Minime. 703



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 703 del 17 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Contro la guerra, contro il razzismo, per l'umanita'
2. Sveva Haertter intervista Peretz Kidron
3. Christian Elia intervista Lea Tzemel
4. Alessandro Portelli intervista Giacoma Limentani e Pupa Garribba
5. David Meghnagi: Il dialogo in frantumi
6. Eduardo Galeano: Il terrorismo di stato fabbrica terroristi
7. Riletture: Uri Avnery, Mio fratello, il nemico
8. Riletture: Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo
9. Riletture: Franco Fortini, I cani del Sinai
10. Riletture: David Grossman, La guerra che non si puo' vincere
11. Riletture: Raul Hilberg, La distruzione degli ebrei d'Europa
12. Riletture: Benny Morris, Vittime
13. Riletture: Edward W. Said, La convivenza necessaria
14. Riletture: Edward W. Said, Fine del processo di pace
15. Riletture: Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri
16. Riletture: Abraham B. Yehoshua, Ebreo, israeliano, sionista: concetti da
precisare
17. La "Carta" del Movimento Nonviolento
18. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PEPPE SINI CONTRO LA GUERRA, CONTRO IL RAZZISMO, PER
L'UMANITA'

Questo nostro foglio ogni giorno esprime un impegno nitido e intransigente
contro la guerra e contro il razzismo, pertanto certi appelli un po' rozzi
ed imperiosi ad "uscire dal silenzio" non ci riguardano. Come non riguardano
tutte le persone amiche della nonviolenza che ogni giorno proseguono la
lotta contro tutte le uccisioni, per un'umanita' di persone libere e
responsabili, eguali in diritti e solidarieta'. Dal silenzio devono uscire
coloro che da anni sulla guerra (in primo luogo sulla guerra terrorista e
stragista cui anche l'Italia sta partecipando in Afghanistan, in primo luogo
sulla guerra razzista del governo italiano e dei suoi squadristi ai migranti
e ai nomadi) tacciono. E tacciono perche' ne sono consapevoli complici. E
talora costoro sono gli stessi che con toni rozzi e imperiosi poi lanciano
quegli appelli di cui dicevamo all'inizio. Appelli sovente ambigui, appelli
sovente ipocriti (ma ha scritto una volta La Rochefoucauld che l'ipocrisia
e' l'omaggio che il vizio rende alla virtu').
*
Si svolgono oggi due manifestazioni per la cessazione della guerra e dei
massacri a Gaza. A chi scrive queste righe nessuna delle due piattaforme su
cui queste manifestazioni sono state convocate appare convincente: troppe
reticenze, troppe ambiguita', alcune omissioni peggio che inquietanti; e
quanto alla parte propositiva in verita' non si distinguono granche' da
quello che dicono finanche i ministri del governo golpista berlusconiano.
E tuttavia e' bene che si possa manifestare anche da parte di tante persone
di volonta' buona in forma pubblica, democratica, visibile, comprensibile,
pacifica e sincera, l'opposizione almeno a quella guerra, almeno a quelle
stragi. Che si manifesti per la pace con mezzi di pace, dalla parte di tutte
le vittime e contro tutti i carnefici.
*
Ma qualcosa va aggiunto, ed a nostro modestissimo avviso almeno questo:
1. Non ci sono vittime di serie A e vittime di serie B. Ogni vittima ha il
volto di Abele.
2. Cosi' come non si puo' essere complici dei crimini di guerra e contro
l'umanita' del governo di Israele che opprime e massacra il popolo
palestinese, non si puo' essere complici dei crimini di Hamas, inferiori a
quelli del governo di Israele solo perche' i mezzi distruttivi di cui
dispone sono inferiori, e che non nasconde che se ne avesse la forza
vorrebbe realizzare una "soluzione finale" nazista.
3. A tutte le guerre e a tutte le uccisioni occorre opporsi. A tutte le
persone certo riconoscendo il diritto alla legittima difesa. E sapendo che
non esiste piu' "guerra giusta" (se mai in passato ne sono esistite), e che
mai un omicidio e' ammissibile, mai.
4. Non basta opporsi alla guerra guerreggiata: occorre opporsi anche alle
logiche, agli strumenti, agli apparati, alle ideologie e alle pratiche di
oppressione e denegazione di umanita' che essa guerra preparano, consentono,
eseguono e proseguono.
5. Se si e' solidali con i popoli oppressi, si deve essere solidali con
tutti i popoli.
6. Se si rivendicano i diritti umani, essi devono essere rivendicati per
tutti gli esseri umani.
7. Se si parla dall'Europa, affinche' la propria parola possa essere
ascoltata dai popoli e dalle persone oggi viventi nella Palestina storica,
occorre innanzitutto ricordare le responsabilita' europee per la
bimillenaria persecuzione antiebraica culminata nella Shoah, le
responsabilita' europee per l'imperialismo e il colonialismo, le
responsabilita' europee per il razzismo che ancora perdura. Se non si lotta
qui contro il razzismo e la guerra, come si puo' pensare che la propria voce
possa essere ascoltata la'?
8. Stato di Palestina libero e democratico subito. Stato di Israele sicuro e
democratico subito. Pienezza di diritti per tutte le donne e tutti gli
uomini.
9. Solo la nonviolenza contrasta la guerra in modo coerente, pieno,
adeguato. Solo la nonviolenza ha a cuore la salvezza di tutte le vite.
10. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. TESTIMONIANZE: SVEVA HAERTTER NTERVISTA PERETZ KIDRON
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 gennaio 2009 col titolo "Parla un
refusenik" e il sommario "Abbiamo bisogno che all'estero e anche in Italia
ci sia chi denunci i crimini di guerra israeliani"]

Peretz Kidron e' un refusenik israeliano. L'abbiano raggiunto al telefono
per chiedergli lo stato del movimento in un momento in cui, a quanto dicono
i sondaggi, l'attacco militare contro Gaza gode di un alto indice di
approvazione nell'opinione pubblica di Israele.
*
- Sveva Haertter: Cosa si muove in Israele rispetto a quello che sta
succedendo nella Striscia di Gaza?
- Peretz Kidron: Ci sono manifestazioni praticamente ogni giorno, anche
davanti alla base dell'aviazione, in coincidenza con l'orario in cui
prendono servizio i piloti. Non sono grandi, ma neanche piccole. L'esercito
gode di un vasto sostegno dell'opinione pubblica, ma questo puo' cambiare da
un momento all'altro. Quindi stanno molto attenti a come muoversi e cercano
di evitare scontri diretti nelle strade. Anche le mobilitazioni a livello
internazionale stanno producendo effetti: i portavoce dell'esercito sono
sulla difensiva e cercano di spiegare passo dopo passo quello che succede,
anche perche' sono preoccupati delle ripercussioni future. In questo
influisce anche il prossimo cambio della presidenza Usa. Obama non e' Bush.
*
- Sveva Haertter: Sabato scorso a Tel Aviv c'e' stata una manifestazione con
tutte le varie realta' del movimento pacifista. Mi sembra un fatto rilevante
anche per noi in Italia, dove sabato prossimo sono previste due
manifestazioni nazionali in contemporanea...
- Peretz Kidron: La manifestazione di cui parli era davanti al ministero
della difesa. Non era grande, ma c'erano davvero tutte le realta' e il fatto
rilevante e' che non erano i "soliti noti", c'erano anche molti giovani. E'
importante lavorare per superare le divisioni e costruire mobilitazioni piu'
ampie possibili. L'unico modo e' quello di lavorare su poche parole d'ordine
unificanti e che rimettano al centro il merito di quello che sta succedendo,
lasciando fuori le questioni politiche, problema anche nostro ovviamente, ma
e' molto importante fare il possibile per superarlo.
*
- Sveva Haertter: E sul fronte del rifiuto cosa succede?
- Peretz Kidron: Come sempre nelle fasi iniziali di un conflitto, la
risposta e' debole. Poi c'e' anche il fatto che l'esercito tende ad evitare
di mettere in prigione quelli che rifiutano di rispondere alla chiamata,
perche' sa che se li mettono in carcere aumenta la visibilita'. Sono molto
attenti all'aspetto mediatico, perche' vogliono uscire con una vittoria
netta, anche per via di quello che e' successo in Libano. Vogliono umiliare
Hamas, farli capitolare. Di fatto i vertici militari si stanno muovendo come
in una guerra per bande, mettono al centro concetti come "dignita'", "onore"
etc. Dietro i principi enunciati, di fatto lo schema e' assolutamente
primitivo. Questo peraltro vale anche per Hamas, ed in questo quadro e'
evidente che un intervento esterno e' indispensabile.
*
- Sveva Haertter: Voi avete fatto qualche tentativo di sensibilizzare i
militari?
- Peretz Kidron: Abbiamo provato a pubblicare a pagamento un appello che
invitava a non commettere crimini di guerra, ma la stampa lo ha rifiutato.
Anche "Haaretz". Il problema dell'informazione e' gravissimo, a partire dal
fatto che nella striscia di Gaza non sono ammessi giornalisti. Quello che
sappiamo viene unicamente dai racconti dei palestinesi. Stiamo facendo il
possibile per spostare l'attenzione sui crimini di guerra, con l'obiettivo
di far intervenire un tribunale internazionale. Interventi del genere, anche
in altri paesi, sarebbero molto importanti. L'unico strumento efficace da
questo punto di vista e' la denuncia delle responsabilita' individuali dei
singoli ufficiali. Noi ci siamo mossi con i tribunali israeliani per fare
pressione sull'esercito, arrivando fino alla Corte suprema, ma non abbiamo
ottenuto risultati, mentre ce ne sono stati in altri paesi come la Spagna,
l'Inghilterra, il Belgio. Se la vostra legislazione lo consente, sarebbe
importante provarci anche in Italia. La questione di una legislazione
internazionale sui diritti umani e contro i crimini di guerra sta
guadagnando spazio, e' una possibilita' che va sfruttata. Peraltro in questo
schema rientra anche Hamas. Anche loro attaccano civili. Se da voi ci
fossero avvocati disposti a muoversi in questo senso, sarebbe un fatto
importante e utile, che peraltro aiuta anche a rimettere al centro le
questioni di merito. I nostri tentativi hanno dimostrato che qui in Israele
non ci sono le condizioni per ottenere dei risultati e quindi, dato che il
nostro sistema si e' rivelato inefficace, e' legittimo che si avviino
procedimenti in altri paesi. Le eventuali condanne sarebbero un problema
reale per l'esercito, perche' l'ingresso in quei paesi delle persone
condannate porterebbe all'arresto. E' un'area di intervento specifico che
puo' avere molti piu' effetti di qualche slogan politico. Se in Italia ci
fosse qualcuno disposto a muoversi in questo senso, siamo pronti a mettere a
disposizione i materiali che abbiamo raccolto.

3. TESTIMONIANZE. CHRISTIAN ELIA INTERVISTA LEA TZEMEL
[Dal sito di "Peacereporter" riprendiamo la seguente intervista del 14
gennaio 2009 col titolo "La guerra e' ogni giorno. Intervista con l'avvocato
Lea Tzemel dell'Ong israeliana B'tselem"]

Lea Tzemel e' un avvocato molto noto in Israele. Non per aver vinto cause da
milioni di dollari, ma per aver difeso sempre nella sua vita i palestinesi.
Una spina nel fianco del sistema giudiziario israeliano, nel 1989 fonda
assieme a noti giuristi, parlamentari, giornalisti ed esponenti della
societa' civile "B'Tselem, The Israeli Information Center for Human Rights
in the Occupied Territories", un organizzazione di tutela legale e di
monitoraggio delle violazioni dei diritti umani dei palestinesi.
*
- Christian Elia: L'organizzazione B'tselem, sta lavorando a qualche azione
legale particolare rispetto a quello che sta accadendo in questi giorni
nella Striscia di Gaza?
- Lea Tzemel: Il nostro lavoro continua nello stesso modo di sempre, come
prima di questo attacco e come continuera' dopo questa operazione. La
situazione, terribile, non cambia. Per noi la guerra e' ogni giorno. La
differenza e' solo che ci prepariamo a difendere le migliaia di persone che
in questi giorni sono state arrestate. E' normale, ed e' anche giusto, che
in questi giorni tutti parlano delle vittime e dei feriti, ma nessuno sta
parlando degli arresti di massa e delle conseguenti deportazioni da tutta la
Striscia di Gaza.
*
- Christian Elia: C'e' un settore specifico sul quale vi concentrate?
- Lea Tzemel: Ci muoviamo come sempre. Offrendo supporto legale ai
palestinesi sia rispetto alle corti militari che rispetto alle corti civili.
Anche se, negli ultimi anni, ci battiamo particolarmente contro un nuovo
status introdotto dalla giurisdizione israeliana: quello di "combattente
illegale". E' una differenza importante, perche' questi prigionieri,
rispetto ai prigionieri di guerra, vengono sottratti all'applicazione della
Convenzione di Ginevra. Esattamente quello che e' accaduto con la base di
Guantanamo per gli Stati Uniti. L'applicazione di questa legge permette di
detenere un prigioniero per lungo tempo, senza assistenza legale e senza
processo. Allo stesso tempo, puntando alla giurisdizione internazionale,
lavoriamo sulla possibilita' di trascinare il governo d'Israele in giudizio
per crimini di guerra e crimini contro l'umanita'. Sia a livello di
responsabilita' individuali che collettive. Non siamo soli in questa
battaglia, possiamo contare sull'appoggio di tante organizzazioni che si
battono per il rispetto dei diritti umani. E continueremo a lottare sia in
Israele che in campo internazionale. Credo che, alla fine, ce la faremo.
*
- Christian Elia: Crede che, nell'amministrazione della giustizia in
Israele, esista un problema di fondo legato alla considerazione dei diritti
dei palestinesi? Com'e' possibile che uno stato democratico arresti dei
ministri di un governo che non e' gradito? Ministri che sono espressione di
un governo che ha vinto libere elezioni, come ha fatto Hamas?
- Lea Tzemel: Il problema e' che Israele non si pone in modo democratico
verso i palestinesi. Alle violazioni dei loro diritti che tutti conoscono e
che vengono denunciate da associazioni come la nostra, si affianca una
visione della societa' palestinese che non e' democratica nel suo insieme.
Come se Israele, da occupante, si arrogasse il diritto di decidere cosa e'
meglio per i palestinesi stessi. Una sorta di approccio coloniale. Le
elezioni vinte da Hamas, piaccia o no, sono state legali e trasparenti, come
ammesso dalla stessa comunita' internazionale. Israele non ha accettato
queste elezioni, come se fosse un suo diritto scegliere chi doveva vincere.
Questa e' una negazione totale dei diritti di un popolo di esprimersi
liberamente sulla sua vita e sulla sua forma di governo.
*
- Christian Elia: Questo accade, pero', anche perche' c'e' una sostanziale
accettazione della societa' israeliana rispetto a questo atteggiamento del
governo verso i palestinesi? Perche' questo succede?
- Lea Tzemel: Nella societa' israeliana c'e' un diffuso sostegno alle
politiche antidemocratiche del governo. Il bersaglio sono i palestinesi, non
loro. C'e' un sentimento diffuso di amor patrio, distorto e confuso, ma
molto generalizzato. Un legame molto forte, anche con le forze armate di
questo Paese. Un sentimento diffuso che nasce da una irrazionale paura degli
arabi. Questo conflitto e' simile a quello tra le truppe coloniali inglesi e
gli indiani. I palestinesi non hanno alcuna possibilita' materiale di
distruggere Israele, ma un forte sentimento di paura e' stato diffuso nella
popolazione. E la popolazione accetta con entusiasmo questo regime di
apartheid imposto agli arabi, perche' lo percepisce come l'unico modo per
sopravvivere. Non e' un caso che le politiche nei confronti dei palestinesi
siano il perno delle campagne elettorali in questo Paese. Quindi va bene
anche questa mentalita' fascista, che permette a una societa' di sentirsi al
sicuro.
*
- Christian Elia: Ma chi e' il colpevole di questa percezione errata del
concetto di sicurezza?
- Lea Tzemel: Oh, e' difficile rispondere a questa domanda... chi e' il
colpevole? Tutti! Tutti quelli che sostengono azioni criminali come la
costruzione del muro. I media israeliani, la classe politica, ma anche gli
Stati Uniti e gli stati europei che non prendono posizione. Alcuni pensano
che non e' stato sempre cosi', ma non credo che sia vero. Spesso la societa'
israeliana ha reagito in base ai risultati di un attacco, non in base al
fatto che non fosse giusto attaccare qualcuno. E' diverso. Si rimprovera
allo stato di aver perso troppi uomini, o di non aver adottato la giusta
strategia. Ma sono davvero pochi quelli che contestano la violenza come
strumento della politica d'Israele.
*
- Christian Elia: Tutti parlano di guerra adesso, ma spesso si dimentica che
Gaza vive da piu' di un anno sotto assedio.
- Lea Tzemel: Sono d'accordo. Il numero di vittime civili crea indignazione,
ma tenere per mesi una popolazione di un milione e mezzo di persone in una
condizione disumana, senza pane e senza medicine, e' un crimine immondo.
Ancora una volta, pero', viene strumentalmente usata la paura dei razzi come
chiave per portare l'opinione pubblica a sostenere operazioni come questa.
Intere famiglie sono state spazzate via, adesso con le armi, prima
affamandoli. Questo e' quello che accade, ma si parla dello choc dei
cittadini di Sderot, non delle madri palestinesi che tengono i cadaveri in
casa perche' non possono uscire. Come fosse la stessa cosa.
*
- Christian Elia: Pensa che con il suo lavoro e quello della sua
associazione, prima o poi, riuscira' a cambiare qualcosa nel sistema
giudiziario israeliano?
- Lea Tzemel: Il sistema legale israeliano e' parte fondante del sistema
distorto della sicurezza di questo Paese. L'unica soluzione e' nel sistema
legale internazionale, ma le protezioni delle quali gode Israele rallentano
questo processo di democratizzazione del sistema legale israeliano. Un
sistema giudiziario e' espressione di un sistema culturale, e il problema in
Israele per il rispetto dei diritti umani dei palestinesi e' in primis
culturale. Le confesso che non ho alcuna speranza che questo cambi, se non
in un tempo molto lungo. Noi lottiamo all'interno di un sistema, cercando le
faglie di una griglia antidemocratica. Ma siamo pochi a lottare in questo
senso. Ricordo ancora che nel 1967, mentre il mio Paese occupava le terre di
persone innocenti, c'erano festeggiamenti in tutto il Paese. Questa e' la
realta', ed in questo sistema bisogna continuare a resistere.

4. RIFLESSIONE. ALESSANDRO PORTELLI INTERVISTA GIACOMA LIMENTANI E PUPA
GARRIBBA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 gennaio 2009 col titolo "Il giardino
della guerra, Gaza, Israele e il rifiuto di riconoscere l'altro" e il
sommario "Con il rumore delle armi in sottofondo, la scrittrice Giacometta
Limentani e la giornalista Pupa Garribba, voci della cultura ebraica,
riflettono sullo star male condiviso di fronte agli eventi di questi giorni.
Perche' i palestinesi della Striscia stanno vivendo un momento terribile, ma
non e' che gli israeliani stiano nel paradiso terrestre"]

Giacometta Limentani, scrittrice, 81 anni, e Pupa Garribba, 74 anni,
giornalista, sono donne di sensibilita' e di pace. Le ho cercate perche' in
questi giorni in cui il rumore delle armi e il rifiuto di riconoscere
l'altro fanno sentire anche me ridotto al silenzio, mi pare importante non
tanto convincersi o convincere, quanto almeno ascoltare - partendo
dall'ambito dei sentimenti, dello star male condiviso.
*
- Giacometta Limentani: E' l'ambito dei sentimenti che mi ferisce di piu'.
Sono le espressioni delle persone, l'aggressivita' delle parole. E' ovvio
che sono ferita a morte, i morti mi terrorizzano, le crudelta' da una parte
e dall'altra mi stravolgono; ho vissuto troppo da vicino cose simili per non
essere sconvolta. Pero' ci sono cose in Israele di un'importanza assoluta:
l'associazione dei genitori che hanno perso i figli, israeliani e
palestinesi; scuole dove bambini e genitori ebrei israeliani e palestinesi
studiano insieme. Io credo che i palestinesi a Gaza stiano vivendo un
momento tremendo; pero' non e' che gli israeliani stanno nel paradiso
terrestre, hanno anche loro i loro guai. Sere fa alla radio una critica
cinematografica parlava del film Il giardino dei limoni (del regista
israeliano Eran Riklis). E diceva che si potra' cominciare a parlare di
dialogo quando anche i palestinesi faranno un film simile sulle sofferenze
degli israeliani.
- Pupa Garribba: Io vivo piu' dall'interno le vicende israeliane perche' ci
vado spesso, ho una figlia che vive in Israele e dei nipoti che crescono in
Israele. Negli ultimi tempi stanno verificandosi situazioni diverse. Mia
figlia vive in un kibbutz pacifista, lei e i suoi amici sono quelli che
riempivano le piazze per protestare contro le guerre ingiuste. E non mi sono
stupita del fatto che a Tel Aviv ci sono state soltanto mille persone a
manifestare. Perche' non ce la fanno piu'. Sono assolutamente esausti. E'
impossibile continuare la vita con chi non ti riconosce e ti dice che non ti
riconoscera' mai il diritto di avere uno stato. Io ho vissuto a Gerusalemme,
tra il '67 e il '69; passavo molto tempo nei caffe' di Gerusalemme Est con i
palestinesi. Ci raccontavamo le rispettive storie, sembrava tutto possibile.
Gli sbagli che hanno fatto i governi di Israele sono stati terribili, e gli
sbagli che ha fatto l'Autorita' palestinese altrettanto. Pero' a questo
punto la cosa che piu' mi preoccupa e' che ho un nipote di nove anni,
bellissimo, delicatissimo, gli piace disegnare, gli piace la musica. Penso
che fra nove anni vestira' la divisa. E' una cosa che mi tormenta. E mi
domando come arrivera' mio nipote a vestire la divisa, con quali traumi
crescera'. Ho visto Valzer con Bashir e sono rimasta sconvolta, perche'
questi traumi li conosco bene. I ragazzi che hanno fatto le guerre del
Libano o che sono stati a Gaza hanno dei traumi imperituri, non li
cancelleranno mai. Mandano allo sbaraglio ragazzi di diciotto anni che
rimangono segnati per il resto della vita, contro giovani di uguale eta' che
rimarranno segnati per il resto della vita, e mi domando che razza di
societa' ci sara' fra dieci anni, fra venti. Pero' mentre noi l'autoanalisi
la facciamo, mi domando quanti cristiani maroniti, quelli che hanno sgozzato
i tremila palestinesi di Sabra e Chatila, hanno dei sensi di colpa. E quanti
palestinesi cercano di vedere dentro di se' e arrivare a un momento in cui
finalmente ci si guarda negli occhi e si parla.
*
- Alessandro Portelli: Voi dite: perche' Israele dovrebbe fare quello che
gli altri non sono disposti a fare? Pero', proprio perche' Israele ha uno
spessore democratico - con tutti i limiti, come l'esclusione almeno per il
momento dei partiti arabi dalle elezioni - io da Israele come da tutte le
democrazie anche imperfette mi aspetto di piu'.
- Giacometta Limentani: C'e' sempre l'idea che l'ebreo non e' come gli
altri, e gli ebrei sono sempre ammazzati perche' non sono come gli altri.
Prendi Shylock (nel Mercante di Venezia): se un ebreo e' ferito, non
sanguina come gli altri? Siamo esseri umani, con le stesse pulsioni, le
stesse necessita', vogliamo vivere in pace, vogliamo che i nostri figli
siano considerati figli con diritto di vita. E lo stato d'Israele e' fatto
da ebrei, ebrei con delle storie agghiaccianti.
- Pupa Garribba: Non si puo' chiedere una dose doppia di umanita' ai
cittadini israeliani; vorrebbe dire che i palestinesi sono umanamente
inferiori, e questo non lo sopporto. Quando e' scoppiata la guerra nel
Libano i miei nipoti sono stati per sei giorni nei rifugi, poi dopo li hanno
evacuati e per quarantasei giorni sono stati nel centro d'Israele lontano
dai bombardamenti. Io mi sarei aspettata che i palestinesi di Gaza avessero
preso i loro bambini e li avessero ammassati vicino alle frontiere,
chiedendo alla Giordania e all'Egitto di prenderseli. Io questo mi sarei
aspettata, perche' io da loro mi aspetto molto.
*
- Alessandro Portelli: Parlate dei traumi dei ragazzi israeliani; ma,
avessero ragione o torto, non ne possono piu' neanche quelli della
Cisgiordania, non solo Gaza.
- Pupa Garribba: Completamente d'accordo.
*
- Alessandro Portelli: Allora forse non ne possono piu' neanche loro, e
mandano quattro missili.
- Giacometta Limentani: Il fatto che siano gli israeliani a sparare mi
colpisce molto di piu' che se fosse chiunque altro. Lo sento fortissimo e
credo che lo sentiamo tutti. Pero' non trovo giusto dire che siccome sparano
sono nazisti. Come sopportare che gli tirano i missili, continuamente, senza
un attimo di pace. Oggi c'e' un'azione bellica, orrenda; pero' come ti viene
in mente di mandare un kamikaze dentro un bar dove stanno facendo una festa
di nozze? Questa non e' politica, questo e' orrore. E' di questo che gli
israeliani non ce la fanno piu'. Non ce la fai piu', e reagisci.
*
- Alessandro Portelli: Pero' non c'e' proporzione, c'e' un dislivello enorme
di forze.
- Giacometta Limentani: Ma la forza materiale alla lunga non funziona, si
ritorce contro chiunque la usi.
- Pupa Garribba: Io ho vissuto la guerra del Kippur in un kibbutz a venti
chilometri da Gaza, in un rifugio, con due bambine piccolissime, quindi ne
ho un ricordo spaventoso. Visto che le due nazioni sono cosi' strettamente
intricate, se per otto anni tu mandi i missili - hanno calcolato 9.300
missili in otto anni - quanto tempo pensi che possa andare avanti quella
situazione? Fra l'altro, le citta' del Sud di Israele sono la parte piu'
diseredata, citta' di sviluppo che non si sono mai sviluppate, dove la gente
ha difficolta' a trovare lavoro, non ha soldi, e pensa che la colpa sia di
questa guerra perenne per cui le risorse vanno agli armamenti invece che a
loro, e quindi sono portati verso il nazionalismo, verso l'estremismo. I
miei amici sono quelli che hanno provato orrore per la costruzione del muro,
sono i miei amici; adesso mi dicono: da quando c'e' il muro pero' gli
attentati sono finiti. Io rispondo, se il muro fosse stato costruito sulla
linea verde anch'io non avrei avuto niente da dire; ma non e' stato
costruito li'. E loro: forse non sarebbe bastato. E credimi, se mia figlia,
che e' una pacifista ad oltranza, che e' andata in Israele partendo dai
centri sociali, frequentava il centro sociale al Trullo, e in Israele ha
trovato un kibbutz di sinistra dove esprimere il suo desiderio di
uguaglianza - se mia figlia mi dice "non ce la facciamo piu'", vuol dire che
siamo a un punto di non ritorno. Sono rimasta sconvolta quando mi ha detto
questo. E' una sconfitta terribile. Ma non possiamo dare la colpa soltanto a
una parte dei contendenti. Finche' Hamas non riconoscera' lo stato di
Israele, ci sara' una tensione permanente, quelli spareranno da una parte,
gli altri risponderanno dall'altra, e non ci sara' futuro. Io credo che
l'unica maniera saggia sia quella di cercare di parlare con la Siria, che
forse e' pronta per un dialogo.
*
- Alessandro Portelli: La questione dei territori, come la vivete voi?
- Giacometta Limentani: Io? Io restituisco tutto.
- Pupa Garribba: Io pure restituisco tutto. Io sono andata volontaria in
Israele per la guerra dei sei giorni, e mi hanno mandata a raccogliere mele
in un kibbutz sotto il Golan, che allora era siriano e adesso e' occupato:
se da quelle alture butti un sasso, colpisci i tetti del kibbutz. Quindi mi
sono resa conto di come hanno vissuto. Ma sarei prontissima a dare
cinquemila Golan se ci fosse la pace con la Siria. Ma finche' c'e' questo
rifiuto folle di riconoscere lo stato di Israele sara' sempre una ferita
purulenta, che non riesce mai a guarire. Stamattina a "Prima pagina" sentivo
una signora, che non aveva un cognome ebraico e diceva: sono sconvolta se
penso a quando gli israeliani che si ritirano da Gaza trascinandosi dietro i
coloni, e i palestinesi di Gaza che distruggono tutte le infrastrutture che
hanno lasciato gli israeliani. Restituiamo, gli diamo tutto, ce ne andiamo:
ma che uso ne faranno? La sfiducia, lo sconvolgimento e' totale. C'e' un
sacco di gente che continua a dire Hamas vincera'; io credo che piu' passa
il tempo e piu' Israele si irrigidisce.
- Giacometta Limentani: Piazza Duomo mi ha terrorizzato. Loro possono
pregare dove gli pare, pero' una piazza Duomo coperta di musulmani che
pregano cosi' e ogni tanto bruciano una bandiera, ero esterrefatta.
- Pupa Garribba: Io ho mandato a tutti la lettera di Manuela Cartosio che e'
uscita sul "Manifesto". Sono andata alla manifestazione di Roma: se e' una
manifestazione equidistante, non e' giusto che ci fosse gente con la kefia;
se veniva qualcuno con un foulard con la stella di David l'avrebbero
considerata una provocazione. Vendevano le sciarpe multicolori della pace;
ero disposta a comprarle io e a darle perche' si mettessero nella borsa la
kefia e si mettessero la sciarpa della pace. E non c'e' stato un solo
slogan, un solo manifesto per la popolazione. Era tutto Hamas. Credimi, io
non ho accettato l'idea che non abbiano portato via i bambini dalle zone di
guerra.
*
- Alessandro Portelli: Il problema non sono solo i bambini - oggi il fatto
e' che non esistono i crimini di guerra: da quando esistono i bombardamenti,
non c'e' piu' guerra che non sia un crimine in se'.
- Giacometta Limentani: E' vero.
- Pupa Garribba: Pero' io credo che l'opinione pubblica mondiale invece di
parteggiare per l'uno o per l'altro dovrebbe dire basta, non ne possiamo
piu', la dovete smettere.
*
- Alessandro Portelli: Come vedete le posizioni della comunita' ebraica?
- Pupa Garribba: Mi ha colpito che avessero stanziato trecentomila euro di
medicinali da dare due terzi ai bambini di Gaza e un terzo ai bambini di
Sderoth - ne hanno bisogno anche loro, perche' queste cittadine di sviluppo
sono poverissime. Una parte della comunita' ebraica l'ha vista come un
cedimento nei confronti dei palestinesi; io l'ho considerata un fatto molto
rilevante. Ma adesso nella comunita' c'e' paura. Quando senti certe cose sui
negozi degli ebrei di Roma, vengono alla mente dei ricordi terribili. La
paura sta montando. Hai voglia di dire che sono frange - sono frange di
destra e di sinistra che si stanno alleando. E' come se ti sentissi in una
tenaglia. Questo e' quello che prova la gente che ha avuto queste
esperienze. Le liste di proscrizione sono una cosa terribile, ci stanno
riportando indietro di settant'anni. Come facciamo a rimanere insensibili a
queste cose? E come fa mia figlia a rimanere insensibile, a non cedere alla
tensione, all'angoscia, alla stanchezza? Lei ha organizzato l'esodo dei
bambini del kibbutz per 46 giorni. Durante i week end li riportavano in
kibbutz perche' vedessero i papa' e non perdessero i contatti. Mio nipote,
dopo la seconda volta, non ci voleva piu' andare; aveva il terrore delle
cannonate. Lui ha sentito le cannonate per qualche giorno; pensa ai bambini
palestinesi. Allora dico: se noi che abbiamo la possibilita' di fare dei
ragionamenti a freddo perche' le cannonate le sentiamo a distanza,
parteggiamo per uno o per l'altro, vuol dire che non siamo piu' degli esseri
umani. Ma questo ti posso dire: in Israele e' come se ogni soldato che e'
ferito o che muore, e' come se lo conoscessi personalmente, perche' con
sette milioni di abitanti, magari e' il figlio o il nipote di qualcuno che
conosco, e quindi per me e' una cosa terribile. E ogni soldato che viene
mandato al fronte e' uno strazio per tutti. Io non so se Israele ha usato o
no le bombe al fosforo; oggi che hanno mandato i riservisti, vuol dire che
lo stesso Israele non sa piu' che cosa fare.
- Giacometta Limentani: Le avete viste le facce dei soldatini israeliani,
sconvolti, terrorizzati, fuori di se'?
*
- Alessandro Portelli: Io da uno che e' sconvolto, terrorizzato, fuori di
se', io mi aspetto qualunque cosa.
- Pupa Garribba: Ma questo e' il rischio. All'inizio di Valzer con Bashir,
c'e' una muta di cani, ferocissimi, che sembra che ti vengano a sbranare. E'
un sogno ricorrente di un compagno d'armi del regista, che una notte va a
casa sua e gli racconta, aveva 18 anni, era un soldato di leva, e il suo
compito era entrare nei villaggi arabi di notte e ammazzare i cani che
potevano abbaiare e svegliare i combattenti. Ne ha ammazzati ventisei, e
tutte le notti gli venivano contro. Questi sono i risultati della guerra. Da
una parte e dall'altra. Io non ci dormo la notte.

5. RIFLESSIONE. DAVID MEGHNAGI: IL DIALOGO IN FRANTUMI
[Dal quotidiano "Il Messaggero" del 13 gennaio 2009 col titolo "Arabi e
israeliani, quel dialogo in frantumi"]

Se con  la macchina del tempo un viaggiatore potesse tornare per visitare il
mondo arabo un secolo fa, scoprirebbe interi quartieri ebraici e cristiani
con le loro chiese e le loro sinagoghe. Ad Alessandria d'Egitto,
incontrerebbe raffinati intellettuali di origine ebraica e greca in grado di
parlare correntemente in quattro o cinque lingue, il cui attaccamento alle
origini faceva tutt'uno con l'apertura al mondo. Scoprirebbe che tra i
musicisti e i cantanti piu' apprezzati, c'erano molti ebrei che hanno
contributo a rinnovare la musica araba.
Proverebbe molta tristezza all'idea che quel mondo variegato, con le sue
irriducibili varieta', poggiava in realta' su un terreno friabile che nel
giro di qualche decennio sarebbe diventato un ricordo.
La vulgata araba, largamente accettata anche in Europa, vuole che tutto
questo sia accaduto come conseguenza del conflitto arabo-israeliano, come se
da una cosa dovesse scaturire necessariamente e naturalmente l'altra. Il
solo fatto che si faccia ricorso a questa stereotipata spiegazione, per
spiegare processi che hanno radici profonde e che sono avvenuti per fasi
distinte, dovrebbe far riflettere.
Ricondurre i cambiamenti profondi intervenuti nella societa' araba e
islamica unicamente al conflitto arabo-israeliano, e' un atto di diniego e
di rinuncia al pensiero. Il processo che ha investito lo statuto delle
minoranze, ha radici profonde nel fallimento dei processi di
decolonizzazione e nel modo in cui e' stato in seguito declinato il rapporto
fa maggioranze e minoranze all'interno della realta' statale e nazionale
emersa con la fine del dominio europeo. Avere rinunciato a sostenere i
diritti delle minoranze religiose nel Vicino Oriente, e' stato per l'Europa
un grave atto di cecita' politica e morale.
Spariti gli ebrei dal mondo arabo, e' toccato poi alle minoranze cristiane
che certo non erano implicate nel conflitto che oppone Israele ai suoi
vicini. In Turchia, che non e' certo uno Stato arabo, i cristiani erano un
tempo il venti per cento della popolazione. Se sono oggi ridotti al tre per
cento ci sara' pure una qualche ragione. L'emigrazione per scelta, lascia
sempre uno spazio per un ritorno simbolico. Se i simboli spariscono, vuol
dire che il viaggio e' senza ritorno.
L'accusa di proselitismo in alcuni Paesi puo' comportare la pena capitale.
In Arabia e' per legge vietato costruire chiese. In Sudan le minoranze
animiste e cristiane sono perseguitate. In Iraq le chiese sono bruciate. La
realta' del Libano "cristiano" e' un pallido ricordo. In Egitto i copti che
erano un tempo la maggioranza della popolazione, sono protetti ma non
abbastanza di fronte agli attacchi di cui sono fatti oggetto per opera di
chi vorrebbe un giorno trasformarli in dhimmi.
Lo statuto dei dhimmi ha origini antiche. Una prima formulazione la
ritroviamo in una Sura che offre "a coloro cui fu data la Scrittura", una
possibilita' di salvezza in cambio di un tributo che ne contrassegna una
condizione umiliata e disprezzata. Il "Patto di Omar" ne fisso' in seguito
le regole per i secoli a venire, sino a che l'impatto con la civilta'
europea e la penetrazione coloniale non rimise in discussione i codici su
cui poggiava il dominio della maggioranza islamica sulle rispettive
minoranze religiose.
Nella logica del "Patto di Omar", che l'islamismo nelle sue varianti sciita
e sunnita vorrebbe reintrodurre nei paesi a maggioranza islamica, la colpa
piu' grave di una minoranza "protetta" e' di aspirare a diventare
politicamente autonoma, o peggio indipendente. Una tale aspirazione e'
considerata un atto di "hybris" che mette in discussione l'ordine divino.
Di tutte le minoranze religiose del mondo arabo, l'unica ad avere raggiunto
il proprio obiettivo di diventare una nazione sovrana, e' quella ebraica.
Per avere "osato", gli armeni furono massacrati a centinaia di migliaia. La
sparizione delle diversita' culturali che facevano la ricchezza del mondo
arabo e islamico nel suo periodo piu' luminoso, ha provocato un grande vuoto
psicologico e spirituale. Sparite le pluralita' interne che rendevano nel
mondo arabo familiare il "diverso", il rifiuto dell'Altro si e' interamente
trasferito nell'odio contro Israele.

6. DOCUMENTAZIONE. EDUARDO GALEANO: IL TERRORISMO DI STATO FABBRICA
TERRORISTI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 gennaio 2009 col titolo "Piombo
impunito"]

Per giustificarsi, il terrorismo di stato fabbrica terroristi: semina odio e
raccoglie pretesti. Tutto indica che questa macelleria di Gaza, che secondo
gli autori vuole sconfiggere i terroristi, riuscira' a moltiplicarli.
Dal 1948 i palestinesi vivono una condanna all'umiliazione perpetua. Senza
permesso non possono nemmeno respirare. Hanno perso la loro patria, la loro
terra, l'acqua, la liberta', tutto. Non hanno nemmeno il diritto di eleggere
i propri governanti. Quando votano chi non devono, vengono castigati. Gaza
viene castigata. Si e' trasformata in una trappola per topi senza uscita da
quando Hamas vinse limpidamente le elezioni nell'anno 2006. Qualcosa di
simile era accaduto nel 1932, quando il Partito Comunista aveva trionfato
nelle elezioni in Salvador. Inzuppati nel sangue, i salvadoregni espiarono
la loro cattiva condotta e da allora vivono sottomessi a dittature militari.
La democrazia e' un lusso che non tutti meritano.
Sono figli dell'impotenza i razzi caserecci che i militanti di Hamas,
rinchiusi a Gaza, sparano con mira pasticciona sopra le terre che erano
state palestinesi e che l'occupazione israeliana ha usurpato. E la
disperazione, al limite della pazzia suicida, e' la madre delle spacconate
che negano il diritto all'esistenza di Israele, urla senza alcuna efficacia,
mentre una molto efficace guerra di sterminio sta negando, da anni, il
diritto all'esistenza della Palestina.
Gia' non ne resta molta, di Palestina. Passo dopo passo Israele la sta
cancellando dalla mappa. I coloni invadono, e dietro di loro i soldati
modificano la frontiera. I proiettili sacralizzano il furto, in legittima
difesa.
Non c'e' guerra aggressiva che non dica d'essere guerra difensiva. Hitler
invase la Polonia per evitare che la Polonia invadesse la Germania. Bush
invase l'Iraq per evitare che l'Iraq invadesse il mondo. In ognuna delle sue
guerre difensive Israele ha inghiottito un altro pezzo di Palestina, e il
pasto continua. Il divorare si giustifica con i titoli di proprieta' che la
Bibbia ha assegnato, per i duemila anni di persecuzioni che il popolo ebreo
ha sofferto, e per il panico causato dai palestinesi che hanno davanti.
Israele e' il paese che non adempie mai alle raccomandazioni e nemmeno alle
risoluzioni delle Nazioni Unite, che non si adegua mai alle sentenze dei
tribunali internazionali, che si fa beffe delle leggi internazionali, ed e'
anche il solo paese che ha legalizzato la tortura dei prigionieri.
Chi gli ha regalato il diritto di negare tutti i diritti? Da dove viene
l'impunita' con cui Israele sta eseguendo la mattanza di Gaza? Il governo
spagnolo non avrebbe potuto bombardare impunemente il Paese Basco per
sconfiggere l'Eta, ne' il governo britannico avrebbe potuto radere al suolo
l'Irlanda per liquidare l'Ira. Forse la tragedia dell'Olocausto comprende
una polizza di impunita' eterna? O quella luce verde proviene dalla potenza
piu' potente, che ha in Israele il piu' incondizionato dei suoi vassalli?
L'esercito israeliano, il piu' moderno e sofisticato del mondo, sa chi
uccide. Non uccide per errore. Uccide per orrore. Le vittime civili si
chiamano danni collaterali, secondo il dizionario di altre guerre imperiali.
A Gaza, su ogni dieci danni collaterali tre sono bambini. E sono migliaia i
mutilati, vittime della tecnologia dello squartamento umano che l'industria
militare sta saggiando con successo in questa operazione di pulizia etnica.
E come sempre, e' sempre lo stesso: a Gaza, cento a uno. Per ogni cento
palestinesi morti, un israeliano.
Gente pericolosa, avverte l'altro bombardamento, quello a carico dei mezzi
di manipolazione di massa, che ci invitano a credere che una vita israeliana
vale quanto cento vite palestinesi. Questi media ci invitano a credere che
sono umanitarie anche le duecento bombe atomiche di Israele, e che una
potenza nucleare chiamata Iran e' stata quella che ha annichilito Hiroshima
e Nagasaki.
E' la cosiddetta comunita' internazionale, ma esiste?
E' qualcosa di piu' di un club di mercanti, banchieri e guerrieri? E'
qualcosa di piu' di un nome d'arte che gli Stati Uniti si mettono quando
fanno teatro?
Davanti alla tragedia di Gaza l'ipocrisia mondiale brilla una volta di piu'.
Come sempre l'indifferenza, i discorsi inutili, le dichiarazioni vuote, le
declamazioni altisonanti, i comportamenti ambigui rendono omaggio alla sacra
impunita'.
Davanti alla tragedia di Gaza i paesi arabi si lavano le mani. Come sempre.
E come sempre i paesi europei se le fregano.
La vecchia Europa, tanto capace di bellezza e di perversione, sparge una
lacrima o due mentre segretamente celebra questo colpo maestro. Perche' la
caccia agli ebrei e' sempre stata un'abitudine europea, ma da mezzo secolo
questo debito storico viene fatto pagare ai palestinesi, che pure sono
semiti e non sono mai stati, e non sono, antisemiti. Essi stanno pagando, in
sangue contante e sonante, un conto altrui.
(Questo articolo e' dedicato ai miei amici ebrei assassinati dalle dittature
latinoamericane sostenute da Israele).

7. RILETTURE. URI AVNERY: MIO FRATELLO, IL NEMICO
Uri Avnery, Mio fratello, il nemico, Diffusioni 84, Milano 1988, pp. X +
250, lire 24.000. Un libro che occorre aver letto.

8. RILETTURE. HANNAH ARENDT: LE ORIGINI DEL TOTALITARISMO
Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunita', Milano
1967, 1996, pp. LVI + 712, lire 36.000. Un libro che occorre aver letto.

9. RILETTURE. FRANCO FORTINI: I CANI DEL SINAI
Franco Fortini, I cani del Sinai, De Donato, Bari 1967, Einaudi, Torino
1979, pp. IV + 76, lire 2.500. Un libro che occorre aver letto.

10. RILETTURE. DAVID GROSSMAN: LA GUERRA CHE NON SI PUO' VINCERE
David Grossman, La guerra che non si puo' vincere, Mondadori, Milano 2003,
pp. VI + 186, euro 14,60. Un libro che occorre aver letto.

11. RILETTURE. RAUL HILBERG: LA DISTRUZIONE DEGLI EBREI D'EUROPA
Raul Hilberg, La distruzione degli ebrei d'Europa, Einaudi, Torino 1995, pp.
XXIV + 1394 (in 2 voll.), lire 38.000. Un libro che occorre aver letto.

12. RILETTURE. BENNY MORRIS: VITTIME
Benny Morris, Vittime. Storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001,
Rizzoli-Rcs, Milano 2001, 2003, pp. 944, euro 12,90. Un libro che occorre
aver letto.

13. RILETTURE. EDWARD W. SAID: LA CONVIVENZA NECESSARIA
Edward W. Said, La convivenza necessaria, Indice Internazionale, Roma 1999,
pp. 96, lire 10.000. Un libro che occorre aver letto.

14. RILETTURE. EDWARD W. SAID: FINE DEL PROCESSO DI PACE
Edward W. Said, Fine del processo di pace. Palestina/Israele dopo Oslo,
Feltrinelli, Milano 2002, pp. 286, euro 20. Un libro che occorre aver letto.

15. RILETTURE. SUSAN SONTAG: DAVANTI AL DOLORE DEGLI ALTRI
Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri, Mondadori, Milano 2003, pp. IV
+ 116, euro 13. Un libro che occorre aver letto.

16. RILETTURE. ABRAHAM B. YEHOSHUA: EBREO, ISRAELIANO, SIONISTA: CONCETTI DA
PRECISARE
Abraham B. Yehoshua, Ebreo, israeliano, sionista: concetti da precisare,
Edizioni e/o, Roma 2000, 2001, pp. 96, lire 12.000. Un libro che occorre
aver letto.

17. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

18. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 703 del 17 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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