La domenica della nonviolenza. 207



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 207 del 15 marzo 2009

In questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Kallawaya
2. Nunzia Valeria Scognamiglio: Daniel Pennac (1998)
3. Paola Capriolo presenta "Friedrich Hoelderlin. Vita, poesia e follia" di
Wilhelm Waiblinger
4. Valentina Parisi presenta "Congedo dai genitori" di Peter Weiss

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: KALLAWAYA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento]

Lo studio dei linguaggi generalmente non e' interessante se non per le
persone che se ne occupano gia', a livello professionale o amatoriale. Ma
anche se la linguistica non mi interessasse, mi darebbe sempre un brivido
sapere che ogni quattordici giorni una lingua umana scompare. Assieme ad una
lingua, se ne va ben di piu' che una serie di parole. Le lingue muoiono in
gran parte grazie alla colonizzazione e all'oppressione: i bambini smettono
di parlarle perche' a scuola se ne parlano altre, gli adulti perche' non
sono quelle che permetteranno di trovare un lavoro, e gli anziani evitano di
insegnarle e le usano solo con altri anziani, magari vergognandosi un po' di
questa "roba vecchia", che comunque sparira' con loro. Forse il kallawaya
delle Ande sopravvivra'. Meno di cento persone oggi lo parlano, e non e' un
linguaggio che si apprenda nell'infanzia. Solo se decidi di essere un
guaritore o una guaritrice lo impari: e' il linguaggio che si apprende
ascoltando le erbe e gli animali, e' il linguaggio del canto, dei rituali,
della cura. Ed e' cosi' vero: solo quando ti poni nel mondo in ascolto sai
dire altre parole.

2. PROFILI. NUNZIA VALERIA SCOGNAMIGLIO: DANIEL PENNAC (1998)
[Dal mensile "Letture", n. 548, giugno-luglio 1998, col titolo "Daniel
Pennac. L'allegro capo espiatorio" e il sommario "Una societa' perennemente
in crisi presuppone la sua vittima, sul lavoro come in famiglia. Ma nella
tetralogia dello scrittore francese, Malaussene si difende con ironia,
giochi di parole, nomi, parentesi e figure retoriche"]

Daniel Pennac nasce come giallista. I suoi primi romanzi, Il paradiso degli
orchi, La fata carabina, sono pubblicati nella collana poliziesca, "serie
noire", delle edizioni Gallimard, ma il rifiuto di qualunque classificazione
di genere lo spinge prima a stravolgere gli stereotipi e le regole
linguistiche e strutturali dell'etichettato romanzo giallo, noto in Francia
come polar, e poi nelle ultime opere (Ultime notizie dalla famiglia, Signori
bambini) ad abbandonarlo del tutto. Affermato nella letteratura per
l'infanzia (Abbaiare stanca, L'occhio del lupo; e tutta la serie su Kamo),
Pennac trasferisce nel suo polar quei toni tipici del mondo fiabesco con i
quali ha acquisito un'íestrema familiarita', partito dalla convinzione che
polar e favola condividono una sorta di magia infantile: al momento
opportuno c'e' l'arrivo dei poliziotti per l'uno, della fata per l'altro.
L'intreccio di poliziesco e fiaba, realta' e finzione, diventa un elemento
distintivo del suo stile e, nello stesso tempo, una ripresa ironica dei
topos triti e ritriti del romanzo giallo.
Pur aderendo in parte alla struttura di questo genere, omicidi plurimi,
polizia, indagini, suspense e soluzione finale, Pennac la stravolge grazie
alla sapiente commistione di stili diversi. Commistione che nasce dalla
volonta' dell'autore di ribellarsi al diktat semiotico-strutturalista degli
anni Settanta in cui tutto doveva produrre significato, dunque divieto
implicito di raccontare una storia solo per il gusto di farlo, inventare
personaggi e situazioni lavorando di semplice fantasia. Ironia, comicita',
suspense, caos, fervida fantasia supportata da un linguaggio familiare e
personale, guidano il lettore nei meandri della travagliata esistenza del
piu' celebre dei personaggi dello scrittore: Benjamin Malaussene, componente
di una famiglia piuttosto numerosa, che e' stata protagonista dell'intera
tetralogia che ha reso Pennac famoso non solo in Francia ma anche in
Portogallo, Spagna, Olanda, e ovviamente Italia, fin dal 1990.
*
Un mestiere assurdo
Stravagante e singolare, protagonista di vicende inverosimili e
straordinarie, Benjamin Malaussene svolge una professione apparentemente
folle ma inconsapevolmente realistica: e' capro espiatorio. Proprio questo
l'inconfessabile e assurdo mestiere del povero Ben, il quale ufficialmente
veste l'abito del controllore tecnico in un grande magazzino parigino, ma
ufficiosamente non controlla proprio niente. Quando arriva un cliente
lamentando il cattivo funzionamento di un prodotto acquistato, Malaussene e'
immediatamente convocato a recitare la sua parte: subire una valanga di
umiliazioni, attribuendosi ogni responsabilita' e rischiando inizialmente
non solo di risarcire personalmente il cliente, ma anche di perdere
all'istante il lavoro. Ma la padronanza dell'attore, consolidata da uno
studio assiduo e costante della parte, ottiene l'effetto desiderato, e la
vittima Ben diventa carnefice: il cliente commosso preferisce rinunciare
alla propria garanzia piuttosto che vedere sulla strada l'unico sostegno di
una famiglia numerosa.
Ben, conteso e adescato, continua a curare le relazioni pubbliche, ruolo che
presenta il duplice vantaggio di limitare il numero dei posti di lavoro e di
risolvere la maggior parte delle controversie in via amichevole, come
sostiene il suo direttore Sainclair, anche quando cambia lavoro, si fa per
dire, diventando critico letterario di una casa editrice. Stipendio
triplicato, ufficio personale, promozione a direttore, e' del tutto cambiata
l'apparenza, la scena e' nuova, ma la sostanza del copione e' immutabile:
caduta la maschera, emerge sempre il capro espiatorio, con l'ingrato
compito, questa volta, di comunicare agli scrittori esordienti che il loro
manoscritto e' stato rifiutato. La firma che ha sancito il rifiuto e'
proprio la sua, Benjamin Malaussene.
Un carnefice senza scrupoli? Naturalmente no. Anche lui e' stato vittima e
prima di tutti gli altri, in quanto autore di decine e decine di opere tutte
inevitabilmente respinte. Solo la perseveranza gli ha permesso di andare
avanti, per cui sotto sotto il messaggio per ogni aspirante scrittore e':
non ti scoraggiare ma continua. Scrittura e'... pazientare a lungo. E' con
questo stratagemma, la maschera del capro espiatorio, che Pennac riprende
una teoria cara a Pirandello: ognuno costruisce la sua personalita' secondo
i diversi ruoli che deve assumere o che gli sono imposti dalla vita sociale.
Ma nessuno di questi e' l'intera persona: sono solo maschere di cui si
compone la realta' individuale del soggetto o, per dirla con Shakespeare, il
mondo intero e' un palcoscenico, in cui uomini e donne sono solo attori che
recitano molti ruoli allo stesso tempo.
Nel costruire questo personaggio, Pennac ha moltiplicato questa teoria:
Benjamin Malaussene e' infatti madre, padre, fratello, amico, insegnante,
tecnico, scrittore, critico letterario, investigatore involontario e, uno
per tutti, un grande attore, cosi' come richiede la scena. E' in questo modo
che l'autore lo rende un perfetto camaleonte, un ectoplasma che assume la
forma-ruolo che gli si offre. La maschera del capro espiatorio, che
riproduce sul piano della narrazione l'apparente semplicita' del piano
linguistico, e' l'abito della vittima indifesa: pronto a difendersi dagli
altri e apparentemente privo di protezione. Ma la sua e' una personalita'
ben piu' complessa, variegata e scaltra.
Nei romanzi di Pennac c'e' di tutto: scoppio di bombe, vecchietti in crisi
di astinenza e pronti a tutto pur di procurarsi un'altra dose di droga,
prostitute straziate da un maniaco che vuol recuperare i tatuaggi stampati
sulla loro cute, evaso in fuga da un carcere modello, omicidio di un cognato
non proprio voluto, e prove e indizi e testimonianze, il tutto un po'
travisato, che convergono verso l'unico possibile sospettato, chi? Benjamin
Malaussene! Qualunque cosa accada, in qualunque parte della citta', se si
cerca un responsabile, una vittima, un capro espiatorio, insomma, Ben ha
tutte le chances di essere il prescelto. Un capro espiatorio che, benche'
protagonista, rifiuta qualunque coinvolgimento nelle indagini poliziesche,
ma suo malgrado ne resta sempre intrappolato.
Finalmente a casa dopo una lunga ed estenuante giornata di lavoro,
Malaussene nemmeno qui puo' liberarsi del suo costume, perche' e' atteso da
una balzana ma simpatica famigliola di fratelli e sorelle, lasciatagli in
eredita' dalla sua giovane madre, il cui scopo nella vita e' fuggire per
amore, mentre l'immancabile frutto di queste relazioni passionali e'
depositato puntualmente a casa di Benjamin Malaussene, il fratello maggiore,
che provvede non solo ai bisogni ma anche alle fastidiose sventure in cui
fratelli e sorelle sono costantemente coinvolti. Esigenze economiche e
vincoli affettivi lo costringono a una espiazione interminabile di peccati
altrui. E come se il tutto non bastasse, casa sua diventa anche un
pensionato per vecchietti soli, depressi e bisognosi di cure affettive. Non
che Ben l'abbia voluto, non che Ben l'abbia chiesto, ma, spalle al muro per
volonta' della donna che ama, costretto questa volta dall'unica dipendenza
umana, l'amore, Ben, in un modo o nell'altro, continua a subire.
Dalla tetralogia di Pennac, il capro espiatorio emerge come una tremenda
necessita' sociale, che nasce nel momento stesso in cui un qualunque gruppo
si costituisce. Una societa' perennemente in crisi come la nostra ha gia' il
presupposto, la crisi, per l'identificazione di una vittima. Se Malaussene
accetta di giocare come capro espiatorio e' perche' e' sicuro di non cadere
nel ruolo ma di potersi difendere egregiamente sostenuto dalla sua cara
amica: l'ironia.
Non a caso ironia, giochi di parole, parentesi, figure retoriche, espedienti
linguistici cari a Pennac, diventano gli strumenti di difesa schierati da
Malaussene ogniqualvolta c'e' una battaglia da sostenere. Strumenti che gli
permettono di scindere quella che deve essere l'apparenza e quello che e' il
suo essere, di conservare allo stesso tempo lucidita', sicurezza e
padronanza in ogni circostanza. Malaussene riesce sempre a schivare
l'olocausto, quei sacrifici in cui la vittima e' completamente consumata, e
quando tutto sembra perso, non c'e' piu' nessuna speranza, la fine e'
vicina, come una fenice riemerge dalle sue stesse ceneri piu' sicuro e forte
che mai. L'ironia consente a Malaussene di non impegnarsi, perche' ironia e'
disimpegno, restare al di fuori e al di sopra di tutto e di tutti, senza
lasciarsi coinvolgere in situazioni critiche o pericolose. E' dal desiderio
di non compromettersi che nasce la parentesi come rifugio del proprio
pensiero, parentesi che diventa anche indice esplicito, grafico, della sua
ironia.
La spiccata razionalita' di cui Pennac ha dotato il suo personaggio gli
consente, anche nei momenti in cui dovrebbe essere particolarmente
vulnerabile, di scindere il pensiero e ponderare cio' che si puo' dire e
cio' che e' meglio tacere, di ignorare tutto cio' che non e' detto
esplicitamente, scrollandosi in questo modo almeno di una parte di
responsabilita', assecondando in apparenza tutti ma conservando la lucidita'
della propria opinione, perche' l'accesso in parentesi ai giochi di parole e
all'ironia e' consentito solo al lettore. Un tale personaggio ha
inevitabilmente un carattere doppio: non puo' considerare seriamente ne' la
propria funzione ne' le proprie parole. La parentesi diventa, quindi,
un'esigenza per separare il piano della finzione-apparenza da quello della
realta'-essere, confluendo in uno stile ambiguamente intrecciato.
*
Il morto non crede agli spiriti
L'interesse di Pennac per questo segno grafico, che accompagna tutta la sua
produzione, letteratura per i piu' giovani e saggi critici inclusi, e'
consolidato anche nell'ultimo dei suoi romanzi, Signori bambini, in cui
questo ambito riservato e privato diventa voce privilegiata di un
personaggio si', ma narratore, e peraltro un personaggio-narratore
esclusivo, come sempre in Pennac, perche' e' un fantasma, il papa' di uno
dei ragazzi protagonisti, Igor. Igor riesce, vincendo l'incredulita' del
padre che e' scettico della sua stessa esistenza, a parlargli ogniqualvolta
ne sente il bisogno. Tipica di Pennac la contraddizione: il morto non crede
agli spiriti e perfino si sorprende trovandosi in tali abiti, mentre il
ragazzo, vivo, non solo accetta il fantasma come l'essere piu' ovvio e
scontato di questo mondo, ma e' attraverso la sua cieca fiducia che lo
spirito si materializza e acquista la vita.
La parentesi precisa, conferma, ribadisce, commenta diventando anche
elemento distintivo del personaggio. Foiriez, per citarne uno, e'
costantemente accompagnato da una parentesi che cita le sue parole: "non si
corre nei corridoi". Con questa frase Foiriez e' stato tipizzato: e' un
individuo noioso e petulante, o almeno e' cosi' che e' visto dagli studenti.
Appiccicandola al suo nome, debitamente virgolettata - Foiriez "non si corre
nei corridoi" -, e ripetendola ogni volta che il personaggio e' citato,
Pennac ironizza, perche' la ripetizione ostentata e' ironia, la frase perde
il suo valore letterale e diventa solo una cantilena di cui burlarsi,
poiche' i ragazzi continuano a fare cio' che l'insegnante vieta: correre per
i corridoi.
Se in tutta la tetralogia della famiglia Malaussene Pennac conserva
un'apparenza verosimile di un mondo potenzialmente credibile, in Signori
bambini cade qualunque barriera, si supera qualunque confine, non per la
presenza di un fantasma - non ci vuole mica tanto a mettersi in contatto con
i morti, lo fanno tutti! -, ma per l'improvvisa trasformazione dei tre
bambini protagonisti, Nourdine, Joseph, Igor, dopo aver svolto un tema
scolastico: "Vi svegliate un mattino e constatate che nella notte siete
stati trasformati in adulti. Spaventati vi precipitate in camera dei vostri
genitori: i quali sono stati trasformati in bambini". Una tale circostanza
e' frutto puro della fantasia, priva di qualunque aderenza o contatto con la
realta'. Non c'e' piu' niente di verosimile, di probabile o possibile.
Avvolti e travolti da questo improvviso sviluppo, i ragazzi correranno, non
piu' nei corridoi della scuola, alla ricerca della chiave del mistero,
desiderosi di ripristinare l'ordine stravolto.
Uno stravolgimento che ha rispettato le indicazioni del compito per tutti,
ma non per Crastaing, l'insegnante ossessionato dai rapporti familiari e
dall'infanzia, il quale e' stato semplicemente ristretto nelle sue misure
corporee, vestito incluso, ma non e' ritornato bambino. Crastaing non poteva
ritornare all'infanzia perche' non ha mai avuto un'infanzia. E' da qui che
nasce la sua ossessione e il suo attaccamento morboso ai ricordi infantili
altrui, ed ecco perche' nel "Viale delle donne" e' cosi' ben conosciuto,
tanto che lo chiamano tutte, in tono confidenziale, Albert, anche se quando
arriva scappano tutte: non e' certo il cliente preferito. Bramante e
affamato, afferra le ragazze una a una e, senza anestesia, le costringe a
raccontare della loro infanzia spesso dolorosa, per ore e ore.
Signori bambini ha una trama semplice e lineare senza intrecci secondari,
diversamente dall'elaborato groviglio di personaggi e avvenimenti che in
generale Pennac predilige, ma che ha caratterizzato in modo particolare
Monsieur Malaussene. Se da un lato la semplicita' e' la trappola che
imprigiona il lettore in questo mondo spumeggiante in cui comicita',
esuberanza e divertimento sdrammatizzano la realta' di un'esistenza ben piu'
dolorosa, d'altro canto e' un espediente che vela, al fine di svelare
meglio, cultura e padronanza letteraria dell'autore. Personaggi (Mister
Hyde, Zorro, Madame Bovary), attori (Vittorio De Sica, Catherine Deneuve),
politici (Antonio Gramsci, George Bush, Khomeyni), citazioni letterarie
(poeti e scrittori, classici, moderni, occidentali e talvolta perfino
orientali, Carlo Emilio Gadda, Edgar Allan Poe, Jules Laforgue, Chester
Himes, Oscar Wilde, Emile Zola, Virgilio, Sigmund Freud, e tanti altri,
provenienti da ogni dove) affollano i testi di Pennac, riproducendo sul
piano letterario quella multietnicita', approvata e condivisa, che
caratterizza sia la Belleville della realta' che quella della finzione.
L'estrosita' linguistica e il dichiarato spirito comico sono giocati da
Daniel Pennac anche nei e con i nomi dei personaggi. Nomi simpatici
(Chabotte, variante di Gatto con gli Stivali), stravaganti (C'Est-Un-Ange,
E'-Un-Angelo), storici (Verdun), onomatopeici (Coudrier, Cercaire), in ogni
caso nomi che non solo assolvono alla tradizionale funzione identificativa
ma portano nel loro lemma i principali e piu' significativi aspetti della
personalita' e del temperamento dei personaggi.
Verdun, l'ultima arrivata dei fratelli Malaussene, e' la guerra, non solo
per il richiamo alla storica battaglia del 1916, che fu una delle piu'
sanguinose della storia per le ingenti quantita' di uomini e di mezzi
impiegati, ma perche' la piccola e' ribelle, esigente, autoritaria e
prepotente. Quando e' sveglia esige che tutti le siano intorno, ognuno
impegnato nel soddisfacimento di un suo bisogno. Non transige, non aspetta,
il suo pianto e' impetuoso e la sua agitazione e' rabbiosa, proprio come uno
shrapnel, non un proiettile qualunque ma uno particolarmente violento, che
fa tremare il mondo, per cui e' necessario tutto l'eroismo e il coraggio dei
componenti familiari, Benjamin, Therese, Jeremy, Clara, per superare il
pericoloso momento, ed evitare lo scoppio minacciante della granata. Bisogna
essere all'erta, prevenire l'attacco per meglio fronteggiarlo.
L'indomabilita' innata di Verdun diventa ancora piu' evidente quando al suo
fianco avra' il nipotino C'Est-Un-Ange, il bimbo nato da Clara, la
fotografa, e Clarence, il direttore del carcere modello immischiato in
affari illeciti, ma che comunque per un po' e' stato le claire, come vuole
il suo nome, cioe' il chiarore, la luce dei detenuti. I due bebe'
costituiscono la coppia degli opposti, cio' che e' l'uno non e' l'altra. Se
lui e' dolce, tranquillo e remissivo, in altre parole un angelo, lei e'
prepotente, autoritaria e aggressiva, in altre parole una battaglia.
Con i nomi dei due commissari di polizia, Coudrier e Cercaire, Pennac crea
un gioco antitetico sulle rispettive personalita'. Cauto, analitico,
riflessivo, con l'ufficio in costante penombra Coudrier. Presuntuoso,
impulsivo, brutale, con l'ufficio sempre illuminato a giorno Cercaire. "Il
commissario Coudrier assomiglia al suo nome". Le coudrier, in francese, e'
il noccioleto. Si vuole quindi mettere in risalto la perseveranza con la
quale il commissario conduce il suo lavoro. E' un osso duro o meglio una
testa dura, determinato a non lasciarsi sfuggire niente. Ma Coudrier e'
anche, foneticamente, molto vicino a coudre (cucire), che tutto sommato e'
il lavoro compiuto durante le indagini: lentamente e pazientemente il
commissario ricostruisce, o meglio ricuce gli indizi fino a risolvere il
caso. Il nome diventa una sorta di messaggio, un segno linguistico,
contenente informazioni per il soggetto e per gli altri.
Cercaire. Dopo la presentazione attraverso i velati apprezzamenti dei suoi
colleghi, piuttosto deludenti, a conferma di quanto detto, come sintesi
riepilogativa e chiarificatrice, un altro poliziotto evoca il significato
letterale del nome dell'ispettore: "Un cercaire, e' una larva schifosa che
cresce nelle risaie. Ti penetra nella pelle e ti rode dentro fino a farti
pisciare sangue, ecco l'effetto che mi fa Cercaire", afferma il valido e
stimato poliziotto vietnamita, che per scovare il maniaco le escogita tutte,
fino a travestirsi da anziana nonnina e girare per le strade della citta'
per adescarlo.
Cercaire, che sia l'ispettore o la larva, e' in ogni caso un verme
divoratore, un parassita che logora pian piano l'uomo, lentamente, fino a
distruggerlo. Incredibile, ma Cercaire e' fiero del suo nome. E' un
poliziotto corrotto, un razzista che si avvale di metodi violenti e brutali,
non ha alcuna forma di rispetto per gli altri, in particolar modo se sono
indiziati, e i suoi indiziati preferiti, prima di conoscere Malaussene, sono
gli extracomunitari. Per un momento Ben Tayeb e' il capro espiatorio della
polizia, ma, non essendo una vittima preparata, il suo ruolo non dura a
lungo. La sua confessione sara' accettata molto presto, e considerando che
e' saldo, quasi fraterno, il legame tra Ben Tayeb e Benjamin, l'accusa
investira' Malaussene quasi naturalmente, in quanto frequentatore abituale e
assiduo di una minoranza etnica: proprio strane le sue amicizie!
Chabotte. E' una variante di Chat botte', (Gatto con gli Stivali), e il
gatto e il ministro ne hanno di cose in comune. In Le Maitre Chat ou le Chat
botte', e' questo il titolo di Ch. Perrault, la definizione di maitre e'
esaustiva della funzione sia del gatto che del ministro. Maitre e' un
dominatore, e' una persona che non solo ha potere e autorita' ma che sa
anche gestirlo, imponendo agli altri la propria volonta'. Il ministro domina
in prigione, esercita potere e autorita' governando, e impone la sua
volonta' a Malaussene. La sua non si discosta molto dall'astuta manovra del
gatto: servirsi di un oggetto non ancora investito di valore, romanzi di cui
l'autore ignora il prestigio, per ottenere un estremo vantaggio individuale.
Gatto e ministro entrambi inventano un personaggio. Il ministro inventa
J.L.B.; il gatto fa del figlio di un mugnaio un marchese. La regia in loro
e' innata: Chabotte organizza la conferenza stampa di Malaussene, e il gatto
l'annegamento del marchese. Registi astuti, maliziosi e calcolatori, quali
maitre, personalita' dominanti, manipolano le persone con macchinazioni
strategiche.
Cissou la Neige e Suzanne O'Zyeux bleus sono due soprannomi, perche' Jeremy
"quando non denomina soprannomina". Il soprannome nasce o da un'attitudine,
intellettuale o comportamentale dell'individuo, o da una sua caratteristica
fisica, e in questo Jeremy ha rispettato le regole. Suzanne O'Zyeux bleus
(Susanna dagli occhi blu) perche' i suoi occhi sono di quel colore. Cissou
la Neige (Cissou la Neve) e' un consumatore abituale e costante di cocaina,
che bianca come la neve "si rifugia nelle sue narici facendolo decollare".
Con il nome si ribadisce la personalita' del soggetto: Clement Clement
(Clemente) e' uno e doppio, un solo significante ma due significati, perche'
funge da nome e cognome, per ribadire la dolcezza, la generosita',
l'umanita' di cui il personaggio con quel nome diventa portatore. E' uno dei
pochi casi in cui e' ancora evidente l'elemento lessicale da cui il nome si
e' formato o e' derivato. Sebbene la ricerca di Pennac sia proprio rivolta
al reperimento di queste eccezioni, nel momento in cui non e' possibile, la
sua fantasia supplisce. Una fantasia feconda che pesca a piene mani anche
dai linguaggi televisivi, dalla pubblicita'. Infatti e' proprio una tecnica
del linguaggio pubblicitario il raddoppiamento della parola; raddoppiamento
che intende veicolare espressivamente il concetto che il prodotto designato
e' l'unico, il vero, l'esclusivo.
*
Un trio di nomi eccentrici
Il nome e' ripetitivo: Titus e Silistri (ben tre lettere ripetute: t,s,i)
per una coppia di ispettori che conduce le ultime indagini. Dove l'uno
finisce in s, l'altro inizia. Ma le lettere devono essere necessariamente
tre, perche' tre sono i componenti, infatti entrambi sono coadiuvati da una
terza persona, una santa, una ex suora protettrice di prostitute, ma ora
ispettore di polizia per soddisfare il desiderio di un padre ormai morto, e
il suo rimorso per averlo trascurato. Anche sainte ripete le stesse tre
lettere di Titus e Silistri. Un trio concatenato dal vincolo delle indagini:
scovare il maniaco omicida.
Legendre (Il genero) e' il commissario di divisione che succede a Coudrier,
ma di cui e' appunto il genero. Questo personaggio non puo' avere altro nome
perche' e' incapace nel suo lavoro e commettera' una serie lunghissima di
errori; non e' autonomo ma dipende dal suocero, perche' non e' che un suo
riflesso e ricopre quella carica grazie ai vincoli familiari acquisiti, e
solo l'intervento e il ritorno del suocero porteranno chiarezza nelle
indagini.
La bizzarra eccentricita' di questi nomi e' un'allusione, ovviamente
ironica, alla ricerca, da parte di numerosi individui, di nomi inusuali, non
comuni ed esclusivi. Esigenza soddisfatta talvolta attraverso il ricorso ai
nomi stranieri, o, come e' in uso piu' che altrove negli Stati Uniti, alla
combinazione parziale di nomi diversi.
Con lo strepitoso successo ottenuto in Italia come in Francia, Pennac si e'
guadagnato un pubblico di ammiratori fedeli che lo apprezza anche nei
rapporti sociali e accorre ogni qualvolta e' possibile incontrarlo di
persona. E' sufficiente la sua presenza perche' librerie, teatri, cinema e
anche trasmissioni televisive (Mai dire gol) si affollino incredibilmente,
registrino il tutto esaurito o facciano salire gli indici di ascolto. E' con
l'intento di sfruttare nel migliore dei modi questo successo, soddisfare la
richiesta del pubblico e consolidare il rapporto con il palcoscenico, che i
personaggi di Pennac sono arrivati in teatro. In Italia le prime opere ad
andare in scena sono state L'occhio del lupo (Teatro dell'Archivolto), e poi
Ultime notizie dalla famiglia, che traduce con poca fedelta' il titolo
francese Monsieur Malaussene au theatre, in cui e' gia' dichiarato, ma perso
nella traduzione, il desiderio dell'autore di vedere Malaussene su di un
palco, o meglio di rivederlo. Si', perche' Benjamin come personaggio era
gia' comparso in Signor Malaussene, e nell'immancabile intento di collegarsi
al passato dei suoi romanzi Pennac sceglie l'espediente del teatro. Una
rappresentazione in due atti, il cui argomento e' tratto dagli episodi
precedenti (Il paradiso degli orchi, La fata carabina, La prosivendola), che
vede in scena parenti, amici e colleghi a interpretare il proprio ruolo,
tutti tranne Benjamin Malaussene che e' interpretato da un attore.
Suggerimento teatrale bello e servito!
A Genova, alla fine di gennaio, e' iniziato il Festival Pennac, una rassegna
di spettacoli tratti dalle opere di Pennac, per la regia di Giorgio
Gallione. Claudio Bisio interpreta Monsieur Malaussene. Le altre opere sono:
Blu cielo tratto da Il giro del cielo, in cui Pennac racconta una storia
attraverso la descrizione di 12 quadri di Miro'; L'occhio del lupo, tratto
dall'omonimo libro per ragazzi; e Come un romanzo, conferenza-spettacolo
ispirata al saggio critico sulla lettura. Pennac a Genova ha inaugurato una
tournee che e' continuata fino a maggio su e giu' per l'Italia, mentre a
marzo e' uscito, edito da Feltrinelli, il suo ultimo romanzo, Signori
bambini.
*
Il merito delle traduzioni
La popolarita' che puo' vantare in Italia non e' riscontrabile in Gran
Bretagna. I diritti di traduzione della tetralogia sono stati acquistati
piuttosto tardi, e La fata carabina e' stata accolta con scarso entusiasmo.
I motivi di questo insuccesso possono forse essere attribuiti alla
traduzione, che potrebbe non aver riprodotto la stessa forza esilarante, lo
stesso spirito e divertimento che caratterizzano la versione originale, e
che Yasmina Melaouah, che ha tradotto per la Feltrinelli tutti i romanzi di
Pennac, ha saputo trasmettere nel testo italiano; o e' stato forse il freddo
humour degli inglesi che non ha voluto cogliere quel divertimento
linguistico che e' peculiare nell'autore. Se il linguaggio in Pennac e' uno
strumento manipolato al fine di produrre effetti sul piano linguistico e sul
piano semantico e letterario, quando esso viene meno meta' dell'opera e'
andata persa, lasciando tutto solo quel groviglio di eccentrici personaggi
con le loro estrose avventure e peripezie, che talvolta fanno amare Pennac,
ma che altre volte lo rendono troppo rocambolesco.
Meno negativo e' stato l'impatto con il saggio sulla lettura Come un
romanzo, che ovviamente in Italia ha sfondato. Il singolare decalogo dei
diritti del lettore e' quasi sconvolgente, non a caso il primo diritto e'
proprio quello di non leggere, e poi saltare pagina, non finire un libro, e
leggere o rileggere non importa cosa. Il messaggio lanciato e' il diritto
alla liberta' di leggere senza costrizioni o impedimenti, ma ritrovare nella
lettura solo il piacere puro in tutta la sua semplicita', perche' il verbo
leggere non ha imperativi.
*
Critico con la naja e scrittore per bambini
Daniel Pennac e' nato a Casablanca nel 1944. Figlio di un ufficiale
coloniale, trascorre un'infanzia felice in giro per il mondo (Africa, Asia,
Europa). Si laurea in Lettere, si trasferisce a Nizza dove inizia la sua
carriera di insegnante, che dal 1969 continuera' in un liceo parigino.
La sua prima pubblicazione risale al 1973, quando dopo il servizio militare
scrive Le service militaire au service de qui?, un'analisi critica
sull'utilita' e il valore della naja, in cui la caserma e' vista come una
tribu' impegnata nei suoi rigidi e intransigenti rituali. Piu' tardi, in
collaborazione con altri, si dedica alla letteratura per l'infanzia. Nel
1985 pubblica il primo romanzo della tetralogia Malaussene.
Le sue principali opere sono:
Le service militaire au service de qui?, Seuil, Paris, 1973.
Cabot-caboche, Nathan, Paris, 1982; Abbaiare stanca, Salani, 1993.
L'Oeil du loup, Nathan, Paris, 1984; L'occhio del lupo, Salani, 1993.
La vie a' l'envers, Bayard-Presse, Paris, 1985.
Au bonheur des ogres, Gallimard, Paris, 1985; Il paradiso degli orchi,
Feltrinelli, 1991.
Le Grand Rex, Centurion-jeunesse, Paris, 1986.
La fee carabine, Gallimard, Paris, 1987; La fata carabina, Feltrinelli,
1992.
La petite marchande de prose, Gallimard, Paris, 1989; La prosivendola,
Feltrinelli, 1991.
Kamo et l'agence Babel, Gallimard, Paris, 1992; Kamo l'agenzia Babele, Emme,
1994.
L'evasion de Kamo, Gallimard, Paris, 1992; L'evasione di Kamo, Emme, 1995.
Kamo et moi, Gallimard, Paris, 1992; Io e Kamo, Emme, 1995.
Kamo l'idee du siecle, Bayard-Presse, Paris, 1992; Kamo l'idea del secolo,
Emme, 1996.
Comme un roman, Gallimard, Paris, 1992; Come un romanzo, Feltrinelli, 1993.
Le tour du ciel, Calmann-Levy, ill. Joan Miro', Paris, 1994; Il giro del
cielo, Salani, 1997.
Monsieur Malaussene, Gallimard, Paris, 1995; Signor Malaussene, Feltrinelli,
1995.
Monsieur Malaussene au theatre, Gallimard, Paris, 1996; Ultime notizie dalla
famiglia, Feltrinelli, 1997.
Messieurs les enfants, Gallimard, Paris, 1997; Signori bambini, Feltrinelli,
1998.
Inoltre Pennac ha scritto in collaborazione con altri autori:
Pennac Daniel, Eliad Tudor, Les enfants de Yalta, Lattes, Paris, 1978.
Pennac Daniel, Eliad Tudor, Pere Noel, Grasset, Paris, 1979.
Nacray, J.B. (pseud. Daniel Pennac, Jean-Bernard Pouy, Patrick Raynal), La
vie duraille, Fleuve noir, Paris, 1985.
Autori Vari, Sous la robe erre le noir, Le Mascaret noir, Bordeaux, 1989.
Pennac Daniel, Doisneau Robert, Les grandes vacances, Hoebeke, Paris, 1991.
Pennac Daniel, Tardi Jacques, Le sens de la houppelande, Futuropolis, Paris,
1991.
Pennac Daniel, Doisneau Robert, La vie de famille, Hoebeke, Paris, 1993.

3. LIBRI. PAOLA CAPRIOLO PRESENTA "FRIEDRICH HOELDERLIN" DI WILHELM
WAIBLINGER
[Dal "Corriere della sera" del 5 marzo 2009 col titolo "Hoelderlin mi
chiamava maesta'" e il sommario "Poesia e follia. Ritorna il primo ritratto
biografico scritto da Wilhelm Waiblinger. Un'anima schiacciata dalla
tensione verso il divino"]

In un angolo quieto e appartato della citta' di Tubinga sorgeva una "casa
costruita ad arte", che gli arnesi sistemati davanti all'uscio facevano
riconoscere a colpo d'occhio come la dimora di un falegname; qui, il 3
luglio 1822, giunse con un amico il diciottenne Wilhelm Waiblinger, studente
di teologia nonche' poeta e scrittore in erba. Come altri suoi
contemporanei, veniva a compiere una sorta di pellegrinaggio, e possiamo
immaginare con quale tesa inquietudine seguisse su per le scale la giovane
figlia del falegname che faceva strada a lui e al suo compagno. Infine,
eccoli di sopra: "Una porta aperta ci mostro' una piccola stanza imbiancata,
a forma di anfiteatro, priva di qualsiasi ornamento, nella quale si trovava
un uomo con le mani infilate nei pantaloni abbassati sui fianchi e che non
smetteva di salutarci cerimoniosamente. La ragazza sussurro': 'E' lui'". Il
"lui" in questione si chiamava Friedrich Hoelderlin, benche' da tempo
sembrasse aver dimenticato il proprio nome, ed era stato uno dei piu' grandi
poeti della Germania prima che la follia gli offuscasse la mente,
riducendolo a quella stralunata, compita marionetta che ora si rivolgeva
all'ospite con il titolo di "vostra maesta' reale" e alternava parole
francesi a suoni inarticolati. E' vero che i suoi scritti gli avevano
procurato scarsi riconoscimenti e ancor piu' scarsa fortuna (nonostante
l'interessamento di Schiller, non era riuscito neppure a ottenere una
cattedra di greco all'Universita' di Jena); ma il piu' famoso, il romanzo
Iperione, un giorno aveva avuto la ventura di capitare tra le mani di un
tale Ernst Zimmer, falegname a Tubinga e proprietario appunto di questa
"casa costruita ad arte", trovando in lui un lettore entusiasta. Cosi',
quando aveva appreso che il venerato poeta, ormai pazzo, era ricoverato in
una clinica della sua stessa citta', Zimmer si era recato a trovarlo e aveva
deciso di prenderlo con se', offrendogli un rifugio in quella stanza a
bovindo, appollaiata in cima al torrione e affacciata sulla ridente valle
del Neckar, dove Hoelderlin sarebbe vissuto per trentasei anni, uscendone
solo per passeggiare nella campagna circostante e dove tranquillo, senza
agonia, avrebbe chiuso gli occhi il 7 giugno 1843.
In quei trentasei anni furono in molti a visitare l'illustre malato, ma tra
loro Waiblinger riveste un'importanza particolare. Scorgendo nel destino del
grande poeta un pauroso presagio del proprio, il diciottenne sembra
addirittura ossessionato dalla sua figura. "Non posso vivere", annota nel
suo diario, "senza descrivere un folle", o piu' precisamente quel folle,
reso tale "dall'amore e dalla tensione verso il divino". Questo senso di
sgomenta e affascinata immedesimazione, oltre a trovar sfogo nel romanzo che
proprio allora Waiblinger stava scrivendo, gli detto' le pagine di Friedrich
Hoelderlin. Vita, poesia e follia (traduzione di Elena Polledri, postfazione
di Luigi Reitani, Adelphi, pp. 100, euro 10), che apparve nel 1831 e
rappresenta la prima biografia dedicata all'autore dell'Iperione. L'inizio,
forse, della sua postuma fortuna: poiche' nulla seduce l'immaginazione degli
uomini quanto quell'oscuro connubio di genio e follia in cui gia' Platone
ravvisava il segreto del dire poetico.
"Comprendo l'uomo solo adesso che gli sono lontano e vivo nella solitudine",
disse un giorno il pazzo al giovane visitatore; e qualche traccia, sconnessa
e commovente, di questa comprensione si trova in quanto ci e' rimasto dei
versi che egli continuo' sempre a scrivere nella sua stanza sulla torre,
cosi' dissimili, per semplicita' e candore, dalle eccelse poesie con cui la
sua mente ancora intatta tentava di dare espressione al "tempo indigente"
dell'assenza degli dei; ma splendenti di un'infantile meraviglia, la stessa,
forse, che gli faceva ricercare la compagnia dei bambini e scoppiare in
pianto quando quelli fuggivano dinanzi al suo volto sfigurato dalla follia.

4. LIBRI. VALENTINA PARISI PRESENTA "CONGEDO DAI GENITORI" DI PETER WEISS
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 marzo 2009 col titolo "Conflitti
generazionali in casa di Peter Weiss" e il sottotitolo "Romanzi.
Ripubblicato dopo oltre quarant'anni di assenza"]

Peter Weiss, Congedo dai genitori, postfazione di Clemens-Carl Haerle,
Cronopio, pp. 120, euro 16.
*
"Ho cercato spesso di stabilire in me un colloquio con l'immagine di mio
padre e con quella di mia madre, oscillando tra rivolta e sottomissione. Ma
mai ho potuto cogliere e capire l'intima natura di queste due sfingi poste a
guardia della mia vita". E' intorno alla lucida ammissione di questo
fallimento che si snoda Congedo dai genitori, l'ultimo tassello della
ricognizione che l'editore Cronopio ha dedicato all'opera di Peter Weiss a
partire dal pregevole Inferni (2007). Se in quei saggi dedicati a
un'attualizzazione della Commedia dantesca Weiss rivelava l'ubicazione
terrena degli inferi, situandoli fisicamente nel campo di Auschwitz, qui lo
scrittore tedesco si concentra su un inferno immateriale e privo di
coordinate geografiche: quello dei rapporti familiari. "Non mi attiravano i
chiusi ovili della concordia" - con questa frase icastica l'autore definisce
la propria estraneita' alla mentalita' asfittica dei genitori, a
quell'idillio borghese fondato sul binomio casa-lavoro che i coniugi Weiss
avrebbero tentato pervicacemente di ricostruire durante le loro
peregrinazioni per l'Europa.
Se per il giovane Peter l'emigrazione non e' che la sanzione storica di un
disancoramento piu' profondo al reale, d'altro canto la guerra e l'esilio
finiranno per renderlo schiavo di quel mondo ormai al tramonto,
costringendolo a mettere temporaneamente da parte la sua vocazione di
pittore e poeta per impiegarsi nell'azienda paterna: "Anch'io ero
prigioniero di un inesorabile ingranaggio, e se pure ero di quelli che
fuggivano, tuttavia anch'io mi ero fuso con quell'interminabile passo di
marcia, come se fin dal principio fossi rimasto sul ciglio della strada, a
veder sfilare quella massa di uomini testardamente incatenati gli uni agli
altri".
Benche' Weiss si dipinga come un spirito ribelle, e' pur sempre vero che
nella sua ansia di distacco dai genitori "non procede mai oltre quel confine
che renderebbe vano l'inseguimento" - come scrive Giorgio Manganelli nella
prefazione a un altro monumento all'incomunicabilita' tra padri e figli, il
carteggio tra Giacomo e Monaldo Leopardi. Il giovane artista non riesce a
trattenersi dal mostrare alla madre i propri quadri appena terminati. Pur
consapevole che il loro violento espressionismo destera' in lei solo
sconcerto e imbarazzo, non sa negarsi il piacere sadico di scandalizzarla.
Tuttavia restera' annichilito quando, alla vigilia dell'ennesima partenza,
la madre si "vendichera'" distruggendo a colpi di accetta le sue opere.
La donna teme infatti che il carattere cupo, quasi morboso, delle tele del
figlio possa insospettire i doganieri, tradendo l'origine ebraica dei Weiss,
la loro non appartenenza al mondo degli ariani felici di esistere e di
votare altri allo sterminio. In Congedo lo scontro generazionale si delinea
come un corpo a corpo vano e degradante e nondimeno indispensabile per
costruire la propria identita'. Di tutte le emozioni che intessono questo
libriccino densissimo forse la piu' incancellabile e' il senso di angosciosa
vicinanza fisica che Peter adolescente prova la mattina in bagno, costretto
a lavarsi accanto al padre; quell'intimita' umiliante che gli riporta alla
mente le punizioni dell'infanzia, quando l'imprenditore tessile Eugen Weiss
lo sculacciava, stringendolo "in un amplesso pauroso". Impossibile non
pensare alla Lettera al padre di Kafka; eppure qui non c'e' nessuna forma di
allocuzione, nemmeno a posteriori, solo la consapevolezza dell'assenza di
una lingua in comune.
Non a caso, il conflitto si risolvera' soltanto con la scomparsa del padre e
la constatazione della terribile superiorita' che la morte conferisce a chi
resta: "Guardavo in viso mio padre, io ero ancora vivo...". Di fronte alle
fisionomie ieratiche, quasi indistinguibili, dei genitori,
all'impossibilita' di attingerne conforto o comprensione, il protagonista si
rifugia fin da bambino nella trasfigurazione fantastica della realta'. La
materia dolorosamente autobiografica di Congedo si illumina cosi' di ampi
squarci onirici, accelerazioni improvvise e intermezzi chiaramente
allucinatori trasposti in italiano con notevole efficacia da Francesco
Manacorda. Intuendo la violenza implicita in quel marchio che i genitori
vorrebbero imprimere sulla sua esistenza, l'io narrante si barrica in
giardino, cercando perfino di dimenticare il proprio nome per non dover piu'
rispondere al richiamo degli adulti. Oppure esplora l'universo tumultuoso
della citta', tenendosi stretto alla mano della rassicurante domestica
Auguste, "vecchia, anzi antica", sorta di contraltare alla personalita'
inafferrabile della madre. Proprio in queste pagine centrate sulla
sensibilita' infantile iniziano a delinearsi i tratti di quell'"estetica
della resistenza" che, nel romanzo omonimo composto negli anni '70, Weiss
avrebbe trasposto sul piano politico della lotta di classe. Nell'universo
individualistico di Congedo dai genitori, invece, il concetto di resistenza
coincide con la strenua difesa del proprio Io e della propria vocazione,
innanzitutto dai meccanismi ricattatori di chi ha messo al mondo una nuova
vita e se ne crede padrone.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 207 del 15 marzo 2009

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