Voci e volti della nonviolenza. 286



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 286 del 16 gennaio 2009

In questo numero:
1. Bruno Gravagnuolo intervista Gianni Francioni
2. Guido Liguori presenta "Gramsci tra Mussolini e Stalin" di Angelo Rossi e
Giuseppe Vacca
3. Guido Liguori presenta "Studi gramsciani nel mondo 2000-2005" a cura di
Giuseppe Vacca e Giancarlo Schirru
4. Guido Liguori presenta "Antonio Gramsci in contrappunto" di Giorgio
Baratta
5. La Fondazione Istituto Gramsci
6. La International Gramsci Society Italia

1. RIFLESSIONE. BRUNO GRAVAGNUOLO INTERVISTA GIANNI FRANCIONI
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 7 maggio 2007 col titolo "Gramsci, viaggio
infinito al centro dei Quaderni" e il sommario "Intervista a Gianni
Francioni, storico della filosofia e direttore dell'edizione critica dei
Quaderni del Carcere nella nuova edizione nazionale. Un'impresa filologica
che riordina le note gramsciane con criteri nuovi e mirati all'ordine
logico. 'Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente
delle scoperte originali, significa anche e specialmente diffondere
criticamente delle verita' gia' scoperte, socializzarle... e farle
diventare... elemento di ordine intellettuale e morale'"]

C'era una volta l'edizione tematica dei Quaderni del carcere in sei volumi,
quella voluta da Togliatti nel 1947. Arbitraria ma utile, e ricavata da
alcuni titoli indicati dallo stesso Gramsci: Il materialismo storico e la
filosofia di Benedetto Croce, il Risorgimento, Note sul Machiavelli, etc.
Poi nel 1975 venne la capitale edizione Einaudi di Valentino Gerratana in
quattro volumi, oggi ristampata, rigorosamente cronologica e senza i
quaderni di traduzione (4 quaderni su 33). Oggi, non senza polemiche in
passato, arriva invece l'Edizione nazionale degli scritti, che include le
traduzioni fatte dal prigioniero e tutti i carteggi paralleli (Gramsci,
Schucht, Sraffa). E prevede per i soli Quaderni 6 o 7 tomi (Fondazione
Gramsci - Istituto dell'Enciclopedia italiana). La novita', anticipata da
"L'Unita'" lunedi' scorso, e' grossa e anche controversa. Poiche' il
criterio non e' piu' solo cronologico, bensi' per "partizioni". Basato cioe'
sulle distinzioni interne che Gramsci stesso in carcere "immaginava" per
tutto il suo lavoro. Resta "l'unita'-Quaderno" ripristinata dallo scomparso
Gerratana, e anche la sua cronologia, grosso modo. Tuttavia (con le
traduzioni a parte) vengono separati i tipi di "quaderni": "miscellanei",
"misti" e "speciali". E' un tentativo di radiografare l'ordine "ideale" e
logico di una scrittura frammentaria e compressa dal carcere, ma aperta a un
progetto continuo, fatto di "enunciati mobili". Un altro Gramsci? Anch'esso
arbitrario? Il vero Gramsci? O un Gramsci piu' leggibile? Ne parliamo con
Gianni Francioni, ordinario di storia della filosofia a Pavia, sassarese, 57
anni. Da oltre un trentennio sulle piste di un'impresa del genere, che oggi
va in porto sotto la sua direzione (con Giuseppe Cospito e Fabio Frosini)
proprio nel settantesimo della morte di Gramsci.
*
- Bruno Gravagnuolo: Professor Francioni, perche' nel riordinare i Quaderni
del carcere nella nuova edizione nazionale, il criterio cronologico usato da
Valentino Gerratana non bastava piu'?
- Gianni Francioni: Ci ho lavorato per anni. Ma, detto in breve, mi sono
convinto che esista un ordine dei Quaderni ideato da Gramsci stesso. E che
sia stato l'autore stesso a conferire ad essi il carattere di un insieme
strutturato in aree o settori abbastanzi precisi. E cio' sulla base del modo
di stesura, dei vari sdoppiamenti dei Quaderni. Delle linee di sequenza. Ci
sono infatti quaderni o blocchi di essi che nel momento di terminare,
vengono proseguiti in un altro quaderno, e poi ci sono i ritorni
all'indietro. Insomma, esiste una cronologia, ben ricostruita da Gerratana.
Ma essa e' in larga parte indiziaria, ricavata da vari elementi presuntivi,
tra inizio e fine. Cio' che ho cercato di fare in piu', e' vedere se tra un
quaderno e l'altro vi fossero dei collegamenti, e se agli occhi di Gramsci
l'insieme fosse strutturato in ambiti. Se cioe' lui stesso scorgesse queste
aree distinte: traduzioni, quaderni miscellanei, speciali, etc. Il
prigioniero era costretto dalle regole carcerarie a non poter disporre di
piu' di quattro quaderni per volta, o cinque. Il che lo spinse a scegliere
una certa struttura, inclusiva di cronologia e aree particolari,
sovrapposte.
*
- Bruno Gravagnuolo: Nondimeno voi distinguete vari tipi di quaderni,
separandoli in miscellanei, misti e speciali, pur nel dar conto della
cronologia acquisita da Gerratana. E' una rivoluzione...
- Gianni Francioni: Nel caso dei quaderni di traduzione il problema non si
pone, perche' Gerratana non li aveva inclusi nella sua edizione, che
collocava gli altri quaderni in sequenza cronologica di inizio. Scelta
legittima. E tuttavia, allorche' si decide di inserire i quaderni di
traduzione, estraendoli dagli altri, deve cambiare tutta la strutturazione.
Cosa peraltro che rende meglio l'idea complessiva del lavoro di Gramsci in
carcere.
*
- Bruno Gravagnuolo: Perche' e' utile distinguere strutturalmente quaderni
"miscellanei", "misti" e "speciali", e in che cosa consiste la loro
differenza?
- Gianni Francioni: La distinzione e' data dal loro carattere. I quaderni
speciali sono inventati da Gramsci nei primi mesi del 1932, in una fase in
cui capisce che la mole di note che aveva scritto non era fruibile da un
lettore a venire. Era persuaso che questa fosse la sua eredita' letteraria,
e percio' la concepiva al futuro, per scongiurare il rischio di un puro
zibaldone illeggibile. Lo "speciale" invece e' un tentativo di riordinare la
materia, benche' per lui nessun quaderno di tal tipo fosse un libro o un
saggio definitivo. Piuttosto una rielaborazione "in progress".
*
- Bruno Gravagnuolo: Si puo' dire quindi che i "miscellanei" fossero degli
"archivi/progetto" da cui Gramsci attingeva per i quaderni sucessivi?
- Gianni Francioni: Senza dubbio. Se non fosse stato in carcere avrebbe
usato delle schede. E' proprio questo il carattere dei quaderni miscellanei.
*
- Bruno Gravagnuolo: Veniamo ai nuclei e ai titoli di possibili opere o
monografie al futuro. Quali sono a suo avviso?
- Gianni Francioni: Monografie in senso proprio nessuna. Gramsci parte con
un elenco di argomenti principali ampio. Non con raggruppamenti di materie,
come quelli usati dall'edizione Togliatti del 1947 ed enucleati piu' tardi
rispetto all'inizio. Ecco l'elenco, dal Quaderno 1: teoria della storia
della storiografia, sviluppo della borghesia italiana fino al 1870,
letteratura popolare, Cavalcanti, l'Azione cattolica, il folklore... Questi
sono i temi su cui si propone di scrivere note. Non c'e' l'idea di
monografie: e' uno schedario di rubriche. Via via pero' Gramsci restringe e
focalizza. Per esempio, quando nel 1930 compare il blocco di note intitolato
"Appunti di filosofia, materialismo e idealismo", e' chiaro che non lo aveva
previsto all'inizio. E che sta disegnando un ambito in cui condensare la sua
idea del materialismo storico e della filosofia della prassi. Lo stesso vale
in "Per la storia degli intellettuali italiani", note della fine del 1930, e
anche qui sta abbozzando un altro ambito particolare di ricerca, come scrive
a Tatiana in quel momento. Infine nel 1932 c'e' l'avvio dei quaderni
speciali, nei quali tenta di riordinare tutto il materiale gia' elaborato.
In pratica Gramsci non aveva un solo programma di ricerca, ma se ne da' di
successivi. E nemmeno c'e' un tema dominante.
*
- Bruno Gravagnuolo: Impossibile circoscrivere un fulcro concettuale e
tematico?
- Gianni Francioni: Il fulcro ideale c'e' a mio avviso, e sono i quaderni
filosofici: 10, 11, 12, 13. Su Croce e il suo rovesciamento, su Bucharin
contro il suo marxismo popolare, sugli intellettuali e su Machiavelli. Sono
queste le pagine piu' costruite e piu' lavorate.
*
- Bruno Gravagnuolo: E la questione dell'"economia-mondo", con quella del
fordismo ormai egemone nel tempo moderno?
- Gianni Francioni: Questo piu' avanti, in "Americanismo e fordismo" ad
esempio, negli ultimi quaderni. Poi, ovunque e in parallelo, tanti altri
temi: la letteratura, il folklore, il senso comune. Meno importanti rispetto
ai quaderni filosofici e a quelli sul fordismo. Va detto che i quaderni del
1932 sono quelli piu' "energici" e lavorati. Da un certo momento invece
Gramsci riversa e addirittura ricopia negli "speciali" elementi dei
"miscellanei".
*
- Bruno Gravagnuolo: Ma quali sono le "rocce" vere e proprie nei pensieri di
Gramsci? Quelle cioe' che parlano di piu' a un lettore contemporaneo?
- Gianni Francioni: Stabilito un testo sicuro, la vera roccia e' il tratto
di una scrittura continua e metodica. La capacita' di lavoro. Il riuscire,
come lui dice, a "cavare sangue dalle rape", da una pagina di giornale, da
un dettaglio. Per incontrare il vasto mondo. E il concetto a mio avviso piu'
forte e' quello di "rivoluzione passiva", davvero epocale. Con il quale
Gramsci cercava di revisionare il marxismo del suo tempo.
*
- Bruno Gravagnuolo: Rivoluzione passiva come dipendenza delle aree
geopolitiche piu' arretrate da quelle piu' avanzate, dentro la connessione
mondiale? E come inclusione passiva dentro la modernita' dei subalterni?
- Gianni Francioni: Proprio cosi'. E non per caso Gramsci inizia i Quaderni
traducendo una rivista tedesca che parla di forme di vita americana, di
narrativa, costume, cinema. Era attratto da quel mondo, dalla sua egemonia
globale, di mercato e non solo, rispetto alla vecchia Europa. Tutto cio'
verra' rielaborato nelle note sul fordismo. Quella di Gramsci e' una teoria
della modernita': dall'economia all'immaginario. Ecco cio' che la rende
affascinante. Cosi' come sono affascinanti i concetti di "egemonia", di
"Oriente e Occidente", diversi e interconnessi per morfologia e livelli di
sviluppo. Una visione larga, che ci mostra come l'oriente bolscevico fosse
arretratezza per lui. Inadeguato a fungere da modello per la politica e la
rivoluzione ad ovest.
*
- Bruno Gravagnuolo: Filosofia delle classi subalterne per attrezzarle al
governo, senza farsi scavalcare dai processi di modernizzazione?
- Gianni Francioni: A questo tendono tutti i fili dell'opera di Gramsci,
anche quelli apparentemente piu' episodici e casuali, dal senso comune al
folklore. Una capacita' di vedere in grande la sua. Con l'idea che attorno
alla teoria politica ruotassero tutta una serie di problemi
"sovrastrutturali", cruciali per la politica e l'azione egemonica.
*
- Bruno Gravagnuolo: E se l'opera di Gramsci stesse proprio nella sua
"macchina di scrittura"? In una teoria della modernita', sprigionata dalla
critica delle forme di potere dominanti?
- Gianni Francioni: Possiamo dire di si', senza esagerare. Visto che era
condannato a essere uno scrittore di frammenti, in un mosaico infinito di
tessere. Un modo a lui congeniale, per carattere e stile intellettuale, che
procedeva per stratificazioni sucessive e aggiustamenti del tiro. Colpisce
infatti nei Quaderni vedere come egli ritorni sugli stessi concetti, per
limarli e modificarli. E poi aprire nuovi ambiti di ricerca. Una pratica di
liberazione culturale, perseguita con coerenza e onesta', e coscienza di una
provvisorieta' bisognosa di ulteriori verifiche.
*
- Bruno Gravagnuolo: E cosa replica a chi potrebe accusare la vostra
edizione "non cronologica" di ricadere nella tematizzazione arbitraria?
- Gianni Francioni: Intanto non e' un edizione tematica, come quella di
Togliatti che smontava per temi i Quaderni, operazione allora meritoria.
Bensi' la proposta di una diversa partizione, rispondente all'ordine stesso
che Gramsci voleva dare al suo lavoro. Del resto il filologo, dinanzi a un
testo inedito come questo, non puo' che rappresentarlo cercando di decifrare
la volonta' dell'autore. Naturalmente tutto e' discutibile, ma e' una
responsabilita' a cui lo studioso non puo' venir meno.

2. LIBRI. GUIDO LIGUORI PRESENTA "GRAMSCI TRA MUSSOLINI E STALIN" DI ANGELO
ROSSI E GIUSEPPE VACCA
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 luglio 2007 col titolo "Quello che
non e' scritto nei Quaderni del carcere"]

Data dagli anni Novanta un interesse reale per la vicenda carceraria di
Gramsci, che accompagna l'ormai acquisita coscienza della necessita' di
leggere i Quaderni in modo diacronico. Essa si nutre di nuovi ritrovamenti
negli archivi di Mosca e di un'attenta riconsiderazione degli epistolari di
Gramsci e dei suoi interlocutori. Perfetto esempio di questo approccio e' il
recente libro di Angelo Rossi e Giuseppe Vacca, Gramsci tra Mussolini e
Stalin (Fazi, pp. 245, euro 19) che presenta due documenti finora
sconosciuti, scritti da Gennaro Gramsci dopo la celebre visita al fratello
nel carcere di Turi, inviato da Togliatti per conoscere gli orientamenti del
prigioniero in merito alla "svolta" del '29 che inaugurava la politica del
socialfascismo.
*
Nuove ipotesi dai carteggi
Sebbene non contengano rivelazioni eclatanti, questi documenti confermano
sia l'interesse con cui Gramsci seguiva gli avvenimenti del "mondo grande e
terribile" ("sono al corrente di tutto perche' le molte riviste che leggo...
riportano tutti i fatti salienti della vita mondiale"), sia la netta presa
di posizione contro la previsione di repentino crollo del fascismo propria
della "svolta" ("non credo che la fine sia cosi' vicina. Anzi ti diro', noi
non abbiamo ancora visto niente, il peggio ha da venire").
Gli autori si spingono avanti nello studio dei carteggi, per formulare nuove
ipotesi su alcuni rilevanti passaggi della vicenda. Composto da quattro
saggi, firmati dai due autori (ma scritti dichiaratamente dall'uno o
dall'altro), il libro offre notevoli materiali e spunti di riflessione,
qualche novita' di indubbio rilievo, e una serie di ipotesi interessanti pur
se discutibili. In particolare, i quattro saggi sono dedicati al rapporto e
alla comunicazione tra Gramsci in carcere e il partito, ai documenti inediti
stesi da Gennaro dopo la visita del 1930 a Turi, alla ripresa del tema della
Costituente (il "cazzotto nell'occhio") con cui Gramsci prospetto' nei
colloqui con gli altri detenuti comunisti un'alternativa al rozzo ottimismo
staliniano affermatosi nel 1928-'29 e, infine, all'analisi del 1933,
l'ultimo anno trascorso a Turi, e alle ipotesi di liberazione del
prigioniero per tramite di una trattativa interstatale. Ma vengono
affrontati nel volume, spesso con acutezza, altri momenti topici della
vicenda, quali il ruolo di Sraffa, la lettera di Grieco del '28,
l'attenzione con cui Mussolini seguiva le cose di Gramsci, la vigilanza del
prigioniero perche' mai un suo gesto potesse essere interpretato come
capitolazione davanti al fascismo.
*
Sraffa comunista?
E' noto come intorno al capo dei comunisti italiani costretto in carcere vi
fosse una rete di persone non solo impegnate nell'aiutare il prigioniero, ma
nel garantire una prudente comunicazione con il vertice del partito: il
"circolo virtuoso" Gramsci-Tania-Sraffa-Togliatti (e viceversa). Ebbene, gli
autori affermano che Sraffa non vi abbia preso parte solo in quanto fidato
amico di Gramsci, antifascista e simpatizzante dell'"Ordine Nuovo", ma in
quanto comunista "sotto copertura", non formalmente iscritto proprio per
poter svolgere i compiti particolari affidatigli (lo stesso si afferma di
Gennaro Gramsci). Sraffa acquista anzi - attraverso l'analisi della sua
corrispondenza con Tania - un forte ruolo dirigente, che ridimensiona
implicitamente quello della cognata. La tesi di Sraffa dirigente comunista -
almeno nell'ambito dell'affaire Gramsci - e' suggestiva, forse non lontana
dal vero, ma resta non suffragata da prove documentarie.
Un secondo aspetto da ricordare e' quello dei codici di comunicazione che
Sraffa e Togliatti avrebbero escogitato per dialogare con Gramsci. Su questo
terreno, il libro non e' del tutto convincente. E' chiaro che il linguaggio
gramsciano, a causa della censura, specie nelle Lettere, sia pieno di doppi
sensi, di riferimenti impliciti, di messaggi tra le righe. Senza dire del
carattere analogico e metaforico del ragionare di Gramsci. Ma che tutto
questo si possa definire un codice appare forzato. Si tratta in molti casi
di metafore trasparenti, di riferimenti all'attualita' appena velati. E'
chiaro che se Gramsci ragiona sul ruolo di Croce, ha alle spalle
un'elaborazione pregressa e condivisa con Togliatti. Per cui parlare di
Croce in un certo modo costituisce anche una conferma della "politica di
Lione" e dell'analisi della societa' italiana che essa aveva alle spalle.
Che gli interlocutori di Gramsci fossero interessati a decifrarne le
opinioni sull'attualita' e' evidente, come dimostra la lettera di Sraffa a
Togliatti in cui si esplicita la volonta' di trovare temi di ricerca "il cui
contenuto politico possa essere fatto passare sotto veste di letteratura".
L'unico esempio che puo' essere segnalato come un tentativo di comunicazione
codificata e' quello relativo allo studio gramsciano sul Canto X
dell'Inferno. A tal proposito, viene da osservare che Gramsci non ha scritto
in carcere centinaia di pagine su Dante e su temi analoghi al fine di
ingannare la censura: sono argomenti che gli interessano in quanto tali. Ne'
e' pensabile che egli possa aver piegato la propria interpretazione a motivi
esogeni. E, d'altra parte, sembra ben povero il contenuto di tale
comunicazione esoterica: come Cavalcante - farebbe intendere il
prigioniero - sono preoccupato delle sorti di mio "figlio", il partito; ne'
dovete farmi passare per eroe, voglio combattere anche per uscire vivo di
galera... Tutto qui il messaggio "in codice" di Gramsci? Non sembra un
granche'. Nonostante tali perplessita', va pero' detto che il lavoro
ermeneutico degli autori resta importante per documentare l'attenzione
gramsciana all'attualita' e la sua opposizione agli indirizzi prevalenti ai
vertici dell'Internazionale. Esso fornisce convincenti esempi di
interpretazione del carteggio, e indica la ricchezza di una lettura
contestuale dell'intero epistolario e dei carteggi paralleli. Che non e'
merito da poco.
Un terzo punto di rilievo e' la sottolineatura dell'attenzione prestata da
Gramsci al contesto geopolitico e al riavvicinamento temporaneo verificatosi
tra Roma e Mosca dopo l'ascesa al potere di Hitler, anche in relazione alla
lotta del prigioniero per ottenere la liberazione e salvarsi la pelle. I
forti richiami a Tania (dunque a Togliatti, se non si dimentica il "circolo
virtuoso") perche' si agisse a livello di Stati, senza coinvolgere il
partito, viene spiegato con la consapevolezza gramsciana che il fascismo mai
avrebbe concesso la liberazione se essa fosse sembrata un successo delle
opposizioni. Questo era stato l'errore gia' della lettera di Grieco del '28.
E molti danni vennero poi compiuti dall'iniziativa delle forze antifasciste
fuori d'Italia: esse accusavano il Pcd'I di aver "abbandonato Gramsci",
costringendo cosi' anche il partito a incrementare le proteste, che pero'
sortivano effetti opposti a quelli desiderati. In questo quadro, sembra agli
autori che sarebbe stata possibile la liberazione del prigioniero in
occasione della visita a Roma del ministro degli esteri sovietico, nel 1933.
E viene avanzata l'ipotesi che sia mancata solo, da parte comunista, la
volonta' di compiere un preciso passo in questo senso. Gramsci vittima di
Togliatti? O, come sembra suggerire il libro, di Stalin? Domande ancora una
volta senza risposta.
Ma senza supporto di prova resta tutta l'argomentazione. Si tocca qui, mi
pare, un punto centrale di metodo: e' giusto avanzare ipotesi interpretative
non suffragate da alcuna "pezza d'appoggio"? Non si rischia di scrivere
cosi', per certi versi, un romanzo storico? Bisogna ovviamente distinguere
da caso a caso. Ma una grande cautela e' necessaria quando non si hanno
riscontri di fatto.
*
Esercizi di ermeneutica
Molti altri spunti interessanti offre il libro di Rossi e Vacca. Vorrei
ricordarne in conclusione solo un altro, che e' anche il piu' rilevante dal
punto di vista teorico-politico: la questione della Costituente di cui ebbe
a parlare Gramsci in carcere, il cui problema di fondo e' nella valutazione
che essa contiene della "fase di transizione" e piu' in generale del fine
della transizione stessa. A tal proposito Vacca scrive: "Sia la teoria
dell'egemonia sviluppata nei Quaderni, sia la concezione della 'democrazia
di nuovo tipo' (le posizioni di Togliatti e Dimitrov - ndr), implicano il
superamento della teoria della 'rivoluzione proletaria' e della 'dittatura
del proletariato', e comportano quindi una riformulazione del 'fine ultimo',
se non il suo abbandono". A me sembra che se con cio' si vuole affermare che
Gramsci opera in carcere una ridefinizione profonda dell'idea di
rivoluzione, prendendo le distanze definitivamente dal modello bolscevico
con una serie di categorie storico-politiche originali (egemonia, guerra di
posizione, ecc.) si dice cosa inoppugnabile. Se invece si vuol dire che
cosi' viene meno in Gramsci, novello Bernstein, il "fine ultimo" del
superamento della societa' capitalistica, si dice qualcosa che - per quanti
esercizi di ermeneutica si facciano - non troviamo scritto nei Quaderni.

3. LIBRI. GUIDO LIGUORI PRESENTA "STUDI GRAMSCIANI NEL MONDO 2000-2005" A
CURA DI GIUSEPPE VACCA E GIANCARLO SCHIRRU
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 luglio 2007 col titolo "I concetti di
Gramsci al filtro delle lingue straniere" e il sommario "Primo di una serie
di annali che intendono offrire una rassegna delle ricerche su Gramsci fuori
d'Italia, il volume Studi gramsciani nel mondo 2000-2005 a cura di Giuseppe
Vacca e Giancarlo Schirru rivela l'attenzione internazionale rivolta ai
Quaderni. Anche se, come nota nel suo contributo Marcus Green, non mancano
letture incomplete e fraintendimenti"]

La fortuna di Gramsci nel mondo, e la rilevanza numerica dei contributi su
Gramsci in lingua inglese (dovuta ai cultural studies e ai subaltern
studies, per i quali egli e' forse il massimo autore di riferimento), e' un
dato acquisito, come e' stato dimostrato - in questo settimo decennale della
morte - anche dal convegno internazionale organizzato dalla Fondazione
Gramsci in collaborazione con l'International Gramsci Society su "Gramsci,
le culture e il mondo" lo scorso aprile; e dal convegno della stessa Igs su
"Antonio Gramsci, un sardo nel 'mondo grande e terribile'", che si e' svolto
a maggio in Sardegna con la partecipazione di oltre sessanta studiosi, di
cui la meta' provenienti dall'estero (una decina dagli Stati Uniti, sei
dall'Australia, cinque dal Brasile; e altri dal Regno Unito, dal Canada,
dalla Romania, dalla Francia, dal Messico, dal Giappone).
Se si va al di la' del dato quantitativo, quali sono i temi gramsciani che
piu' hanno diffusione al di fuori del nostro paese? Un contributo di
conoscenza e' dato da una pubblicazione della stessa Fondazione Gramsci,
Studi gramsciani nel mondo 2000-2005, a cura di Giuseppe Vacca e Giancarlo
Schirru (il Mulino 2007, pp. 345, euro 24,50), primo di una serie di annali
che si prefiggono di offrire una rassegna degli studi su Gramsci scritti
fuori d'Italia. Un comitato scientifico quale quello che presiede alla
pubblicazione - con studiosi che operano in Francia, Giappone, Stati Uniti,
Russia, Messico, Germania, oltre che in Italia - puo' monitorare l'evolversi
degli studi su scala internazionale e operare una selezione di qualita'.
L'osservazione che si puo' fare e' solo quella della necessita' di
allargarlo a esponenti di altre aree geoculturali: l'assenza di
rappresentanti di realta' come quella brasiliana e quella australiana sono
pecche alle quali non sara' difficile porre rimedio.
Il volume in questione e' composto da undici saggi, scelti con un duplice
criterio: alcuni per il valore di rappresentativita' dei contesti culturali
dai quali provengono; altri quali contributi specialistici di oggettiva
rilevanza. Sul primo versante, gli scritti di Michaelle Browers su "societa'
civile" e "intellettuale" nel mondo arabo, di Markus Bouillon sul declino
del processo di pace in Medio Oriente, di Rupe Simms sulla Black Theology in
Sud Africa e di Claire Cutler sulla concezione gramsciana del diritto
globale hanno un valore soprattutto documentario.
Indubbiamente interessante e' lo scritto di Amartya Sen sui rapporti di
Sraffa con Gramsci e con Wittgenstein: il premio Nobel ricorda come Sraffa
abbia influenzato la svolta teorica tra il Tractatus e le Ricerche (il fatto
era noto), ma mette anche in rilievo come le idee sul linguaggio
dell'economista italiano fossero quelle del suo amico Gramsci. Tesi
affascinante anche se un po' aleatoria.
Certo la collocazione di Gramsci in un consesso di tale livello - tra
Wittgenstein e Sraffa - gia' di per se' aiuta a spiegarne la statura e
l'enorme influenza del lascito intellettuale, rispetto alla quale persino
l'accademia italiana inizia a mostrare qualche crepa: il successo del Centro
interuniversitario di studi gramsciani, promosso dalla Igs Italia e
presieduto da Pasquale Voza, ne e' un chiaro sintomo.
Altri autori presenti nel volume sono nomi molto noti nel panorama degli
studi gramsciani - da Joseph Buttigieg, curatore dell'edizione inglese dei
Notebooks, a Juan Carlos Portantiero, da poco scomparso, antesignano con
Arico' degli studi gramsciani in Argentina; da Dora Kanoussi, che in Messico
ha portato a termine la traduzione in spagnolo dell'edizione critica dei
Quaderni e poi le Lettere, al newyorkese Benedetto Fontana, uno dei migliori
studiosi di teoria politica che si occupano di Gramsci. Accanto a essi,
alcuni dei piu' promettenti studiosi delle nuove leve, quali lo statunitense
Marcus Green e l'inglese Adam Morton. Il ventaglio dei temi e' ampio: si va
dal Gramsci lettore di Machiavelli di Portantiero al Filosofo democratico:
retorica come egemonia di Fontana, dalla Introduzione alle Lettere della
Kanoussi alla teoria della nascita dello Stato moderno tentata da Morton con
una strumentazione marxiana e gramsciana.
Sono pero' gli scritti di Buttigieg e di Green a riportarci maggiormente
alle considerazioni dalle quali siamo partiti: quali sono i concetti
gramsciani oggi piu' usati nel mondo? I saggi dei due autori sono imperniati
sulle due architravi di questa fortuna, che essi sottopongono ad argomentata
critica, opponendovisi dall'interno: il concetto di "societa' civile" e
quello di "subalterno".
Buttigieg critica la concezione di societa' civile attribuita a Gramsci
prevalente nel mondo anglofono, fondata sulla visione binaria Stato/non
Stato tipica della tradizione liberale ma - sottolinea Buttigieg - estranea
a Gramsci, che col concetto di "Stato integrale" vede invece come un unico
filo di potere attraversi e unisca dialetticamente entrambi. Non solo,
Buttigieg mostra come l'analisi gramsciana trovi una riprova proprio negli
Stati Uniti di oggi, dove le forze conservatrici agiscono per formare
l'opinione pubblica nella societa' civile in tutt'uno con la loro azione
nelle amministrazioni repubblicane.
Analogamente fa Green per il concetto molto diffuso di "subalterno", che
viene da Gramsci e che grande fortuna ha avuto a partire dall'uso che ne ha
fatto la scuola indiana cui appartengono fra gli esponenti piu' noti Ranajit
Guha e Gayatri Spivak. Proprio con la Spivak polemizza l'autore fin dal
titolo inglese del saggio - purtroppo non conservato nella traduzione
italiana - Gramsci cannot speak, contrapposto al celebre scritto della
Spivak Can the subaltern speak? L'accusa che egli rivolge alla celebre
studiosa di Derrida e' quella di aver stravolto il concetto gramsciano,
astraendolo dal contesto di lotta per l'egemonia in cui era immesso. Green
ci fa capire come Gramsci sia stato letto in modo incompleto, e spesso
frainteso, specie dagli studiosi che, non conoscendo l'italiano, spesso non
possono leggerlo e studiarlo integralmente.
Insomma, il panorama degli studi gramsciani fuori d'Italia e' variegato. Non
e' solo nel nostro paese che e' viva l'attenzione al testo e al contesto
storico-culturale, anche se e' soprattutto da noi che gli studi gramsciani
hanno fortemente privilegiato questo versante: penso alle iniziative della
Igs Italia - un seminario interdisciplinare sul lessico dei Quaderni che va
avanti da diversi anni e che ha gia' prodotto un libro apprezzato come Le
parole di Gramsci (Carocci) e il primo, grande Dizionario gramsciano di
prossima pubblicazione; e a quelle della Fondazione Gramsci, come l'edizione
nazionale delle opere, di cui e' uscito quest'anno il primo volume dei
finora inediti Quaderni di traduzione a cura di Giuseppe Cospito e Gianni
Francioni per i tipi dell'Istituto della Enciclopedia Italiana; e come
l'impegnativo convegno in programma in autunno su "Gramsci nel suo tempo",
nonche' la grande Bibliografia Gramsciana Ragionata (Bgr) a cui sta
lavorando un gruppo di studiosi guidato da Angelo D'Orsi.
Non necessariamente questi "due mondi" (quello dello scavo
storico-filologico e quello soprattutto volto all'uso di Gramsci) devono
essere intesi come contrapposti: il reciproco ascolto e' anzi necessario
perche' si impari da una parte a usare Gramsci senza tradirlo, e dall'altra
a studiare Gramsci senza farne un fossile, un "classico" del tutto estraneo
alla politica e alla lotta per l'egemonia che egli non solo teorizzo', ma
cerco' anche sempre di portare avanti in prima persona.

4. LIBRI. GUIDO LIGUORI PRESENTA "ANTONIO GRAMSCI IN CONTRAPPUNTO" DI
GIORGIO BARATTA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 marzo 2008 col titolo "Opera aperta al
divenire dell'egemonia" e il sommario "Antonio Gramsci in contrappunto, un
volume di Giorgio Baratta per Carocci editore"]

Quale e' la situazione degli studi gramsciani oggi? I numerosi incontri e le
pubblicazioni che hanno contraddistinto l'"anno gramsciano" 2007, in
occasione del settantesimo anniversario della morte del comunista sardo,
hanno delineato una duplice tendenza. Da una parte, la vitalita' del
pensiero gramsciano e' oggi comprovata dal fatto che esso vive in contesti e
culture lontani da quelli in cui ebbe origine. Non solo i "cultural
studies", che ormai costituiscono una delle presenze piu' importanti e
articolate del mondo degli studi nei paesi anglosassoni, o i "subaltern
studies", che a partire dall'India hanno messo a tema una delle categorie
piu' vivifiche del lascito gramsciano (anche se non da molto tempo sotto i
riflettori), la categoria di "subalterno"; o gli "studi postcoloniali",
tendenza inaugurata da Edward Said e dilagata nell'ultimo quindicennio; ma
anche la persistente fortuna di Gramsci in alcuni paesi dell'America latina,
tradizionalmente attenti a un suo uso piu' immediatamente politico.
Dall'altra, il pensiero su Gramsci si e' oggi concentrato su una lettura
sempre piu' analitica dei Quaderni, nel tentativo di comprendere meglio la
complessa trama delle sue categorie, la riscoperta del loro reale
significato, al di la' delle sedimentazioni ermeneutiche non sempre
pertinenti e oggi utilizzabili che erano sedimentate in tanti decenni di
interpretazioni.
Queste due tendenze - e' palese - non sempre sono facili da conciliare, anzi
spesso rischiano di dar vita a ottiche che non interagiscono, a movimenti
che si escludono a vicenda. Il nuovo libro gramsciano di Giorgio Baratta,
invece, le contiene e le arrichisce entrambe. Il suo titolo, Antonio Gramsci
in contrappunto (Carocci, pp. 301, euro 22,50), allude a un approccio che -
ancora sulla scorta di Said - preferisce rinunciare a una visione fortemente
unitaria del mondo per scandagliare con il "metodo contrappuntistico" le sue
"esperienze discordanti". I rischi di postmodernismo - che giustamente nella
Postfazione sottolinea Fabio Frosini - son pero' per Baratta stesso da
evitare: attraverso i "passaggi metodici" del metodo del contrappunto, il
fine resta pur sempre quello di "ricomporre mentalmente l'unita' di un mondo
lacerato dalle pretese di egemonia e di dominio". Senonche' - come Baratta
sa benissimo - vi e' sempre una egemonia, una "concezione del mondo" che
prevale: si tratta di vedere quale sia.
Si accennava sopra alla ricchezza del volume. Esso e' in realta' un
assembramento di piu' libri possibili. Vi e' il libro dedicato al dialogo
con Said e dunque con le correnti piu' diffuse, fuori d'Italia, degli studi
gramsciani (un altro autore scandagliato e' Stuart Hall). Vi e' il libro
dell'analisi lessicale e concettuale, dove alcune fondamentali parole-chiave
o coppie concettuali gramsciane sono passate al vaglio ravvicinato, da
"cultura" a "americanismo e fordismo", da "subalterni" a "senso comune", a
"folklore e filosofia" (qui e' evidente il nesso con l'attivita' piu'
recente dei seminari sul lessico dei Quaderni della Igs Italia, di cui
Baratta e' stato uno dei protagonisti). Vi e' il libro che maggiormente e'
dedicato alla dimensione esistenziale di Gramsci, soprattutto alla
dimensione del rapporto (che per Baratta e' assolutamente fondamentale) con
la sua Sardegna. E vi sono infine le molte pagine dedicate alla Nuestra
America, al vivere odierno del lascito gramsciano nel mondo latinoamericano.
In primo luogo il Brasile, sul quale Baratta non per la prima volta getta
vedute e ipotesi interpretative abbastanza inusuali e anche molto ardite (in
alcuni casi forse troppo ardite), anche se sempre stimolanti. Ma anche il
Venezuela, dove Chavez ha dimostrato di saper usare come pochi politici gli
strumenti analitici gramsciani nella ricognizione del suo "territorio
nazionale", mettendo a fuoco una lettura del rapporto Stato/societa' in quel
paese tanto diverso dal contesto su cui Gramsci ebbe a riflettere. Su
quest'ultimo tema le pagine barattiane hanno sollevato polemiche. Vi e'
forse in alcuni una reazione scomposta verso tutto cio' che sappia di
cambiamento e di volonta' rivoluzionaria. Vi e' probabilmente in altri
qualche dubbio sulla possibilita' di un certo uso di Gramsci - il cui
pensiero e' cosi' eurocentrico (sia pure in uno col riconoscimento della
grande novita' "americana", ma dell'America anglofona) - da suonare strano
se proiettato in un'ottica terzomondista.
E' vero, occorre fare attenzione e procedere con cautela. Ma non sono stati
due maestri anche di gramscismo come Nicola Badaloni e Valentino Gerratana a
insegnarci che Gramsci - in quanto classico - ha una sua buona dose di
efficacia anche in contesti lontani dal suo tempo e dal suo paese? La
realta' continua a dirci che questa indicazione e' valida.

5. RIFERIMENTI. LA FONDAZIONE ISTITUTO GRAMSCI
[Dal sito della Fondazione Istituto Gramsci (www.fondazionegramsci.org)
riprendiamo la seguente scheda di presentazione]

La Fondazione Istituto Gramsci (costituita nel 1982 sulla base del
preesistente Istituto Gramsci, nato nel 1950) promuove studi e ricerche
sull'opera e il pensiero di Antonio Gramsci, sulla storia italiana e
internazionale del XX secolo, sui caratteri economici, socio-culturali e
politici della globalizzazione, sui processi dell'integrazione europea.
Nella propria attivita', essa si riferisce ai soggetti e agli istituti
locali, nazionali e internazionali che presentano analoghe ispirazioni e
finalita'. Cura la tutela, la conservazione e l'arricchimento del proprio
patrimonio archivistico e bibliotecario, garantisce l'apertura giornaliera
al pubblico dell'Archivio e della Biblioteca, promuove e organizza ricerche,
corsi, convegni, mostre e attivita' formative, bandisce cinque borse di
studio annuali e due borse di studio biennali.
La Fondazione dispone di archivi di valore assai rilevante per lo studio
della storia d'Italia nel Novecento, con particolare riferimento alla storia
dell'Italia repubblicana, dichiarati di notevole interesse storico dalla
sovrintendenza archivistica per il Lazio (8.000 buste d'archivio per un
totale di circa 6.000.000 di carte), fra i quali l'Archivio storico del Pci
(1921-1991), l'Archivio personale di Luchino Visconti, l'Archivio personale
di Sibilla Aleramo e l'Archivio storico delle donne "Camilla Ravera".
La Fondazione dispone di una Biblioteca di circa 135.000 volumi monografici,
volumi periodici e opuscoli, di cui oltre 116.000 volumi inventariati e
catalogati.
Le pubblicazioni permanenti della Fondazione sono gli "Annali", la rivista
"Studi storici" e il Rapporto annuale sull'integrazione europea.

6. RIFERIMENTI. LA INTERNATIONAL GRAMSCI SOCIETY ITALIA
[Dal sito della International Gramsci Society Italia (www.gramscitalia.it)
riprendiamo la seguente scheda di presentazione dal titolo "Che cos'e' Igs
Italia"]

La International Gramsci Society Italia (Igs Italia) si e' costituita in
Roma il 18 dicembre 1996, sulla base di un'assemblea svoltasi a Napoli
l'anno precedente nella sede dell'Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici.
La Igs Italia nasce come sezione italiana della International Gramsci
Society, l'associazione che riunisce le studiose e gli studiosi gramsciani
di tutto il mondo, e che e' stata presieduta, fin dalla sua fondazione nel
1991, dal compianto Valentino Gerratana. I soci fondatori della Igs Italia
sono importanti personalita' del mondo della cultura: Nicola Badaloni,
Giorgio Baratta, Tullio De Mauro, Giuseppe Fiori, Clara Gallini, Valentino
Gerratana, Guido Liguori, Domenico Losurdo, Edoardo Sanguineti, Aldo
Tortorella, Renato Zangheri.
La Igs Italia e' un'associazione culturale senza fini di lucro. Il suo scopo
consiste nella promozione a tutti i livelli della conoscenza della figura,
dell'opera e del pensiero di Antonio Gramsci.
La Igs Italia collabora regolarmente - con una propria redazione - alla
realizzazione del bollettino internazionale dell'associazione, curato da
Joseph Buttigieg (Notre Dame University) e inviato a tutti gli iscritti alla
Igs e a molti studiosi gramsciani in venti Paesi del mondo.
La Igs Italia e' consorziata con il Centro interuniversitario di ricerca per
gli studi gramsciani, di cui fanno parte le universita' di Bari, Urbino e
Trieste.
Igs e Centro hanno una collana di studi gramsciani presso la casa editrice
Carocci, intitolata "Per Gramsci".
Il direttivo dell'Igs Italia e' attualmente composto da: Giorgio Baratta
(presidente), Lea Durante (vicepresidente), Fabio Frosini, Guido Liguori
(vicepresidente), Marina Paladini Musitelli. Pasquale Voza, presidente del
Centro interuniversitario, e' invitato permanente del direttivo.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 286 del 16 gennaio 2009

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