Nonviolenza. Femminile plurale. 298



 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 298 del 17 marzo 2011

 

In questo numero:

1. Margherita Hack: Ipazia

2. Luisa Muraro: Ipazia

3. Silvia Ronchey: Ipazia

4. Roberta De Monticelli: Ipazia nei versi di Mario Luzi

5. Elisa Varela Rodriguez presenta "Agora'" di Alejandro Amenabar

 

1. RIFLESSIONE. MARGHERITA HACK: IPAZIA

[Riproponiamo il seguente testo che riprendemmo da "Micromega" del 30 settembre 2009, col titolo "Ipazia, storia della prima scienziata vittima del fondamentalismo religioso" e la nota redazionale "Per gentile concessione dell'editore pubblichiamo la prefazione di Margherita Hack al libro Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo d.C., di Antonio Colavito e Adriano Petta (La Lepre Edizioni)".

Su Margherita Hack dalla Wikipedia riprendiamo i seguenti stralci biobibliografici: "Margherita Hack (Firenze, 12 giugno 1922) e' un'astrofisica e divulgatrice scientifica italiana... Si e' laureata in fisica nel 1945 con una tesi di astrofisica sulle Cefeidi, realizzata sempre a Firenze presso l'osservatorio di Arcetri. E' stata professoressa ordinaria di astronomia all'Universita' di Trieste e ha diretto l'Osservatorio Astronomico di Trieste dal 1964 al 1987, portandolo a rinomanza internazionale... Membro delle piu' prestigiose societa' fisiche e astronomiche, e' stata anche direttore del Dipartimento di Astronomia dell'Universita' di Trieste dal 1985 al 1991 e dal 1994 al 1997. Membro dell'Accademia Nazionale dei Lincei , ha lavorato presso numerosi osservatori americani ed europei... In Italia, con un'intensa opera di promozione ha ottenuto che la comunita' astronomica italiana espandesse la sua attivita' nell'utilizzo di vari satelliti giungendo ad un livello di rinomanza internazionale. Ha pubblicato numerosi lavori originali su riviste internazionali e numerosi libri sia divulgativi sia a livello universitario. Nel 1994 ha ricevuto la Targa Giuseppe Piazzi per la ricerca scientifica. Nel 1995 ha ricevuto il Premio Internazionale Cortina Ulisse per la divulgazione scientifica. Nel 1978 fondo' la rivista bimensile "L'Astronomia"; successivamente diresse la rivista di divulgazione scientifica e di cultura astronomica "Le Stelle". In segno di apprezzamento per il suo importante contributo, le e' stato anche intitolato l'asteroide 8558 Hack. Ha ottenuto la Cittadinanza onoraria dei comuni di Castelbellino, di Medicina e di San Casciano in val di Pesa. Margherita Hack e' molto nota anche per le sue attivita' non strettamente scientifiche e in campo sociale e politico. Avversa a ogni forma di superstizione, comprese le pseudoscienze, dal 1989 e' garante scientifico del Cicap e, dal 2002, presidente onorario dell'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti; dal 2005 e' iscritta all'Associazione Luca Coscioni per la liberta' di ricerca scientifica... Nelle elezioni politiche del 2006 e' stata eletta al parlamento ma ha rinunciato al seggio ottenuto per continuare a dedicarsi all'astronomia... E' una animalista convinta ed e' vegetariana sin da bambina... Tra le onorificenze ha ricevuto la Medaglia d'oro ai Benemeriti della Scienza e della Cultura. Tra le sue ultime pubblicazioni: L'universo violento della radioastronomia, Mondadori, 1983; L'universo alle soglie del 2000. Dalle particelle alle galassie, Rizzoli, Milano, 1992; con A. Braccesi e G. Caprara, Alla scoperta del sistema solare, Mondadori, Milano, 1993; L'Universo alle soglie del terzo millennio, Rizzoli, 1997; Sette variazioni sul cielo, Raffaele Cortina, 1999; L'amica delle stelle. Storia di una vita, Rizzoli, 2000; con Gino Ditadi, Etica, biodiversita', biotecnologie, emergenze ambientali, Trisonomia, 2002; Storia dell'astronomia. Dalle origini al duemila e oltre, Edizioni dell'Altana, 2002; con Pippo Battaglia, Walter Ferreri, Origine e fine dell'universo, Utet libreria, 2004; Vi racconto l'astronomia, Laterza, 2004; Una vita fra le stelle, Di Renzo Editore, Roma, 1995, 2005; Idee per diventare astrofisico - osservare le stelle per spiegare l'universo, Zanichelli, 2005; con Simona Cerrato, L'universo di Margherita Editoriale Scienza, 2006; con Pippo Battaglia, L'idea del tempo, Utet Libreria, 2006; con Bianca Pauluzzi, Il mio zoo sotto le stelle, Di Renzo Editore, Roma, 2007; con Eda Gjergo, in collaborazione con Arnoldo Mosca, Cosi' parlano le stelle - L'Universo spiegato ai ragazzi, Mondadori, Sperling & Kupfer, 2007; Che cos'è l'universo?, con CD audio, Luca Sossella Editore, Roma, 2008; Le mie favole. Da Pinocchio a Harry Potter (passando per Berlusconi), Edizioni dell'Altana, Roma, 2008; Dal sistema solare ai confini dell'Universo, Liguori, Napoli, 2009; Libera scienza in libero Stato, Rizzoli, Milano, 2010; Diario di un incontro, Zikkurat Edizioni&Lab, 2010; con Viviano Domenici, Notte di stelle, Sperling & Kupfer, 2010"]

 

In questo romanzo storico si ricostruisce l'ambiente e l'epoca in cui ha vissuto la prima donna scienziata la cui vita ed opere ci sono state tramandate da numerose testimonianze. Gli autori hanno fatto ricorso a una ricchissima bibliografia, che permette di far emergere dalla lontananza di sedici secoli questa figura di giovane donna in tutti i suoi aspetti umani, privati e pubblici, la sua vita quotidiana, i suoi dialoghi con la gente comune, con i suoi allievi, con gli scienziati.

Ipazia era nata ad Alessandria d'Egitto intorno al 370 d.C., figlia del matematico Teone. Fu barbaramente assassinata nel marzo del 415, vittima del fondamentalismo religioso che vedeva in lei una nemica del cristianesimo, forse per la sua amicizia con il prefetto romano Oreste che era nemico politico di Cirillo, vescovo di Alessandria.

Malgrado l'amicizia con Sinesio, vescovo di Tolemaide, che seguiva le sue lezioni, i fondamentalisti temevano che la sua filosofia neoplatonica e la sua liberta' di pensiero avessero un'influenza pagana sulla comunita' cristiana di Alessandria.

L'assassinio di Ipazia e' stato un altro atroce episodio di quel ripudio della cultura e della scienza che aveva causato molto tempo prima della sua nascita, nel III secolo dopo Cristo, la distruzione della straordinaria biblioteca alessandrina, che si dice contenesse qualcosa come 500.000 volumi, bruciata dai soldati romani e poi, successivamente, il saccheggio della biblioteca di Serapide. Dei suoi scritti non e' rimasto niente; invece sono rimaste le lettere di Sinesio che la consultava a proposito della costruzione di un astrolabio e un idroscopio.

Dopo la sua morte molti dei suoi studenti lasciarono Alessandria e comincio' il declino di quella citta' divenuta un famoso centro della cultura antica, di cui era simbolo la grandiosa biblioteca. Il ritratto che ci e' stato tramandato e' di persona di rara modestia e bellezza, grande eloquenza, capo riconosciuto della scuola neoplatonica alessandrina.

Ipazia rappresenta il simbolo dell'amore per la verita', per la ragione, per la scienza che aveva fatto grande la civilta' ellenica. Con il suo sacrificio comincia quel lungo periodo oscuro in cui il fondamentalismo religioso tenta di soffocare la ragione. Tanti altri martiri sono stati orrendamente torturati e uccisi. Il 17 febbraio 1600 Giordano Bruno fu mandato al rogo per eresia, lui che scriveva: "Esistono innumerevoli soli; innumerevoli terre ruotano attorno a questi, similmente a come i sette pianeti ruotano attorno al nostro Sole. Questi mondi sono abitati da esseri viventi". Galileo, convinto sostenitore della teoria copernicana, indirettamente provata dalla sua scoperta dei quattro maggiori satelliti di Giove, fu costretto ad abiurare.

Il fondamentalismo non e' morto. Ancora oggi si uccide e ci si fa uccidere in nome della religione. Anche nei nostri civili e materialistici paesi industrializzati avvengono assurde manifestazioni di oscurantismo, come in alcuni stati della civilissima America in cui si proibisce di insegnare nelle scuole la teoria dell'evoluzione di Darwin e si impone l'insegnamento del creazionismo. Su questa strada di ritorno al Medioevo si e' messa anche la nostra ministra dell'Istruzione (o dovremmo dire della distruzione?) tentando di cancellare la teoria darwiniana dalle scuole elementari e medie. Perche'? Per ignoranza? Per accontentare una Chiesa cattolica che non mi sembra ingaggi piu' queste battaglie perse in partenza.

Questa storia romanzata ma vera di Ipazia ci insegna ancora oggi quale e quanto pervicace possa essere l'odio per la ragione, il disprezzo per la scienza. E' una lezione da non dimenticare, e' un libro che tutti dovrebbero leggere.

 

2. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: IPAZIA

[Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo il seguente articolo apparso originariamente nel sito giudiziouniversale.it il 12 dicembre 2009 col titolo "Ipazia, sedici secoli di bugie" e il sommario "La filosofa di Alessandria d'Egitto fu uccisa nel 415 da un gruppo di fanatici cristiani. E' passata alla storia come una martire della scienza, versione femminile di Galileo. Ma la sua vicenda nasconde un mistero ancora piu' inquietante".

Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici femministe, ha insegnato all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997". Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo la seguente breve notizia biobibliografica aggiornata "Luisa Muraro, profonda conoscitrice del femminismo delle origini, e' tra le fondatrici della Libreria delle Donne di Milano (1975) e nel 1984 della Comunita' filosofica Diotima. Ha lavorato al concetto della differenza, favorendone la divulgazione e contribuendo a renderlo imprescindibile anche nel dibattito politico e filosofico italiano. Autrice di molte monografie, ha pubblicato numerosi saggi e articoli, ospitati in riviste accademiche, ma anche in quotidiani e riviste indirizzate al grande pubblico. Tra le sue pubblicazioni: La signora del gioco. Episodi della caccia alle streghe, Milano, Feltrinelli, 1976; Maglia o uncinetto. Racconto linguistico-politico sulla inimicizia tra metafora e metonimia, Milano, Feltrinelli, 1981; L'ordine simbolico della madre, Roma, Editori Riuniti, 1991; Lingua materna, scienza divina. Scritti sulla filosofia mistica di Margherita Porete, Napoli, D'Auria, 1995; Le amiche di Dio, Napoli, D'Auria, 2001; Il Dio delle donne, Milano, Mondadori, 2003; Guglielma e Maifreda, Milano, La Tartaruga, 1985, 2003; Al mercato della felicita'. La forza irrinunciabile del desiderio, Milano, Mondadori, 2009; Hipatia de Alejandria, Sabina Editorial, 2010".

Presentando in poche parole il suo recente libro su Ipazia, Luisa Muraro ha scritto: "Anni fa, grazie a Gemma Beretta, autrice di un saggio purtroppo esaurito, ho incontrato la figura di Ipazia; poi, grazie alla tesi di laurea di Elisa Rubino (relatore, Loris Sturlese), ho studiato le fonti. Cosi' ho potuto scrivere il racconto Hipatia (pubblicato in tre lingue: spagnolo, inglese, italiano) per le bambine e i bambini che amano leggere e correre, ma anche per le persone grandi che hanno poco tempo per leggere, con l'invito a trovarlo e a correre nel grande spazio della mente. Io penso che tutte e tutti dobbiamo qualcosa a Ipazia d'Alessandria: conoscere la sua storia e non dimenticare piu' il suo nome"]

 

Ipazia di Alessandria ha un conto aperto con la nostra civilta' che dobbiamo incominciare a pagare.

Parlo, per chi ancora non conoscesse questo nome, della scienziata e filosofa neoplatonica, maestra nel Museo di Alessandria d'Egitto (non un museo, ma un centro di studi superiori) che, nell'anno 415 dell'era cristiana, venne trucidata da un gruppo organizzato di cristiani fanatici. Il delitto resto' impunito perche' l'inviato imperiale non fece il suo dovere.

Da parte di chi ha a cuore la tradizione religiosa cristiana, io mi aspetto un preciso contributo. Posto che le fonti non consentono di attribuire al vescovo di Alessandria, il futuro santo e padre della Chiesa Cirillo, alcuna responsabilita' diretta nella morte violenta della filosofa, si stabiliscano le innegabili responsabilita' indirette, nel contesto di una diffusione del cristianesimo che e' piena di luci e ombre.

Da coloro che hanno a cuore le grandi conquiste della modernita' (liberta' di pensiero, pluralismo, liberta' di ricerca, valore delle scienze sperimentali), mi aspetto che smettano di strumentalizzare la figura della filosofa deformandola in quella di una martire della libera scienza. Le fonti storiche non autorizzano questa rappresentazione che si alimenta da una serie di stereotipi, gia' confutati, sulla storia delle scienze e la cultura cattolica. Non si faccia di Ipazia un anacronistico pendant femminile di Galileo. Lei fu indubbiamente una scienziata di prima grandezza e, come Galileo, si dedico' all'astronomia con avanzate tecniche di osservazione. L'analogia finisce qui. La famosa vicenda del processo di Galileo riguarda il protagonista di una svolta epocale nell'idea di scienza, che non ha nulla a che fare con l'epoca di Ipazia, il cui tempo fu agitato da una somma di problemi che non riguardavano la concezione della scienza, se non molto indirettamente. Detto in breve, Galileo e' il campione e il martire del nuovo che avanza. Ipazia e' l'esponente di una tradizione secolare (millenaria, se contiamo l'Egitto) e venne schiacciata dal nuovo avanzante, il cristianesimo, che fu anche rivoluzione sociale, non dimentichiamo.

Il mio contributo al pagamento del debito che abbiamo verso Ipazia, consistera' nell'esporre, in forma di racconto basato sulle fonti storiche, le circostanze che portarono alla sua uccisione.

Di Ipazia non abbiamo una data di nascita, possiamo immaginare che fu intorno al 370. Trascorse la sua vita ad Alessandria; non risulta che abbia fatto viaggi fuori dalla sua citta'. Le fonti la ricordano come figlia di Teone, scienziato del Museo; di lui fu allieva, collaboratrice e, in un certo senso, successora. Le fonti dicono che lei lo supero'. Della sua opera non si e' conservato quasi nulla.

Intorno al 375 nacque ad Alessandria anche Cirillo, che crebbe all'ombra dello zio Teofilo cui succedette sul seggio episcopale nel 412. Come lo zio, era un uomo di grande decisione, al limite della spregiudicatezza. Per favorire la Chiesa, Cirillo cerco' l'alleanza del prefetto imperiale Oreste, un battezzato anche lui ma poco propenso a schierarsi con i cristiani.

Scoppiarono incidenti, uno gravissimo nel 415: un gruppo di monaci venuti dal deserto (i cosiddetti parabolani) per servire il vescovo, a che titolo non sappiamo, assaltarono il carro del prefetto e riuscirono a ferirlo con una sassata. Il loro capo fu catturato e duramente punito, Cirillo voleva farne un martire ma i cittadini si opposero, compresi alcuni cristiani. Siamo alla vigilia dell'uccisione di Ipazia.

Bisogna sapere che Oreste era un ammiratore della filosofa e aveva preso l'abitudine di consultarla sui problemi della citta'. All'epoca Alessandria era una citta' multietnica, abitata da elleni, egizi, ebrei, costellata da vari edifici religiosi: sinagoghe, templi alle divinita' greche ed egizie, chiese cristiane. Il gruppo dominante e' costituito dagli elleni (gli abitanti di origine greca), molti dei quali stavano passando al cristianesimo, che era diventato la religione dell'imperatore. Ipazia, che apparteneva a questo gruppo sociale, non era cristiana. Fra i suoi allievi aveva tuttavia dei cristiani, come Sinesio, il futuro vescovo di Cirene, che la chiamava "madre" e "patrona", e su di lei ha lasciato una preziosa testimonianza scritta.

Le fonti raccontano che un giorno il vescovo Cirillo si trovo' a passare nei pressi della casa di Ipazia e noto' un assembramento di carri, lettighe e guardie.

"Di chi e' quella casa? Che cosa sta succedendo?".

"E' la casa della filosofa Ipazia - gli rispose uno del seguito - quelli che vedi, sono i curiali del prefetto, lui deve essere venuto con altri a salutarla e ad ascoltarla".

Il vescovo, possiamo immaginare, senti' una fitta penosa nell'anima. Per certo il nome di quella donna, famosa in citta', non gli era nuovo. Nuovo fu per lui scoprire che il prefetto si degnasse di farle visita, dopo che aveva rifiutato l'offerta fatta da lui, Cirillo, che era un uomo e un vescovo. Le fonti ci autorizzano a immaginare anche il pensiero che segui' a quel penoso, ma cosi' umano! sentimento: "Ad Alessandria le cose andrebbero meglio se io e il prefetto fossimo amici. Io e il prefetto non siamo amici per colpa di Ipazia che si e' messa di mezzo e ha attirato Oreste nella sua orbita".

Questo e' l'antefatto. Il fatto e' che un giorno del marzo 415 un gruppo di parabolani, guidati da un tale di nome Pietro il lettore, sequestro' Ipazia, la porto' in una chiesa e qui, al chiuso, la trucidarono usando strumenti taglienti che non erano coltelli, forse pezzi di vetro o di conchiglia. Poi ne portarono i resti in una localita', il Cinarone, forse assegnata alla eliminazione di materie di scarto con il fuoco, e qui li bruciarono.

Da questo insieme di fatti risulta che Ipazia, se siamo alla ricerca di un titolo da dare alla sua morte, fu principalmente una martire politica.

Colpita per colpire il prefetto imperiale, e' la prima supposizione, Ma, se allarghiamo lo scenario storico, le circostanze suggeriscono piuttosto che lei fu eliminata perche' disturbava, con la sua indipendenza, l'antagonismo fra due poteri, quello imperiale e quello ecclesiastico, che erano anche due uomini, Oreste e Cirillo, e impediva cosi' che i due poteri e i due uomini arrivassero a trovare un compromesso per una conveniente alleanza. A cio' si aggiunga un senso di rivalita' del capo della Chiesa alessandrina nei confronti di quella donna che, stando alla testimonianza di Sinesio, aveva l'autorita' di una sacerdotessa. La filosofa e il vescovo erano entrambi sprovvisti del potere della forza; l'efficacia della loro azione dipendeva dall'autorita' della loro parola e dal credito di cui godevano presso i detentori del potere politico.

Sicuramente contarono anche altre circostanze, fra cui il conflitto tra la cultura del mondo antico declinante e la nuova religione cristiana, purche' abbiamo chiaro che il conflitto non si configurava come un antagonismo e che la vittoria del cristianesimo era ormai evidente.

Conto' il fatto che non di un filosofo si trattasse, ma di una filosofa? La domanda va riformulata, considerato che non esistono culture in cui la differenza sessuale sia indifferente. Quanto conto', nella vicenda di Ipazia? E abbiamo noi modo di stabilirlo? Senza addentrarci, consideriamo che la nascente religione cristiana, a differenza di quella grecoromana e di quella egizia, non rendeva pensabile e accettabile una donna con le prerogative di Ipazia, libera di se', non subordinata a partiti o fazioni, presente e parlante in luoghi pubblici, sapiente, maestra dotata di una parola autorevole per donne e uomini.

Questa considerazione ci porta ai nostri tempi per costatare che il tipo umano femminile incarnato da una Ipazia non ha corso nella nostra cultura, forse perche' essa deriva dalla versione cristiana del patriarcato. Il che ci fa capire il perche' di certi stereotipi laici o laicisti: questi stereotipi resistono e si ripresentano per non poter ammettere che quello che faceva veramente problema ai cristiani di Alessandria, continua a fare problema anche ai nostri giorni, e non solo ai "cristiani"! Voglio dire che gli stereotipi anticlericali con cui si accosta la figura e la vicenda di Ipazia (Chiesa nemica della scienza, della ragione, delle donne) sono fatti per coprire una certa coda di paglia.

 

3. RIFLESSIONE. SILVIA RONCHEY: IPAZIA

[Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso su "La Stampa" del 4 aprile 2010 col titolo "Ipazia, quando talebani erano i cristiani".

Su Silvia Ronchey dalla Wikipedia riprendiamo il seguente breve profilo: "Silvia Ronchey (Roma, 13 marzo 1958) e' una storica italiana. E' figlia della scrittrice Vittoria Aliberti e di Alberto Ronchey, giornalista, scrittore ed ex-ministro dei Beni Culturali. Bizantinista dal 1976, nello stesso anno inizia il suo tirocinio paleografico sui manoscritti del Monastero di San Giovanni Teologo a Patmos. Nel 1981 si laurea a Pisa con una tesi in Filologia bizantina. Negli anni successivi, oltre che a Patmos, lavora alla Biblioteca del Patriarcato Greco Ortodosso di Alessandria d'Egitto, al Centre d'Histoire et Civilisation du Monde Byzantin del College de France di Parigi e al Dumbarton Oaks Center for Byzantine Studies di Washington D.C., dove inizia la collaborazione con uno dei massimi bizantinisti del Novecento, Aleksandr Petrovic Kazdan. Dal 1995 insegna stabilmente all'Università di Siena, dove e' attualmente professore associato. Scrive sui giornali italiani dal 1986. Da venticinque anni collabora regolarmente a "La Stampa" e al suo supplemento culturale "Tuttolibri", oltre che, episodicamente, a varie altre testate. E' stata autrice e conduttrice di programmi televisivi e per la Rai, tra cui L'altra edicola (RaiDue, 1994-1999), Fino alla fine del mondo (RaiDue1999), interviste a testimoni del secolo quali Ernst Juenger, Claude Levi-Strauss, Elemire Zolla, Jean-Pierre Vernant, James Hillman; tra i programmi radiofonici, si segnalano il ciclo sulla caduta di Costantinopoli in Alle 8 della sera (RadioRaiDue) e la serie sul melodramma antico, medievale e bizantino in Di tanti palpiti (RadioRaiTre). Oltre ai numerosi saggi specialistici in pubblicazioni scientifiche, ha scritto saggi di ampia diffusione, tradotti in piu' lingue, come L'enigma di Piero (Rizzoli), Il guscio della tartaruga (Nottetempo), Il romanzo di Costantinopoli (Einaudi), Ipazia. La vera storia (Rizzoli). Opere principali di Silvia Ronchey: Michele Psello, Imperatori di Bisanzio (Cronografia), traduzione di Silvia Ronchey (testo greco a fronte), 2 voll., Milano, Mondadori - Fondazione Lorenzo Valla, 1984; (con Aleksandr Petrovic Kazdan), L'aristocrazia bizantina, Palermo, Sellerio, 1998, 1999 (con postfazione di Luciano Canfora); James Hillman, L'anima del mondo: conversazione con Silvia Ronchey, Milano, Rizzoli, 2001; Lo Stato Bizantino, Torino, Einaudi, 2002; James Hillman, Il piacere di pensare: conversazione con Silvia Ronchey, Milano, Rizzoli, 2004; L'enigma di Piero. L'ultimo bizantino e la crociata fantasma nella rivelazione di un grande quadro, Milano, Rizzoli, 2006; Il guscio della tartaruga, Roma, Nottetempo, 2009; Il romanzo di Costantinopoli, guida letteraria alla Roma d'Oriente, Torino, Einaudi, 2010; Ipazia. La vera storia, Milano, Rizzoli, 2010"]

 

E' un tempo, il nostro, di crististi e teocon, in cui agli opposti estremismi si sono sostituiti, o sommati, gli opposti spiritualismi. L'onda d'urto della caduta del muro di Berlino ha provocato, negli orfani delle ideologie, un fall out di conversioni alla confortante forza dell'autoritarismo ecclesiale. C'era urgente bisogno che la laicita' si procurasse un simbolo: un'icona degli ideali di tolleranza, di non faziosita', di rifiuto delle fedi e delle ideologie pervasive.

L'ha trovato in un'eroina di quindici secoli fa: la filosofa Ipazia, matematica e astronoma, cattedratica nell'antica accademia platonica di Alessandria, massacrata dal fanatismo della prima Chiesa cristiana, celebrata in un crescendo di libri, biografie, spettacoli. E tuttavia la sua storia, narrata dallo spagnolo Alejandro Amenabar in un film campione d'incassi, Agora', rischiava di non essere mai visibile in Italia, Stato laico sulla carta ma ancora e sempre condizionato dall'esistenza al suo interno di quello della Chiesa. Nell'autunno scorso, un appello per la sua distribuzione aveva raccolto molte firme, a riprova che l'opportunismo non e' un fenomeno di massa e che la maturita' politica dei cittadini, non solo laici ma anche cattolici, e' maggiore di quella di chi gestisce il potere, in questo caso culturale.

Fatto sta che il veto, pur non esplicito, e' caduto, e il film uscira' il 23 aprile. Per l'imbarazzo della Chiesa, che vi vedra' un proprio vescovo, e in seguito santo, Cirillo di Alessandria, presentato come un fanatico terrorista, un violento e un assassino, e i propri adepti non dissimili ma anzi volutamente assimilati agli integralisti islamici: nei tratti stereotipi, nei comportamenti, nei discorsi e perfino nell'accento. Un geniale rovesciamento: i primi cristiani equiparati alle fasce estreme di quell'Islam che l'odierna propaganda cristiana avversa estendendo alla religione stessa l'accusa di "intrinseca malvagita'".

In effetti, quando nel 392 Teodosio emano' una legge speciale contro i culti pagani nel tollerante Egitto, i quadri dirigenti del cristianesimo, divenuto religione di Stato, intrapresero una mobilitazione punitiva proprio nella capitale della cultura ellenica dov'era nata e insegnava Ipazia. All'origine dell'ostilita' di Cirillo era, piu' che la misoginia o l'odio confessionale, l'invidia - specifica il bizantino Suidas - per la sua influenza politica. Era una partita a tre quella che si giocava per il potere ad Alessandria tra l'antica elite pagana, stretta alla rappresentanza del governo imperiale, i dirigenti cristiani che volevano soppiantarla e la comunita' giudaica, prima lobby dominante, ora gruppo di pressione rivale. Il primo atto dell'episcopato di Cirillo fu il pogrom antiebraico, che precedera' l'attacco all'establishment pagano, incarnato in Ipazia.

Contro il doppio obiettivo, Cirillo aveva strumentalizzato le frange intolleranti del deserto di Nitria, "cui si dava nome di monaci ma che tali in realta' non erano", scrive Eunapio, bensi' fanatici miliziani "che apertamente compivano e assecondavano crimini innumerevoli e innominabili". Questi talebani che avevano gia' distrutto e saccheggiato il Serapeo vent'anni prima, sotto Teofilo, zio e predecessore di Cirillo, sono gli stessi che tenderanno un agguato al corteo di Ipazia e la trucideranno "spogliandola delle vesti, facendola a brandelli con cocci aguzzi e spargendo per la citta' i pezzi del suo corpo brutalizzato", secondo lo storico cristiano Socrate; "incuranti della vendetta divina e umana", aggiunge il pagano Damascio.

La rappresentazione della violenza fondamentalista dei parabalani cristiani del futuro monofisita Cirillo e' il punto di forza del film. Il suo maggiore merito e' quello di far riflettere sulla vocazione estremista e sugli eccessi della Chiesa alle origini del suo potere, riaccendendo un dibattito diffuso nei secoli in cui un'intellettualita' ecclesiastica esisteva e discuteva. Perche' nell'immensa fortuna storica e letteraria della vicenda di Ipazia, cavallo di battaglia dell'anticlericalismo illuminista da Voltaire a Gibbon, ha avuto un ruolo piu' che ampio la cultura ecclesiastica, anche ma non solo riformata: se il primo editore delle fonti sul suo assassinio fu il protestante Wolf e il suo piu' appassionato difensore l'anglicano Kingsley, e' stata quasi tutta cattolica la rievocazione letteraria di Ipazia, dalla torinese Diodata Saluzzo Roero a Leconte de Lisle, da Peguy a Luzi.

In campo erudito, con la rilevante eccezione del giansenista Tillemont, prudente e giustificatorio, l'ala modernista del cattolicesimo ha analizzato spregiudicatamente le cause politiche del misfatto di Cirillo. E ha anche chiarito la reale personalita' di Ipazia. Il suo profilo e il suo sacrificio, cosi' importanti nella storia della politica e del pensiero, nel film sono accattivanti ma troppo semplificati, fino a essere tacciabili di quello stesso ideologismo di cui la figura dell'antica filosofa dovrebbe essere la negazione. Se vogliamo davvero renderle omaggio, invece, non dobbiamo perdere l'occasione di leggere la sua storia in modo non settario, ma autenticamente laico.

 

4. RIFLESSIONE. ROBERTA DE MONTICELLI: IPAZIA NEI VERSI DI MARIO LUZI

[Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo il seguente articolo apparso originariamente su "La Repubblica" del 9 aprile 2010 col titolo "Ipazia, Sinesio e Mario Luzi".

Roberta de Monticelli, acuta pensatrice, docente e saggista. Riproponiamo per stralci la seguente scheda di alcuni anni fa: "Roberta De Monticelli ha studiato alla Scuola Normale e all'Universita' di Pisa, dove si e' laureata nel 1976 con una tesi su Edmund Husserl: dalla Filosofia dell'aritmetica alle Ricerche logiche; ha continuato i suoi studi presso le Universita' di Bonn, Zurigo e Oxford, dove e' stata allieva di Michael Dummett, logico e filosofo del linguaggio. Sotto la sua direzione ha scritto la tesi di dottorato su Frege e Wittgenstein. A Oxford e' stata iniziata allo studio della tradizione platonica da Raymond Klibansky, membro e custode del Circolo Warburg, grande storico delle idee ed editore di numerosi testi medievali e moderni. Ha cominciato la sua carriera universitaria come ricercatrice della Scuola Normale di Pisa, poi trasferita presso il dipartimento di filosofia dell'Universita' statale di Milano, nell'ambito della cattedra di Filosofia del linguaggio (Andrea Bonomi). A Milano ha frequentato per anni i corsi della Facolta' Teologica dell'Italia Settentrionale, approfondendo la sua formazione nel quadro delle sue ricerche sul platonismo, e poi sulla filosofia di Agostino, di cui ha curato per Garzanti un'edizione delle Confessioni con testo a fronte, commento e introduzione (La Spiga 1992). E' stata dal 1989 al 2004 professore ordinario di filosofia moderna e contemporanea all'Universita' di Ginevra, sulla cattedra che fu di Jeanne Hersch (1910-2000, con Hannah Arendt e Raymond Klibansky la migliore allieva di Karl Jaspers). Per valorizzare l'opera di questa pensatrice, fra le piu' significative del Novecento, ha diretto fra l'altro una ricerca d'equipe sull'opera e la figura di Jeanne Hersch, finanziata dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica, ricerca che ha gia' portato alla preparazione per la stampa di numerosi inediti, e a svariate traduzioni in italiano e altre lingue di opere della pensatrice ginevrina. A Ginevra ha fondato la scuola dottorale interfacolta' 'La personne: philosophie, epistemologie, ethique', che ha diretto fino al 2004 (corresponsabili: Bernardino Fantini, Faculte' de Medicine, Bernard Rordorf, Faculte' Autonome de Theologie Protestante, Alexandre Mauron, Centre Lemanique d'ethique), scuola dottorale frequentata da studenti di ogni paese europeo, nel quadro della quale ha invitato i migliori specialisti internazionali delle discipline interessate (etica ed etica applicata, ontologia, fenomenologia, filosofia della mente, filosofia della psicologia, scienze cognitive, storia della medicina, filosofia della biologia). Dall'ottobre 2003 e' stata chiamata per chiara fama all'Universita' Vita-Salute San Raffaele, sulla cattedra di filosofia della persona. Un insegnamento di concezione nuova anche nel nome (e' la prima cattedra in Italia con questa denominazione). La persona, la sua realta' e i modi della sua conoscenza sono al centro della sua ricerca, che, pur riconoscendosi erede della grande tradizione, da Platone ad Agostino a Husserl, tenta una fondazione nuova, sul piano ontologico e sulla base del metodo fenomenologico, di una teoria della persona. Sua ambizione e' di costruire un linguaggio limpido e rigoroso per affrontare le questioni che si pongono a ogni esistenza personale matura (identita' personale, sfere della vita personale - cognitiva, affettiva, volitiva -, libero arbitrio, natura della conoscenza morale, fondamenti dell'etica, natura della vita spirituale). Un linguaggio, d'altra parte, capace di contribuire, anche con analisi concettuali e fenomenologiche e un proprio insieme di tecniche d'argomentazione, al dibattito contemporaneo promosso dagli sviluppi della filosofia della mente e delle scienze naturali dell'uomo, biologia, neuroscienze, scienze cognitive...". Tra le opere di Roberta de Monticelli: Dottrine dell'intelligenza - Saggio su Frege e Wittgenstein, De Donato, Bari 1982; (con M. Di Francesco), Il problema dell'individuazione - Leibniz, Kant e la logica modale, Edizioni Unicopli, Milano 1984; Il richiamo della persuasione. Lettere a Carlo Michelstaedter, Marietti, Genova 1988; Le preghiere di Ariele. Garzanti, Milano 1992; L'ascesi filosofica, Feltrinelli, Milano 1995; L'ascese philosophique - Phenomenologie et Platonisme, Vrin, Paris 1997; La conoscenza personale. Introduzione alla fenomenologia, Guerini e associati, Milano 1998; (a cura di), La persona: apparenza e realta'. Testi fenomenologici 1911-1933, Raffaello Cortina, Milano 2000; L'avenir de la phenomenologie - Meditations sur la connaissance personnelle  Aubier-Flammarion, Paris, 2000; Dal vivo, Rizzoli, Milano 2001; El conoscimiento personal, Catedra, Madrid 2002; Le Medecin Philosophe aux prises avec la maladie mentale, Actes du Colloque International Phenomenologie et psychopathologie, Puidoux, 16-18 fevrier 1998 , Etudes de Lettres, Lausanne 2002; Leibniz on Essental Individuality, Proceedings of International Symposium on Leibniz (G. Tomasi, editor,  M. Mugnai, A. Savile, H. Posen), Studia Leibnitiana, 2004; La persona e la questione dell'individualita', in "Sistemi intelligenti", anno XVIII, .33, dic. 2005, pp.419-445; L'ordine del cuore - Etica e teoria del sentire, Garzanti, Milano 2003; (a cura di), Jeanne Hersch, la Dame aux paradoxes - Textes rassembles par Roberta de Monticelli, L'Age d'Homme, Lausanne 2003; L'allegria della mente, Bruno Mondadori Editore, Milano 2004; Nulla appare invano - Pause di filosofia, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2006; Esercizi di pensiero per apprendisti filosofi, Bollati Boringhieri, Milano 2006; Sullo spirito e l'ideologia, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007.

Per un profilo di Mario Luzi cfr. "Voci e volti della nonviolenza" n. 274]

 

"Lo so, / per noi tutti che vi fummo insieme in quei tempi / Alessandria vibra ancora della sua febbre fina / e anche del suo un po' frenetico deliquio...".

Cosi' Sinesio di Cirene, dotto poeta e ragionatore alessandrino, ricorda la citta' della sua giovinezza. La citta' dove si era consumata, fra la fine del IV secolo e l'inizio del V, nell'incendio della piu' grande biblioteca dell'Antichita', l'ultimo "sogno della ragione greca": simbolicamente massacrata nel marzo del 414 nel corpo di Ipazia. Essa fu matematica e filosofa neoplatonica, commentatrice di Platone e Plotino, Euclide, Archimede e Diofanto, inventrice del planisfero e dell'astrolabio - secondo quanto ci riportano le poche testimonianze giunte fino a noi. Perche' della sua opera, come di quella del padre Teone, anche lui grande matematico, non ci e' rimasto nulla. Eppure quei frammenti bastano a testimoniare la fama e l'ammirazione di cui godeva questa donna, che in Alessandria teneva scuola di filosofia.

La sua uccisione, scrisse Gibbon in Declino e caduta dell'impero romano, resta "una macchia indelebile" sul cristianesimo. Perche' fu massacrata, pare, da una plebaglia fanatica ma eccitata alla vendetta, si dice, dal vescovo Cirillo. Fu vittima quindi di un gioco per la conquista della supremazia politica sulla citta' di Alessandria: ma il delitto inaugurava, con l'epoca cristiana, l'orrore della violenza che invoca il nome di Dio invano - per la verita' in tutti i luoghi e i tempi dove una religione diventa istituzione di potere terreno. Era da poco in vigore l'editto di Teodosio, con il quale, nel 391, il cristianesimo era stato proclamato religione di stato.

Il Sinesio che ho citato e' in realta' la voce di Mario Luzi, che nello splendido piccolo dramma Il libro di Ipazia, pubblicato nel 1978, fa dell'antico discepolo della filosofa alessandrina il testimone pensoso di un'epoca di trapasso, di tramonto e di nuova barbarie: "Citta' davvero mutata, talvolta cerco di capire / se nel tuo ventre guasto e sfatto / si rimescola una nuova vita / o soltanto la dissipazione di tutto. / E non trovo risposta". E' questa voce di poeta che prendiamo a guida di una possibile riflessione sull'impotenza della filosofia, della ricerca di ragioni e di luce anche per l'azione, quando essa lascia il suo "luogo alto, dove annidare la mente" e scende sulla piazza. Dove - come dice a Sinesio uno sconsolato amico - "l'intimazione della verita' e' un'arte di oggi, / come la persuasione lo fu di ieri". "Agora'", appunto, si intitola il film su Ipazia del regista spagnolo Alejandro Amenabar, finalmente in arrivo anche da noi. Si dice che sia "un duro atto d'accusa contro tutti i fondamentalismi religiosi", tanto duro nei confronti del neonato potere temporale della chiesa da aver subito addirittura ostacoli e ritardi alla sua programmazione nel nostro Paese. Vedremo: in attesa, puo' ben essere la splendida figura di questo vescovo perplesso a guidarci nella riflessione. "Il suo destino sembra esitare incerto sopra di lui".

Sinesio, neoplatonico lui stesso, fu davvero in seguito eletto vescovo di Cirene: quando ancora era indeciso fra i due mondi, ancora perduto nel sogno dell'armonia fra la ragione che governa le cose terrene e il soffio sottile di quelle divine. In un tempo in cui, invece - proprio come nel nostro - "la sorte della citta' e' precaria / esige risoluzioni forti, parole chiare all'istante. / Occorrono idee brevi e decise - oppure cinismo".

Ipazia poi e' diventata simbolo di molte cose. Il contrasto fra gli Elementi di Euclide e la Bibbia, ad esempio - "le due summae del pensiero matematico greco e della mitologia ebraico cristiana", come scrisse Odifreddi. Oppure la possibilita' provata che anche le donne sappiano pensare, ed eccellere addirittura nelle scienze matematiche: e se guardate in rete troverete ancora parecchie, un po' incongrue, difese del pensiero "al femminile" condotte in suo nome (mentre parrebbe difficile dare un sesso alla geometria euclidea).

Ma noi ancora per un poco preferiamo farci guidare, prima ancora che dalla voce di Sinesio, da quella del poeta che lo anima. Mario Luzi ci accompagna fino nella piu' segreta stanza notturna di Ipazia, dove questa donna che "vede lontano", lontano al punto che "una luce d'aurora" promana da "quei discorsi accesi da un fuoco di crepuscolo" - conduce la sua ultima conversazione con Dio. "Sono come sei tu. Perche' io sono te. / Te e altro da te". E' colta di sorpresa, Ipazia: e oppone resistenza: "Perche' ti manifesti ora? Sono stanca / e mi credevo compiuta". Terribile la risposta: "Non lo sei ancora. C'e' tutta l'enorme distesa del diverso, / del brutale, del violento / contrario alla geometria del tuo pensiero / che devi veramente intendere". Che devi veramente intendere: Ipazia cosi', nella perfetta fedelta' al suo essere, che e' amore del vero, filosofia, ricerca, Ipazia alla cui parola "si addice la temperatura del fuoco" si avvia verso quello che gia' intravede come l'estremo sacrificio. "Non c'e' ritirata possibile, Sinesio. / Qualcuno ci ha dato ascolto, in molti hanno creduto / nella forza redentrice della nostra voce di scienza e di ragione. / Dobbiamo deflettere a lasciarli al loro disinganno?". E ancora, il poeta da' voce alla speranza che infine e' quella di tutti noi, degli sconfitti: "La nostra causa e' perduta, e questo lo so bene. / Ma dopo? Che sappiamo del poi? / Il frutto scoppiato dissemina i suoi grani".

Ma non c'e' scampo. Ipazia viene trascinata in una chiesa, e fatta a pezzi. "Cosi' finisce il sogno della ragione ellenica. / Cosi', sul pavimento di Cristo".

Ecco: Ipazia e la sua Idea sono emblemi di un tale spessore, di una tale profondita' intellettuale e spirituale, e di un modo d'essere fatto di luminosa intransigenza (cosi' diverso da quello di Luzi, benche' altrettanto preso nel sentimento dell'assoluto), che fantastico a volte potesse trattarsi di una figura capace di incarnare una vera alternativa - in quegli anni - alla dialettica indulgenza di "Sinesio". Cioe' di Luzi.

Un ultimo sconsolato lume di intelligenza illumina una scena che si restringe paurosamente dopo questa tragedia. Alessandria e' un ricordo lontano, e anche l'urto dei mondi, la trasvalutazione dei valori lo sono. La scena si chiude su una Cirene rimpicciolita fino a coincidere proprio con quella tanto piccola e meschina che e' la nostra di oggi: "Spesso me lo ripeto: / senza un'idea di se' / da dare o da difendere / non si regna, si scivola a intrighi di taverna".

 

5. RIFLESSIONE. ELISA VARELA RODRIGUEZ PRESENTA "AGORA'" DI ALEJANDRO AMENABAR

[Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo il seguente articolo apparso originariamente in "Via Dogana" n. 91, dicembre 2009, col titolo "Ipazia di Alessandria. Agora', un film di Alejandro Amenabar" (traduzione dallo spagnolo di Clara Jourdan).

M.-Elisa Varela Rodriguez, medievista e paleografa, si occupa dello studio del libro e della cultura scritta nel Basso Medioevo, e dello studio del commercio bassomedievale catalano nel Mediterraneo. Nata nel settembre 1958 a Savinao-Monforte de Lemos (Lugo, Galizia, Spagna), si e' diplomata all'Istituto Narciso Monturiol di Barcellona, e laureata in Storia medievale presso la Facolta' di Geografia e Storia dell'Universita' di Barcellona, dove ha preso il dottorato nel 1995. Nel penultimo anno del corso di laurea entro' nel progetto Duoda, diretto da M.-Milagros Rivera Garretas del Cihd, di cui continua a far parte, come ricercatrice e attualmente anche come vicedirettrice del Centro de Investigacion de Mujeres Duoda dell'Universita' di Barcellona. E' docente della Facolta' di Lettere dell'Universita' di Girona, dove fa parte del gruppo di ricerca Estudis Culturals, ed e' ricercatrice del progetto coordinato Historias de vidas de mujeres. Coronas de Aragon y Castilla (siglo XV). Lavori principali: El control de los Bienes: Los libros de cuentas de los mercaderes Tarasco' (1329-1348), Barcellona 1996; "Palabras clave de Historia de las Mujeres en Cataluna (siglos IX-XVIII)", Duoda, 12, 1997; El libro de Horas de Carlos V, Madrid 2000; Mujeres que leen, mujeres que escriben: Letradas en la Baja Edad Media, Barcellona 2001; El Oficio de la Toma de Granada, Granada 2003; Aprender a leer, aprender a escribir: Lectoescritura femenina (siglos XIII-XV), Madrid 2004.

Alejandro Amenabar (Santiago del Cile, 1972) e' un regista cinematografico spagnolo (ma anche autore delle sceneggiature e delle musiche dei suoi film). Opere di Alejandro Amenabar: La cabeza (1991); Himenoptero (1991); Luna (1995); Tesis (1996); Apri gli occhi (Abre Los Ojos) (1997); The Others (2001); Mare dentro (Mar adentro) (2004); Agora (2009)]

 

Agora (in italiano Agora', 2009) e' il titolo del film del regista Alejandro Amenabar uscito nella prima settimana di ottobre nei cinema spagnoli. Il film e' una megaproduzione (Usa e Spagna) di 126 minuti, distribuita dalla 20th Century Fox, e prodotta tra gli altri da Telecinco, Mod Producciones e Himenoptero. La pellicola - come si suppone in una produzione con queste caratteristiche - e' curata per l'aspetto visivo: le inquadrature, i costumi, l'ambientazione, le scene di folla, gli interni (anche se a volte l'illuminazione delle scene di interni e' un po' esagerata). E' un film correttamente diretto e correttamente interpretato, ma che manca della forza che avevano alcune delle precedenti pellicole di questo giovane regista.

Di cosa tratta Agora', che cosa ci vuole raccontare Amenabar?

Nonostante la pubblicita', il centro del film non e' la filosofa Ipazia d'Alessandria, anche se ci mostra avvenimenti e situazioni della vita di questa grande astronoma e pensatrice. Il film e' una mescolanza di generi, vuol essere allo stesso tempo un dramma, una storia romantica, un film d'avventura o d'azione, un affresco storico - a imitazione delle grandi epopee cinematografiche come I dieci comandamenti, Ben Hur, Cleopatra...

Agora' ha anche un marcato carattere didattico: mostrare gli effetti dell'intolleranza, in particolare dell'intolleranza delle due grandi religioni, l'ebraica e la cristiana, specialmente di quest'ultima, che con una lettura molto di oggi e forse mirata puo' facilmente essere identificata con la visione e l'atteggiamento - salvando tutte le distanze - dei "talebani", degli integralisti mussulmani, perche' come loro i cristiani del film esibiscono tuniche nere, volti barbuti, fede cieca in Dio padre e nei suoi ministri, senza lasciare nessuno spazio alla riflessione personale. Ma se il film e' una perorazione contro l'intolleranza, non vi ho colto una perorazione altrettanto forte contro cio' che e' alla radice dell'intolleranza, della violenza, della contrapposizione e della guerra. Le scene violente il regista le ricrea direi quasi vezzeggiandole. In questo film la guerra affascina, come sembra affascinare una parte della storiografia maschile attuale, che non fa vedere come la guerra sia il fallimento della mediazione, della parola, della politica come arte del possibile.

Inoltre, nell'intento di biasimare qualunque tipo di fondamentalismo religioso, il film risulta, se mi si permette, un po' manicheo, in quanto rivendica la ragione - ma quale ragione? non c'e' una ragione unica - in contrapposizione al credo e al vissuto religioso, dimenticando che molte creature umane hanno bisogno del sacro, della divinita', dell'esperienza religiosa per essere nel mondo.

Tra le distruzioni e devastazioni ricreate in Agora', ce n'e' una, per me particolarmente drammatica, che ha avuto una grande ripercussione per tutta l'umanita': la distruzione della Biblioteca di Alessandria. Anche qui si puo' fare un parallelismo con le distruzioni delle ultime guerre, nella ex Jugoslavia e soprattutto in Iraq - dove pare siano state distrutte opere che ci permettevano di conoscere le prime espressioni della scrittura, una manifestazione intellettuale fondamentale delle creature umane.

E di Ipazia, cosa ci racconta il film?

Ci mostra la maestra attorniata dai suoi discepoli, mentre insegna astronomia, filosofia, e politica, l'arte della relazione attraverso la parola. Ci mostra l'affetto e l'attaccamento della maestra per i suoi discepoli e di loro per lei e tra di loro. Si considerano un gruppo, un gruppo privilegiato, e di questo da' conto il film. Dato che il centro non e' Ipazia, il regista non mette a sufficienza in rilievo l'agire politico di questa filosofa neoplatonica, la sua capacita' di mediare tra il potere imperiale, i sacerdoti del panteon classico, i monaci e il clero cristiano, e gli ebrei. Ipazia non ha potere ma gode di grande autorita' presso tutti loro e presso la popolazione di Alessandria, un'autorita' che riuscira' a essere scalzata solo con l'accusa di magia nera, di stregoneria, una delle pratiche piu' temute dal popolo di questa citta' orientale.

Ci sono due scene in cui lo sguardo del regista mi piace. La prima e' quando mette in bocca a Ipazia questa frase: "Tu puoi permetterti di non dubitare delle cose, io no", in un dialogo dell'astronoma con uno dei suoi ex discepoli che ora e' vescovo di Cirene. L'altra mostra il suo bisogno di pensare, mettere in discussione il sapere dato per andare avanti nella conoscenza, e mostra anche come la felicita' e liberta' di una donna di scienza si radichino nel conoscere il mondo e i suoi / le sue simili.

Nel film di Amenabar, a parte Ipazia e le prefiche che appaiono in qualche funerale, rare sono le donne; se ne vedono alcune tra la folla e nei tumulti di strada, ma poche. Certo, il film e' un'epopea dell'Egitto sotto la dominazione romana e ai tempi della prima espansione del cristianesimo, e le donne partecipano poco alle epopee, noi partecipiamo alla vita. Inoltre il regista cade nella vecchia trappola di contrapporre donna libera / madre. Forse per questo non fa nessun riferimento alla madre della pensatrice. Compare invece il padre di Ipazia - per il suo ruolo di organizzatore della scuola e nella comunita' dei saggi di Alessandria - cosi' come i padri di altri. E' come se Ipazia non fosse nata da donna, non avesse madre, ne' l'avesse il resto dei protagonisti e figuranti del film. Sicuramente le spettatrici e gli spettatori non possono vedere in questo film che cosa facevano, come vivevano - al di la' delle possibilita' e proibizioni cristiane, giudaiche e della cultura classica - le donne che abitavano ad Alessandria d'Egitto.

Possiamo recuperare la madre soltanto attraverso il rapporto di apprendistato - evocazione della relazione primaria della madre con la creatura - e l'autorita' che i discepoli di Ipazia le riconoscono non solo come maestra filosofa e astronoma, ma anche - e questo si' si intuisce nel film - come consigliera e guida. Nel film s'intuisce anche che altri pensatori e autori ebrei, cristiani e classici riconoscono l'autorita' di Ipazia, e persino alcune autorita' religiose e civili. Tra queste ultime, ce ne sono alcune che la temono, la temono come filosofa e come politica per la sua chiarezza e non soggezione alle convenzioni e alle convenienze del momento.

Amenabar sembra avere la chiara volonta' di sottolineare il modo di insegnare di Ipazia. La mostra in diverse scene a lezione con i suoi discepoli - un piccolo gruppo di veri discepoli, non seguaci, se ci atteniamo alla considerazione che applicava a se' Maria Zambrano ("sono discepola, non seguace, che e' il contrario che essere discepolo") - per mostrare un sistema di insegnamento e di apprendimento diverso e distante dall'universita' di ieri e di oggi, dall'universita' che il regista ha abbandonato poco dopo esservi entrato. Un modo di insegnare in cui si valorizza lo sforzo del discepolo, il bisogno di sperimentare, e un modo di imparare in cui viene riconosciuta una grande autorita' alla maestra, e in cui risalta il suo legame con i discepoli, e il loro con lei e tra di loro.

Tuttavia a Amenabar non interessa esplorare o lasciare aperta la possibilita' che tra i modi di pensare che raccoglie (forme del pensiero antico, ebraico, cristiano) ci fosse il considerare Ipazia, come donna, e le altre donne, in maniere differenti. Gli interessa piuttosto insistere sui testi che preconizzano la segregazione e il confinamento delle donne nell'ambito domestico. Il film sottolinea i frammenti delle Scritture e di san Paolo in cui si ordina alle donne di velarsi, vestire discretamente, non abbellirsi e soprattutto pregare e tacere. In questo modo sembra che il regista voglia ingraziarsi a buon mercato quella meta' dell'umanita' che siamo le donne, recependo cio' che oggi la societa' ammette e riconosce per lo piu', cioe' che "la storia ha discriminato le donne", ma non intenda evocare - come potrebbe, dato che ha scelto una donna che cercava e valorizzava la sua liberta' - il fatto che durante la storia abbiamo schivato con maggiore o minore successo la discriminazione, cercando il nostro modo di essere donne.

 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Numero 298 del 17 marzo 2011

 

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