Telegrammi. 702



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 702 dell'8 ottobre 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Maria G. Di Rienzo: Una lettera aperta al Segretario Generale delle Nazioni Unite

2. Peppe Sini: Facciamo diventare il 4 novembre una giornata nazionale di opposizione nonviolenta alla guerra e al razzismo

3. Giancarla Codrignani: A tre donne Il premio Nobel per la pace

4. Un'intervista ad Astrid Aafjes

5. Raquel Barros: Giovani madri

6. L"International Museum of Women" intervista Sejal Hathi

7. Zoe Robert: "Nazionalita': nessuna"

8. Giulio Vittorangeli: "L'Italia sono anch'io"

9. La "Carta" del Movimento Nonviolento

10. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: UNA LETTERA APERTA AL SEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per aveci messo a disposizione questa lettera aperta.

Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005; (a cura di), Voci dalla rete. Come le donne stanno cambiando il mondo, Forum, Udine 2011. Cfr. il suo blog lunanuvola.wordpress.com Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81; si veda anche l'intervista in "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 250, e quella nei "Telegrammi" n. 425]

 

"Dobbiamo essere uniti. La violenza contro le donne non puo' essere tollerata, in nessuna forma, in nessun contesto, in nessuna circostanza, da nessun leader politico e da nessun governo" (Ban Ki-Moon, Segretario Generale delle Nazioni Unite)

*

Egregio Segretario Generale,

chi si permette di scriverle e' una cittadina italiana che ha letto e riletto non solo quella sua dichiarazione summenzionata, ma gli innumerevoli impegni internazionali sottoscritti in tal senso dal paese in cui vive. A dar retta alle carte, dovrei trovarmi in un paese civile. Peccato che esso abbia la piu' alta incidenza europea di donne assassinate dalla violenza domestica: una ogni 2-3 giorni. Peccato che i Centri antiviolenza italiani abbiano cessato di essere finanziati e molti stiano chiudendo. Peccato che le immagini delle donne proposte dai media e dagli annunci pubblicitari italiani siano largamente sessiste e pornografiche. Peccato che una donna italiana, a parita' di qualifica e mansioni, guadagni dal 10 al 18% in meno del suo collega di sesso maschile. Peccato che oggi, 6 ottobre 2011, si seppelliscano delle giovani donne morte sul lavoro: un lavoro "in nero", fino a 14 ore al giorno per meno di quattro euro l'ora. Peccato che l'Italia detenga anche l'infame record della percentuale piu' alta di donne molestate sul lavoro in Europa. Peccato che, sulla scia di altre sentenze relative alla violenza sessuale che hanno gia' svergognato questo paese di fronte al mondo intero, di recente un tribunale abbia definito il palpeggiamento di studentesse minorenni da parte di un loro docente un mero "corteggiamento invasivo".

Poiche' questa e' una lettera aperta, ripetero' in breve delle cose che le sono note, e cioe' che la violenza e' un modo per controllare le donne, sia nelle famiglie sia nella societa', e tenerle in una posizione subordinata agli uomini, e che la violenza contro le donne non e' accidentale: e' strutturale, e percio' sono strutturali le soluzioni per eliminarla. Leggi inadeguate, immagini mediatiche negative, mancanza di servizi, compiacenza dei governi e assenza di programmi che affrontino le cause e le conseguenze della violenza di genere non fanno che aumentare la dose di violenza di cui le donne fanno esperienza.

La struttura della violenza, come lei sa, non nasce dal nulla e la sua crescita e' un'escalation in cui, ad esempio, suggerendo che la prostituzione sia innocente divertimento per chi ne usufruisce e occasione di posizionamento sociale per chi la esercita, che comprare il corpo di una donna sia normale e lecito, e rappresentando ossessivamente le donne come oggetti sessuali, si crea il "contesto culturale" favorevole a ridurre donne e bambine a semplici giocattoli per gli uomini. E se poi il giocattolo si rompe, signor Segretario, diventa difficile biasimare chi l'ha rotto: un giocattolo non e' un essere umano.

Oggi, il nostro Presidente del Consiglio annuncia l'intenzione di cambiare nome al suo partito: potrebbe chiamarlo, dice, "Forza Gnocca". Si tratta dello stesso uomo che spende centinaia di migliaia di euro l'anno per i suoi festini con prostitute, il proprietario di gran parte dei media in cui le donne sono per lo piu' pezzi di anatomia in mostra, l'autore di dichiarazioni volgari e offensive su altri capi di stato di sesso femminile e sulle donne in generale. I membri del suo governo e della sua coalizione non sono da meno. Potra' trovare riscontro di quanto le dico sulla stampa internazionale, qui mi limito a citarle il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali che, il mese scorso, "spiega" cosi', in pubblico, la manovra economica: "In un convento irrompono dei briganti e violentano tutte le suore. Una sola viene risparmiata. Perche' ha detto di no".

Suggerire che le donne desiderino lo stupro, che la violenza sessuale subita sia loro responsabilita' e che potrebbero evitarla con un "no" e' cosa, dicono i sostenitori del Ministro, di cui dovrei ridere. In Italia si stuprano quattro donne al giorno ed io non lo trovo divertente.

Considerato l'atteggiamento del governo italiano nei confronti della violenza di genere io credo che le Nazioni Unite, di cui l'Italia e' stato membro, possano e debbano fornire ad esso almeno delle raccomandazioni, fra cui l'adozione del Piano antiviolenza definito dall'Agenzia Donne delle Nazioni Unite. La prego, pertanto, di fare quanto in suo potere perche' cio' avvenga. Una presa di posizione da parte di un organismo cosi' autorevole potrebbe dar sostegno a speranza a chi lavora ogni giorno per mettere fine alla violenza e restituire dignita' alle sue vittime.

Con profondo rispetto,

Maria G. Di Rienzo

 

2. EDITORIALE. PEPPE SINI: FACCIAMO DIVENTARE IL 4 NOVEMBRE UNA GIORNATA NAZIONALE DI OPPOSIZIONE NONVIOLENTA ALLA GUERRA E AL RAZZISMO

 

Nel ricordo di tutte le vittime di tutte le guerre facciamo diventare il 4 novembre, anniversario in Italia della conclusione della "inutile strage" della prima guerra mondiale, una giornata nazionale di opposizione alla guerra e al razzismo.

In tutte le citta' d'Italia si svolgano iniziative nonviolente di commemorazione delle vittime delle guerre e di impegno contro le guerre in corso e quelle future, contro il razzismo e tutte le persecuzioni; per l'immediata cessazione della partecipazione italiana alle guerre in Afghanistan e in Libia, per l'immediata abrogazione delle infami misure razziste contro i migranti e i viaggianti, per il disarmo e il drastico taglio delle spese militari; per le dimissioni immediate del criminale governo della guerra assassina e del colpo di stato razzista; per la legalita' che salva le vite e la solidarieta' che ogni essere umano riconosce e sostiene; per la difesa intransigente delle vite, della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani; per la difesa intransigente dell'ambiente casa comune dell'umanita' intera.

Vi e' una sola umanita'.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Il 4 novembre sia giorno di lutto e di lotta nonviolenta contro tutte le guerre, contro tutte le uccisioni, contro tutte le persecuzioni.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

3. EDITORIALE. GIANCARLA CODRIGNANI: A TRE DONNE IL PREMIO NOBEL PER LA PACE

[Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at alice.it) per questo intervento.

Giancarla Codrignani, gia' presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994; L'amore ordinato, Edizioni Com nuovi tempi, Roma 2005. Si veda anche l'intervista apparsa nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 343. Un profilo di Giancarla Codrignani scritto da Annamaria Tagliavini ed apparso sull'Enciclopedia delle donne abbiamo riportato nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 513]

 

Vorrei che memorizzassimo la motivazione: Ellen Johnson Sirleaf, Leymah Gbowee e Tawakkul Karman hanno ricevuto il Premio Nobel per la pace 2011 "per la loro lotta nonviolenta... a favore del processo di costruzione della pace".

Presidente rieletta della repubblica liberiana la prima, avvocata pacifista (presiede un organizzazione femminile interafricana per la sicurezza e la pace) e promotrice dello sciopero del sesso che indusse il regime a chiamare le donne al tavolo delle trattative la seconda, giornalista islamica di un partito conservatore e fondatrice di "Giornaliste senza catene" la terza (che ha gia' dedicato la nomination a tutti i "militanti della primavera araba") si segnalano per essere donne che, pur ristrette nell'ambito delle tradizioni maschili e maschiliste dei loro paesi, hanno fatto politica rendendola concretamente nuova per il rigore e il coraggio con cui hanno praticato (e non solo predicato) la nonviolenza e la pace.

Forse non e' il "Nobel alle donne africane" che molte organizzazioni sostenevano, ma e' davvero notevole il valore che esce da scelte non facili. Premi "per la pace" ne abbiamo visti molti, esemplari o discutibili; ma in genere si trattava di nobili (o meno nobili) negoziatori dietro i quali non c'era una seria attivita' di negazione di fatto della guerra. Le donne sanno comportarsi come gli uomini e, infatti, alcune partecipano alle azioni militari piu' violente; ma ai nostri giorni appare piu' chiaro alla logica femminile, anche a livello di responsabilita' istituzionali e partitiche, che la violenza sperimentata nelle famiglie (Ellen non ha mai nascosto di aver subito maltrattamenti da parte del marito) produce disastri privati, ma e' la stessa che rende insanabili i conflitti sociali e di potere e che si rivela non solo pura follia, ma spreco delle risorse dei popoli. La sapienza dolorosa delle donne produce una nuova cultura fatta di ostinazione: nel mondo che chiamiamo civile nonostante l'incapacita' di controllare egoismi, istinti predatori, sete di potere, le donne restano ancora incapaci di accettare fino in fondo l'irrimediabilita' della violenza, che conoscono fin troppo bene sul loro corpo.

E' un tempo straordinario, perche' non siamo ancora omologate fino in fondo dal sistema che globalizza gli standard del modello unico gerarchico e competitivo. Ed e' straordinario che siano "politiche" fino in fondo le storie di queste donne che ci diranno di se' a Stoccolma nei loro discorsi rituali, ma che rappresentano davvero una politica piu' "di genere" di quanto non sempre riusciamo a fare noi: impegnate "a favore della sicurezza delle donne e dei loro diritti", hanno tutte agito per il bene comune del loro paese, hanno praticato la resistenza a regimi dispotici, sono state incarcerate, ritenute traditrici, ma anche sostenute dai loro popoli, soprattutto delle donne, senza arrendersi. La Liberia ha subito una guerra civile durata quattordici anni che ha prodotto 250.000 morti (i liberiani sono circa quattro milioni) ed Ellen (master in economia ad Harvard: non dimentichiamo che non conosciamo assolutamente la realta' dei paesi che chiamiamo in via di sviluppo e in cui emergono donne dotate di grandi competenze) e' riuscita a guidare il paese fuori dalle rovine. Probabilmente ai poteri costituiti (e a molti uomini anche dei loro partiti) dara' fastidio questo riconoscimento e sono prevedibili le accuse di cedimento all'Occidente, di trasgressione, di tradimento. Ma quelle parole, "nonviolenza e pace", restano a segnare obiettivi perseguiti con coerenza. Un esempio anche per noi. Donne e uomini.

*

Ellen Johnson Sirleaf, presidentessa della Liberia, la sua concittadina Leymah Gbowee, avvocato impegnato per i diritti femminili, sono state premiate insieme all'attivista yemenita Tawakkul Karman "per la loro lotta nonviolenta a favore del processo di costruzione della pace".

Il Nobel per la pace 2011 e' andato a tre donne: Ellen Johnson Sirleaf, presidentessa della Liberia, Leymah Gbowee, avvocato liberiana e all'attivista yemenita Tawakkul Karman. "Per la loro lotta nonviolenta a favore della sicurezza delle donne e dei loro diritti verso una partecipazione piena al processo di costruzione della pace", recita la motivazione del premio.

Ellen Johnson Sirleaf, attuale presidente della Liberia e prima donna a rivestire questo incarico nel continente africano, ha ricevuto il riconoscimento insieme alla sua concittadina Leymah Gbowee, attivista pacifista e all'attivista yemenita Karman, che si occupa di diritti delle donne e democrazia nello Yemen, paese negli ultimi mesi in preda a gravi conflitti sociali e politici.

Arrivata al potere nel 2005, la "signora di ferro" africana e' impegnata nella ricostruzione del suo paese, devastato da 14 anni di guerra civile, che ha causato la morte di 250.000 persone. Di formazione economista, con un Master of public administration conseguito ad Harvard nel 1971, Johnson-Sirleaf va in esilio a Nairobi, in Kenya, nel 1980, dopo il rovesciamento dell'allora presidente William Tolbert. Torna in patria solo nel 1985, per partecipare alle elezioni del senato della Liberia, ma quando accusa pubblicamente il regime militare e' condannata a dieci anni di prigione. Rilasciata dopo poco tempo, si trasferisce a Washington e torna in Liberia solo nel 1997 nel ruolo di economista, lavorando per la Banca mondiale e per la Citibank in Africa. Corre per la prima volta alle presidenziali contro Charles Taylor nel 1997, ma raggiunge solo il 10 per cento dei voti, contro il 75 per cento di Taylor, che poi l'accusa di tradimento. Dopo la sua vittoria alle elezioni del 2005, Johnson-Sirleaf pronuncia uno storico discorso alle camere riunite del Congresso degli Stati Uniti, chiedendo il supporto americano per aiutare il suo paese a "divenire un faro splendente, un esempio per l'Africa e per il mondo di cosa puo' ottenere l'amore per la liberta'". Johnson-Sirleaf e' madre di quattro figli (due vivono negli Usa e due in Liberia) e ha sei nipoti, alcuni dei quali vivono ad Atlanta.

Leymah Gbowee, avvocato, e' una militante pacifista e nonviolenta che ha contribuito a mettere fine alle guerre civili che hanno dilaniato il suo paese. Minuta, di carnagione chiara (per questo e' soprannominata "rossa"), la Gbowee ha da poco pubblicato la sua autobiografia, "Mighty be our powers: how sisterhood, prayer, and sex changed a nation at war". Tra le iniziative piu' note dell'attivista, di etnia kpelle', nota anche come la "guerriera della pace", va ricordato "lo sciopero del sesso", un'iniziativa che costrinse il regime di Charles Taylor ad ammetterla al tavolo delle trattative per la pace.

Ad appena 32 anni, esattamente come quelli del potere del presidente yemenita Ali Abdallah Saleh, l'attivista yemenita Tawakkol Karman ha tre figli e coraggio da vendere e in poco tempo e' divenuta la leader della protesta femminile contro il regime yemenita. Giornalista e fondatrice dell'associazione "Giornaliste senza catene" e' militante nel partito islamico e conservatore Al Islah, primo gruppo di opposizione. Nel gennaio di quest'anno era stata arrestata dalle autorita' yemenite, costrette poi a rilasciarla sotto la pressione delle manifestazioni in suo sostegno, che hanno portato in strada migliaia di persone.

 

4. ESPERIENZE. UN'INTERVISTA AD ASTRID AAFJES

[Dal sito curato da Maria G. Di Rienzo "Lunanuvola" (http://lunanuvola.wordpress.com) riprendiamo la seguente intervista dal titolo "La donna del futuro".

Astrid Aafjes, fondatrice e direttrice di "Women Win", lavora da tutta la vita per i diritti umani ed in special modo per contrastare la violenza di genere. La sua associazione usa il mondo dello sport come scenario per l'attivismo sociale. La breve intervista che segue (autrice/autore non menzionata/o) e' stata riportata da diversi siti]

 

Com'e' la donna del futuro?

La donna del futuro ha la piena capacita' di esercitare i suoi diritti. La si ascolta quando parla. E' una guida o un membro di valore nella sua comunita'. La donna del futuro ha indipendenza economica ed autonomia.

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Che consigli daresti alla te stessa di quindici anni?

Mi ricorderei che tutto e' possibile. Quando ero adolescente alcune aspirazioni mi sembravano fuori dalla mia portata. Se potessi tornare indietro condividerei con me stessa quanto e' possibile fare con il coraggio, l'impegno e la perseveranza. Penso che questo sia qualcosa che molte ragazze hanno bisogno di sentirsi dire, e lo sport puo' essere il posto perfetto per tenere tale conversazione.

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Cosa ha creato il successo che hai nel tuo lavoro?

Come fondatrice e direttrice esecutiva di "Women Win" credo che il nostro successo collettivo derivi dalla nostra convinzione che le ragazze sono le soluzioni alle loro stesse difficolta'. Usiamo questo valore onorando l'innovazione, la trasparenza, la responsabilita' e la cooperazione in tutto quel che facciamo. Attorno a me c'e' una squadra di donne appassionate e intelligenti che sono decise a raggiungere i nostri obiettivi con questi principi in mente. Una grande parte del nostro lavoro e' creare insieme le linee-guida per disegnare poi un programma sportivo per ragazze che sia in grado di affrontare varie istanze, come il potenziamento economico e la violenza di genere. Le linee guida diventano accessibili a chiunque e ne fanno uso collaborativo le organizzazioni di base di cui noi siamo al servizio. Noi agiamo con la convinzione che il cambiamento sociale sia possibile attraverso alleanze strategiche e partenariato trasversale ai settori. Costruendo relazioni con i gruppi per i diritti umani delle donne, le organizzazioni sportive e le istituzioni sportive, siamo in grado di identificare e condividere strategie olistiche per dare forza alle ragazze. Coinvolgiamo anche investitori che hanno gli stessi valori, il che aumenta l'efficacia e l'impatto del nostro lavoro. Le collaborazioni internazionali ci permettono infine di avere un riscontro globale.

 

5. ESPERIENZE. RAQUEL BARROS: GIOVANI MADRI

[Dal sito curato da Maria G. Di Rienzo "Lunanuvola" (http://lunanuvola.wordpress.com) riprendiamo il seguente intervento.

"Raquel Barros, brasiliana, psicologa, e' la fondatrice di "Lua Nova", un complesso che comprende un panificio ed un laboratorio d'arte in cui le madri adolescenti trovano rifugio, istruzione e lavoro ma soprattutto autostima e dignita'. Il programma incoraggia le madri, sostenendole finanziariamente, a costruire o ricostruire da se stesse le proprie case, di modo da essere libere dalla necessita' dell'affitto. La metodologia di "Lua Nova" e' stata replicata gia' in otto citta' dello stato di San Paolo. Raquel ebbe l'idea ispiratrice per il suo lavoro mentre lavorava a Venezia sulle tossicodipendenze. Quella che segue e' la traduzione di un video di Raquel"]

 

Sono Raquel Barros di "Lua Nova", in Brasile. "Lua Nova" lavora con le madri adolescenti a rischio. Si tratta di giovanissime donne che hanno bambini, che vivono per strada e che sono vittime di abusi sessuali. Queste sono le persone che prendiamo con noi. Abbiamo un programma teso a sviluppare le loro potenzialita' e capacita' attraverso la generazione di reddito e l'addestramento professionale. Abbiamo anche un programma in cui le giovani madri guadagnano mentre costruiscono le proprie case: creano la propria dimora e, allo stesso tempo, sono in grado di avere un reddito vendendo mattoni.

Durante i dieci anni da che "Lua Nova" esiste, abbiamo incontrato una serie di difficolta'. Una delle prime sfide e' stata riuscire a mostrare che ero in grado, come donna e come psicologa, di dare l'avvio ad un tale enorme processo trasformativo per queste persone.

Un altro problema, molto piu' complicato all'inizio, e' stato come mostrare a queste ragazze che potevano credere nel loro stesso potenziale, credere nelle loro abilita' e portarle nella societa'. Poiche' usualmente la gente le vede come "vulnerabili", non come persone che hanno potenzialita' e che possono cambiare le loro vite, il compito e' stato difficile: la gente dapprima non accetta questa visione. Infine, c'e' la questione politica: stiamo tentando di includere queste giovani madri nell'agenda pubblica, e non e' un obiettivo facile da ottenere.

Vorrei dire a chiunque desideri essere coinvolto nella faccenda, e voglia lavorare con le ragazze madri, che non deve mai cessare di essere al loro fianco, perche' proprio come noi crediamo nelle loro capacita', loro hanno moltissime cose da insegnarci, moltissime cose da dirci, e noi abbiamo bisogno di ascoltarle. Lo dobbiamo fare davvero, e non dobbiamo averne timore. Penso sia importante fare questo, e credo che quello che stiamo facendo noi sia possibile anche per altri.

 

6. ESPERIENZE. L'"INTERNATIONAL MUSEUM OF WOMEN" INTERVISTA SEJAL HATHI

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente intervista dal titolo "Ambasciatrici di pace".

Sejal Hathi aveva 15 anni, nel 2007, quando fondo' "Girls Helping Girls", un'ong internazionale che funge da rete per ragazze adolescenti di tutto il mondo. Autostima, dialogo, amicizie interculturali e cambiamento sociale sono i punti chiave su cui l'organizzazione si concentra. L'intervista a Sejal, statunitense, e' stata realizzata dall'International Museum of Women]

 

- "International Museum of Women": Sejal, cosa ti ha ispirato a dare inizio a "Girls Helping Girls"?

- Sejal Hathi: In prima superiore facevo volontariato per due organizzazioni non-profit, Youth Service America e Girls for Change. Lavorando con loro ho capito di essere una privilegiata e che, a differenza di me e delle mie amiche, moltissime ragazze non avevano fiducia nelle proprie capacita' e percio' pensavano di non aver niente con cui contribuire al mondo. Ho creato "Girls Helping Girls" perche' volevo raggiungere le ragazze piu' vulnerabili e marginalizzate, e volevo aiutarle ad esprimere la loro voce interiore fornendo loro conoscenza, attrezzatura, rete di sostegno e risorse necessarie a rendere reale la loro visione del mondo.

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- "International Museum of Women": Perche' hai scelto di lavorare a livello internazionale anziche' localmente?

- Sejal Hathi: Credo non sia piu' possibile lavorare esclusivamente nella propria comunita', isolate dal resto del mondo. Stiamo diventando sempre di piu' un "mondo piatto", come direbbe Thomas Friedman. L'innovazione tecnologica e le forze della globalizzazione sono gia' riuscite a connettere persone diverse e divise in singole sinergie globali. Tuttavia, l'avvento di questa comunita' globale ha portato con se' una serie di sfide interconnesse, perche' i problemi di una regione, oggi, inevitabilmente interessano l'intero pianeta. Ora, il nostro mondo complesso ed interconnesso ci chiede di creare una nuova generazione di giovani leader che siano consapevoli delle istanze globali e preparate a fornire possibili soluzioni. Noi di "Girls Helping Girls" stiamo lavorando per formare queste leader.

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- "International Museum of Women": Secondo te, qual e' il problema piu' critico per le ragazze di oggi?

- Sejal Hathi: Quello fondamentale e' piu' insidioso e subdolo della poverta', della violenza o del degrado ambientale: e' l'ignoranza. Poiche' troppe persone sono incapaci di apprezzare ogni essere umano come dono speciale, hanno finito per incatenarsi ad una visione ristretta del mondo. Nel processo, hanno mandato a rotoli non solo la propria realizzazione come esseri umani ma quella delle persone meno equipaggiate per articolare la propria voce e dar forma al proprio destino. Le ragazze diventano vittime privilegiate di questo mondo isolato e di questa ignoranza. Noi crediamo di poter eliminare quest'ultima con l'istruzione, la comunicazione e la collaborazione internazionale.

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- "International Museum of Women": Parlaci del vostro programma "Empower-a-Girl" ("Dai potere ad una ragazza").

- Sejal Hathi: E' un sistema che fa squadra dal basso andando verso uno dei quattro nostri scopi globali: sradicare la poverta', incrementare l'accesso all'istruzione, migliorare la salute delle persone e promuovere la pace. Le squadre sono composte da un minimo di cinque ad un massimo di cento ragazze. Attualmente stiamo lavorando con trenta di queste squadre in tutto il mondo. Il programma dura un anno: per i primi sei mesi le ragazze usano le guide curricolari che abbiamo sviluppato per imparare a dialogare sulle istanze globali e capire come esse sono in relazione alle comunita' locali. Durante la seconda meta' dell'anno, le ragazze lavorano per implementare i loro propri progetti di cambiamento sociale rispetto a quello che hanno studiato. Per esempio, una squadra che aveva studiato l'accesso all'istruzione ha creato un programma di alfabetizzazione alla biblioteca locale. Un'altra squadra ha creato un centro vocazionale per le donne. La componente essenziale del programma e' il nostro investimento nella capacita' di iniziativa delle ragazze. Poiche' noi crediamo che le ragazze hanno bisogno di un'istruzione olistica per avere maggior potere, raccogliamo fondi per pagare le loro tasse scolastiche, forniamo loro cancelleria, testi e vestiario, le solleviamo dalle necessita' di base come il cibo e l'acqua, e contribuiamo al materiale di studio presente nelle loro classi.

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- "International Museum of Women": "Sister 4 Peace" ("Sorelle per la Pace") e' la vostra rete sociale per il cambiamento. Come funziona?

- Sejal Hathi: E' una piattaforma ed un movimento per il cambiamento sociale che provvede sostegno "una-ad-una" alle ragazze che in tutto il globo aspirano ad essere agenti del cambiamento. La chiave, qui, e' che ragazze fanno da mentrici ad altre ragazze per aiutarle a trasformare se stesse. Le nostre mentrici si chiamano "ambasciatrici di pace": il loro lavoro e' addestrare le ragazze affinche' esse possano autonomamente lanciare i loro programmi relativi al cambiamento sociale. Le nostre ambasciatrici sono delle esperte nel realizzare i cambiamenti. Per esempio, la nostra ambasciatrice del Kyrgyzstan lavora per reintegrare nelle scuole i ragazzi e le ragazze che escono dalle prigioni giovanili. La nostra ambasciatrice del Kenya, che e' una madre adolescente, ha creato numerosi progetti di lavoro per le madri come lei e le ragazze impoverite della sua comunita', riuscendo a dar loro indipendenza economica.

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- "International Museum of Women": Quali sono i vantaggi e quali sono gli svantaggi del lavorare a livello internazionale?

- Sejal Hathi: Ci sono sempre barriere da superare, lavorando a livello internazionale. La comunicazione puo' spesso diventare un problema, non solo per le differenze inerenti ai linguaggi, ma per le differenze culturali. Con le mie due colleghe Angelica Teng e Hanna Kim, abbiamo lavorato sui sistemi per facilitare la comunicazione tra squadre ed evitare i fraintendimenti culturali e linguistici. Le nostre squadre comunicano via lettera o via e-mail. Ogni comunicazione passa attraverso il nostro "quartier generale" da dove poi la inviamo a destinazione. Se notiamo parole straniere, o se c'e' la menzione di una ricorrenza nazionale senza che sia spiegato il suo significato, noi aggiungiamo delle note per spiegare le parole o il concetto che sta dietro la ricorrenza. In questo modo, la comunicazione diventa piu' chiara ed il processo di apprendimento piu' fruttuoso.

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- "International Museum of Women": Che valore ha internet per l'organizzazione della gioventu' internazionale?

- Sejal Hathi: E' indispensabile. Senza la rete informatica non credo ci troveremmo al punto in cui siamo oggi. Chiunque puo' raggiungerci tramite internet, e noi stesse troviamo organizzazioni sorelle ed ambasciatrici di pace tramite internet, e le ragazze comunicano le une con le altre tramite internet, attraversando confini e zone temporali. Non voglio definire la rete informatica come "equalizzatrice", perche' troppe persone non hanno accesso ad essa, ma per le ragazze che riescono ad averlo e' il media migliore per scambiare informazioni e collaborare.

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- "International Museum of Women": Su cosa si stanno organizzando i giovani a livello globale, in particolare?

- Sejal Hathi: Sicuramente c'e' un movimento di giovani attivi per il cambiamento sociale nel mondo. E' magnetico e in crescita, perche' i giovani coinvolti ne ispirano altri. Tuttavia, non credo vi sia un'istanza particolare su cui la gioventu' si sta concentrando: penso sia difficile per un giovane o una giovane concentrarsi su un'unica causa. La gioventu' e' passione per tante cose diverse ed oggi la gioventu' si organizza attorno a qualsiasi di esse che fa ribollire il loro sangue.

 

7. TESTIMONIANZE. ZOE ROBERT: "NAZIONALITA': NESSUNA"

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di Zoe Robert apparso su "Iceland Review Online" il 18 settembre 2011]

 

Il libro, di Sigriour Vidis Jonsdottir, si chiama "Nazionalita': nessuna. La fuga dall'Iraq ad Akranes" ("Rikisfang: Ekkert - Flottin fra' Irak a' Akranes"). Racconta la storia di otto donne palestinesi e dei loro figli che sono fuggite dall'Iraq e sono finite a vivere qui in Islanda, ad Akranes, un piccolo villaggio di pescatori nella parte occidentale del paese.

Al simposio di presentazione del libro all'Universita' d'Islanda, viene letta la parte in cui Lina Mazar, una delle otto donne, descrive la vita nel campo profughi di Al Waleed. Parla del caldo torrido, della mancanza di igiene, delle durezze che lei ed i suoi bimbi hanno affrontato.

Queste donne si sono lasciate alle spalle Baghdad e tutto cio' che sapevano per trovarsi in uno spazio decisamente non familiare: un accampamento nel deserto. Piu' tardi avrebbero fatto lo stesso per arrivare in Islanda. "Non parlavo islandese ne' inglese, e in Islanda la gente non parla arabo", dice Mazar delle prime difficolta' nel nuovo paese. Ma tre anni piu' tardi Mazar parla un ottimo islandese.

Jonsdottir, che per prima incontro' le donne ad Al Waleed e che ha seguito la loro storia sin da allora, continua a leggere estratti dal libro: come le donne sono finite al campo, le domande che hanno fatto sul paese che in seguito avrebbero chiamato "casa". Mazar, lottando per trattenere le lacrime, lascia momentaneamente la stanza e come do' uno sguardo ad un pubblico decisamente numeroso (c'e' gente seduta per terra ed altra che occhieggia dalla porta) vedo che questa folla sta pure piangendo.

Il viaggio di queste donne da Baghdad al campo profughi, e poi fino ad una piccola citta' del Nord Atlantico, e' qualcosa di totalmente diverso da cio' che la maggioranza della gente in Islanda puo' arrivare ad immaginare e tocca le emozioni piu' nude.

Quando le chiedono perche' ha scelto di raccontare la propria storia, Mazar risponde che vuole contribuire ad accrescere la comprensione della situazione che i palestinesi vivono in Iraq, e le ragioni per cui ha dovuto andarsene. Come palestinesi nate in Iraq, le donne non hanno ne' nazionalita' ne' cittadinanza - da cui il titolo del libro.

Questo tuttavia potrebbe cambiare presto, perche' le donne saranno in grado di chiedere la cittadinanza islandese fra due anni. Nel frattempo, dicono di essere felici delle loro nuove vite in Islanda.

 

8. INIZIATIVE. GIULIO VITTORANGELI: "L'ITALIA SONO ANCH'IO"

[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento.

Giulio Vittorangeli, nato a Tuscania (VT) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Donne in America latina, Celleno, luglio 1997; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; La cultura del nuovo impero: l'uomo a dimensione di merce, Celleno, luglio 2002; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003; America Latina: l'alternativa al neoliberismo, Viterbo, aprile 2004; Mulukuku: un progetto di salute mentale in Nicaragua, Viterbo, novembre 2010. Ha coordinando il Gruppo di approfondimento "Vivere nel nord  impegnati nel sud", all'interno del Convegno "Vivere e amare attraverso le contraddizioni", promosso dall'Associazione Ore Undici, e svolto a Trevi nell'Umbria (Pg), 25-30 agosto 2001. Ha partecipato alla trasmissione di "Rai Utile", del 24 gennaio 2006, dal titolo "America Latina e' sviluppo". Ha contribuito alla realizzazione, stesura, pubblicazione e presentazione di tre libri: Que linda Nicaragua!, Associazione Italia Nicaragua, Fratelli Frilli editori, Genova 2005; Nicaraguita, la utopia de la ternura, Terra Nuova, Managua, Nicaragua, 2007; Nicaragua. Noi donne le invisibili, Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, Davide Ghaleb editore, Vetralla 2009. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Attualmente cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"]

 

Lamiaa ha 11 anni, e' nata a Reggio Emilia e qui ha sempre vissuto.

Neva e' arrivata in Italia nel 1989 e qui ha vissuto la maggior parte della sua vita.

Hamid vive a Trento da 22 anni e qui sono nati e cresciuti i suoi due figli.

Di loro, finora, solo Hamid, dopo una lunga e travagliata trafila, e' riuscito ad ottenere la cittadinanza italiana. Storie di ordinaria amministrazione per gli stranieri residenti nel nostro Paese e per i loro figli, nati e cresciuti qui.

Nati in Italia: non italiani.

Si puo' nascere in Italia ma non essere considerati italiani.

Questo succede a chi ha genitori di origine straniera, e' nato e cresciuto qui, ma solo compiuti i 18 anni puo' chiedere la cittadinanza. Se fosse nato in America, sarebbe americano.

Cresciuti in Italia: non italiani.

L'Italia e' un paese che accoglie i bambini stranieri grazie ai ricongiungimenti famigliari, e poi li esclude. Vanno a scuola, hanno amici, si sentono italiani. Ma alla maggiore eta' sono costretti a un lungo percorso burocratico se vogliono ottenere la cittadinanza.

Lavoratori in Italia: non italiani.

L'Italia da' lavoro agli stranieri e per lavoro ne consente la regolarizzazione.

Anche il lavoratore straniero paga le tasse ma non puo' scegliere chi deve amministrare la citta' in cui vive. La Convenzione sulla partecipazione di Strasburgo prevede che possa votare.

L'articolo 3 della nostra Costituzione stabilisce il principio dell'uguaglianza tra le persone, impegnando la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che ne impediscano il pieno raggiungimento.

Nei confronti di milioni di persone di origine straniera questo principio e' disatteso.

Le leggi in vigore che riguardano le persone di origine straniera producono ingiustizia sociale.

Per cambiare tutto questo, per rimuovere gli ostacoli che la legislazione attuale frappone, e' nata la campagna per i diritti di cittadinanza "L'Italia sono anch'io", promossa da 18 associazioni, tra le quali l'Arci, le Acli, la Cgil e la Caritas, finalizzata alla raccolta di firme per la presentazione in Parlamento di due proposte di legge di iniziativa popolare. Per conoscere il punto di raccolta firme piu' vicino e ulteriori informazioni consultate il sito www.litaliasonoanchio.it

La campagna fa appello alle istituzioni, alle forze politiche e sociali, al mondo del lavoro e della cultura, a tutte le persone che vivono in Italia, affinche' ciascuno responsabilmente contribuisca a costruire un futuro di convivenza, giustizia e uguaglianza per chiunque nasca e viva nel nostro Paese.

Vuole riportare il tema della cittadinanza all'attenzione dell'opinione pubblica ed al centro del dibattito politico per creare un movimento trasversale e unitario: l'esercizio della cittadinanza e' la possibilita' di partecipare alla vita e alle scelte della comunita' di cui si fa parte, con uguali diritti e responsabilita'.

Nello specifico delle due leggi di iniziativa popolare: la prima vuole introdurre il concetto di "ius soli" (e' cittadino chi nasce in Italia) nel nostro ordinamento, sostituendo lo "ius sanguinis" (ovvero la cittadinanza trasmessa per via parentale e quindi solo se si e' figli di italiani), cosi' da permettere ai bambini che sono nati in Italia o che qui abbiano frequentato un ciclo di studi di diventare cittadini italiani; la seconda chiede di ampliare il diritto di voto, cosi' da permettere a chi ha un permesso di soggiorno da cinque anni di poter eleggere i rappresentanti di citta', provincie e regioni.

L'obiettivo e' arrivare a 50.000 firme per ciascuna proposta di legge, per introdurre un elemento di democrazia nel nostro ordinamento.

Un'iniziativa "doverosa", ha dichiarato ad "Adista" padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli, perche' "gli stranieri meritano di avere le necessarie opportunita' per continuare a inserirsi nella nostra societa'". E' semplice "buon senso pensare che una persona che nasce in Italia, cosi' come le persone straniere che lavorano e pagano le tasse nel nostro Paese, si sentano italiane a tutti gli effetti". "Se davvero ci interessa garantire la sicurezza questo e' il primo passo: per chi si sente coinvolto, parte della realta' che lo circonda, ci sono meno possibilita' di cadere nelle maglie della marginalita' e dell'illegalita'".

Della questione della cittadinanza - la nostra e' una legge vecchia, che non risponde piu' ai criteri di un paese moderno - si e' tanto parlato, ma nulla si e' fatto. Questa e' una possibilita'.

 

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

10. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 702 dell'8 ottobre 2011

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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