Minime. 750



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 750 del 5 marzo 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Il mondo rovesciato rimesso in piedi
2. Vittorio Agnoletto: I  medici e gli infermieri non sono spie
3. Claudio Fava: Atti di incivilta' giuridica
4. Orazio La Rocca: La Chiesa denuncia l'apartheid
5. Cristina Mattiello: Prima che sia troppo tardi
6. Savino Pezzotta: Difendiamo la vita e la dignita' delle persone
7. Guido Caldiron intervista Aharon Appelfeld
8. Monica Ruocco: Cultura palestinese come resistenza umana
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. IL MONDO ROVESCIATO RIMESSO IN PIEDI

Non le nostre sorelle e i nostri fratelli migranti sono fuorilegge.
I razzisti sono fuorilegge.
Non chi ha diritto a ricevere asilo e' fuorilegge.
Gli squadristi sono fuorilegge.
*
Chi perseguita le vittime degli schiavisti e' complice degli schiavisti.
Chi viola la dignita' umana di un essere umano viola la dignita'
dell'umanita' intera.
Chi non salva le vite, contribuisce a sopprimerle.
*
Vi e' una sola umanita'.
Vi e' una sola casa comune.
La nonviolenza e' la via.

2. UNA SOLA UMANITA'. VITTORIO AGNOLETTO: I MEDICI E GLI INFERMIERI NON SONO
SPIE
[Ringraziamo Vittorio Agnoletto (per contatti:
ufficio.stampa at vittorioagnoletto.it) per averci messo a disposizione il
seguente intervento del 5 febbraio 2009 dal titolo "I medici si dichiarino
obiettori di coscienza" e il sommario "Sul si' del Senato all'emendamento
contro il divieto di segnalazione degli immigrati irregolari"]

Chiedo a tutti i miei colleghi medici di dichiararsi fin da ora obiettori di
coscienza: in nome del Giuramento d'Ippocrate saro' il primo a non
rispettare una legge che trasforma un medico in una spia, ovvero il
provvedimento che elimina il divieto di segnalazione degli immigrati
irregolari. Il dovere alla cura, indipendentemente dallo status giuridico
del paziente, e' un fondamento della professione medica. Come stanno
sostenendo le associazioni, "Medici senza frontiere" in primis, i medici e
gli infermieri non sono spie.
Nel caso il testo passasse alla Camera, interroghero' subito la Commissione
europea. Sarebbe una decisione contraria alle normative europee, come la
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, e su questo chiedero',
in caso, delucidazioni all'esecutivo Ue.

3. UNA SOLA UMANITA'. CLAUDIO FAVA: ATTI DI INCIVILTA' GIURIDICA
[Ringraziamo Claudio Fava (per contatti: claudio.fava at europarl.europa.eu)
per questo intervento]

"Per contrastare l'immigrazione clandestina bisogna essere cattivi. Gli
immigrati vengono perche' e' facile arrivare qui e nessuno li caccia, ma
proprio per questo abbiamo deciso di cambiare musica ..." . Sono parole del
ministro degli Interni italiano Maroni. Sembra una parodia della politica e
invece e' la politica del governo italiano.
Mi sembra chiaro come dentro questa idea della sicurezza ci sia solo un
profondo disprezzo per chi sta peggio di noi. Abbiamo trasformato Lampedusa
in un carcere a cielo aperto. Abbiamo offerto ai bravi padani il diritto di
farsi giustizia da soli. Abbiamo introdotto nel nostro ordinamento giuridico
il concetto di razza. Abbiamo invitato alla delazione i medici...
Tutti atti di incivilta' giuridica: di cui questa maggioranza, non altri,
porta ogni responsabilita'.

4. UNA SOLA UMANITA'. ORAZIO LA ROCCA: LA CHIESA DENUNCIA L'APARTHEID
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 21 febbraio 2009 col titolo "Il
Vaticano: muore lo stato di diritto, il futuro del paese sara' l'apartheid"]

"Cosi' si va verso l'apartheid". "E' l'abdicazione dello Stato di diritto e
si criminalizza l'immigrazione". E' senza appello la bocciatura del Vaticano
e dei rappresentanti delle comunita' di accoglienza sul decreto sicurezza.
In particolare, alla Chiesa preoccupano i due capisaldi del decreto, le
ronde antistupro e il prolungamento dei tempi di permanenza degli irregolari
nei centri di identificazione ed espulsione (Cie).
Analoghe critiche nei giorni scorsi erano state fatte da ambienti cattolici
anche per il disegno di legge che obbliga i medici a denunziare i malati
clandestini ora al vaglio del Parlamento. Critiche completamente ignorate
dal premier Berlusconi alla ricorrenza dei Patti Lateranensi del 18
febbraio, quando aveva assicurato che "tra governo e Vaticano c'e' piena
identita' di vedute".
Ieri la doccia fredda. Varare le ronde "rappresenta una abdicazione dello
Stato di diritto e non e' una strada da percorrere perche' la tutela della
sicurezza spetta sempre alle autorita'", lamenta il vescovo Agostino
Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio dei Migranti. Per il
monsignore, c'e' il fondato pericolo che il decreto possa "alimentare un
clima di criminalizzazione dei migranti", causando una incontrollabile
caccia al clandestino e un clima di intolleranza verso gli stranieri. Per
cui il decreto "certamente non trova il consenso della Chiesa".
Analoghe riserve anche per il prolungamento della permanenza nei Cie e per
l'obbligo dei medici a denunziare i clandestini. "Se gli irregolari si fanno
prendere dalla paura - ragiona il vescovo - perderanno la fiducia e, non
conoscendo i propri diritti, potrebbero preferire non curarsi, o favorire la
creazione di strutture illegali. Criminalizzare le migrazioni irregolari
significa non riconoscere il diritto ad emigrare, un diritto - conclude
Marchetto - tutelato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e
difeso dalla Chiesa".
"Purtroppo con decreti simili stiamo scivolando verso l'apartheid", denunzia
don Vinicio Albanesi, presidente del Coordinamento nazionale delle comunita'
di accoglienza (Cnca). "Siamo solo capaci a mostrare i muscoli e ad
affrontare il fenomeno migratorio in termini razziali, senza pero' - accusa
ancora Albanesi - disdegnare di sfruttare clandestini e badanti in quei
lavori che gli italiani non vogliono fare piu', come l'edilizia e
l'agricoltura e l'assistenza agli anziani". Anche per il Servizio dei
Gesuiti per i Rifugiati "nel paese c'e' un clima di intolleranza e
xenofobia" provocato anche dalle "dichiarazioni ad effetto di alcuni
politici".

5. UNA SOLA UMANITA'. CRISTINA MATTIELLO: PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI
[Ringraziamo Cristina Mattiello (per contatti: cristinam at mclink.it) per
questo intervento]

Sabato pomeriggio, di fronte ad un grande supermercato a Roma. Due
vigilantes, un uomo e una ragazza, appena fuori l'uscita. Passa un po' di
tempo senza che facciano niente. Poi si avvicina una ragazza zingara. Le si
parano davanti con toni e fare minacciosi, la insultano urlando, la cacciano
in malo modo, temo quasi che stiano per colpirla. Comunque la umiliano
volutamente e fanno di tutto per terrorizzarla. Dopo un po' esce dal
supermercato un uomo di una certa eta' vestito malamente: individuabile
senz'altro come "povero". La ragazza gli e' subito addosso, con le mani
avanti, a una passo dal viso: "Ah Ciccio, famme vede' lo scontrino! Tutto
vojo vede'!". E' aggressiva, minacciosa; il collega la spalleggia; anche in
questo caso,  il contatto fisico e' vicinissimo. L'uomo e' visibilmente
intimidito. Ha pagato tutto (questo risultera' dal "controllo"), ma
evidentemente le garanzie di correttezza, con tale energumena, non sono
certe. E' l'espressione della ragazza che mi colpisce: fiera, soddisfatta,
orgogliosa, come di chi sta facendo la cosa giusta, il suo "dovere", una
cosa buona per la societa': "finalmente gliela facciamo vedere a questi qui
...".
Piccoli segni di orrore quotidiano, ormai sempre piu' frequenti. Piu'
impressionanti degli atti di violenza che finiscono sui giornali, proprio
perche' non sono piu' percepiti come tali: sono la normalita'. E gli autori
sono gente "comune", non delinquenti o picchiatori di professione. E' questo
che spaventa, in questo paese. Il degrado delle coscienze, il passaggio
terribile che e' stato indotto nell'immaginario collettivo, per cui tante,
tantissime persone ormai vedono i poveri e gli emarginati, gli immigrati,
non come esseri umani da rispettare, ma subumani da disprezzare, vessare,
forse picchiare, se possibile espellere. O cancellare. Le coperte strappate
ai senza tetto. Ma tutti dovrebbero vedere anche il video di "Repubblica tv"
sulle ronde a Roma ("Spuntano le sentinelle"): davvero impressionante. La
deriva e' morale e psicologica ancor piu' che politica e civile.
Il "pacchetto sicurezza" e' la copertura istituzionale di questo degrado. Al
tempo stesso lo consente, lo legittima e lo alimenta. Sancisce la
disuguaglianza sul piano giuridico, aprendo di fatto a un regime di leggi
razziali. Per le categorie discriminate, avalla la violazione di diritti
umani fondamentali. Cadono le garanzie processuali, in tutte le fasi,
dall'arresto al giudizio alla detenzione, e il diritto all'assistenza
medica. Viene sottoposto a pesanti limitazioni e costrizioni anche il
diritto all'istruzione. Si ostacolano i ricongiungimenti familiari. Si
introducono tasse spropositate, apertamente persecutorie.
"Non ho paura delle parole dei violenti - diceva Martin Luther King - ma del
silenzio degli onesti". Occorre impegnarsi, per risvegliare le coscienze dal
torpore indotto da anni di propaganda a mezzo tv-spazzatura: parlare,
comunicare, far lentamente ricominciare a ragionare  chi ha la mente
ottenebrata, trovare spazi per incontri. Per interrompere la catena
dell'odio e della violenza prima che sia davvero troppo tardi.

6. UNA SOLA UMANITA'. SAVINO PEZZOTTA: DIFENDIAMO LA VITA E LA DIGNITA'
DELLE PERSONE
[Ringraziamo l'on. Savino Pezzotta (per contatti:
s.pezzotta at savinopezzotta.it) per questo intervento]

Sono convinto che giovedi' 5 dicembre  a Palazzo Madama si sia oltrepassata
una soglia di civilta', come del resto certificano le parole del leghista
Federico Bricolo, primo firmatario del ddl: "Non siamo piu' disposti ad
accogliere, soccorrere, aiutare e pagare per tutti". Parole  come
accoglienza, soccorso, aiuto che nel nostro linguaggio cristiano e in quello
civile moderno hanno senso profondo, sono ridotte, in modo compiaciuto, ad
una poltiglia dispregiativa. Il "cattivismo" entra a far parte del nostro
lessico politico.
Va in ogni caso rilevato che tutto questo e' in contrasto con le tradizioni
e le culture locali che la Lega afferma di voler difendere, mentre al
contrario con queste proposizioni introduce una rottura dell'ethos popolare
che dello sguardo attento verso il prossimo, alimentato anche come deposito
della presenza cristiana, ha sempre avuto cura.
Non e' un caso che proprio in questi mesi sia stato rilevato da diverse
indagini che nelle aree del Nord, dove questo deposito e' piu' profondo,
l'integrazione degli immigrati abbia piu' successo che altrove.
Ci sono a livello territoriale molte esperienze di volontariato,
d'associazionismo cristiano, di parrocchie e di piccole imprese che hanno,
senza clamore ma in concreto, messo in piedi una rete informale ma
umanamente e civilmente feconda d'accoglienza, di cura e d'attenzione. Non
si e' ricorsi all'emergenza o allo stato d'eccezione per fare quello che il
buon senso raccomanda e che il cristianesimo  comanda. Molte esperienze
positive di cui nessuno parla e che riguardano l'impegno quotidiano delle
famiglie per mettere in regola, superando molte difficolta' burocratiche, le
badanti. Artigiani e piccoli imprenditori che si sono impegnati a dare
un'occupazione stabile, tante volte anche una casa, a lavoratrici e
lavoratori  disponibili a lavori di qualsiasi tipo che molte volte i locali
non sono disponibili a svolgere. Volontari che si curano dei bambini degli
immigrati senza creare classi parallele. Penso alle tante persone che
operano nelle istituzioni e che sono pronte a fare qualche cosa in piu' -
non sono fannulloni - per aiutare chi e' in difficolta', chi arriva a
cercare un lavoro e si sente spaesato e sradicato, e che applicano le norme
tenendo conto piu' della necessita' di agevolare che di respingere.
Questo non e' "buonismo", e' buona politica, e' un modo efficace per
contrastare l'illegalita' di qualsiasi tipo. Non possiamo pertanto
dimenticare che permane in queste regioni del nord un ethos che crea
solidarieta' e che rappresenta anche una forza per affrontare la crisi
economica. Sono convinto che le difficolta' che dovremo affrontare
richiederanno una maggiore capacita' di gesti umani.
*
Le leggi sono uno specchio della civilta' di un Paese, non credo che in
questo orizzonte di civilta' possano rientrare i provvedimenti assunti
venerdÏ 5 febbraio al Senato.
La possibilita' per i medici di denunciare i pazienti "clandestini" ripugna
alla coscienza umana e contraddice ogni deontologia professionale di chi e'
vincolato al giuramento d'Ippocrate. Sono convinto che abbiano fatto molto
bene i medici cattolici a dichiarare che si asterranno da questa
possibilita' e credo andrebbero invitati tutti i medici italiani a seguire
questa indicazione.
Quattro anni di carcere a che si e' sottratto all'espulsione finiranno per
intasare gli uffici giudiziari, le carceri e i Cpt.
La tassa sul permesso di soggiorno e' un'imposta odiosa che una societa'
ricca impone a chi cerca solo di sopravvivere con il suo lavoro.
Quanto al registro dei senzatetto desta solo stupore e sembra si ritorni ai
registri dei poveri di cui ci parlavano le cronache antiche.
Non si tratta d'essere "buonista", ma di non perdere il contatto con la
dimensione della pieta' e della solidarieta'.
La norma approvata a Palazzo Madama dimostra tutta l'impreparazione del
Governo in materia sanitaria e dimostra una forte superficialita' da non
prevedere le conseguenze che possono derivare alla salute pubblica. E'
chiaro che se i medici sono invitati alla delazione, i "clandestini"
ammalati si sottrarranno a presentarsi ad un qualsiasi pronto soccorso.
Mi si potra' obiettare che avremo meno spese, ma cosa succedera' a chi e'
ammalato di broncopolmonite; a donne in preda ad un'emorragia provocata
dall'intervento abortivo di una "mammana"; oppure a chi e' affetto da Aids,
tubercolosi, scabbia o malaria, sifilide o tetano, difterite o morbillo e
"orecchioni". Nel momento in cui i "clandestini" non si avvicineranno piu'
alle strutture pubbliche  della sanita', si potrebbe creare un circuito
sanitario parallelo e clandestino con conseguenze imprevedibili sotto il
profilo della diffusione delle malattie gia' eliminate da noi che potrebbero
diffondersi nel nostro Paese.
Non sto parlando di cose astratte o di problemi presunti, ma di una realta'
che purtroppo e' gia' in atto.
Per fare un esempio concreto mi riferisco alla realta' di Bergamo dove
l'immigrazione conta numeri consistenti, i casi di tubercolosi, di scabbia e
di altre malattie che pensavano debellate stanno schizzando verso l'altro...
Le nuove norme avranno un impatto negativo anche sulla tutela e la
promozione dell'infanzia, peggiorando le condizioni di vita di tanti bambini
stranieri.
Altro aspetto che desta le mie perplessita', riguarda la legittimazione
delle "ronde", che, pur non essendo armate, dovrebbero garantire il presidio
del territorio. Questa norma mi sembra in contrasto con il dettato
costituzionale che affida allo Stato il mantenimento e la tutela dell'ordine
pubblico che lo deve affidare alle forze dell'ordine pubblico.
*
Questi provvedimenti mettono in luce quali sia l'impianto culturale che
anima la Lega e con il quale non abbiamo nulla da condividere. Credo che
abbia avuto ragione giorni fa l'ex Ministro dell'interno Giuseppe Pisanu
quando rivolto al suo schieramento ha affermato: "Guardiamo tutto
nell'ottica della sicurezza e con gli occhi appannati dalla paura. Dalle
elezioni politiche in poi e' prevalso un approccio molto emotivo e poco
razionale all'immigrazione. Il clima di questi giorni - la tentazione di
farsi giustizia da se', l'odio, il timore - e' legato anche alla
disinvoltura e alla strumentalita' di cui si e' dato prova. Il sonno della
ragione genera mostri. Comportamenti aberranti da una parte, dall'altra
misure rivolte a tranquillizzare l'opinione pubblica e a giustificare slogan
elettorali".
La dignita' delle persone, per noi che ogni giorno difendiamo la vita dal
concepimento alla sua fine, non puo' mai per nessun motivo passare in
secondo ordine.

7. RIFLESSIONE. GUIDO CALDIRON INTERVISTA AHARON APPELFELD
[Dal quotidiano "Liberazione" del 3 marzo 2009 col titolo "La memoria per
guardare al futuro, non solo per ricordare il passato" e il sommario "Lo
scrittore israeliano Aharon Appelfeld. Ebreo polacco scampato alla Shoah,
vive dal dopoguerra in Israele. Nei suoi romanzi racconta l'ebraismo
dell'Est prima della tragedia"]

"La memoria e' uno strabiliante strumento dell'anima, che ci mette in
comunicazione con cio' che e' vicino e cio' che e' lontano (...) La Seconda
guerra mondiale e' stato uno dei conflitti piu' cruenti che l'umanita' abbia
mai conosciuto, e per gli ebrei certamente il peggiore. Un terzo del popolo
ebraico e' stato sterminato. Ogni ebreo sopravvissuto alla guerra, al ghetto
e al campo di concentramento serba nella memoria decine, se non centinaia di
immagini che hanno per segno la morte. Che fare di quelle immagini?
Fissarle? Adottarle? Identificarsi in esse, tentando di tenere a mente i
volti degli assassini, per odiarli?".
Questo il quesito centrale della Lectio Magistralis che Aharon Appelfeld
terra' questa sera a Milano e che ha per titolo "La memoria e la parola: una
speranza per il futuro". Decano degli scrittori israeliani, vive dal 1946 a
Gerusalemme e insegna letteratura ebraica all'Universita' Ben Gurion a Be'er
Sheva', Appelfeld e' nato nel 1932 a Czernowitz, in Bucovina (Ucraina), e ha
costruito attraverso le sue opere, oltre una quarantina di libri (romanzi,
raccolte di racconti, saggi), tradotti in piu' di trenta lingue, una
narrazione corale della storia dell'ebraismo dell'Est Europa spazzato via
dalla barbarie nazista. Il suo contributo alla memoria della cultura ebraica
e' percio' fondamentale e riconosciuto a livello internazionale. Negli
ultimi anni Guanda ha pubblicato i suoi romanzi Badenheim 1939 (2007),
Storia di una vita (2008) e, in questi giorni, Paesaggio con bambina (pp.
148, euro 14) una storia che sembra riecheggiare proprio la vicenda di
Appelfeld fuggito all'eta' di otto anni da un campo di concentramento dove
era stato deportato con il padre. Protagonista del romanzo e' Tsili Kraus,
l'ultimogenita di una famiglia di bottegai ebrei dell'Est che sfugge allo
sterminio vagando per l'Europa prima di cercare rifugio in Israele. E che
trova nel proprio candore una sorta di rifugio all'orrore del mondo che la
circonda.
Abbiamo posto alcune domande a Aharon Appelfeld alla vigilia del suo
incontro milanese di questa sera.
*
- Guido Caldiron: Il personaggio di Tsili sembra assomigliarle molto: una
bambina in fuga tutta sola dallo sterminio, in mezzo a un mondo in frantumi
e pieno di pericoli. E' cosi'?
- Aharon Appelfeld: Certo che Tsili rappresenta la mia infanzia, ma
attraverso il suo personaggio ho cercato anche di uscire da una prospettiva
esclusivamente personale. Ho trasferito la mia esperienza a questa bambina
ma ho costruito anche una storia che andasse al di la' della semplice
ricostruzione di quanto ho vissuto io da bambino. Tsili e' molto giovane, ma
nonostante cio' e' un simbolo, rappresenta l'infanzia perduta, la
solitudine, l'innocenza. Infine si puo' dire che questa bambina rappresenti
i sopravvissuti. Questo perche' lei possiede qualcosa che le altre persone
non possiedono, che e' poi la sua innocenza. Lei sembra non pensare troppo a
quanto le sta capitando, e questo la mette al riparo dalla disperazione. E'
cosi' che riesce a sopravvivere, a trovare una ragione per andare avanti
nonostante tutto. Lei non si lamenta del fatto che la vita e' cosi' crudele
nei suoi confronti, accetta la propria esistenza cosi' com'e'. Le persone
che ha intorno sono sempre crudeli con lei, ma lei non piange, non maledice,
non protesta: assorbe l'umiliazione ma non e' una persona umiliata. E, alla
fine, ha la forza di superare tutto quello che le e' successo.
*
- Guido Caldiron: Il testo che leggera' questa sera a Milano riflette ancora
una volta sul valore della memoria, ma anche sul modo in cui si puo'
ricordare attraverso la creazione artistica e la letteratura. Nella sua
esperienza in quale rapporto si trovano la scrittura e la memoria?
- Aharon Appelfeld: Per scrivere credo si debba essere in grado di
mobilitare tutta la propria personalita', i propri sentimenti, le proprie
sensazioni, i proprie pensieri e anche l'immaginazione. E' chiaro che anche
la memoria fa parte di cio', ma la memoria da sola non basta per creare
l'arte. La memoria da sola rischia di rimandare al passato, mentre invece la
scrittura creativa consiste nel mettere in gioco tutto: il passato, il
presente e il futuro. Un'opera d'arte credo debba cercare di contenere tutte
queste dimensioni temporali. La memoria non puo' essere da sola la base di
un romanzo. Certo, si possono scrivere memorie o diari, cronaca o storia, ma
e' un'altra cosa. In un romanzo lo sforzo maggiore sta proprio
nell'articolare l'insieme delle diverse dimensioni temporali in ogni
paragrafo. Per fare un esempio di quanto dico, proprio in Paesaggio con
bambina la dimensione narrativa incrocia la memoria, ma la proietta verso il
futuro. La protagonista, Tsili, non e' solo una bambina che si e' trovata a
vivere in un bosco da qualche parte in Ucraina durante la guerra. Lei, si
potrebbe dire, vive al di la' del tempo in cui e' effettivamente vissuta.
Tsili rappresenta l'eterna innocenza, l'eterna ragazza sperduta. Percio'
torniamo alla differenza che esiste tra la memoria e la letteratura: nel
primo caso ci si concentra su un tempo e un momento ben preciso, nel secondo
si cerca di rendere quell'elemento eterno e universale. Tsili rappresenta
infatti l'eternita'.
*
- Guido Caldiron: Lei ha detto di aspettare ancora il ritorno dei suoi
famigliari scomparsi nella Shoah. La scrittura e' percio' lo strumento
attraverso cui ritrovare le proprie radici?
- Aharon Appelfeld: Si', ne sono convinto. Io ho perso i miei genitori
quando ero piccolo e ho perso per anni ogni contatto con la mia famiglia
d'origine. Quindi scrivere della mia infanzia, tornare a ripercorrere le
emozioni e i sentimenti di allora, mi fa ritrovare la mia famiglia e il mio
paese. E' un percorso che compio senza nostalgia, guidato dall'amore. E' un
modo per ritrovare il senso piu' profondo della vita, perche' la vita di
tutti parte proprio dal periodo dell'infanzia. Cosi', ritrovando la mia
famiglia e l'ambiente da cui provengo, credo di poter andare davvero al
fondo delle cose.
*
- Guido Caldiron: Al centro di Paesaggio con bambina c'e' ancora, come nei
suoi precedenti romanzi, la storia europea e la fuga degli ebrei dai paesi
dell'Est. Lei vive da oltre sessant'anni in Israele pero' si e' spesso
definito come "un ebreo che scrive in Israele" e non uno scrittore
israeliano. Cosa significa?
- Aharon Appelfeld: Le mie radici restano in Europa, malgrado io viva in
Israele da piu' di sessant'anni. Sono uno scrittore ebreo che vive in
Israele, come prima ho vissuto in altre parti del mondo. Come gli ebrei
ancora oggi vivono in tutto il mondo. E' di loro che parlo nei miei libri,
di quelli che vivono in ogni paese della terra. Non di quelli che vivono in
Israele. Mi interessa la piu' vecchia civilta' del mondo, che e' quella
ebraica e non uno spazio geografico definito. Mi interessa lo spazio
interiore. E' a questo spazio della cultura ebraica che rimanda la mia
esperienza di vita. Per questo se devo "definirmi" penso all'Europa: e' li'
che sono nato ed e' a quella cultura che faccio ancora riferimento pur
vivendo in Israele.
*
- Guido Caldiron: Alla fine del suo romanzo Tsili cerca rifugio in Israele
come hanno fatto tanti ebrei in fuga dall'Europa. Oggi, pero', quel paese
sembra dominato da una destra xenofoba e pericolosa che ha vinto le recenti
elezioni e sembra rifiutare ogni ipotesi di dialogo con i palestinesi. Come
valuta la situazione?
- Aharon Appelfeld: E' vero, Tsili alla fine del libro se ne va dall'Europa
e in un certo senso rappresenta un po' tutti gli immigrati che dopo la
guerra hanno scelto di andare a vivere in Israele. Immigrati che per la
maggior parte erano rappresentati da persone perdute, sole, senza una
famiglia, persone ferite. Si deve tener presente che ogni due persone
immigrate in Israele nel dopoguerra, almeno una era un sopravvissuto
direttamente alla Shoah o era figlio o nipote di sopravvissuti. Quando sono
arrivato dall'Europa, nel 1946, in quello che sarebbe diventato lo Stato di
Israele c'erano meno di un milione di abitanti, poi sono arrivati in pochi
anni oltre settecentomila scampati alla Shoah in fuga dall'Europa. Israele
e' percio' sempre stato, fin dall'inizio della sua storia, un paese di
immigrati e ha continuato a conoscere rapidi cambiamenti da questo punto di
vista. Israele e' tutto fuorche' un paese omogeneo; e', da questo punto di
vista, una societa' aperta. Oggi, in effetti, la paura sembra dominare la
societa' israeliana: paura del terrorismo, paura di Hamas, paura della
minaccia che arriva dall'Iran e dal suo arsenale militare. All'inizio della
sua esistenza, e per molti anni, Israele era uno stato d'ispirazione
socialista, ma oggi questo clima di paura ha fatto si' che tanti israeliani
si spostassero verso destra, anche verso le posizioni della destra piu'
estrema. Ora il paese mi appare come diviso nettamente in due dal punto di
vista politico. Spero davvero che la minaccia iraniana possa passare e
Israele possa tornare ad essere com'era e come dovrebbe essere, vale a dire
un paese accogliente, democratico e socialista.

8. HUMANAE LITTERAE. MONICA RUOCCO: CULTURA PALESTINESE COME RESISTENZA
UMANA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 marzo 2009 col titolo "Paesaggi
palestinesi" e il sommario "Strategie antiche e nuove di resistenza
intellettuale. Dal fervore che segno' i primi decenni del secolo scorso alle
ultime voci di scrittori e di artisti pronti a usare autocritica e humor
come armi per un esercizio quotidiano di dignita', numerosi libri recenti
provano a restituire la complessita' della attuale cultura palestinese"]

Sin dall'inizio del XX secolo i palestinesi - e in particolare gli
intellettuali, indifferentemente cristiani o musulmani - sentirono che un
grave pericolo incombeva sulla loro terra. Si organizzarono dunque in
associazioni culturali e fondarono giornali e riviste in cui, coniugando
militanza e impegno letterario, veniva dato grande spazio alla produzione di
scrittori, poeti e drammaturghi.
In quei primi decenni del secolo scorso si fecero conoscere in Palestina e
all'estero figure di intellettuali come Bandali Salibah Giawzi, che invito'
con lungimiranza gli storici occidentali a non elaborare i loro giudizi
basandosi solo sulla storia dell'Occidente. O come Ruhi al-Khalidi, che
nella Introduzione alla questione d'Oriente, del 1925, denuncio' le
responsabilita' dei turchi davanti alla colonizzazione europea della
Palestina, ed espose i suoi timori sulla possibilita' che il paese potesse
sparire dalle carte geografiche, e in un altro libro, la Storia del
sionismo, sottolineo' enfaticamente la distinzione tra sionisti ed ebrei,
spiegando che la lotta al sionismo non aveva niente a che vedere con
l'antisemitismo. O ancora come il medico Tawfiq Kanaan che dedico' la vita a
confutare la tesi di Weizman, secondo cui non esisteva alcun popolo
palestinese ma "soltanto qualche migliaio di arabi e di beduini": nel saggio
The Arab Cause in Palestine, scritto in inglese e pubblicato nel '36,
Kanaan, malgrado fosse di religione cristiana ortodossa, fece appello alle
comuni radici arabe della tradizione islamica, sentita dai cristiani di
Oriente come proprio patrimonio culturale.
*
Tra violenza e dogmatismo
Sono gli stessi anni, fra l'altro, in cui si delineo' in Palestina
l'embrione di un nascente movimento femminista, composto di donne
coraggiose, musulmane e cristiane, che intrecciarono le battaglie per
l'uguaglianza di genere con quelle per l'indipendenza del paese, scaturite
all'indomani della dichiarazione di Balfour (1917). Proprio da questa fase
di rinascita culturale, parte di un movimento piu' vasto che dal XIX secolo
coinvolge tutto il Vicino Oriente arabo, prende avvio Cento anni di cultura
palestinese (Carocci) in cui Isabella Camera d'Afflitto traccia il percorso
di un popolo che da oltre cento anni lotta per affermare la propria
identita' e il diritto a vivere senza interferenze straniere nella sua
patria.
Sfogliando le pagine del saggio si ripercorrono le tappe piu' importanti
della storia di questa terra, dall'inizio del '900 alla nakba, seguita da
altre date drammatiche, come la naksa del 1967, le intifada del 1987 e del
2000, fino ai nostri giorni. Protagonisti sono i palestinesi, dispersi in un
esilio infinito, o costretti a vivere in campi profughi, o ancora rimasti
nella loro terra e diventati cittadini d'Israele. L'autrice ha affidato a
poeti, narratori, drammaturghi, registi, disegnatori, il ruolo di testimoni
di una storia in cui le ingiustizie sembrano non avere mai fine. Una storia
raccontata anche dalle grandi voci della diaspora palestinese, Giabra
Ibrahim Giabra, Samira Azzam, Ghassan Kanafani, quando si teorizza quella
che verra' chiamata la "letteratura della resistenza" e fara' conoscere al
mondo le poesie di Mahmud Darwish, Fadwa Tuqan, Samih al-Qasim, Tawfiq
Zayyad. Nei loro versi esplodono la rabbia e l'umiliazione di una
popolazione ormai privata delle proprie radici, ma come scrive Isabella
Camera d'Afflitto nell'introduzione, "non si tratta tanto di 'letteratura
della resistenza', quanto piuttosto di 'letteratura come resistenza': alla
violenza del nemico, ma anche ai poteri interni e ai dogmatismi legati alla
'causa', alla cancellazione della memoria, alle censure e alle forme di
oppressione esercitate in seno alla societa' palestinese da leader politici,
da strutture patriarcali e da strumentalizzazioni ideologiche e religiose".
Del resto scrittori come Emile Habibi o Sahar Khalifa, con i loro libri
tradotti all'estero, non si limitano a far conoscere al mondo la situazione
degli arabi di Israele o dei palestinesi assediati nei Territori Occupati
ma, senza farsi imprigionare dall'odio, rivendicano - come faranno con forza
gli scrittori dell'ultima generazione, da Murid al-Barghuti a al-Mutawakkil
Taha, a Adania Shibli - il diritto di celebrare l'amore, la bellezza, la
vita.
E tuttavia, la figura che forse meglio traduce le vicende di tutto un popolo
e' quella del piccolo Hanzala, il bambino protagonista delle vignette di
Naji al-Ali, con il quale Isabella Camera d'Afflitto conclude il suo bel
libro. Dando le spalle al lettore, Hanzala, innocente e inerme come la
popolazione civile palestinese, osserva con le mani incrociate dietro la
schiena la barbarie che si e' accanita sul suo popolo. Anche lui, pero', non
sembra perdere l'ultima speranza quando, nella vignetta riprodotta
nell'ultima pagina, viene ritratto davanti a un filo spinato da cui spunta
una spiga di grano.
*
La banalita' combattiva
Proprio il personaggio di Hanzala rivivra' nel volume A Child in Palestine:
Cartoons of Naji al-Ali, con prefazione di Joe Sacco (autore del fumetto
Palestina), che sara' pubblicato a primavera da Verso, una casa editrice
radical con sede a Londra e New York, molto attenta alla questione
palestinese. Il fumetto fa del resto parte di un piu' vasto orizzonte
artistico, la cui storia e' raccolta nel bel volume Palestinian Art.
1850-2005 di Kamal Boullata, egli stesso pittore e scrittore, uscito di
recente per la Saqi Books di Londra. Unico nella sua completezza, il volume
offre l'analisi di una produzione artistica che va dalle prime
sperimentazioni pre-1948 fino alla piu' recente arte mediatica, seguendo le
opere degli artisti che vivono nella madrepatria, ma anche di quelli della
diaspora, a cominciare dalla celebre Mona Hatoum. Un'attenzione particolare
e' dedicata al ruolo delle donne, sottolineando come le strategie di
resistenza siano state utilizzate per lottare anche contro un discorso
artistico dominante.
La vita culturale palestinese dal 1918 al 1948 e' di nuovo al centro del
volume Mountain Against the Sea: Essays on Palestinian Society and Culture
(University of California Press 2008), di Salim Tamari, direttore
dell'Institute of Jerusalem Studies e docente di sociologia alla Birzeit
University. Attraverso le memorie, i diari, le lettere di undici
protagonisti della vita culturale palestinese della prima meta' del XX
secolo (tra loro un musicista, un maestro, un medico, un rivoluzionario
bolscevico, un intellettuale ebreo palestinese), l'autore restituisce il
ritratto di una Palestina che, pur sull'orlo di un baratro storico,
partecipa dell'importante momento di rinascita che interessava allora tutto
il Vicino Oriente.
Le piu' recenti voci della cultura palestinese sono invece state raccolte da
Adila Laidi-Hanieh nel numero monografico della rivista belga "Ah!",
intitolato Palestine, rien ne nous manque ici, in cui emerge il ritratto di
quella banalite' combative, dove "lo humour, l'autocritica, la memoria, la
scoperta di identita' multiple, e la resistenza individualista, ostinata,
inscritta in una pratica quotidiana di liberta' sono le nuove armi di un
esercizio quotidiano di dignita'". Quello che ne emerge, grazie anche
all'apporto di autori e artisti come Mahmud Shuqair, Mahmud Darwish, Adania
Shibli e la stessa Mona Hatoum, e' un ritratto della Palestina attuale,
introspettivo, multidisciplinare e critico. Commento ideale a questi scritti
e' il volume fotografico La Palestine (foto di Rogerio Ferrari, testo di
Leila Khaled) pubblicato di recente dall'editore parigino indipendente Le
passager clandestin, che restituisce ai soggetti di questi scatti
un'umanita' piena che va oltre il distaccato reportage o la compassionevole
testimonianza.
Ma se si parla di cultura palestinese, non si puo' prescindere da quanto
accade nei Territori Occupati, e nella Striscia di Gaza dove sono attive
numerose associazioni che promuovono la cultura locale, come The Culture and
Free Thought Association di Khan Yunis e al-Taghrid Society for Culture and
Arts di Gaza. E se per i palestinesi cultura e' sinonimo di resistenza,
centrale e' il ruolo della maggiore universita' palestinese, la Birzeit
University (www.birzeit.edu), situata a una decina di chilometri da
Gerusalemme e considerata come luogo di incontro tra gli intellettuali
progressisti arabi e del mondo intero. Fondata nel 1924 da una donna, Nabiha
Nasir, per incoraggiare l'accesso delle donne all'istruzione, l'Universita'
di Birzeit e' stata un punto di riferimento importante durante la prima
intifada. Oggi e' considerata un centro di dissenso non solo dalle autorita'
israeliane che spesso le hanno fatto chiudere i battenti, ma anche
dall'Autorita' Palestinese nei confronti della quale si e' mostrata sempre
critica.
*
Memorie collettive
Nei Territori Occupati Ramallah e' sicuramente la citta' piu' attiva. Qui,
in una bella e antica casa, ha sede il centro Sakakini (www.sakakini.org),
che porta il nome di un importante autore palestinese, Khalil Sakakini,
morto nel 1953. Fondato una dozzina di anni fa, il centro promuove progetti
culturali che incoraggiano lo sviluppo delle arti visive con laboratori di
formazione per i giovani talenti, sostengono la memoria collettiva
attraverso la raccolta di narrazioni orali, organizzano incontri pubblici. E
proprio in un'ala del centro Sakakini, Mahmud Darwish aveva istituito la
sede della prestigiosa rivista "al-Karmel", importante organo di resistenza
culturale da lui fondato nei primi anni '70 a Beirut, e i cui archivi
vennero distrutti dagli attacchi israeliani nel 2002.
*
Postilla. Voci di storici e narratori per una identita' in divenire
Sulla questione palestinese l'editoria italiana ha pubblicato molti volumi,
ma pochi sono quelli scritti in prima persona da intellettuali palestinesi.
Tra questi spicca Il palestinese. Figure di un'identita': le origini del
divenire, di Elias Sanbar (Jaka Book, 2005), ambasciatore presso l'Unesco a
Parigi. In questo volume la storia politica e culturale della Palestina si
delinea attraverso i mutamenti dell'identita' del "palestinese" dai tempi
del dominio ottomano passando per il mandato britannico fino all'espulsione
successiva alla costituzione dello Stato di Israele. Salman Natur, scrittore
e filosofo di origine drusa, primo presidente dell'Unione degli Scrittori
Arabi in Israele, impegnato sul fronte dei diritti della minoranza araba,
pubblica Memoria (Edizioni Q, 2008), una narrazione in cui piu' voci
contribuiscono a restituire la storia a un popolo il cui passato rischia
continuamente di essere cancellato. Sulle incognite storiche che incombono
sulla regione e' interessante il volume curato da Jamil Hilal, Palestina
quale futuro? La fine della soluzione dei due stati (Jaca Book, 2007), in
cui si raccolgono le riflessioni di storici, economisti, sociologi non solo
arabi. Da un punto di vista letterario, Il letto della straniera e altre
poesie d'amore, di Mahmud Darwish, appena uscito per Epoche', raccoglie le
ultime sperimentazioni del grande poeta scomparso la scorsa estate che
segnano una svolta dalla poesia di resistenza degli anni Sessanta. I versi
di Ghassan Zaqtan, direttore della Casa della Poesia a Ramallah, appaiono
nel volume Ritratto del passato (Poiesis, 2009). Uno sguardo completo sulla
poesia palestinese si trova nell'antologia In un mondo senza cielo (Giunti
2007), curata da Francesca Corrao. Per quanto riguarda la narrativa, il
romanzo di Radwa Ashur, Atyaf. Fantasmi dell'Egitto e della Palestina
(Ilisso, 2008), e' importante per capire quanto la questione palestinese
interessi tutto il mondo arabo, mentre la nuova generazione di scrittori
palestinesi e' rappresentata da Adania Shibli della quale in italiano e'
apparso il romanzo Sensi (Argo, 2007).

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 750 del 5 marzo 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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