Minime. 695



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 695 del 9 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Cessino i massacri
2. "L'Unita'" intervista Hanan Ashrawi
3. Peppe Sini: Il grande crimine e le piccole infamie
4. Giulio Vittorangeli: Liberi ed eguali, tutte e tutti
5. Alcuni estratti da "La psicoterapia attraverso Bateson" di Giovanni
Madonna
6. Susanna Nirenstein presenta "Mauthausen" di Giuseppe Mayda
7. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
8. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009"
9. L'Agenda dell'antimafia 2009
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. CESSINO I MASSACRI

Cessino i massacri. In Afghanistan.
Cessino i massacri. A Gaza.
Cessino i massacri. Ovunque.
E cessi ovunque il razzismo.
Vi e' una sola umanita'.
La nonviolenza e' la via.

2. RIFLESSIONE. "L'UNITA'" INTERVISTA HANAN ASHRAWI
[Dal quotidiano "L'Unita'" dell'8 gennaio 2009 col titolo "Intervista a
Hanan Ashrawi" e il sommario "La parlamentare palestinese: di fronte al
massacro in atto a Gaza dobbiamo rifiutare sia il terrorismo che la
rassegnazione. Al mio popolo dico: la via e' la resistenza nonviolenta"]

"Guardate quei filmati su YouTube. Imprimetevi nella mente lo sguardo
terrorizzato dei bambini di Gaza. Guardateli negli occhi: troverete una
paura senza fine. Molti di quei bambini sono morti di paura, quando non sono
stati uccisi dai bombardamenti israeliani. Guardate quei corpi estratti
dalle macerie delle scuole dell'Onu rase al suolo dall'artiglieria
israeliana. Guardateli e chiedetevi: cosa c'e' di 'difensivo', di
'moderato', in questo massacro di innocenti?. Guardateli. E pensate cosa
possono provare i loro fratelli o i loro padri, Su questi massacri sta
crescendo in tutto il mondo arabo un odio profondo verso Israele".
La sua voce e' incrinata dalla commozione e dalla rabbia. Le sue parole sono
impastate di sdegno. Se c'e' una dirigente palestinese lontana anni luce dai
fondamentalisti di Hamas, questa dirigente e' Hanan Ashrawi, piu' volte
ministra dell'Anp, prima donna portavoce della Lega Araba, paladina dei
diritti umani nei Territori.
"Ho sempre combattuto Hamas, ma non ho mai pensato che la sua sconfitta
potesse venire da una prova di forza militare, per di piu' condotta da
Israele. Gia' in passato Israele ha provato a decapitare la leadership di
Hamas, assassinando il suo stesso fondatore (lo sheikh Ahmed Yassin, ndr).
Il risultato e' stato il rafforzamento di Hamas. Israele aveva una carta da
giocare per sconfiggere veramente Hamas: realizzare una pace giusta, fondata
sulle risoluzioni Onu. La carta della nascita di uno Stato palestinese
realmente indipendente, sovrano su tutto il suo territorio nazionale. Invece
ha spacciato per uno 'Stato in fieri' i bantustan della Cisgiordania".
*
- "L'Unita'": A Gaza si continua a combattere. Le armi si sono fermate per
sole tre ore. E' ancora guerra totale.
- Hanan Ashrawi: No, a Gaza non e' in atto una guerra totale. A Gaza e' in
atto un massacro totale. A morire, a centinaia, sono donne e bambini, come
quelli sepolti sotto le macerie delle scuole dell'Onu bombardate nella
Striscia.
*
- "L'Unita'": Israele afferma che la sua e' un'azione difensiva.
- Hanan Ashrawi: Difensive sono le tonnellate di bombe sganciate sull'area
piu' densamente popolata al mondo? Inorridisco al solo pensarlo. Ho sempre
denunciato la militarizzazione dell'Intifada. Hamas e' parte di questa
degenerazione che ha fatto solo il gioco dei falchi israeliani. Da tempo
ritengo che tra terrorismo e rassegnazione, vi sia una terza via piu'
efficace e coraggiosa: quella della resistenza nonviolenta....
*
- "L'Unita'": Linea contestata da Hamas.
- Hanan Ashrawi: Lo so bene. Ma niente puo' giustificare la mattanza che
Israele sta praticando a Gaza. Niente. In tempi meno tragici avevo chiesto
il dispiegamento di una forza d'interposizione ai confini fra Gaza e
Israele. Prima di Hamas, a dire un no secco e' stato Israele, perche'
intendeva quella forza di pace come il cedimento ad una
"internazionalizzazione" del conflitto israelo-palestinese. E invece solo
una internazionalizzazione del conflitto puo' ridare una chance al
negoziato.
*
- "L'Unita'": Puo' essere Al Fatah del presidente Abu Mazen la vera
alternativa a Hamas?
- Hanan Ashrawi: Hamas ha costruito le sue fortune elettorali sul discredito
di una classe dirigente accusata, e a ragione, di corruzione e incapacita'.
Senza un profondo rinnovamento non solo di persone ma della concezione
stessa di governo, l'alternativa a Hamas sara' la disgregazione...
*
- "L'Unita'": Pace e' una parola impronunciabile?
- Hanan Ashrawi: No, e' una parola che va riempita di contenuti, alla quale
i legare uníaltra parola-chiave, altrettanto importante: giustizia. Quella
che da decenni il mio popolo richiede invano.

3. EDITORIALE. PEPPE SINI: IL GRANDE CRIMINE E LE PICCOLE INFAMIE

Il grande crimine
E' la guerra, l'uccisione di esseri umani. Nulla lo giustifica. E nulla e'
piu' folle di una specie vivente che distrugge se stessa. Il genere umano ha
sviluppato capacita' e coscienza tali che da un bel pezzo dovrebbe averla
fatta finita con le uccisioni, ed anzi dovrebbe esercitare una viva
solidarieta' e una vigile responsabilita' in difesa della vita e della
dignita' umana e dell'intera biosfera terrestre. Invece... Il grande
crimine, appunto.
*
Esseri umani e pezzi di stoffa
Bisogna aver perso il lume della ragione per sostenere che uccidere un
essere umano o bruciare un pezzo di stoffa sono due cose parimenti gravi. E'
pur vero che dove si bruciano libri poi si bruceranno uomini (lo lessi in
Heinrich Heine quando ero giovane, e non l'ho piu' dimenticato), ma tra
l'atto dell'offendere un simbolo e l'atto di assassinare una persona una
differenza sostanziale c'e'. Non credo possa esservi chi non la veda.
*
A proposito di boicottaggio
Coloro che propongono di boicottare i prodotti agricoli israeliani
dovrebbero spiegare perche' non boicottano anche tutte le merci italiane,
giacche' l'Italia da anni sta partecipando a una guerra terrorista e
stragista non meno scellerata di quella che infuria nella striscia di Gaza e
nel sud di Israele. E questa e' la versione gentile.
Poi c'e' quella sincera: urlano di boicottare l'economia di Israele
soprattutto quei prominenti che urlando contro il "nemico esterno" di turno
vogliono far dimenticare la loro complicita' con la guerra terrorista e
razzista cui l'Italia sta partecipando in Afghanistan, la loro complicita'
con il razzismo dispiegato in Italia dalla riapertura dei campi di
concentramento (primo governo Prodi, 1998) ad oggi. E nel loro urlare contro
Israele rivelano la propria complicita' con la guerra e con il razzismo.
Sono cose che abbiamo gia' visto in passato. Sappiamo dove portano.
*
Ad ogni occhio la sua trave
In verita' non dicono cose granche' diverse il ministro degli esteri del
governo golpista in carica, la ex-sinistra arlecchina e i sedicenti
pacifisti parastatali: predicano agli altri di smettere di fare la guerra e
di praticare il razzismo, mentre l'Italia continua l'una e l'altro. Poi si
chiedono perche' nessuno li ascolta. Anzi neppure se lo chiedono, che e'
gia' l'ora di pranzo e devono correre a vedersi in tivu'.
*
L'inevitabile pistolotto
Cessino subito le stragi, cessino. Subito.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LIBERI ED EGUALI, TUTTE E TUTTI
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento]

Il 10 dicembre 2008 e' stato il sessantesimo anniversario della
Dichiarazione universale dei diritti umani, nella quale sono proclamati
trenta diritti di base ed essenziali.
Ricordiamo, per tutti, l'articolo 1: "Tutti gli esseri umani nascono liberi
ed eguali in dignita' e diritti. Essi sono dotati di ragione e di conoscenza
e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza".
Praticamente esiste (o dovrebbe esistere) una nuova coscienza dell'umanita',
per cui tutti siamo cittadini e non sudditi. La realta' quotidiana ci dice,
purtroppo, che in questo mondo esistono cittadini di prima, seconda e terza
categoria, e morti di prima, seconda e terza categoria. Come spiegare
altrimenti il razzismo dilagante, ad ogni angolo del nostro pianeta, verso
gli immigrati.
La priorita' dei governi non e' piu' il benessere sociale, ma la
"sicurezza". Cosi' l'"industria della sicurezza" cresce in progressione
geometrica: quanto piu' si ha paura tanto piu' l'industria della sicurezza
guadagna con la vendita di armi, con le azioni antiterrorismo, con la
costruzione di muri, come quello tra Stati Uniti e Messico di 1.120 Km, o
come quello tra Israele e Palestina di 814 Km. Ma e' davvero sufficiente
alzare un muro per mettersi al riparo?
In questo senso il muro in Palestina e' emblematico. Costruito ufficialmente
per difendersi dai kamikaze palestinesi, oggi ci dicono che non e'
sufficiente a garantire la sicurezza dello stato di Israele ed occorre
un'azione di guerra con i raid aerei, vagheggiata (peraltro) come "opzione
zero morti" per i soldati; visto che la tecnologia attuale permette di
uccidere senza essere uccisi. Alla luce di quanto drammaticamente accade
nella Striscia di Gaza non possiamo non ritornare alle ragioni che si
opponevano alla costruzione di quel muro: "Rimodellando il territorio
palestinese, esso chiude i palestinesi in recinti dove la vita e' sempre
piu' insopportabile e la comunicazione tra le varie aree recintate e' sempre
piu' difficile. IL muro divisorio e' davvero un muro di inimicizia e di
odio. Definito dalle paure israeliane, crea soltanto maggior motivo di paura
dal momento che i palestinesi, ingabbiati dentro, non saranno pacificati. Il
muro blocca qualsiasi visione e soffoca ogni immaginazione che possa
promuovere la vera ricerca della giustizia e della pace e provoca invece una
maggiore disperazione". In questo sta la contraddizione attuale di Israele,
che da una parte e' uno stato di profughi e dall'altra e' uno stato, e una
societa', che espelle a sua volta.
Non siamo certo migliori noi italiani, solo perche' abbiamo un mare non
abbiamo la necessita' di costruire un muro, ma non siamo meno crudeli con
gli immigrati, considerati (nella migliore delle ipotesi) braccia da
sfruttare per la nostra economia, e chi resta fuori puo' morire
nell'indifferenza generale per freddo o nel tentativo di riscaldarsi, come
e' accaduto in questi giorni in una grotta a Siracusa ed in una baracca di
legno e lamiera a Roma.
Almeno sulla carta, la Dichiarazione universale dei diritti umani sembra un
grosso passo avanti sull'uguaglianza di tutti gli esseri umani. Eppure non
e' una novita'. Che tutti gli uomini furono creati uguali recitano molti
monumenti delle culture antiche. Ad eempio uno dei testi dei sarcofagi di
legno ritrovati in Egitto nella necropoli di Deir el-Bersha, con formule
funerarie in geroglifico scritte sulle pareti. Questi componimenti risalgono
al Primo Periodo Intermedio (2150-1994 a. C.) e al Medio Regno (1994-1650 a.
C.). Il testo (che riprendiamo da E. Bresciani, Letteratura e poesia
dell'antico Egitto, Einaudi) e' il seguente:
"Ho compiuto quattro buone azioni dentro il portico dell'Orizzonte.
Ho creato i quattro venti perche' ogni uomo possa riempirsene i polmoni,
cosi' come ognuno dei suoi contemporanei: e' il mio primo beneficio.
Ho fatto la grande inondazione perche' il povero abbia diritto ai suoi
benefici, cosi' come il ricco: e' la mia seconda azione.
Ho fatto ogni uomo simile al suo compagno; mai ho ordinato loro di fare il
male, ma sono i loro cuori che hanno infranto i miei precetti: e' la mia
terza azione.
Ho fatto che i loro cuori cessino di obliare l'Occidente, affinche' le
offerte divine siano date da essi agli dei dei nomi".
Tanti secoli sono passati ma questa semplice verita' che ci fa tutti uguali
ancora non l'abbiamo compresa; sembra ancora atrocemente prevalere la logica
che vuole l'uomo nemico all'altro uomo.

5. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "LA PSICOTERAPIA ATTRAVERSO BATESON" DI
GIOVANNI MADONNA
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di
Giovanni Madonna, La psicoterapia attraverso Bateson, Verso un'estetica
della cura, Bollati Boringhieri, Torino 2003]

Indice del volume
Prefazione di Giuseppe O. Longo; Ringraziamenti; 1. Introduzione. 1.1. Verso
un modello psicoterapeutico batesoniano; 1.2. L'avversione di Bateson per la
psicoterapia; 1.3. L'azione possibile; 1.4. Le linee generali del modello;
2. La teoria di Bateson e la terapia di Whitaker. 2.1. Fecondare l'impianto
teorico batesoniano; 2.2. Il metodo della giustapposizione; 2.3. Le
giustapposizioni; 3. Azione formale e azione processuale. 3.1. L'azione
spontanea; 3.2. L'esitazione e la non-esitazione; 3.3. L'azione formale e
l'azione processuale; 4. Il sacro in psicoterapia. 4.1. La hybris e
l'umilta'; 4.2. Azione processuale e sacro in psicoterapia; 4.3. Il rito;
4.4. La ritualita' in psicoterapia; 5. Diagnosi e terapia nell'azione
processuale. 5.1. L'azione processuale in psicoterapia; 5.2. La sensibilita'
estetica; 5.3. Cogliere isomorfismi; 5.4. Provare empatia; 5.5. Cogliere e
produrre una metafora; 5.6. Metafora; 5.7. La famiglia delle somiglianze;
5.8. Intrecci fra diagnosi e terapia nell'azione processuale; 5.9. Azione
processuale e "doppia descrizione "in psicoterapia; 6. Anche la somiglianza
e' informazione. 6.1. Una costellazione di idee; 6.2. La differenza e'
informazione; 6.3. Differenze e somiglianze nelle mappe e fra le mappe; 6.4.
Differenza e somiglianza fra mappa e territorio: la mappa non e' il
territorio ma probabilmente gli somiglia; 6.5. Un errore necessario ovvero
un rimedio epistemologico; 6.6. La preferenza di Bateson; 6.7. Informazione
per differenza e informazione per somiglianza; 6.8. Connessioni per
differenza e connessioni per somiglianza; 6.9. Pertinenza e impertinenza;
6.10. Una formulazione teorica sintetica; 7. Diagnosi e terapia nell'azione
formale. 7.1. Codificazione, descrizione e spiegazione; 7.2. Diagnosi e
classificazione; 7.3. Quando fare ricorso alle tecniche; 7.4. Usare le
tecniche con finalita' introversa; 7.5. Alcune tecniche ulteriori, ovvero il
lavoro epistemologico nell'azione formale; 7.6. Giustapporre i sogni; 8.
Verso una psicoterapia batesoniana. 8.1. Psicoterapia delle combinazioni;
8.2. Risonanze e dissonanze; 8.3. Cura e formazione; 8.4. Vaghezza e
precisione; 8.5. Due livelli di responsabilita'; 8.6. Resistenza come parte
di un processo stocastico; 9. Verso una teoria batesoniana della
personalita'. 9.1. Utilita' e mancanza di una teoria della personalita'
teoricamente coerente; 9.2. Il fondamento; 9.3. Personalita' come sistema
delle premesse epistemologiche; 9.4. Personalita' come processo
interpersonale; 9.5. Un doppio processo stocastico combinato; 9.6.
Descrizioni di stabilita' e cambiamento della persona; 9.7. La psicoterapia
come possibilita' di ampliamento delle premesse epistemologiche; 10. Verso
una formazione batesoniana. 10.1. Il coraggio dei formatori; 10.2. Il
coraggio di partire da lontano: i fondamenti biologici della conoscenza;
10.3. Il coraggio di attraversare territori inconsueti: esperienze e
pratiche fluidificanti; 10.4. Il coraggio di andare lontano: il ponte fra
l'epistemologia e l'etica; Bibliografia; Indice degli autori; Indice degli
argomenti
*
Da pagina 24
Introduzione
Verso un modello psicoterapeutico batesoniano
Come e' noto, il pensiero di Gregory Bateson vola molto alto e, per quanto
egli abbia influenzato e sia destinato a influenzare i piu' disparati campi
dello scibile umano, le sue idee non hanno finora avuto molte ricadute
immediate in questo o quel settore delle umane attivita'. Sarei stato - e
credo di non essere il solo - molto lieto del contrario. Come psicoterapeuta
e come profondo estimatore di Bateson mi sarebbe piaciuto moltissimo,
infatti, poter fare riferimento a un modello psicoterapeutico definibile
senza ombra di dubbio "batesoniano". Gregory Bateson, purtroppo, non ha
prodotto questo modello, o per meglio dire non lo ha intenzionalmente
formalizzato. Cio' non toglie che nell'ambito dell'approccio
sistemico-relazionale alla psicoterapia egli sia universalmente riconosciuto
come uno dei padri fondatori del modello a cui si richiamano - nella teoria
e nella prassi - gli psicoterapeuti sistemico-relazionali. Tuttavia le
enormi possibilita' del contributo teorico di Bateson sono rimaste finora in
gran parte inespresse. Tale contributo, infatti, o e' stato considerato
soltanto come un vago punto di riferimento - perche' troppo "astratto" e non
specifico, generico - o e' stato banalizzato da chi, nel richiamarsi a
Bateson, fa riferimento soltanto ad alcune sue idee non collegandole al
contesto generale del suo pensiero: una situazione, questa, che ho sempre
avvertito come uno spreco, come un'occasione mancata. Da qui, il proposito,
maturato alcuni anni orsono, di dedicarmi al difficile tentativo di
elaborare un modello psicoterapeutico batesoniano. Nel realizzare questo
progetto sono stato sostenuto dalla speranza di contribuire a mettere a
disposizione della psicoterapia il pensiero di Gregory Bateson senza
sacrificarne la complessita' e l'eleganza. Non si e' trattato naturalmente
di "applicare" le teorie di Bateson al campo della psicoterapia, per quanto
lo stesso Bateson sia stato attraversato da un'esperienza vissuta in
qualita' di psicoterapeuta e anche di questa esperienza abbia naturalmente
nutrito alcune sue idee. Come ha ben sostenuto Rosalba Conserva (1996, p.
193) a proposito dell'idea di applicarle al campo delle attivita'
scolastiche, le teorie di Bateson, infatti, "non possono avere ne' facile
ne' difficile applicazione, per il semplice motivo che Bateson non le ha
pensate ne' scritte perche' fossero poi applicate". Si e' trattato invece di
acquisire, attraverso lo studio di Bateson, nuove idee per pensare alla
psicoterapia. Questo libro - che si colloca sull'interfaccia fra i modelli
epistemologici batesoniani e la psicoterapia - e' il risultato del tentativo
di compiere questa operazione e di porre in tal modo le fondamenta per
l'elaborazione di un modello psicoterapeutico batesoniano. Non e' dunque
un'"applicazione" delle teorie di Bateson ne' una presentazione del suo
pensiero; si fonda sul pensiero di Bateson e ne propone, per certi aspetti,
uno sviluppo.
*
L'avversione di Bateson per la psicoterapia
Bateson era molto diffidente rispetto al tentativo di fare scienza sociale
applicata. Anche per questa diffidenza di ordine generale, oltre che per
motivi piu' particolari, prese le distanze dal lavoro che il gruppo di
ricerca, che pure egli aveva guidato e dal quale si era successivamente
staccato, effettuo' a partire dal suo concetto di "doppio vincolo". Sua
figlia Mary Catherine a questo proposito riferisce: "Gli sforzi deliberati
di certe persone di creare doppi vincoli in terapia, di apportare una
soluzione ai problemi del doppio vincolo o di cambiare le persone, nella
situazione terapeutica, agendo su di esse, gli sembravano inquietanti
perche' egli riteneva che, quali che fossero le intenzioni su cui si fondano
questi tentativi, questo genere di interventi e di manipolazioni sfociassero
alla fin fine nell'aggravare la situazione di partenza" (1988, p. 9). Subito
dopo, afferma di ritenere che la convinzione del padre scaturiva dalla sua
esperienza di "guerra psicologica" vissuta quando, nel corso della seconda
guerra mondiale, gli era stato richiesto proprio di lavorare per aggravare
la situazione di qualcuno: l'incarico che gli era stato affidato
dall'esercito era infatti quello di manipolare i processi di comunicazione,
per disinformare e confondere il nemico e non certo per svolgere un'azione
terapeutica. Quale che fosse l'origine della convinzione di Bateson, resta
il fatto che egli, benche' si fosse sottoposto a un'analisi junghiana,
nutriva una certa avversione per la psicoterapia. In Un'ombra ostinata,
l'ultimo metalogo di Dove gli angeli esitano, e' possibile trovarne
testimonianza in una battuta pronunciata dal Padre: "Pensa a quell'orribile
faccenda che e' la terapia familiare con i terapeuti che fanno 'interventi
paradossali' per modificare le persone e le famiglie" (Bateson e Bateson,
1987, p. 307).
Mi e' sembrato dunque, inizialmente, che ci fossero tutte le premesse per
considerare velleitario il mio tentativo di lavorare all'elaborazione di un
modello psicoterapeutico batesoniano. Tuttavia io sono un profondo
estimatore di Bateson e sono anche uno psicoterapeuta, e mettendo questi due
pensieri uno accanto all'altro... mi e' sembrato del tutto naturale
cimentarmi in questa difficile impresa. Sono stato incoraggiato, d'altra
parte, dalla considerazione di quel che diceva Bateson nel 1974: "Se il
terapeuta cerca di prendere un paziente, di assegnargli degli esercizi, di
sottoporlo a propaganda, di farlo ritornare nel nostro mondo per i motivi
sbagliati, insomma se cerca di manipolarlo, allora sorge un problema: la
tentazione di confondere l'idea di manipolazione con l'idea di cura" (in
Bateson, 1991, p. 404). Riflettendo su quest'ultimo passo e alla luce anche
delle considerazioni di Dal Lago (1992, p. 23), mi e' sembrato evidente che
l'avversione di Bateson fosse rivolta alla terapia manipolativa e
tecnicistica fondata sul primato della finalita' cosciente, che si propone
di cambiare le persone intervenendo su di esse, piu' che all'idea stessa di
psicoterapia.
*
Da pagina 27
Le linee generali del modello
Credo che nelle linee generali di una teoria dell'azione che, a ben
guardare, possono essere colte nell'opera di Bateson e a cui ho fatto qui
riferimento - linee certamente incompiute, anche se gia' sufficientemente
definite nel loro tratteggio fondamentale - ben si possa inscrivere, sia
pure in maniera cauta e provvisoria, il progetto di una teoria dell'azione
psicoterapeutica, capace, all'interno di un modello coerente con
l'insegnamento di Gregory Bateson, di definire e sostenere una pratica
professionale di psicoterapia - e di formazione alla psicoterapia - e,
interattivamente, di nutrirsi di tale pratica professionale, lasciandosi da
essa modificare nell'ambito di un processo coevolutivo.
Penso a una teoria dell'azione psicoterapeutica in cui, in coerenza con
l'impostazione batesoniana relativa alle linee generali di una teoria
dell'azione, l'intervento terapeutico sia da considerarsi possibile, ma
necessariamente cauto, non precipitoso e non arrogante. L'immagine che mi
viene in mente se penso a un tal genere di intervento psicoterapeutico e'
quella whitakeriana relativa al growing edge, il margine che cresce: per
Carl Whitaker infatti la psicoterapia consisteva nell'intervenire su una
ferita semplicemente detergendone i tessuti in modo che i suoi margini
potessero generare da soli nuove cellule in grado di muovere l'una verso
l'altra per raggiungersi e consentire la cicatrizzazione. Si tratta dunque
di un'azione psicoterapeutica non invasiva e rispettosa delle capacita' di
autoregolazione e autoguarigione degli organismi, capacita' che tutte le
creature hanno in comune con la Creatura, vale a dire con il complessivo
mondo dei processi mentali che Bateson (1979, p. 272) ha definito come "una
tautologia capace di guarire lentamente da sola". Propongo dunque l'idea di
un'azione psicoterapeutica che rifugga dalle scorciatoie rappresentate dal
ricorso a tecniche, tattiche e strategie da "applicare" all'altro per
modificarlo, e che nasca, invece, dalla quieta, feconda passivita' dello
psicoterapeuta e, come ci insegna Whitaker nel suo ultimo libro, dal suo
coraggio "di aspettare che emerga qualcosa di spontaneo dalla [sua]
creativita'" (1989, p. 207). Una siffatta azione psicoterapeutica non e',
dunque, sottoposta al primato della finalita' cosciente di tipo estroverso,
ma nasce spontanea in seguito all'esercizio e alla disciplina, che sono
espressione della finalita' introversa: un'idea che e' bene accompagni in
maniera costante i percorsi formativi degli psicoterapeuti. L'esercizio e la
disciplina formano lo psicoterapeuta e fanno in modo che egli non applichi
tecniche ma sia terapeuta, e curi dunque l'altro "attraverso l'incontro"
(vedi Giat Roberto, 1991, p. 412): in questa cornice, quindi, anche il
semplice "tenere puliti i margini" di una ferita e' essere detergenti piu'
che - finalisticamente - detergere i tessuti infetti.
Ma il paziente si rivolge allo psicoterapeuta con lo scopo di farsi aiutare
a risolvere i suoi problemi, e lo psicoterapeuta accetta di occuparsi di lui
con lo scopo di aiutarlo; e questa e' finalita' cosciente. Come si concilia
questa considerazione con il tipo di azione psicoterapeutica descritta? La
risposta a questa domanda puo' essere data solo considerando un altro
aspetto importante del modello psicoterapeutico proposto con questo testo e
di cui presento qui le linee generali: il fatto di fare riferimento alla
teoria dei Tipi logici (Whitehead e Russell, 1910-13).
*
Da pagina 30
La psicoterapia e' infatti parte del mondo dei processi mentali, che Bateson
descriveva, appunto, come organizzato sulla base dell'interazione tra forma
e processo (vedi Bateson, 1979, pp. 251-68). La forma (o struttura),
nell'uso che Bateson fa della parola (pattern), si riferisce alle
caratteristiche di un sistema che definiscono le sue risposte agli eventi
ambientali e regolano i suoi equilibri interni, e che corrispondono alle
soglie e ai limiti del suo funzionamento (processo) cosi' come in un disegno
i contorni definiscono i solidi raffigurati. In particolare, per quel che
riguarda la psicoterapia, essa e' data dal contratto terapeutico iniziale,
dalle regole del setting e, piu' in generale, da tutte le regole che
governano il lavoro psicoterapeutico e che riguardano l'insieme, ovvero la
classe delle interazioni psicoterapeutiche. All'interno di questa forma puo'
svolgersi il processo terapeutico, che e' considerato non finalistico,
imprevedibile, largamente inconsapevole e caratterizzato da linguaggi non
finalistici, e che si snoda fino a modificare la forma del rapporto fra le
persone coinvolte, il quale, a un certo punto, quando la terapia si
conclude, diventa non piu' il rapporto fra un professionista e il suo
cliente, ma un rapporto fra persone, non centrato sulla relazione d'aiuto.
In quest'ottica, il fine rimane pertanto collocato al livello della forma
(il contratto terapeutico e le regole che governano il lavoro
psicoterapeutico) e rappresenta quindi, per il terapeuta e per il paziente,
un fine non perseguibile nello snodarsi del processo terapeutico.
La forma, vale a dire la classe delle interazioni psicoterapeutiche, e'
dunque caratterizzata dalla finalita' cosciente (un terapeuta incontra un
paziente con lo scopo di aiutarlo, il paziente lo incontra con lo scopo di
farsi aiutare); non finalizzate ne' coscienti sono invece le singole
interazioni psicoterapeutiche, che istante per istante vanno svolgendosi nel
processo terapeutico. Bateson ci insegna che forse in tutti i casi in cui la
scorciatoia provoca inconvenienti, alla radice vi e' un errore di tipologia
logica. In qualche punto della sequenza di azioni e di idee ci si puo'
aspettare di scoprire che una classe e' trattata come uno dei suoi membri,
oppure che un membro e' trattato come se coincidesse con la classe:
un'unicita' trattata come una generalita' oppure una generalita' trattata
come un'unicita'.

6. LIBRI. SUSANNA NIRENSTEIN PRESENTA "MAUTHAUSEN" DI GIUSEPPE MAYDA
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 25 aprile 2008 col titolo "Mauthausen,
il lager degli italiani" e il sommario "La storia del campo di
concentramento in un libro di Giuseppe Mayda. Vi furono internati 200.000
deportati, 8.000 dall'Italia: ne mori' il 60%"]

Boris Pahor, quando scrive in Necropolis della sua lancinante esperienza a
Dachau, cita Mauthausen come uno di quei luoghi dove "lo sterminio e' stato
ancor piu' sconvolgente": con quei 186 gradini della gradinata della morte,
dalla cava di granito al campo, su cui "i corpi zebrati dovevano inerpicarsi
sei volte al giorno con una pesante pietra sulle spalle lungo l'orlo di un
precipizio"; qui stavano kapo' e guardie che buttavano giu' per la scarpata
con un fendente o uno spintone "chi a loro giudizio aveva una pietra troppo
piccola sulle spalle", o semplicemente barcollava. "La parete dei
paracadutisti" la chiamavano, anche perche' molti vi si tuffavano da soli
per farla finita.
Mauthausen non era stato creato nel '38, a poco piu' di 20 chilometri da
Linz, in Austria, come "campo di sterminio": la sua funzione nominale era
quella di "concentrare" i prigionieri soprattutto "politici" e sfruttarli
nel lavoro forzato per la grandezza del Reich. Vogliamo narrarne almeno in
parte gli orrori non solo per la violenza, il terrore e il sadismo
incontrati, e di cui va dato conto se non altro per riflettere e onorarne le
vittime, ma perche', come ora ci racconta Giuseppe Mayda nel suo Mauthausen
(il Mulino, pp. 476, euro 28), fu il campo degli italiani: ce ne finirono
8.000, piu' che in ogni altro lager.
Mayda descrive minuziosamente e appassionatamente la vita e soprattutto la
morte che regnava a Mauthausen. La sveglia, l'adunata nell'Appelplatz dove
si dovevano portare anche i moribondi e persino i morti nella nottata:
l'appello poteva durare ore su ore, essere ripetuto all'infinito con 15
gradi sotto zero.
L'aspetto del lager era quello di una fortezza in pietra dall'aspetto
vagamente esotico per le sue torrette: i nazisti vi si muovevano come
barbari, spostando masse di persone a scudisciate, verso la cava omicida la
cui scala a giorni si inzuppava letteralmente di sangue, spingendo i
deportati verso il filo spinato ad alta tensione, facendo azzannare i
detenuti dai cani, costringendo con la forza alcuni a soffocarsi con un filo
di ferro, nascondendo la valanga di morti sotto la dicitura "fuga",
"suicidio". C'era anche un muro per la fucilazione. Ma non si lasciava la
vita solo cosi': a parte la fame che attanagliava tutti, dalle cinque
baracche destinate ai malati ogni giorno uscivano da 100 a 170 deceduti, e
non di morte naturale. Quelli colpiti da tifo petecchiale (centinaia), per
esempio, erano destinati all'iniezione al cuore di benzina, altri al colpo
alla nuca, altri ancora, soprattutto i tubercolotici, all'"azione-bagno"
(una doccia gelata di mezz'ora, ripetuta piu' volte se non bastava, in una
stanza con gli scoli bloccati: se non si moriva per il freddo, si affogava).
Alla maggioranza degli inabili toccava lo Zyklon B, o nella fortezza di
Hartheim, dove era in funzione una camera a gas usata in un primo momento
per il progetto Eutanasia (progetto che aveva ucciso, e' bene ricordarlo,
90.000 tedeschi, tra cui 5.000 bambini), o nella camera stagna costruita nei
sotterranei di Mauthausen, accanto al crematorio.
Degli 8.000 italiani imprigionati a Mauthausen, ci dice Mayda (gia' autore,
tra l'altro, di Ebrei sotto Salo' e di Storia della deportazione dall'Italia
1943-'45) ne morirono da 3.750 a 5.750, secondo le stime. In totale dei
200.000 deportati a Mauthausen dall'agosto '38 al 5 maggio '45 (quando fu
liberato da una divisione corazzata statunitense), le fauci di Mauthausen ne
inghiottirono circa il 60%: al primo posto i 32.180 scomparsi sovietici,
seguiti da 30.203 polacchi, 12.923 ungheresi, 12.890 jugoslavi, 8.203
francesi, 6.502 spagnoli.
Per quel che riguarda l'Italia, dall'8 settembre 1943 alla primavera '45 i
tedeschi, col preciso obiettivo di stroncare qualsiasi moto di ribellione e
protesta, deportarono tutti i cittadini colpevoli, ai loro occhi, di
disobbedienza, opposizione e dissenso. I catturati furono i piu' diversi:
quando gli americani liberarono i 209 internati italiani del blocco 22 di
Gusen (un sottocampo di Mauthausen), per intenderci, vi trovarono 87
partigiani, 5 renitenti alla leva di Salo', 28 operai scioperanti, 3 ebrei,
4 militari, 2 "lavoratori liberi" in Germania, un accusato di espatrio, uno
di porto abusivo d'armi, 4 incriminati di reati annonari (borsa nera), 4
"individui sospetti", 2 indiziati di "favoreggiamento ai partigiani", 2 di
favoreggiamento agli ebrei, 13 rastrellati, 5 antifascisti, 6
"antitedeschi", 27 politici, un disertore, un "sovversivo", un accusato di
spionaggio, uno di rifiuto al lavoro, uno per sabotaggio. Insomma, scrive
Mayda, si era colpito nel mucchio, con tipiche azioni intimidatorie, per
terrorizzare. Ci fu gente presa al biliardo in maniche di camicia e spedita
al lager in pieno gennaio. Quando il carcere di Parma viene colpito da un
bombardamento si deportarono tutti i detenuti, e la stessa sorte tocco' alle
prostitute di una casa di tolleranza ligure.
Una costante, sottolinea Mayda, fu la deportazione dei lavoratori scesi in
sciopero nelle grandi fabbriche del Nord nel '44: dei 250 portati da La
Spezia (soprattutto operai e tecnici), 167 (il 67%) morirono a Mauthausen,
nei suoi sottocampi e nel vicino castello di Hartheim. Dei 67 lavoratori
rastrellati nelle aziende metalmeccaniche di Savona finiti nello stesso
lager se ne salvarono 8. La cattura di chi aveva avuto un ruolo negli
scioperi del marzo '44 ebbe un forte peso nelle fabbriche di Sesto San
Giovanni (43.000 dipendenti soprattutto di Breda, Falck, Pirelli, Magneti
Marelli): prima ci furono 1.200 arresti preventivi, poi, con le agitazioni,
si impose ai capireparto di redigere le "liste nere" dei sovversivi, e
scattarono le deportazioni, 215: se non trovavano l'interessato, prendevano
il padre, il fratello, il figlio; a Mauthausen ne morirono 156. L'8 agosto
partirono da Firenze 597 rastrellati in Toscana e cui si aggiunsero altri
carri con 250-290 prigionieri lombardi e piemontesi. Ad agosto a Mauthausen
arrivarono altri 300 lavoratori italiani.
Un'altra razzia straordinaria avvenne allo Stadio San Siro domenica 2 luglio
'44: alla fine della partita Milan-Juventus, l'altoparlante annuncio' ai
giovani classe 1916-1926 di radunarsi all'uscita nord: 300 ragazzi furono
obbligati a salire su una quindicina di camion. Di loro non si seppe piu'
nulla. Raggiunsero Mauthausen invece 480 prigionieri presi il 2 gennaio '45
a Regina Coeli.
Basta, volevamo solo far capire insieme a Mayda, che l'emorragia italiana fu
generale. In venti mesi di occupazione nazista i trasporti dei "politici"
dall'Italia al Reich ammontarono ad almeno ottanta. Quelli diretti a
Mauthausen furono 29 con complessivi 6.871 prigionieri, altri deportati
arriveranno nei trasbordi tra un lager e l'altro. Con alcuni treni blindati,
giunsero anche degli ebrei italiani. E molti ebrei da altre parti d'Europa,
a volte catalogati come politici e non con la stella gialla. Difficilissimo
tenere la contabilita': i nazisti prima dell'arrivo degli Alleati
distrussero tutti gli archivi, rimasero solo i documenti salvati nei giorni
precedenti da alcuni detenuti-impiegati.
Fu morte, e ancora morte. Quando ci si addentra nelle sevizie messe in atto
a Mauthausen il cuore, ancora una volta, indietreggia. Non furono solo
Auschwitz, Treblinka, Sobibor, Belzec, Majdanek i campi dello sterminio,
anche se solo a questi cinque spettava la liquidazione industriale, di
massa. Meglio ricordare, con Mayda, che l'elenco dei lager ne contiene piu'
di 1.600, ognuno con il suo abisso.

7. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito
sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
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Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e
15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

8. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009"

Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano
per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita',
per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla
forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione
tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno
dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della
nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata.
E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009".
- 1 copia: euro 10
- 3 copie: euro 9,30 cad.
- 5 copie: euro 8,60 cad.
- 10 copie: euro 8,10 cad.
- 25 copie: euro 7,50 cad.
- 50 copie: euro 7 cad.
- 100 copie: euro 5,75 cad.
Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946,  e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it

9. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009

E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne
nella lotta contro le mafie e per la democrazia.
E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di
Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani.
Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro
Impastato o all'editore.
*
Per richieste:
- Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa
Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail:
csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it
- Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax:
923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito:
www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 695 del 9 gennaio 2009

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per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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