionati da una parte - e nemici e critici (tanti) dall'altra.

Quando finalmente l'idea nata nel 1937 divenne Animal Farm, con tutto il "sudore" necessario a renderne la prosa cosi' semplice e limpida da conquistare al libro un posto permanente tra i migliori della letteratura inglese (e' stato a lungo un testo obbligatorio nelle scuole britanniche), con tutto lo sforzo necessario per "rendere la scrittura politica una forma di arte", fu chiaro a George Orwell che il libro avrebbe avuto parecchie difficolta' a essere pubblicato. "... non e' abbastanza O.K. politicamente". E infatti quattro editori (tra cui Faber and Faber, nella persona di T. S. Eliot) lo rifiutarono, garbatamente: come si faceva a pubblicare una satira cosi' corrosiva, mirata proprio contro l'alleata Unione Sovietica, che tanta parte stava avendo nella lotta al nazismo e nella vittoria alleata? Il Ministero dell'Informazione britannico suggeri' che non era proprio il caso, e poi, c'era davvero bisogno, anche in un testo satirico, di fare che i protagonisti della rivoluzione fossero dei maiali? "Magari un altro animale..." suggeriva un editore, riferendo il pensiero del Ministero, che l'idea dei maiali come casta dominante avrebbe dato fastidio a molta gente, e "soprattutto a chiunque sia un po' permaloso, come indubbiamente sono i russi".

Altro che permalosita'. "In questo momento, cio' che e' richiesto dalla prevalente ortodossia e' un'ammirazione acritica dell'Unione Sovietica", annotava Orwell, sempre piu' solitario e amaro, in un lungo articolo intitolato "The Freedom of the Press", che parlava esattamente del contrario, della mancanza di liberta' di spirito e del conformismo della sinistra, che dalla fine del patto Hitler-Stalin esternava sentimenti filosovietici senza voler considerare gli aspetti tragici e negativi dello stalinismo. E la favola politica che, dicono i suoi studiosi, intendeva puntare i suoi strali soprattutto contro la Conferenza di Teheran del 1943, in cui Stalin, Roosevelt e Churchill si accingevano a dividersi il mondo, finalmente edita da Warburg nel 1945, ad alleanza tra i tre finita e alla vigilia della Guerra Fredda, apparve come un attacco alla rivoluzione e al socialismo, con le relative reazioni.

Ma se La fattoria degli animali non trovo' il sostegno della sinistra, non fu neanche accolto con molta gioia dalla destra, che seppe leggere il libro nel senso giusto. Era chiaro dalla favola stessa e dalle reazioni di Orwell che lo scrittore condannava l'Unione Sovietica non per aver fatto la rivoluzione, ma per averla tradita. Poi gli anni hanno stemperato la polemica, il libro del filosofo pessimista del socialismo graffia ancora ma e' diventato per molti una favola sullo strapotere del potere che si puo' raccontare anche ai bambini, un film, dei cartoni animati. E' il destino di molti grandi libri, anche del successivo romanzo di Orwell, la sua cupa distopia, 1984, pubblicato un anno prima della sua morte. Chissa' se, a ennesima prova della pochezza umana, Orwell si divertirebbe a sapere che 1984 e' stato messo in vendita recentemente con una fascetta che recita: "Da questo libro e' stato tratto Il grande fratello"?

 

8. LIBRI. CESARE G. DE MICHELIS PRESENTA "IL MAESTRO E MARGHERITA" DI MICHAIL BULGAKOV

[Dal sito del quotidiano "La Repubblica" (www.repubblica.it) riprendiamo il seguente articolo dal titolo "E il diavolo volo' a Mosca negli anni terribili di Stalin" del 5 marzo 2002]

 

Michail Bulgakov riposa sotto la pietra tombale di Nikolaj Gogol'. Come sia capitato, ce lo racconta la vedova, Elena Sergeevna: quando Bulgakov mori', la sua tomba rimase spoglia; piu' di dieci anni dopo, lei trovo' in un deposito cimiteriale un masso di granito che proveniva dal monastero Danilovskij e che era stato la lapide di Gogol', sostituita quando nel centenario della morte (1952) era stato eretto un nuovo monumento funebre: Elena Sergeevna riusci' ad acquistare quel masso ormai anonimo, e lo pose sulla tomba di Bulgakov.

La vicenda ha un suo significato, perche' Bulgakov rappresenta piu' di tanti altri il perdurare della "tradizione gogoliana" nella letteratura russa; la sua figura e' ormai percepita dal lettore anche non specialista come una delle piu' rilevanti del secolo scorso, anzi dell'intera letteratura russa moderna, come del resto attestano unanimi le piu' recenti storie della letteratura russa.

Ma fino a circa trentacinque anni fa (fino alla pubblicazione di Romanzo teatrale nel 1965 e soprattutto de Il Maestro e Margherita nel 1966-7) il nome di Bulgakov era quello di un dignitoso "minore", che si segnalava come professionista del teatro, e autore di racconti un po' strampalati (Uova fatali e Diavoleide, 1925), nonche' di un romanzo sulla guerra civile (La guardia bianca, 1925-7) la cui pubblicazione era stata interrotta ma che, ridotto per il teatro (I giorni del Turbin, 1926), aveva suscitato aspre polemiche attorno all'Autore.

Messo sostanzialmente a tacere in patria (pote' solo lavorare al Teatro d'Arte di Mosca, con l'esplicito benestare di Stalin, in lode del quale scrisse poi uno dei suoi testi piu' deboli, Batum, 1938), la "piccola fama" di Bulgakov ebbe allora modo di venire esportata anche in Italia: nel 1928 Roberto Suster (gia' corrispondente in Urss de "Il Popolo d'Italia") presento' la novella che dava il titolo all'ultima raccolta pubblicata, Trattato sull'abitazione; due anni dopo Ettore Lo Gatto tradusse quanto era apparso de La guardia bianca, e nel successivo 1931 Umberto Barbaro pubblicava "la cosa migliore del giovane e promettente scrittore russo", Le uova fatali.

La guardia bianca fu riproposta in un'antologia del 1944, ma il nome di Bulgakov non faceva piu' notizia; nel 1965 (l'anno stesso in cui come s'e' detto inizio' la sua fortuna postuma) un fascicolo di Urania, la popolare collezione di fantascienza, ripropose Le uova fatali in una traduzione dall'inglese dal titolo ad effetto di Terrore nel kolckoz. Dal canto loro, le storie della letteratura o ne tacevano (cosi' quella, peraltro stimolante di Dmitrij Mirskij, edita da Garzanti nel 1965), o gli dedicavano brevi notazioni (come quella di Lo Gatto, ancora nella quinta edizione del 1963).

A dirla in breve, Michail Bulgakov e' diventato il grande scrittore che e' oggi universalmente riconosciuto solo a cinque lustri dalla scomparsa (1940), e segnatamente grazie a Il Maestro e Margherita. Il grande iato temporale tra gli ultimi anni dell'Autore e quelli della sua riscoperta ha creato condizioni assai particolari per la lettura del capolavoro, spuntato fuori improvvisamente come da un baule della soffitta: il "vuoto" (biografico, storico, critico) in cui venne presentato ha favorito una mitizzazione cosi' del romanzo come del suo Autore, ma nel contempo, se ha moltiplicato le potenzialita' fantasmatiche insite nel testo, lo ha anche decontestualizzato, dando adito a fraintendimenti e letture distorte.

Solo in anni piu' recenti, quando tra l'altro sono cadute le ragioni extra-letterarie d'una conoscenza solo parziale della sua eredita' letteraria (leggi: censura), la "leggenda" di Bulgakov ha lasciato il passo a un processo di indagine critica che ha dato molti frutti, grazie in particolare a Marietta Cudakova. Tale processo si e' formalmente concluso con l'apparizione, nell'imminenza del centenario della nascita, d'una raccolta pressoche' definitiva delle Opere (in 5 volumi, Moskva 1989-1990), cui e' seguita perfino una enciclopedia bulgakoviana (B. Sokolov, Enciklopedija Bulgakovskaja, Moskva 1996, che contiene anche la prima edizione d'una piece giovanile, I figli del Mullah).

L'editoria italiana conta due raccolte complessive della narrativa bulgakoviana, quella apparsa nel 1988 nella "Biblioteca dell'Orsa" di Einaudi, e quella de I Meridiani Mondadori, del 2000, mentre la sua produzione teatrale rimane sostanzialmente affidata ad una vecchia edizione di De Donato.

L'immagine che abbiamo oggi di Bulgakov, grazie anche al ritrovamento dei Diari (editi in italiano da Il Vascello nel 1991) e' assai diversa da quella che s'impose negli anni Settanta: e le polemiche che hanno investito da allora lui e la sua opera (ancora negli anni Settanta, nelle diatribe tra "russofili" e "occidentalisti") riflettono una personalita' tutt'altro che rigorosa. Altro che l'intellettuale "progressista" che pareva a Lombardo-Radice nel 1972: Valentin Kataev, ne La mia corona di diamanti (1978) affibbia a Bulgakov il nomignolo di "occhiazzurro" parlandone come di un imbranato e spocchioso intellettuale di provincia con le ghette, di un arrivista; e a leggere le sue lettere, i suoi appunti di diario, viene fuori non lo smaliziato e sofisticato reinventore della storia di Jeshua ha-Norzri, ma il piccolo borghese che si rifugia in una religiosita' intimistica e "debole" ("puo' darsi che ai forti e coraggiosi Lui non sia necessario. Ma per quelli come me e' piu' facile vivere con il pensiero di Lui"), e che talora manifesta pregiudizi anti-ebraici ("Questi Nikitinskie subbotniki sono la solita vecchia, servile, miseria sovietica, con l'aggiunta di ebrei").

Anche Dostoevskij, anche Gogol' (dei quali si sentiva ed era legittimo erede letterario) sono stati, ognuno a suo modo, un impasto contraddittorio di genialita' artistica e di meschinerie; anche Bulgakov va misurato col metro della sua arte, e non con quello delle sue idiosincrasie, solo in parte imputabili agli anni tremendi in cui gli tocco' di vivere.

Su tutte le sue opere s'impone, com'e' ovvio, Il Maestro e Margherita. Anche questo, al pari di molti capolavori, e' prima di tutto un romanzo metaletterario: la critica non cessa di dar la caccia al materiale "primario" del quale si avvale, reminiscenze della letteratura russa e universale, Goethe e la letteratura occultistica per le avventure del "diavolo a Mosca", i vangeli apocrifi e la piu' recente (ai suoi tempi) critica neo-testamentaria, per la storia di Jeshua ha-Nozri.

Sulla base di questo imponente repertorio culturale (tanto vasto, da ingenerare sulle prime un senso di sconcerto), la cui eco si fa avvertire pressante dietro l'intreccio, viene organizzato un congegno narrativo tanto elaborato da passare quasi inavvertito.

Il romanzo si dipana infatti su tre differenti piani ("le avventure del Diavolo a Mosca", le tristi "vicende del Maestro" e la "storia di Jeshua ha-Nozri"), che avrebbero dovuto confluire insieme nello scioglimento metafisico del finale, la parte che denuncia maggiormente la non-finitezza dell'opera (sulla lunga storia del testo e della sua gestazione incompiuta, protrattasi dal 1928 al 1940, disponiamo dei materiali raccolti da Viktor Losev e pubblicati in italiano col titolo Il grande cancelliere, Leonardo, 1992).

Bulgakov utilizza due "procedimenti" narrativi in se' canonici: il primo consiste nell'immettere nella descrizione della realta' un fattore "inverosimile", per osservarne le conseguenze verosimili e dunque le potenzialita' piu' riposte (che e' poi il sale stesso del fantastico, secondo una celebre definizione di Tzvetan Todorov: "l'esitazione provata da un essere che conosce solo le leggi naturali, di fronte a un avvenimento in apparenza soprannaturale"); il secondo consiste nell'affiancare all'azione principale un'altra linea narrativa (qui introdotta con le modalita' piu' classiche: il racconto nel racconto, il sogno, il manoscritto ritrovato) che non ha con essa alcun rapporto fabulatorio, ma che vi scopre un qualche "senso" afferente alla seconda, per mera contiguita'.

Avviene cosi' che il cronotopo "eterogeneo" (lo spazio-tempo della storia di Gesu' e di Ponzio Pilato) viene rapportato non alla realta' descritta (la fisiologia della Mosca sovietica e le peripezie del Maestro), e nemmeno all'elemento "fantastico" (il diavolo e i suoi membri), bensi' al loro prodotto.

Da questo incastro nasce l'irresistibile trovata dell'inizio, col Diavolo a Mosca che si intromette nel colloquio tra due scrittori di regime intenti a progettare una buona opera ateistica imperniata sulla tesi della natura mitica, e non storica, della figura di Gesu' da un lato discutendo dell'esistenza di Dio (Kant che ha distrutto le cinque prove classiche ma "come per dar la baia a se stesso, ne ha costruito proprio lui una sesta"), e dall'altro smentendoli sul punto a cui piu' tenevano ("Tengano presente che Gesu' e' esistito"), per il semplice fatto che lui, il Diavolo, "aveva assistito personalmente" alla cosa, stando sul balcone di Ponzio Pilato.

E' cosi' che la vicenda evangelica, recuperata nella sua scabra essenzialita' semitica e nella sua drammaticita' "pre-religiosa", assume i connotati della verita' "ultima" alla quale rapportare i significati della vita e della storia degli uomini.

Vien fatto di pensare che il grande "libro su Gesu' Cristo" che Dostoevskij aveva in progetto senza peraltro realizzarlo (solo parzialmente presente nelle pagine de I fratelli Karamazov), sia stato effettivamente scritto da un suo "nipotino", figlio d'un professore di teologia, nelle condizioni piu' avverse, quelle della "lotta antireligiosa" degli anni di Stalin.

 

9. LIBRI. GIUSEPPE DIERNA PRESENTA "L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE" DI MILAN KUNDERA

[Dal sito del quotidiano "La Repubblica" (www.repubblica.it) riprendiamo il seguente articolo dal titolo "Il piacere e l'impegno rivivono in quel capolavoro" del 4 giugno 2002]

 

Riprendere in mano L'insostenibile leggerezza dell'essere di Milan Kundera dopo quasi vent'anni (era l'aprile del 1985 quando usci' in italiano) mi fa davvero uno strano effetto, ridestando alla memoria la Cecoslovacchia di allora: un mondo di asfissiante controllo politico, di becere costrizioni e faticosi sotterfugi, in questi ultimi anni rapidamente dimenticato.

Come forse pochi sanno, quel libro l'avevo tradotto io - in quel lontano '85 - sulla base di un martoriato manoscritto, con correzioni e ripensamenti, anche se poi avevo firmato la traduzione col nome posticcio di Antonio Barbato, personaggio nato all'intersezione tra il mio secondo nome di battesimo e il cognome di mia madre (nome poi riutilizzato per firmare le traduzioni sia dello Scherzo che di Amori ridicoli, con cio' ponendo fine alla breve carriera del mio alter ego). E come Antonio Barbato ero anche andato a parlare dello scrittore a Brescia (un giornale mi annunciava come "il 'doppiatore' di Kundera"), con la moderatrice che mi spiazzava di continuo, chiamandomi amichevolmente "Antonio".

Non si trattava pero' di uno scherzo, magari del tipo di quelli escogitati da Hasek, l'autore dello Svejk, che all'inizio del secolo scorso s'inventava pseudonimi per polemizzare con se stesso sulle pagine del Mondo degli animali. Vi ero stato costretto. All'epoca, infatti, per entrare in Cecoslovacchia c'era ancora bisogno di un visto d'ingresso rilasciato dall'ambasciata, e riconoscere la paternita' di quella traduzione avrebbe significato per me la sicurezza di vedermi negare tale visto, e quindi l'impossibilita' di continuare i miei studi a Praga: dall'inizio degli anni Settanta i libri di Kundera erano stati brutalmente tolti dalle biblioteche pubbliche dell'intera Cecoslovacchia, e allo scrittore era impedito di pubblicare, in tal modo quasi costringendolo a trasferirsi nel '75 in Francia. E che l'identita' di quel traduttore interessasse davvero le autorita' lo testimonia lo zelo con cui, all'ambasciata ceca a Roma, con gentili domande e ingenui giri di frase avevano ripetutamente cercato di sapere da me chi si celasse dietro quello sconosciuto esordiente che - per accrescere la loro gia' grande confusione - io confessavo di aver incontrato almeno un paio di volte (in fondo sarebbe bastata un'analisi stilistica, ma si sa che i servizi di sicurezza non amano le sottigliezze della filologia).

Ma torniamo al romanzo che, terminato in Francia nel 1982, aveva di colpo trasformato lo scrittore in un caso letterario. Come mai cio' era avvenuto proprio con questo libro? Non si trattava certo della sua prima fatica letteraria: per usare la terminologia musicale, da Kundera introdotta (in un risvolto di copertina ceco) per designare i propri romanzi, L'insostenibile leggerezza dell'essere costituisce l'Opus n. 6, preceduto nell'ordine da Scherzo, Amori ridicoli, La vita e' altrove, Il valzer degli addii, Il libro del riso e dell'oblio. (Che Kundera consideri un romanzo anche Amori ridicoli, silloge di sette racconti, e' questione che riguarda strettamente la sua idea di romanzo). In cosa consiste allora, in questo libro, il salto di qualita'?

L'insostenibile leggerezza dell'essere aveva subito stupito lettori e critici per la capacita' dell'autore di coprire contemporaneamente il duplice livello del piacere della lettura e dell'impegno etico. Dopo l'inflazione di asciutto sperimentalismo neoavanguardistico e di realismo magico sudamericano che aveva marcato i decenni precedenti, L'insostenibile leggerezza dell'essere aveva il coraggio di mostrare personaggi tratti da una quotidianita' riconoscibile, figure la cui intrigante costruzione non poteva non spingere al facile gioco dell'identificazione: con la debolezza di Tereza, con l'idealismo di Franz, con le velleita' di fuga di Sabina, con l'inarginabile brama libertaria di Tomas. Personaggi persi in intrecci di cui viene continuamente sottolineato il carattere romanzesco, fittizio (c'e' persino un cane che si chiama Karenin), ma raccontati sempre con un pizzico di straniamento - Tereza incollata al suo volume di Tolstoj, Sabina con la sua (anche un po' ridicola) bombetta sul corpo seminudo - che allo stesso tempo impedisce di assimilarli ai banali fantasmi del quotidiano. A cio' si aggiunga che il punto di vista del narratore si e' ormai definitivamente spostato in Occidente (occidentale e' il contesto culturale di riferimento, come anche il modello del romanzo-saggio), e cio' permette un ulteriore avvicinamento del lettore al testo, anche se la storia si svolge per la maggior parte nella Cecoslovacchia pre - e post - normalizzazione.

Ma non solo. Accanto a una trama accattivante, alla narrativita' pura dei destini incrociati dei quattro personaggi portanti, L'insostenibile leggerezza dell'essere offriva al suo lettore il valore aggiunto di un senso etico della vita (la responsabilita' individuale), all'epoca alquanto latitante in letteratura e rintracciabile essenzialmente nelle trame arrugginite e ancora ottocentesche di un Solzenitsyn (Dio ne scampi!) o di altri dissidenti sovietici, mentre qui s'insinua nella struttura stessa del romanzo, dove commento e sviluppo procedono di pari passo, in dosata alternanza (in contrappuntistica miscelazione). Luogo narrativo dove convergono temi e motivi gia' introdotti nella sua opera precedente, a partire persino dalla rinnegata produzione poetica giovanile - per cui "La Grande Marcia" che da' il titolo al penultimo capitolo del romanzo, la marcia di protesta degli intellettuali occidentali in Cambogia, discende in linea diretta dal titolo dell'ultima sezione (e dell'ultima poesia) della prima raccolta poetica di Milan Kundera, L'uomo, ampio giardino (1953) - L'insostenibile leggerezza dell'essere e' il culmine della produzione romanzesca kunderiana, ulteriore tassello di quella sua impietosa opera di smontaggio dei miti novecenteschi che - dopo aver di volta in volta deriso gli idealismi dell'amore, il comunismo nella sua applicazione pratica, l'utopismo delle avanguardie artistiche, il lirismo e l'eta' lirica delle illusioni (anche politiche) - va in questo romanzo a intaccare anche l'edonismo consumistico dell'Occidente e i sogni utopici di una sinistra europea che lentamente si va spegnendo, quasi che l'ingrato compito dello scrittore fosse quello di mostrare le rovine.

Romanzo di alto e malinconico pessimismo, di fughe senza approdi, L'insostenibile leggerezza dell'essere di quella ricca evoluzione era pero' anche l'esito definitivo, la chiusura ultima di un ciclo a cui non ha potuto far seguito che la ripetizione dello stesso schema narrativo (L'immortalita') e l'accettazione poi di una nuova maniera di scrivere, questa volta in francese, che pero' - salvo rari momenti felici - non ha mai raggiunto la ricchezza narrativa, la credibilita', l'amaro piacere della letteratura che marcava quelle prime invenzioni.

 

10. LIBRI. DANIELA PASTI PRESENTA "IL SIGNORE DELLE MOSCHE" DI WILLIAM GOLDING

[Dal sito del quotidiano "La Repubblica" (www.repubblica.it) riprendiamo il seguente articolo dal titolo "Le anime in fondo al pozzo" del 23 aprile 2002]

 

Il signore delle mosche, scritto da William Golding e pubblicato la prima volta nel 1954 e' uno di quei libri che non si dimenticano. E' un successo mondiale: ha venduto oltre dieci milioni di copie. Eppure prima che gli venisse assegnato il premio Nobel, nel 1983, William Golding non era uno scrittore molto noto fuori dal mondo anglosassone. Viveva appartato, come del resto ha poi continuato a fare anche dopo il premio, in una casa immersa nella verde campagna del Wiltshire: una casa bassa con il tetto a capanna e grandi stanze luminose. In una stanza troneggiava un pianoforte Bechstein a coda, libri e spartiti erano ammucchiati un po' ovunque.

Lo andai a trovare in una rara giornata di sole invernale; il paesaggio bellissimo ispirava sentimenti di pace cosi' in contrasto con le atmosfere nelle quali precipitano i personaggi dei suoi libri che non potei fare a meno di dirglielo. Golding, allora settantaduenne, aveva barba e capelli bianchi e lunghi da profeta, veniva chiamato Mister Scruffy (trasandato) per il suo modo informale di vestire completato da un cappellaccio calato sulla fronte, ma quello che colpiva di piu' in lui era lo sguardo penetrante e severo attraversato da guizzi di ironia. In gioventu' era stato maestro elementare alla Bishop Wordsworth, e durante l'ultimo conflitto mondiale aveva comandato una nave da guerra: due esperienze che gli avevano permesso di misurare gli abissi nei quali puo' sprofondare l'animo umano.

"C'e' dentro di noi", mi disse, "un buco nero, un mistero che la mente umana non riesce nemmeno a concepire. In questo pozzo si annida la malvagita' dell'uomo che noi non possiamo ignorare senza correre grandi rischi". Mi parlo' dei suoi ricordi di guerra: "Ho passato due guerre mondiali: durante la prima, ero un bambino di quattro anni, vidi affondare una nave sotto i miei occhi. E se non bastassero i ricordi personali c'e' la storia: il nazismo, i campi di sterminio. Le manifestazioni della bestialita' umana non mancano".

Dagli anni passati fra gli scolaretti trae ispirazione Il Signore delle mosche. Prima di essere pubblicato da Faber il manoscritto era stato rifiutato da ventuno editori: l'avventura di un gruppo di ragazzini inglesi sopravvissuti su un'isola deserta in seguito a un incidente aereo disorientava e spaventava i lettori delle case editrici. Il fatto e' che Il signore delle mosche contraddice l'ideologia del romanzo di avventura classico, basato sulla fiducia nell'innata bonta' e ingegnosita' della natura umana. Abbandonati a se stessi i piccoli inglesi perdono presto i modi e i tabu' della civilta' ma non diventano per questo dei "buoni selvaggi", al contrario: un cuore di tenebra guida le loro azioni. Esaltati da riti macabri essi si trasformano in creature sanguinarie. Contaminano il loro piccolo paradiso terrestre nascondendovi nel centro un mostro: una testa di porco brulicante di insetti issata su un palo. E' la rappresentazione concreta di Belzebub che nella Bibbia significa appunto Signore delle mosche, ma e' anche la maschera simbolica dei mostri che si agitano nel nostro "buco nero".

Il motivo del grande successo del libro e' proprio questo: i suoi significati metaforici si accompagnano a un racconto di straordinario realismo. Ralph, Simon, Piggy, Jack e tutti gli altri protagonisti assomigliano come gocce d'acqua agli scolari che sciamano dalle nostre scuole, non sono ne' piu' perversi, ne' particolarmente malvagi. Parlano, scherzano, litigano, hanno momenti di malinconia o di euforia come tutti i ragazzini del mondo. Quando Ralph, ricondotto improvvisamente alla civilta' dall'arrivo di un ufficiale britannico, viene sopraffatto dal dolore al ricordo di come era apparsa splendente all'inizio la loro avventura e piange la perdita dell'innocenza, anche noi ci sentiamo addolorati con lui per qualcosa che si e' irrimediabilmente guastato.

In tutti i suoi romanzi, che sono diciotto, Golding mette in guardia l'umanita' contro il terribile pericolo che l'uomo rappresenta per l'uomo. Prima di lasciarlo, sapendo delle sue simpatie per il socialismo, gli feci una domanda sull'impegno dello scrittore. Ecco la sua opinione: "Le daro' un risposta molto pragmatica: c'e' chi e' portato all'impegno politico, chi vive a lato, chi vive al di sopra e chi al di sotto dell'impegno politico. Penso che uno scrittore debba seguire la propria inclinazione, penso soprattutto che ad uno scrittore si debba chiedere di dare delle indicazioni sulla vita".

 

11. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Letture

- Raniero La Valle, Chi sono io, Francesco? Cronache di cose mai viste, Ponte alle Grazie - Salani, Milano 2015, pp. 208, euro 14.

*

Riletture

- Gaston Bachelard, La poesia della materia, Red edizioni, Como 1997, pp. 64 (+ 2 cd).

- Gaston Bachelard, Poetica del fuoco, Red edizioni, Como 1990, pp. 144.

 

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

13. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2130 dell'8 ottobre 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:

nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

 

Per non riceverlo piu':

nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

 

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web

http://web.peacelink.it/mailing_admin.html

quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

 

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web:

http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

 

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

Gli unici indirizzi di posta elettronica utilizzabili per contattare la redazione sono: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com