Telegrammi. 435



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 435 del 14 gennaio 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Una campagna internazionale di "Sos sexisme": Le donne chiedono risarcimento

2. Contro il razzismo

3. Si e' svolto il 13 gennaio a Viterbo un incontro di studio

4. Hannah Arendt: La Resistenza nonviolenta in Danimarca

5. Hannah Arendt: La Shoah in Italia

6. Un estratto da "Ultimi" di Rita Pennarola

7. Per sostenere il Movimento Nonviolento

8. "Azione nonviolenta"

9. Segnalazioni librarie

10. La "Carta" del Movimento Nonviolento

11. Per saperne di piu'

 

1. APPELLI. UNA CAMPAGNA INTERNAZIONALE DI "SOS SEXISME": LE DONNE CHIEDONO RISARCIMENTO

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente appello di promozione della campagna internazionale di "Sos sexisme" Le donne chiedono risarcimento]

 

La Conferenza di Vienna del 1993 ha stabilito che i diritti delle donne sono universali, inalienabili ed indivisibili, e parte integrale dei diritti umani fondamentali.

La nostra associazione "Sos sexisme", www.sos-sexisme.org/, chiede che la millenaria oppressione sofferta dalle donne sia oggetto di denuncia ufficiale e di compensazione economica da parte di tutti i governi, per porre una fine reale alle molte discriminazioni e ai molti crimini commessi contro le donne.

Vi chiediamo di far circolare la nostra petizione fra i gruppi di donne del vostro paese e di mandarci le firme raccolte entro il dicembre 2011: per posta: "Sos sexisme",  2 rue du Bel Air, 92190, Meudon, France; via fax: 33-1- 46261482; per posta elettronica: sexisme at sos-sexisme.org o direttamente sul nostro sito web www.sos-sexisme.org

Le firme saranno inviate alla Commissione petizioni del Parlamento Europeo, alla Commissione delle Nazioni Unite sullo stato delle donne, al Segretario generale delle Nazioni Unite, alla Quinta Conferenza internazionale sulle donne.

"Sos sexisme" sosterra' le cause delle donne che decideranno di agire legalmente a nome proprio o a nome delle proprie antenate, al fine di ottenere delle scuse ed il riconoscimento che i crimini commessi contro di loro sono crimini contro l'umanita'.

Vi ringraziamo per la vostra partecipazione a quest'importante azione, che mostrera' una volta di piu' lo scopo globale della nostra solidarieta'.

La presidente di "Sos sexisme", Michele Dayras

*

Testo della petizione: Le donne chiedono risarcimento

La Conferenza di Durban contro il razzismo e l'intolleranza e' stata il luogo d'incontro delle vittime della schiavitu', della colonizzazione, dell'apartheid, delle "pulizie etniche", del sistema delle caste e di tutti i tipi di violenza religiosa e politica. E le donne? Il sessismo e' stato evocato solamente nel contesto dell'oppressione duale: una donna nera, una donna musulmana, una donna dalit, una donna rom... Ma le donne sono vittime di un tipo specifico di oppressione, il patriarcato, e questo e' fuori questione.

Noi, le donne del mondo,

denunciamo la violenza e le varie forme di sfruttamento che gli uomini ci hanno inflitto e continuano ad infliggerci da millenni:

per i nostri piedi fasciati

per i nostri colli imprigionati negli anelli

per il nostro sesso mutilato o cucito

per le nostre labbra deformate dalle piastre o le nostre orecchie perforate

per le cinture di castita' e i controlli sulla verginita'

per i corsetti che ci soffocano

per i nostri corpi affamati dall'anoressia o ingrassati secondo le loro regole

per le donne che vengono private di istruzione, liberta', autonomia

per le donne chiuse negli harem o nelle case

per le donne chiuse dietro al velo, al chador, al tchadri o al burqa

per i matrimoni precoci, i rapporti sessuali imposti

per le gravidanze non volute, le sterilizzazioni forzate, l'aborto di feti femminili

per la poligamia, i ripudi, il sistema della dote

per la discriminazione nell'eredita'

per lo sfruttamento economico, la schiavitu' domestica, il doppio lavoro

per le botte, gli insulti, le molestie morali e sessuali

per gli stupri singoli o collettivi

per la pornografia e la prostituzione

per le donne vendute nei "matrimoni temporanei" o dalle organizzazioni criminali

per il lancio di acido, la lapidazione ed il rito del "sati"

per le streghe bruciate vive

per i delitti d'onore, gli omicidi di donne

per i massacri religiosi o politici

per le bambine che uccidono o a cui impediscono di nascere: 100.000.000 di donne "mancanti" al mondo...

per il controllo che hanno esercitato e continuano ad esercitare sulle nostre vite

per le nostre vite che ci hanno rubato

per la nostra intelligenza che hanno soffocato

per le divisioni che hanno creato tra noi per mantenerci in schiavitu'

per i terribili crimini che gli uomini hanno commesso contro le donne sin da tempi immemorabili

per aver fatto di noi il simbolo del male in ogni religione misogina che hanno creato a propria immagine, una caratteristica peculiare di ogni ideologia razzista,

per i nostri diritti umani disprezzati

noi, le donne del mondo, chiediamo ai governi delle nazioni di scusarsi e di dare un valore reale alle compensazioni finanziarie, legali, professionali e politiche che le donne hanno il diritto di ricevere.

"Sos sexisme"

 

2. RIFLESSIONE. CONTRO IL RAZZISMO

[Riceviamo e diffondiamo]

 

Le persone partecipanti all'incontro di formazione alla nonviolenza svoltosi domenica 9 gennaio 2011 presso il centro sociale "Valle Faul" di Viterbo confermano il loro pieno sostegno alle iniziative nonviolente contro il razzismo e particolarmente per l'immediata abrogazione di tutte le misure incostituzionali, antigiuridiche, criminali e criminogene assunte dai governi succedutisi negli ultimi decenni con l'esplicito scopo di perseguitare i migranti; per l'immediata abrogazione di tutti quei provvedimenti  governativi (che hanno trovato una tragica e grottesca complicita' anche nel parlamento e nella presidenza della Repubblica) palesemente contra legem e disumani, provvedimenti intesi non a punire l'effettuale commissione di reati, ma ad infliggere sofferenze e vessazioni a degli esseri umani innocenti per la loro mera condizione esistenziale di persone bisognose di aiuto, di accoglienza e di assistenza, persone i cui diritti la Costituzione della Repubblica Italiana esplicitamente riconosce e difende.

Siano immediatamente aboliti tutti i provvedimenti governativi che configurano atti persecutori, violazioni dei diritti umani, violazioni della legalita' costituzionale.

Si adoperi ogni persona di retto sentire e di volonta' buona, si adoperi ogni associazione democratica, si adoperi ogni articolazione istituzionale ed ogni pubblico ufficiale fedele alla Costituzione della Repubblica Italiana: si adoperino tutti in difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani; si adoperino tutti a recare soccorso ad ogni vittima innocente; si adoperino tutti a contrastare e respingere il colpo di stato razzista.

Vi e' una sola umanita'.

*

Le persone partecipanti all'incontro di formazione alla nonviolenza svoltosi domenica 9 gennaio 2011 presso il centro sociale "Valle Faul" di Viterbo

Viterbo, 13 gennaio 2011

Per comunicazioni: partecipanti agli incontri di formazione alla nonviolenza presso il centro sociale "Valle Faul", strada Castel d'Asso snc, 01100 Viterbo, e-mail: viterbooltreilmuro at gmail.com

 

3. INCONTRI. SI E' SVOLTO IL 13 GENNAIO A VITERBO UN INCONTRO DI STUDIO

 

Giovedi' 13 gennaio 2011 a Viterbo, presso la sede del "Centro di ricerca per la pace", si e' svolto un incontro di studio.

L'incontro e' stato dedicato allo studio delle avanguardie artistiche dei primi decenni del Novecento in Europa e negli Stati Uniti d'America. Sono state particolarmente esaminate alcune opere di Hans Arp, di Marcel Duchamp, di Paul Klee, di Piet Mondrian, del fotografo americano Alfred Stieglitz, e sono stati letti alcuni testi teorici e programmatici di alcuni movimenti artistici dell'epoca.

L'incontro si e' svolto nell'ambito di un'iniziativa, in corso da mesi, di promozione del diritto allo studio.

 

4. MEMORIA. HANNAH ARENDT: LA RESISTENZA NONVIOLENTA IN DANIMARCA

[Da Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1964, 1993, alle pp. 177-182. E' un brano che abbiamo gia' altre volte riprodotto su questo foglio.

Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006; i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005; Alois Prinz, Io, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1999, 2009. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

 

La storia degli ebrei danesi e' una storia sui generis, e il comportamento della popolazione e del governo danese non trova riscontro in nessun altro paese d'Europa, occupato o alleato dell'Asse o neutrale e indipendente che fosse. Su questa storia si dovrebbero tenere lezioni obbligatorie in tutte le universita' ove vi sia una facolta' di scienze politiche, per dare un'idea della potenza enorme della nonviolenza e della resistenza passiva, anche se l'avversario e' violento e dispone di mezzi infinitamente superiori. Certo, anche altri paesi d'Europa difettavano di "comprensione per la questione ebraica", e anzi si puo' dire che la maggioranza dei paesi europei fossero contrari alle soluzioni "radicali" e "finali". Come la Danimarca, anche la Svezia, l'Italia e la Bulgaria si rivelarono quasi immuni dall'antisemitismo, ma delle tre di queste nazioni che si trovavano sotto il tallone tedesco soltanto la danese oso' esprimere apertamente cio' che pensava. L'Italia e la Bulgaria sabotarono gli ordini della Germania e svolsero un complicato doppio gioco, salvando i loro ebrei con un tour de force d'ingegnosita', ma non contestarono mai la politica antisemita in quanto tale. Era esattamente l'opposto di quello che fecero i danesi. Quando i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a introdurre il distintivo giallo, essi risposero che il re sarebbe stato il primo a portarlo, e i ministri danesi fecero presente che qualsiasi provvedimento antisemita avrebbe provocato le loro immediate dimissioni. Decisivo fu poi il fatto che i tedeschi non riuscirono nemmeno a imporre che si facesse una distinzione tra gli ebrei di origine danese (che erano circa seimilaquattrocento) e i millequattrocento ebrei di origine tedesca che erano riparati in Danimarca prima della guerra e che ora il governo del Reich aveva dichiarato apolidi. Il rifiuto opposto dai danesi dovette stupire enormemente i tedeschi, poiche' ai loro occhi era quanto mai "illogico" che un governo proteggesse gente a cui pure aveva negato categoricamente la cittadinanza e anche il permesso di lavorare. (Dal punto di vista giuridico, prima della guerra la situazione dei profughi in Danimarca non era diversa da quella che c'era in Francia, con la sola differenza che la corruzione dilagante nella vita amministrativa della Terza Repubblica permetteva ad alcuni di farsi naturalizzare, grazie a mance o "aderenze", e a molti di lavorare anche senza un permesso; la Danimarca invece, come la Svizzera, non era un paese pour se debrouiller). I danesi spiegarono ai capi tedeschi che siccome i profughi, in quanto apolidi, non erano piu' cittadini tedeschi, i nazisti non potevano pretendere la loro consegna senza il consenso danese. Fu uno dei pochi casi in cui la condizione di apolide si rivelo' un buon pretesto, anche se naturalmente non fu per il fatto in se' di essere apolidi che gli ebrei si salvarono, ma perche' il governo danese aveva deciso di difenderli. Cosi' i nazisti non poterono compiere nessuno di quei passi preliminari che erano tanto importanti nella burocrazia dello sterminio, e le operazioni furono rinviate all'autunno del 1943.

Quello che accadde allora fu veramente stupefacente; per i tedeschi, in confronto a cio' che avveniva in altri paesi d'Europa, fu un grande scompiglio. Nell'agosto del 1943 (quando ormai l'offensiva tedesca in Russia era fallita, l'Afrika Korps si era arreso in Tunisia e gli Alleati erano sbarcati in Italia) il governo svedese annullo' l'accordo concluso con la Germania nel 1940, in base al quale le truppe tedesche avevano il diritto di attraversare la Svezia. A questo punto i danesi decisero di accelerare un po' le cose: nei cantieri della Danimarca ci furono sommosse, gli operai si rifiutarono di riparare le navi tedesche e scesero in sciopero. Il comandante militare tedesco proclamo' lo stato d'emergenza e impose la legge marziale, e Himmler penso' che fosse il momento buono per affrontare il problema ebraico, la cui "soluzione" si era fatta attendere fin troppo. Ma un fatto che Himmler trascuro' fu che (a parte la resistenza danese) i capi tedeschi che ormai da anni vivevano in Danimarca non erano piu' quelli di un tempo. Non solo il generale von Hannecken, il comandante militare, si rifiuto' di mettere truppe a disposizione del dott. Werner Best, plenipotenziario del Reich; ma anche le unita' speciali delle SS (gli Einsatzkommandos) che lavoravano in Danimarca trovarono molto da ridire sui "provvedimenti ordinati dagli uffici centrali", come disse Best nella deposizione che rese poi a Norimberga. E lo stesso Best, che veniva dalla Gestapo ed era stato consigliere di Heydrich e aveva scritto un famoso libro sulla polizia e aveva lavorato per il governo militare di Parigi con piena soddisfazione dei suoi superiori, non era piu' una persona fidata, anche se non e' certo che a Berlino se ne rendessero perfettamente conto. Comunque, fin dall'inizio era chiaro che le cose non sarebbero andate bene, e l'ufficio di Eichmann mando' allora in Danimarca uno dei suoi uomini migliori, Rolf Guenther, che sicuramente nessuno poteva accusare di non avere la necessaria "durezza". Ma Guenther non fece nessuna impressione ai suoi colleghi di Copenhagen, e von Hannecken si rifiuto' addirittura di emanare un decreto che imponesse a tutti gli ebrei di presentarsi per essere mandati a lavorare.

Best ando' a Berlino e ottenne la promessa che tutti gli ebrei danesi sarebbero stati inviati a Theresienstadt, a qualunque categoria appartenessero - una concessione molto importante, dal punto di vista dei nazisti. Come data del loro arresto e della loro immediata deportazione (le navi erano gia' pronte nei porti) fu fissata la notte del primo ottobre, e non potendosi fare affidamento ne' sui danesi ne' sugli ebrei ne' sulle truppe tedesche di stanza in Danimarca, arrivarono dalla Germania unita' della polizia tedesca, per effettuare una perquisizione casa per casa. Ma all'ultimo momento Best proibi' a queste unita' di entrare negli alloggi, perche' c'era il rischio che la polizia danese intervenisse e, se la popolazione danese si fosse scatenata, era probabile che i tedeschi avessero la peggio. Cosi' poterono essere catturati soltanto quegli ebrei che aprivano volontariamente la porta. I tedeschi trovarono esattamente 477 persone (su piu' di 7.800) in casa e disposte a lasciarli entrare. Pochi giorni prima della data fatale un agente marittimo tedesco, certo Georg F. Duckwitz, probabilmente istruito dallo stesso Best, aveva rivelato tutto il piano al governo danese, che a sua volta si era affrettato a informare i capi della comunita' ebraica. E questi, all'opposto dei capi ebraici di altri paesi, avevano comunicato apertamente la notizia ai fedeli, nelle sinagoghe, in occasione delle funzioni religiose del capodanno ebraico. Gli ebrei ebbero appena il tempo di lasciare le loro case e di nascondersi, cosa che fu molto facile perche', come si espresse la sentenza, "tutto il popolo danese, dal re al piu' umile cittadino", era pronto a ospitarli.

Probabilmente sarebbero dovuti rimanere nascosti per tutta la durata della guerra se la Danimarca non avesse avuto la fortuna di essere vicina alla Svezia. Si ritenne opportuno trasportare tutti gli ebrei in Svezia, e cosi' si fece con l'aiuto della flotta da pesca danese. Le spese di trasporto per i non abbienti (circa cento dollari a persona) furono pagate in gran parte da ricchi cittadini danesi, e questa fu forse la cosa piu' stupefacente di tutte, perche' negli altri paesi gli ebrei pagavano da se' le spese della propria deportazione, gli ebrei ricchi spendevano tesori per comprarsi permessi di uscita (in Olanda, Slovacchia e piu' tardi Ungheria), o corrompendo le autorita' locali o trattando "legalmente" con le SS, le quali accettavano soltanto valuta pregiata e, per esempio in Olanda, volevano dai cinquemila ai diecimila dollari per persona. Anche dove la popolazione simpatizzava per loro e cercava sinceramente di aiutarli, gli ebrei dovevano pagare se volevano andar via, e quindi le possibilita' di fuggire, per i poveri, erano nulle.

Occorse quasi tutto ottobre per traghettare gli ebrei attraverso le cinque-quindici miglia di mare che separano la Danimarca dalla Svezia. Gli svedesi accolsero 5.919 profughi, di cui almeno 1.000 erano di origine tedesca, 1.310 erano mezzi ebrei e 686 erano non ebrei sposati ad ebrei. (Quasi la meta' degli ebrei di origine danese rimase invece in Danimarca, e si salvo' tenendosi nascosta). Gli ebrei non danesi si trovarono bene come non mai, giacche' tutti ottennero il permesso di lavorare. Le poche centinaia di persone che la polizia tedesca era riuscita ad arrestare furono trasportate a Theresienstadt: erano persone anziane o povere, che o non erano state avvertite in tempo o non avevano capito la gravita' della situazione. Nel ghetto godettero di privilegi come nessun altro gruppo, grazie all'incessante campagna che in Danimarca fecero su di loro le autorita' e privati cittadini. Ne perirono quarantotto, una percentuale non molto alta, se si pensa alla loro eta' media. Quando tutto fu finito, Eichmann si senti' in dovere di riconoscere che "per varie ragioni" l'azione contro gli ebrei danesi era stata un "fallimento"; invece quel singolare individuo che era il dott. Best dichiaro': "Obiettivo dell'operazione non era arrestare un gran numero di ebrei, ma ripulire la Danimarca dagli ebrei: ed ora questo obiettivo e' stato raggiunto".

L'aspetto politicamente e psicologicamente piu' interessante di tutta questa vicenda e' forse costituito dal comportamento delle autorita' tedesche insediate in Danimarca, dal loro evidente sabotaggio degli ordini che giungevano da Berlino. A quel che si sa, fu questa l'unica volta che i nazisti incontrarono una resistenza aperta, e il risultato fu a quanto pare che quelli di loro che vi si trovarono coinvolti cambiarono mentalita'. Non vedevano piu' lo sterminio di un intero popolo come una cosa ovvia. Avevano urtato in una resistenza basata su saldi principi, e la loro "durezza" si era sciolta come ghiaccio al sole permettendo il riaffiorare, sia pur timido, di un po' di vero coraggio. Del resto, che l'ideale della "durezza", eccezion fatta forse per qualche bruto, fosse soltanto un mito creato apposta per autoingannarsi, un mito che nascondeva uno sfrenato desiderio di irreggimentarsi a qualunque prezzo, lo si vide chiaramente al processo di Norimberga, dove gli imputati si accusarono e si tradirono a vicenda giurando e spergiurando di essere sempre stati "contrari" o sostenendo, come fece piu' tardi anche Eichmann, che i loro superiori avevano abusato delle loro migliori qualita'. (A Gerusalemme Eichmann accuso' "quelli al potere" di avere abusato della sua "obbedienza": "il suddito di un governo buono e' fortunato, il suddito di un governo cattivo e' sfortunato: io non ho avuto fortuna"). Ora avevano perduto l'altezzosita' d'un tempo, e benche' i piu' di loro dovessero ben sapere che non sarebbero sfuggiti alla condanna, nessuno ebbe il fegato di difendere l'ideologia nazista.

 

5. MEMORIA. HANNAH ARENDT: LA SHOAH IN ITALIA

[Da Hannah Arendt, La banalita' del male, Feltrinelli, Milano 1964, 1993, pp. 182-186]

 

L'Italia era in Europa l'unica vera alleata della Germania, trattata da pari a pari e rispettata come Stato sovrano e indipendente. L'alleanza si fondava probabilmente soprattutto sugli interessi comuni, interessi che legavano due nuove forme di governo, simili anche se non identiche; ed e' vero che in origine Mussolini era stato grandemente ammirato negli ambienti nazisti tedeschi. Ma quando scoppio' la guerra e l'Italia, dopo una certa esitazione, si uni' all'avventura tedesca, quell'ammirazione era ormai una cosa che apparteneva al passato. I nazisti sapevano bene che il loro movimento aveva piu' cose in comune con il comunismo di tipo staliniano che col fascismo italiano, e Mussolini, dal canto suo, non aveva ne' molta fiducia nella Germania ne' molta ammirazione per Hitler. Tutto questo, pero', rientrava nei segreti delle alte sfere, specialmente in Germania, e le differenze profonde, decisive tra il fascismo e gli altri tipi di dittatura non furono mai capite dal mondo nel suo complesso. Eppure queste differenze mai risaltarono con piu' evidenza come nel campo della questione ebraica.

Prima del colpo di Stato di Badoglio dell'estate 1943, e prima che i tedeschi occupassero Roma e l'Italia settentrionale, Eichmann e i suoi uomini non avevano mai potuto lavorare in questo paese. Tuttavia avevano potuto vedere in che modo gli italiani non risolvevano nulla nelle zone della Francia, della Grecia e della Jugoslavia da loro occupate: e infatti gli ebrei perseguitati continuavano a rifugiarsi in queste zone, dove potevano essere certi di trovare asilo, almeno temporaneo. A livelli molto piu' alti di quello di Eichmann il sabotaggio italiano della soluzione finale aveva assunto proporzioni serie, soprattutto perche' Mussolini esercitava una certa influenza su altri governi fascisti - quello di Petain in Francia, quello di Horthy in Ungheria, quello di Antonescu in Romania, e anche quello di Franco in Spagna. Finche' l'Italia continuava a non massacrare i suoi ebrei, anche gli altri satelliti della Germania potevano cercare di fare altrettanto. E cosi' Dome Sztojai, il primo ministro ungherese che i tedeschi avevano imposto a Horthy, ogni volta che si trattava di prendere provvedimenti antiebraici voleva sapere se gli stessi provvedimenti erano stati presi in Italia. Il capo di Eichmann, il Gruppenfuehrer Mueller, scrisse in proposito una lunga lettera al ministero degli esteri del Reich, illustrando questa situazione, ma il ministero non pote' fare molto perche' sempre urtava nella stessa ambigua resistenza, nelle stesse promesse che poi non venivano mai mantenute. Il sabotaggio era tanto piu' irritante, in quanto che era attuato pubblicamente, in maniera quasi beffarda. Le promesse erano fatte da Mussolini in persona o da altissimi gerarchi, e se poi i generali non le mantenevano, Mussolini porgeva le scuse adducendo como spiegazione la loro "diversa formazione intellettuale". Soltanto di rado i nazisti si sentivano opporre un netto rifiuto, come quando il generale Roatta dichiaro' che consegnare alle autorita' tedesche gli ebrei della zona jugoslava occupata dall'Italia era "incompatibile con l'onore dell'esercito italiano".

Ancora peggio era quando gli italiani sembravano rispettare le promesse. Un esempio lo si ebbe dopo lo sbarco alleato nel Nord-Africa francese, quando tutta la Francia venne occupata dai tedeschi eccezion fatta per la zona italiana, nel sud, dove circa cinquantamila ebrei avevano trovato scampo. Cedendo alle pressioni tedesche, in questa zona fu creato un "Commissariato per gli affari ebraici", la cui unica funzione era quella di registrare tutti gli ebrei presenti nella regione ed espellerli dalla costa mediterranea. Effettivamente, ventiduemila ebrei furono arrestati, ma vennero trasferiti all'interno della zona italiana, col risultato che, come dice Reotlinger, "un migliaio di ebrei delle classi piu' povere vivevano ora nei migliori alberghi dell'Isere e della Savoia". Eichmann mando' allora a Nizza e a Marsiglia uno dei suoi uomini piu' "duri", Alois Brunner, ma quando questi arrivo', la polizia francese gia' aveva distrutto tutti gli elenchi degli ebrei. Nell'autunno del 1943, quando l'Italia dichiaro' guerra alla Germania, l'esercito tedesco pote' finalmente entrare in Nizza, e lo stesso Eichmann accorse sulla Costa Azzurra. Qui gli dissero (ed egli vi credette) che diecimila-quindicimila ebrei vivevano nascosti nel principato di Monaco (quel minuscolo principato che conta all'incirca venticinquemila abitanti e che, come osservo' il "New York Time Magazine", "potrebbe entrare comodamente nel central Park"): questa notizia fece si' che l'Irha approntasse un piano per catturarli. Sembra una tipica farsa italiana. Gli ebrei, comunque, non c'erano piu': era fuggiti nell'Italia vera e propria, e quelli che si tenevano nascosti tra le montagne ripararono in Svizzera o in Spagna. Lo stesso accadde quando gli italiani dovettero abbandonare la loro zona in Jugoslavia: gli ebrei partirono con le truppe italiane e si rifugiarono a Fiume.

Un elemento farsesco, del resto, non era mai mancato neppure quando all'inizio l'Italia aveva tentato sul serio di adeguarsi alla sua potente amica e alleata. Verso la fine degli anni '30 Mussolini, cedendo alle pressioni tedesche, aveva varato leggi antiebraiche e aveva stabilito le solite eccezioni (veterani di guerra, ebrei superdecorati e simili), ma aveva aggiunto una nuova categoria e precisamente gli ebrei iscritti al partito fascista, assieme ai loro genitori e nonni, mogli, figli e nipoti. Io non conosco statistiche in proposito, ma il risultato dovette essere che la grande maggioranza degli ebrei italiani furono "esentati". Difficilmente ci sara' stata una famiglia ebraica senza almeno un parente "iscritto al fascio", poiche' a quell'epoca gia' da un quindicennio gli ebrei, al pari degli altri italiani, affluivano a frotte nelle file del partito, dato che altrimenti rischiavano di rimanere senza lavoro. E i pochi ebrei veramente antifascisti (soprattutto comunisti e socialisti) non erano piu' in Italia. Anche gli antisemiti piu' accaniti non dovevano prendere la cosa molto sul serio, e Roberto Farinacci, capo del movimento antisemita italiano, aveva per esempio un segretario ebreo. Certo queste cose accadevano anche in Germania; Eichmann dichiaro' che c'erano ebrei perfino fra le comuni SS; ma l'origine ebraica di persone come Heydrich, Milch e altri era tenuta rigorosamente segreta, era nota soltanto a un pugno di persone, mentre in Italia tutto si faceva allo scoperto e per cosi' dire con candore. La chiave dell'enigma e' naturalmente che l'Italia era uno dei pochi paesi d'Europa dove ogni misura antisemita era decisamente impopolare, e questo perche', per dirla con le parole di Ciano, quei provvedimenti "sollevavano problemi che fortunatamente non esistevano".

L'assimilazione, questa parola di cui tanto si abusa, era in Italia una realta'. L'Italia aveva una comunita' ebraica che non contava piu' di cinquantamila persone e la cui storia risaliva nei secoli ai tempi dell'impero romano. L'antisemitismo non era un'ideologia, qualcosa in cui si potesse credere, come era in tutti i paesi di lingua tedesca, o un mito e un pretesto, come era soprattutto in Francia. Il fascismo italiano, che non poteva essere definito "spietatamente duro", aveva cercato prima della guerra di ripulire il paese dagli ebrei stranieri e apolidi, ma non vi era mai riuscito bene a causa della scarsa disponibilita' di gran parte dei funzionari italiani dei gradi inferiori a pensare in maniera "dura". E quando la questione divenne una questione di vita o di morte, gli italiani, col pretesto di salvaguardare la propria sovranita', si rifiutarono di abbandonare questo settore della loro popolazione ebraica; li internarono invece in campi, lasciandoli vivere tranquillamente finche' i tedeschi non invasero il paese. Questa condotta non si puo' spiegare con le sole condizioni oggettive (l'assenza di una "questione ebraica"), poiche' naturalmente questi stranieri costituivano in Italia un problema cosi' come lo costituivano in tutti gli altri Stati europei, Stati nazionali fondati sull'omogeneita' etnica e culturale delle rispettive popolazioni. Quello che in Danimarca fu il risultato di una profonda sensibilita' politica, di un'innata comprensione dei doveri e delle responsabilita' di una nazione che vuole essere veramente indipendente - "per i danesi... la questione ebraica fu una questione politica, non umanitaria" (Leni Yahil) - in Italia fu il prodotto delle generale, spontanea umanita' di un popolo di antica civilta'.

L'umanita' italiana resiste' inoltre alla prova del terrore che si abbatte' sulla nazione nell'ultimo anno e mezzo di guerra. Nel dicembre del 1943 il ministero degli esteri tedesco chiese ufficialmente l'aiuto del capo di Eichamann, Mueller: "In considerazione del poco zelo mostrato negli ultimi mesi dai funzionari italiani nel mettere in atto i provvedimenti antiebraici raccomandati dal Duce, noi del ministero degli esteri riteniamo urgente e necessario che l'adempimento di tali provvedimenti... sia controllato da funzionari tedeschi". Dopo di che, famigerati sterminatori come Odilo Globocnick furono spediti in Italia; anche il capo dell'amministrazione militare tedesca non fu un uomo dell'esercito, ma l'ex governatore della Galizia polacca, il Gruppenfuehrer Otto Wachter. Ormai non si poteva piu' scherzare. L'ufficio di Eichmann diramo' alle sue varie branche una circolare in cui si avvertiva che si dovevano subito prendere le "necessarie misure" contro gli "ebrei di nazionalita' italiana". La prima azione doveva essere sferrata contro gli ottomila ebrei di Roma, al cui arresto avrebbero provveduto reggimenti di polizia tedesca dato che sulla polizia italiana non si poteva fare affidamento. Gli ebrei furono avvertiti in tempo, spesso da vecchi fascisti, e settemila riuscirono a fuggire. I tedeschi, come sempre facevano quando incontravano resistenza, cedettero e ora accettarono che gli ebrei, anche se non appartenevano a categorie "esentate", venissero non deportati, ma soltanto internati in campi italiani. Per l'Italia, questa soluzione poteva essere considerata sufficientemente "finale". Cosi' circa trentacinquemila ebrei furono catturati nell'Italia settentrionale e sistemati in campi di concentramento nei pressi del confine austriaco. Nella primavera del 1944, quando ormai l'Armata Rossa aveva occupato la Romania e gli Alleati stavano per entrare in Roma, i tedeschi violarono la promessa e cominciarono a trasportarli ad Auschwitz: ne portarono via circa settecentomilacinquecento, di cui poi ne tornarono appena seicento. Tuttavia, gli ebrei che scomparvero non furono nemmeno il dieci per cento di tutti quelli che vivevano allora in Italia.

 

6. LIBRI. UN ESTRATTO DA "ULTIMI" DI RITA PENNAROLA

[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo il seguente estratto dal libro di Rita Pennarola, Ultimi. Inchiesta sui confini della vita, Tullio Pironti, Napoli 2010.

Rita Pennarola, giornalista professionista, mediattivista, condirettrice de "La voce delle voci", e' autrice di vari libri di inchiesta giornalistica]

 

Il coraggio per dirlo

Nel generale smarrimento che ha colto il popolo della sinistra, culminato con la scomparsa dal Parlamento italiano della sua componente storica, l'interrogativo sull'identita' perduta e' diventato un rovello che genera sempre nuovi, ennesimi distacchi, un quesito esistenziale che ancora una volta divide, invece di chiamare le forze a raccolta sul ponte dopo il naufragio.

Un contributo forse non secondario per un nuovo confronto, ma anche un seme di riflessione fecondo, quasi un catalizzatore di buone prassi, puo' essere allora il ritorno agli ultimi, stella polare della sinistra per quasi un secolo, caduta nella polvere lasciata da un'operazione collettiva di maldestro revisionismo.

Ma chi sono davvero, oggi, gli ultimi? E perche' appare piu' che mai necessario porsi questa domanda?

La prima ragione e' - si sarebbe detto una trentina d'anni fa - di carattere ideologico. Una certa parte della generazione nata a meta' del Novecento non ha mai smesso di allungare lo sguardo, assecondando l'imprinting del suo dna di adolescente: c'e' un gene pacifista - e ribelle al tempo stesso - rimasto nel fondo, consapevole della forza rivoluzionaria sprigionata dall'immagine di cannoni caricati a salve, con fiori, musica, parole, visioni. Come sarebbe ora il mondo senza quella generazione, pur con tutti i suoi limiti, deviazioni e tradimenti?

Nei corsi autogestiti dei licei, durante le occupazioni delle universita', accanto alla lotta degli operai nelle fabbriche, si imparava ad aprire gli occhi sugli ultimi della terra, scoprivamo che si puo' essere ultimi in ogni angolo del pianeta, nei bassifondi del pletorico occidente cosi' come alle estreme periferie della fame e della sete che decimano i popoli, cancellandone l'esistenza dalla mappa del globo e dalla storia del genere umano.

Qualcuno, fra noi, quello sguardo non l'ha ancora abbassato. Sempre piu' dispersi, ma non meno testardi, attingiamo risorse dalle intime consapevolezze di allora, elaboriamo ricerche, promuoviamo aggregazioni, lavoriamo per colmare le disuguaglianze, combattiamo le mafie che sparano o quelle in abito scuro e Suv, scriviamo, cantiamo la pace. Sempre piu' fisicamente distanti fra noi, ma sempre piu' uniti in avanti dal filo delle nostre visioni. A fare politica ci avevamo provato. Ora, forse, non e' piu' il tempo.

C'e' stato, lungo l'arco della nostra esperienza, il momento di una saldatura importante. Nel corso degli anni Settanta, di fronte alle degenerazioni perverse di un pensiero nato sulle stesse sponde, mentre gruppi organizzati di "compagni" ammazzavano "per servire il popolo", la matrice pacifista del comunismo sessantottino trovava forme di stretta convergenza col comandamento di base del cristianesimo evangelico: quel primato del "non uccidere", del "non fare agli altri cio' che non vorresti fosse fatto a te", tante volte nel corso dei millenni stravolto dallo stesso potere cattolico e rinnegato, quasi ovunque, nelle prassi di governo del mondo.

Ma noi abbiamo fatto anche di piu' e di "peggio": quel gene pacifista che portiamo impresso e' stato trasmesso anche ai nostri figli, i quali oggi, alle latitudini piu' diverse, ripudiano la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. E non lo fanno per il rispetto dovuto ad un pur autorevole dettato costituzionale, ma perche' quell'orrore lo portano fin dalla nascita come un'indelebile matrice genetica. Sono nostri figli quei centoquindici ragazzi americani che nel 2007 si sono suicidati di ritorno dalle missioni "di pace" in Iraq o dall'Afghanistan, incapaci fisicamente di sopravvivere alla barbarie, alla negazione affogata nel sangue di ogni principio di uguaglianza e di giustizia. A settembre 2008 erano quasi cento i giovani in servizio al fronte che si sono tolti la vita. Per tentare di contenere l'alto numero di suicidi, i vertici militari dell'America di Bush si ripromettevano di incrementare gli staff di psichiatri e di altri specialisti della salute mentale. Lo scopo era di neutralizzare il gene pacifista, quello che ai ragazzi abbiamo trasmesso noi, gli irriducibili del '68.

E' un gene laico? E' un gene evangelico? Di certo, in occasione di ogni nuovo sterminio, di fronte al sangue versato da intere etnie di ogni eta', quel "non uccidere" ritorna, supera i confini delle differenze, delle matrici, delle latitudini. E viene a dirci che, al di la' di ogni materialismo e di qualsiasi religione, esiste un motivo di fondo per continuare a battersi da quella parte: ultimi siamo, saremo o potremo essere, anche noi. Dentro gli abiti sudici di quel clochard steso sul marciapiede, sotto gli occhi sbigottiti dal terrore di una famiglia sterminata sulla striscia di Gaza, li' c'e' uno di noi, ci sei tu, ci sono io. Questa ragione di fondo e' stata, e', l'anima della sinistra, la sua identita' vera, specie quando la si confronta con i moloch degli armamenti e delle lobby finanziarie, quella destra opulenta che guida il genocidio a Ramallah come a Kabul, le stragi degli innocenti che spezzano il cuore dei nostri ragazzi, i defender dei carabinieri che passano e ripassano sull'esile corpo di un giovane in prima fila per manifestare contro queste oscenita' e la cui uccisione restera' impunita.

Il popolo oceanico di Seattle, la speranza epocale di un mondo meno ingiusto, sono stati assassinati "per mano di legge" il 20 luglio del 2001 a Genova. Ma questo non e' bastato ad estinguere per sempre l'ansia di verita' che muoveva milioni di giovani e meno giovani, comunisti o cristiani, laici, atei, agnostici o dubbiosi, da un capo all'altro del pianeta.

C'e' poi un secondo motivo per interrogarsi sugli ultimi. E' il crollo delle certezze che ci arriva ad ogni nuova sfida vinta sul piano della conoscenza scientifica. 10 settembre 2008, la fine del mondo. Cosi' era stato annunciato l'esperimento del Cern di Ginevra sulla nascita della materia, quella caccia al bosone di Higgs ribattezzato "la mano di Dio". Quale fondatezza matematica avevano le ipotesi scientifiche del gruppo di ricercatori che si erano appellati alle Nazioni Unite per far cessare un esperimento destinato a generare il rischio concreto, nel giro di quattro anni o giu' di li', di far sparire la terra, inghiottita dentro un gigantesco black hole?

Un esempio che ci mostra quanto, ad ogni nuovo passo in avanti, apprendiamo sempre piu' di non sapere. E quanto, anche per questo, e' ancor piu' esaltante la sfida dei pionieri della fisica, dispiegati alla ricerca delle ragioni dell'universo e dei nostri corpi materiali.

Che posto hanno, in tutto questo interrogarsi, gli ultimi? Anche qui, bisogna tornare indietro di una trentina d'anni per ritrovare le speranze e l'entusiasmo dei giovani ricercatori che pensavano di avere a portata di mano la chiave per decifrare le ragioni dell'universo e della vita. Le scoperte (avvenute nel decennio precedente al '68) del Big Bang, da un lato, e della struttura molecolare degli acidi nucleici, all'altro estremo, rappresentavano i due straordinari cardini da cui partire per un viaggio che, tutto sommato, sembrava annunciarsi fruttuoso di nuove acquisizioni su regole e confini del reale fino ad allora invalicabili.

La storia degli anni successivi ha gettato oceani di acqua sulle tempeste solari di quelle "certezze". Il cammino rapido nel campo dell'alta tecnologia non ha potuto nascondere agli occhi del ricercatori quali sconfinate galassie dell'ignoto si aprissero in successione, una dopo l'altra, ad ogni nuova, magari anche decisiva tappa fatta segnare dalla scienza nella sua incessante attivita' tesa al disvelamento delle "regole". Nel periodo in cui scriviamo, la contrapposizione fra i due modelli fisici del mondo riguarda la struttura dello spaziotempo: quello "a granuli", secondo cui e' possibile che lo spazio sia costituito da anellini, che il tempo non esista ma sia l'effetto della nostra ignoranza dei dettagli del mondo; e il modello "a stringhe", cordicelle che costituiscono la materia e si muovono nello spaziotempo.

In entrambe le interpretazioni, un dato si pone come premessa acquisita: lo scorrere del tempo e le dimensioni dello spazio, cosi' come ci appaiono, sono solo sensazioni illusorie, connesse alla limitatezza dei nostri mezzi sensoriali e conoscitivi.

Questo e' solo l'ultimo - in ordine di "tempo" - fra gli esempi lampanti di quella successione di infiniti ignoti che si spalancano dopo ogni nuova scoperta.

Ritornare allora al principio socratico del dubbio, quel consapevole "sapere di non sapere", per quanto necessario, risulta purtroppo tutt'altro che scontato. Pur convenendo, infatti, sull'innegabile successione degli "infiniti ignoti", lo scientismo del nostro tempo tende ad allontanarsi sempre piu' velocemente dalla strada maestra, dimentica che in fondo siamo come un cieco che procede alla guida di un veicolo lanciato all'impazzata lungo vie mai conosciute. E' lo scientismo che ingenera nell'opinione pubblica la superba convinzione di trovarsi lungo un percorso gia' tracciato, con una rotta certa da seguire per raggiungere prima o poi la meta ultima.

Ad alimentare la componente dominante dello scientismo contemporaneo e' il denaro: sono i milioni di dollari attraverso i quali, nei paesi occidentali a piu' avanzato sviluppo tecnologico, i colossi privati che detengono le leve del potere economico finanziano e indirizzano la rotta della navigazione, orientata secondo i bisogni di un modello che pone nel consumo il suo fondamento, la sua priorita' data per ipotesi.

Da cio' discendono le operazioni di controllo dell'opinione pubblica esercitate quasi sempre con l'arma apparentemente piu' innocente: il linguaggio. Per capirci, basta portare alle estreme, ma logiche conseguenze alcuni dei ragionamenti correntemente accettati e, anzi, dati sempre per scontati. Archiviare col termine di "embrione" gli straordinari meccanismi biologici che caratterizzano e rendono unico il nuovo, irripetibile individuo nelle prime fasi del suo sviluppo, rende tutto piu' semplice: anche chiudere gli occhi sulle modalita' del suo smaltimento. Se un feto non e' che un ammasso di cellule, un individuo solo "potenziale", perche' domandarsi se sia o meno lecito che in qualche Paese del mondo i feti vengano utilizzati nei laboratori di ricerca per preparare costosissimi elisir di lunga vita ai nababbi? E perche' in Italia, a trent'anni esatti dal varo della legge 194, il numero di medici e paramedici obiettori di coscienza risulta in crescita esponenziale?

Intanto, studi recenti indicano che entro il 2056 gli organi umani indispensabili ai trapianti si potranno far crescere su animali come i maiali. Sempre entro quella data si potranno sintetizzare medicine in grado di far ricrescere alcuni organi. Entro 5-10 anni potrebbe essere possibile rigenerare il cuore ed alcuni arti. La sfida e' aperta e migliaia di menti sono al lavoro. Eppure, fino a quando tutto questo non accadra' davvero, si continuera' a far si' che l'opinione pubblica mondiale sorvoli sulla indeterminatezza del principio di "morte cerebrale", la popolazione sara' ancora quotidianamente nutrita della fuorviante convinzione che gli organi vengano espiantati da un "cadavere" e non da un vivente caldo che urina, suda, se e' donna ha le mestruazioni, puo' concepire e partorire. E deve essere accuratamente curarizzato prima del "prelievo". Mentre la legge non prevede, per gli anestesisti di questi reparti, alcuna obiezione di coscienza.

Che non si tratti di superficialita' dettata solo dalle logiche del "progresso" lo dimostra la nascita, in questi anni, di autentici colossi della comunicazione subliminale, generalmente sconosciuti alla gran massa dei cittadini, ma capaci di fatturati da milioni di euro.

Fermare questo viaggio e' impossibile, dal momento che qui le ragioni del business s'intrecciano strettamente con quelle della conoscenza. Riflettere sui metodi della navigazione in atto risulta pero' piu' che mai opportuno. Perche' e' su terreni come questo che lo scientismo si e' sostituito alla scienza e la ricerca ha smarrito il segreto vero della sua origine: quell'umile ma ardimentosa, geniale "ignoranza" che ha guidato l'opera di Galilei, di Newton, di Einstein.

Invece, alla diffusione dello scientismo si affianca ora il dilagare di un nuovo "integralismo laicista": che non e' l'originaria, legittima affermazione del pensiero laico in quanto tale, scollegato da qualsiasi condizionamento moralistico o religioso, ma piuttosto una visione unilaterale e preconcetta delle grandi questioni sulla vita e sulla morte sempre piu' dispiegate dal progresso scientifico dinanzi ai nostri increduli occhi.

Se accettiamo queste premesse - che non sono sullo stato, ma sul modo della ricerca - non possiamo poi fare altro che seguirne e raccontarne fino in fondo gli esiti. E' quello che provo a fare in questo lavoro esplorando il mondo degli ultimi, al confine della vita, dove ogni difesa e' negata per ipotesi. Con la "scandalosa" convinzione che essere di sinistra, oggi, significhi stare da questa parte. Tornare, prima di tutto, dalla loro parte. Perche' forse e' proprio quello il punto dove ci eravamo fermati. Ed e' da qui che possiamo ricominciare a marciare in una direzione che sia, dal punto di vista biologico, piu' umana. E anche piu' coraggiosa.

 

7. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.

Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

8. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"

 

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.

Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.

E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".

 

9. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Guido Carandini, Lavoro e capitale nella teoria di Marx, Marsilio, Padova 1971, Mondadori, Milano 1977, pp. II + 286.

- Umberto Cerroni, Marx e il diritto moderno, Editori Riuniti, Roma 1962, 1974, pp. 304.

- Iring Fetscher, Marx e il marxismo, Sansoni, Firenze 1969, 1973, pp. 384.

- Riccardo Guastini, Marx. Dalla filosofia del diritto alla scienza della societa', Il Mulino, Bologna 1974, pp. 550.

- Kurt Lenk, Marx e la sociologia della conoscenza, Il Mulino, Bologna 1975, pp. 410.

- Alfredo Sabetti, Sulla fondazione del materialismo storico, La Nuova Italia, Firenze 1962, 1977, pp. VIII + 432.

 

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

11. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 435 del 14 gennaio 2011

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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