Minime. 690



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 690 del 4 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Maurizio Matteuzzi ricorda Helen Suzman
2. Vaclav Havel, Hasan bin Talal, Hans Kung, Yohei Sasakawa, Desmond Tutu,
Karel Schwarzenberg: Del genere umano
3. Giampaolo Calchi Novati: O la violenza o la politica
4. Michel Warschawski: In Israele cresce l'opposizione alla guerra
5. Antonio Livi presenta le "Confessioni" di Agostino
6. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
7. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009"
8. L'Agenda dell'antimafia 2009
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. MAURIZIO MATTEUZZI RICORDA HELEN SUZMAN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 gennaio 2009 col titolo "Un'icona
antirazzista" e il sommario "E' morta ieri Helen Suzman, ebrea di origini
lituane, grande figura della lotta contro l'apartheid"]

Uno dei pochi bianchi a conquistarsi il rispetto dei neri. Questo forse e'
l'epitaffio piu' bello per Helen Suzman che si e' spenta ieri nella sua casa
di Johannesburg all'eta' di 91 anni. Helen Suzman, la "anti-apartheid icon",
la "conscience of a troubled land".
Il rispetto dei neri Helen Suzman comincio' a conquistarselo nel 1953 quando
fu eletta quasi per gioco nel parlamento "white-only" del Sudafrica
dell'apartheid. In parlamento ci sarebbe rimasta per 36 anni, fino a quando
non si ritiro' nell'89, prima come deputato dello United Party, il partito
di (finta) opposizione al National Party di governo, e poi del liberale
Progressive Party di cui fu fra i fondatori nel '59. Dal '61 al '74 per 13
anni fu la sola parlamentare inequivocabilmente contraria al regime di
segregazione razziale. Una outsider nel panorama bianco del Sudafrica di
allora, una piccola donna di madrelingua inglese e di origini ebraiche in un
parlamento dominato da uomini afrikaner e calvinisti di lingua afrikaans.
Suzman "divenne una spina nel fianco nel sistema dell'apartheid", ha scritto
ieri in un suo comunicato l'African national congress e, come si legge in
una nota della Nelson Mandela Foundation, "una grande patriota e
un'intrepida combattente contro l'apartheid". Per anni da sola: 165 contro
uno. Lei. Ma questa solitudine non l'aveva mai intimidita, come neanche le
cure particolari riservatele dalla polizia e gli insulti dei premier o
presidenti. Il contrario. Quella solitudine la spingeva ad attaccare ancor
piu' ferocemente dai banchi del parlamento di Pretoria ("Sono provocatoria,
lo ammetto", disse).
Non la fermavano ne' la intimidivano le accuse di nazisti di turno, come
Verwoerd o Vorster o Botha, ne' gli insulti degli altri deputati bianchi che
le gridavano "Torna a Mosca", "Torna in Israele", "strumento dei
comunisti"... Esasperato dalle sue critiche una volta il primo ministro
Vorster la investi' con queste parole: "Dove vuole arrivare? Cosa lei e i
suoi amici comunisti state cercando di fare con il Sudafrica?". "Quel che
stiamo cercando di fare e' fermare voi", fu la fulminante risposta. Il
presidente Botha che credeva di schernirla chiamandola "la madre superiora",
si senti' rispondere in faccia: "Io non ho paura di lei, non l'ho mai avuta
e non l'avro' mai". Quando un ministro l'accuso' di fare domande che
imbarazzavano il Sudafrica a livello internazionale, lei lo gelo' dicendo
che "non sono le mie domande a imbarazzare il Sudafrica, sono le vostre
risposte".
In poco tempo e per molti anni quella donna piccola e carina della buona
societa' bianca sudafricana divenne l'esponente politico piu' detestato nel
Sudafrica white-only e uno dei piu' ammirati fuori. Negli anni '70 una
rivista francese la indico' come una delle 50 "donne piu' importanti oggi
nel mondo", fra pesi massimi come l'israeliana Golda Meir e l'indiana Indira
Gandhi.
Helen Suzman era nata il 7 novembre 1917 a Germiston, citta' mineraria
vicina a Johannesburg, figlia di immigrati ebrei dalla Lituania. A 20 anni
aveva sposato un dottor Moses Suzman molto piu' vecchio di lei e con lui
ebbe due figlie. Giovane, piacente, ricca, buona societa' e partite di golf.
Nel '53 corse per il parlamento forse come un diversivo. Quella vittoria
inaspettata cambio' la sua vita per sempre. E fece di lei una di quella
minoranza di ebrei banchi che si schierarono fin dal principio - quando era
piu' duro e pericoloso - con i neri nella lotta di liberazione. Helen Suzman
come Nadine Gordimer, come i comunisti Joe Slovo e Ruth First, come gli
altri comunisti che sedevano fra gli imputati del processo di Rivonia a
fianco di Nelson Mandela, Walter Sisulu, Gowan Mbeki, Ahmed Kathrada: Arthur
Goldreich, Denis Goldberg, Lionel Bernstein, Bob Hepple.
Helen non e' mai stata comunista, nonostante le accuse dei suoi colleghi
parlamentari. Una liberale fino all'osso, una che credeva nel capitalismo e
nel mercato, una che era stata contraria al boicottaggio economico in quanto
"non funziona". Ma una - per molti anni la sola - che dopo le condanne
all'ergastolo di Mandela e gli altri leader anti-segregazionisti nel '64,
uso' la sua condizione di parlamentare per andare a visitarli nella prigione
di Robben Island, o a Soweto e negli altri ghetti neri. Fece infuriare i
bianchi ma si conquisto' il rispetto dei neri e l'ammirazione di Mandela.
Per sempre.
*
Postilla
Nella sua autobiografia Lungo cammino verso la liberta', Nelson Mandela
ricorda le visite di Helen Suzman nel carcere di Robben Island: "Era
un'apparizione strana e meravigliosa vedere quella donna coraggiosa far
capolino nelle nostre celle e girovagare per il cortile. Lei fu la prima e
l'unica donna che abbia mai ingentilito le nostre celle".
Helen Suzman, che studio' economia e statistica nell'universita' sudafricana
di Witwatersrand, ricevette una trentina fra lauree honoris causa e altre
onorificenze per la sua attivita' contro l'apartheid: Oxford, Cambridge,
London School of Economics, Harvard, Columbia, Cape Town sono alcune delle
universita' che l'incoronarono.
Helen Suzman fu per due volte candidata al premio Nobel per la pace che non
vinse ma ricevette un'infinita' di titoli da gruppi religiosi e di difesa
dei diritti umani.
La regina Elisabetta d'Inghilterra conferi' a Helen Suzman il titolo di
"Dame Commander of the Order of the British Empire".
Nel 1997 Nelson Mandela, divenuto presidente della repubblica nel '94,
conferi' a Helen Suzman la piu' alta  onorificenza civile del Sudafrica:
"the Order of Meritorious Service".

2. APPELLI. VACLAV HAVEL, HASAN BIN TALAL, HANS KUNG, YOHEI SASAKAWA,
DESMOND TUTU, KAREL SCHWARZENBERG: DEL GENERE UMANO
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 3 gennaio 2009 col titolo "A Gaza. E in
gioco l'etica del genere umano" e la nota redazionale "Vaclav Havel e' stato
presidente della Repubblica Ceca; Sua Altezza Reale Principe Hasan bin Talal
e' presidente dell'Arab Thought Forum (Forum per il Pensiero Arabo) e
presidente emerito della Conferenza mondiale delle Religioni per la pace;
Hans Kung e' Presidente della Stiftung Weltethos (Fondazione per un¥etica
globale) e Professore Emerito di Teologia Ecumenica all¥universita' di
Tubingen; Yohei Sasakawa e' presidente della Sasakawa Peace Foundation;
Desmond Tutu e' stato insignito del Premio Nobel per la pace; Karel
Schwarzenberg e' ministro degli esteri della Repubblica Ceca"]

Perdere tempo e' sempre deplorevole. Ma il tempo perso in Medio Oriente e'
anche fonte di pericolo. E' trascorso un altro anno senza alcun consistente
progresso per superare le divisioni tra palestinesi e israeliani.
Le incursioni aeree in atto su Gaza, cosi' come i continui lanci di razzi
contro Ashkelon, Sderot e altre citta' del Sud di Israele stanno a
dimostrare l'estrema gravita' della situazione. L'impasse esistente tra
Israele e la leadership palestinese di Gaza sulla questione della sicurezza
ha condotto tra l'altro al blocco degli aiuti alimentari israeliani alla
popolazione di Gaza, riducendo letteralmente alla fame un milione e mezzo di
persone. Sembra che nelle sue trattative con i palestinesi di Gaza Israele
sia tornato a impuntarsi sul primato della "hard security": un'impostazione
che porta solo a precludere ogni altra opportunita' di segno non violento,
ogni soluzione creativa al contenzioso israelo-palestinese.
Con l'inasprimento della loro posizione i politici israeliani restano legati
alla prospettiva di ulteriori insediamenti israeliani in Cisgiordania. E
molti palestinesi, messi in questo modo con le spalle al muro, incominciano
a non vedere altra scelta, per tradurre in realta' le loro aspirazioni
nazionali, al di fuori delle tattiche piu' radicali. Da qui il rischio di
sempre nuove violenze. E' quindi fondamentale, per i partner regionali di
Israele come per gli attori internazionali, comprendere che i palestinesi
non potranno comunque essere distolti dall'obiettivo strategico della
conquista di uno Stato indipendente. Il popolo palestinese non abbandonera'
mai la sua lotta nazionale.
Ma israeliani e palestinesi devono rendersi conto che non conseguiranno mai
i loro obiettivi a lungo termine con il solo uso della forza. E' necessaria
invece l'adozione di scelte accettabili per entrambe le parti in causa,
volte ad evitare le esplosioni di violenza. E sebbene talora non si possa
escludere l'uso della forza, solo la via del compromesso verso una soluzione
integrata puo' produrre una pace stabile e duratura.
Perche' un processo di risoluzione di un conflitto possa avere esito
positivo, e' necessario che le energie generate dallo scontro siano
canalizzate verso alternative costruttive e non violente. Questo
dirottamento delle energie conflittive e' possibile in ogni fase del ciclo
dell'escalation; ma quando non vi e' stata, fin dai primi segnali di
tensioni, un'azione preventiva per affrontare i problemi e costruire la
pace, soprattutto allorquando il conflitto si intensifica e degenera nella
violenza, e' necessario ricorrere a un qualche tipo di intervento.
Solo allora diventa possibile instaurare un processo di mediazione e
conciliazione, avviare il negoziato, l'arbitrato e la collaborazione in
vista della soluzione dei problemi. In definitiva, la ricostruzione e la
riconciliazione sono le sole vie percorribili per giungere a una stabilita'
che comunque non puo' essere imposta.
In tutto questo non c'e' nulla di sorprendente. E tuttavia e' il caso di
chiedersi per quale motivo non vi sia stato un impegno piu' concertato e
concentrato per trasformare la situazione a Gaza e in Palestina. Si e'
parlato di un protettorato internazionale, per proteggere i palestinesi sia
dagli elementi piu' pericolosi al loro interno che dagli israeliani, e
fors'anche gli israeliani da se stessi; ma questa proposta ha ricevuto
scarsa considerazione.
Cio' che preoccupa in particolare chi si impegna nella risoluzione delle
crisi internazionali e' l'assenza di un tentativo coordinato di costruire un
accordo tra israeliani e palestinesi, in vista di una struttura basata su un
approccio inclusivo, interdisciplinare e sistemico, in grado di spostare le
variabili e di condurre a una pace che entrambi i popoli possano considerare
giusta ed equa.
Uno degli elementi chiave per una struttura di riconciliazione e' la
crescita economica. Come ha ripetutamente sottolineato la Banca Mondiale,
esiste una stretta correlazione tra poverta' e conflitti. Ecco perche' una
soluzione politica sostenibile tra palestinesi e israeliani non puo'
prescindere dal superamento del deficit di dignita' umana, del divario
esistente tra una societa' prospera e una popolazione priva di tutto. Ma gli
sforzi in questo senso sono stati finora frammentari, e quindi insufficienti
a consentire la speranza reale di una vita migliore.
E' necessario che tra israeliani e palestinesi si stabilisca un dialogo
costruttivo, al di la' dell'enorme divario sociale che li divide; e allo
stesso modo e' imprescindibile il dialogo tra le autorita' e la gente
comune, gli abitanti di queste zone che vivono nella confusione su quanto si
sta facendo in loro nome. E' necessario ricostruire la fiducia per
consentire alle parti in causa di individuare le vie per il superamento
delle ostilita' del passato. Solo l'avvio di un nuovo clima di fiducia
pubblica permettera' di procedere a una diagnosi corretta dei problemi, per
poterli affrontare efficacemente.
Naturalmente, tutte le parti in causa devono comprendere l'esigenza di
sicurezza degli israeliani; e allo stesso modo, le misure di costruzione
della fiducia hanno bisogno del contributo di tutti. Ma piu' di ogni altra
cosa c'e' bisogno oggi di un chiaro messaggio ad indicare che non la
violenza, ma il dialogo e' la via maestra da seguire in questo periodo di
grandi tensioni.
Quello che e' in gioco a Gaza e' l'etica fondamentale del genere umano. Le
sofferenze, l'arbitrio con cui si distruggono vite umane, la disperazione,
la privazione della dignita' umana in questa regione durano ormai da troppo
tempo. I palestinesi di Gaza, e tutti coloro che in questa regione vivono
nel degrado e privi di ogni speranza non possono aspettare l'entrata in
azione di nuove amministrazioni o istituzioni internazionali. Se vogliamo
evitare che la Fertile Crescent, la "Mezzaluna fertile" del Mediterraneo del
Sud divenga sterile, dobbiamo svegliarci e trovare il coraggio morale e la
visione politica per un salto qualitativo in Palestina.

3. RIFLESSIONE. GIAMPAOLO CALCHI NOVATI: O LA VIOLENZA O LA POLITICA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 gennaio 2009 col titolo "Guerra dopo
guerra"]

In un aspetto la crisi israelo-palestinese e' uguale a tutti i conflitti di
tutto il mondo: le cause, le motivazioni, le responsabilita' sono plurime,
si rimandano e si rafforzano l'una con l'altra. I razzi Qassam non spiegano
da soli la guerra d'Israele contro Gaza: se si puo' chiamare guerra uno
scontro cosi' sproporzionato non solo per la tecnologia militare dei due
contendenti ma per il fatto che da una parte combatte uno stato in piena
regola, persino troppo "sovrano" visto che a Israele, a dispetto
dell'opinione dei piu', sono permesse violazioni delle regole non
ammissibili in genere per nessuno (salvo le superpotenze), e dall'altra una
larva priva di qualsiasi personalita' (tanto che spesso si paragona la lotta
di Hamas a una guerriglia benche' le analogie con le guerre di liberazione o
le insorgenze siano davvero scarse se non per le vicende delle Intifada, che
pero' si sono svolte nella West Bank piu' che a Gaza).
Le provocazioni di Hamas sono una mezza verita'. Non si capisce del resto
perche' le condizioni di vita degli abitanti di Israele a ridosso della
Striscia e sotto il tiro dei missili artigianali sparati da Gaza dovrebbero
essere piu' insopportabili delle condizioni di chi e' rinchiuso in una
specie di prigione, in perenne embargo, senza collegamenti esterni, oggetto
di periodiche incursioni e omicidi mirati. Per essere seri si deve partire
dall'eccezionalita', per non dire unicita', della fattispecie
arabo-israeliana e poi israelo-palestinese e dalla sostanziale circolarita'
degli scambi. Non ci sono azioni e reazioni singole. C'e' una storia a piu'
facce che si trascina da un secolo.
Anche in Israele-Palestina valgono le questioni legate allo stato e alla
nazione, al potere, alle classi, alla terra e alla formazione sociale, ma
sopra o sotto questi fattori c'e' l'intreccio di due realta' concrete e
simboliche che nessuna divisione e' riuscita veramente a separare. La stessa
guerra e' il modo d'essere di questa interazione un po' perversa. Guerra
dopo guerra, lo spazio fra israeliani e palestinesi e' diventato sempre piu'
comune, anche se via via piu' sbilanciato a favore di Israele quanto a
capacita' di gestirsi e ad autonomia effettiva e protetta. Israele, come
stato e come soggetto collettivo di cui fanno parte, oltre alle decisioni
delle autorita', un'opinione pubblica informata e un discorso
politico-culturale che si presume libero, fa torto a se stesso se cerca di
far credere che senza i deprecati e deprecabili razzi non ci sarebbe stato
bisogno di una guerra. Dov'e' finita la coscienza critica che si e' soliti
attribuire alla sua sofisticata intellettualita'? Si aveva ragione di
ritenere che al centro del confronto in vista delle elezioni di febbraio -
in una fase obiettivamente cruciale per le obbligazioni dell'ordine globale,
la crisi finanziaria, il cambio alla Casa Bianca, la (forse) crescente
ambizione dell'Europa - non ci fossero i Qassam ma temi come la natura dello
stato ebraico oggi e domani, la conciliabilita' fra democrazia e demografia,
le vie per integrarsi convenientemente nel Medio Oriente (altro che Unione
europea). In gioco fra Israele e Palestina c'e' l'ingombro fatale del
disegno che ha portato alla nascita e all'affermazione dello stato ebraico
con la grandezza dell'utopia e le sue insanabili contraddizioni. Allo stesso
modo, e lo si dice non solo per equidistanza, i dirigenti di Hamas e al
limite l'intero movimento palestinese non possono ridurre tutto alle colpe
di Israele (l'assedio della Striscia, gli insediamenti nei territori, il
muro, ecc.), perche' l'applicazione degli accordi o degli schemi di accordo
messi a punto a tutt'oggi si e' dimostrata o inadeguata o effimera o
impossibile.
La questione israelo-palestinese puo' essere affrontata in due modi diversi
e alternativi: o con la violenza o con la politica. Si puo' sostenere che
anche la violenza e' un'espressione della politica: e' vero, ma la
distinzione e' fra la violenza come fine e la violenza come mezzo. Non si
ripeta la solita solfa del "processo di pace" e dei "due stati per due
popoli". Questi obiettivi possono essere raggiunti sia come sbocco della
violenza (sopraffazione anche nelle eventuali concessioni) che per una
scelta politica (equita' nel riconoscimento dei diritti degli uni e degli
altri). Finora ha prevalso l'uso sistematico della violenza. Israele ha in
mente una soluzione - la sicurezza come dogma, la pace come possibilita', lo
stato palestinese solo come necessita' - che presuppone lo squilibrio, la
supremazia, un dominio acclarato come unico pegno di sicurezza dando per
scontato che i rapporti con i palestinesi, gli arabi e l'ambiente
mediorientale nel suo insieme saranno sempre e comunque di ostilita' se non
di belligeranza.
Fatah e Hamas soffrono anche a distanza per la mancanza di una strategia
attendibile. Arafat ebbe almeno il merito di tenere in vita un'idea unica di
Palestina quando la Palestina era smembrata e negata da tutti. In ogni caso,
nessuna componente del movimento palestinese ha mai immaginato di imporre
una soluzione che implicasse un'egemonia a senso unico. La fase storica del
"rifiuto arabo", quale che fosse il suo significato reale, e' chiusa. Sono
altre le minacce che incombono su Israele (provenienti anche dall'interno).
Determinante, pur nella lunga durata, e' il contesto in cui il contrasto si
colloca di volta in volta. C'e' una bella differenza fra Nasser e Mubarak.
Ai tempi di Nasser l'impegno arabo e panarabo aveva come riferimento il
sovvertimento dei rapporti di origine coloniale. Il Rais vinceva
politicamente anche quando usciva sconfitto da una guerra perche' cavalcava
l'onda ascendente. Si supponeva che l'ordine mondiale potesse e dovesse
essere forzato per adattarsi alle aspettative del Terzo mondo.
Il 1956 a Suez fu il clou esaltante di quell'impegno: non servi' a nulla a
Francia e Inghilterra sbaragliare l'Egitto in una guerra sbagliata e
anacronistica. Israele allora credette utile mettersi al servizio
dell'ultima fiammata del colonialismo europeo e subi' piu' umiliazioni che
gratificazioni scontrandosi con la politica decisamente post-coloniale degli
Stati Uniti. Il declino della causa araba comincio' nel 1967 con la guerra
dei sei giorni e si preciso' nel 1977 quando Sadat ando' alla Knesset a
concordare i termini della resa. Il bipolarismo Est-Ovest non dava nessuna
copertura alla causa araba. L'errore strategico di Israele e' di non aver
colto le diverse opportunita' dei vari passaggi adottando lo stesso schema
dell'autodifesa preventiva per esibire sempre e solo la forza militare.
L'invasione del Libano nel 1982 lo dimostra in modo fin troppo evidente.
Invece di rompersi la testa sui "piccoli problemi" delle "piccole patrie",
che appartengono al passato (la prima rivolta araba esplose nella Palestina
mandataria nei lontani anni Trenta), Israele, palestinesi e arabi farebbero
bene a misurarsi con le sfide che riguardano le loro posizioni relative nel
sistema globalizzato. La globalizzazione, si sa, si occupa dell'ordine, non
delle vittime. Le novita' non mancano. Potrebbe essere imminente il
superamento dell'era degli idrocarburi da cui dipende l'economia di quasi
tutti i paesi arabi della regione. La Palestina ha il vantaggio di non
doversi sottoporre a questo tipo di riconversione. Il suo interlocutore
obbligato nella transizione e' e restera' Israele. E qui si apprezza meglio
la differenza fra la guerra e la politica.
Le alternative diventano: esclusione o inclusione. Demarcare i confini era
il compito del colonialismo. In futuro, con o senza Hamas, conteranno i
diritti della cittadinanza (piu' della sovranita'), le funzioni e le
specialita' (piu' dell'origine etnica). Se Israele e' la forza vincente,
incombono su Israele le responsabilita' maggiori. Deve scegliere molto
semplicemente se accanirsi contro i vinti (i palestinesi) o contribuire al
loro riscatto.

4. DOCUMENTAZIONE. MICHEL WARSCHAWSKI: IN ISRAELE CRESCE L'OPPOSIZIONE ALLA
GUERRA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 gennaio 2009 col titolo "Lo spettro di
un fiasco", il sommario "Barak sogna il blitzkrieg ma l'aria sta gia'
cambiando" e la nota redazionale "Michel Warschawski e' il portavoce del
Centro d'informazione alternativa a Gerusalemme, autore di
Israele-Palestina, la sfida binazionale (Edizioni Sapere 2000)"]

Bisogna dirlo e ripeterlo: quella che si svolge nella Striscia di Gaza non
e' una guerra, ma una carneficina compiuta dalla terza forza aerea al mondo
contro una popolazione indifesa.
Bisogna dirlo e ripeterlo: la carneficina di Gaza non e' una reazione
"sproporzionata" ai razzi lanciati dai militanti della Jihad Islamica e
altri gruppuscoli palestinesi sulle localita' israeliane vicine alla
Striscia di Gaza, ma un'azione premeditata e preparata da molto tempo, come
d'altronde riconosce la maggior parte dei commentatori israeliani.
Bisogna dirlo e ripeterlo: quei razzi non sono, come vogliono far credere
certi diplomatici europei, "provocazioni ingiustificabili", ma risposte,
peraltro abbastanza insignificanti, a un embargo selvaggio imposto da
Israele, da un anno e mezzo, a un milione e mezzo di residenti della
Striscia di Gaza, donne, bambini, e vecchi compresi, con la complicita'
criminale degli Stati Uniti ma anche dell'Europa.
Bisogna dirlo e ripeterlo: non assistiamo, come si cerca di spiegare a tutti
quelli che hanno la memoria corta o selettiva, a un atto di autodifesa a
lungo procrastinato di fronte a un'aggressione palestinese assolutamente
ingiustificabile. Ehud Barak lo confessa tranquillamente, sono mesi che
l'esercito israeliano si prepara a colpire "l'entita' terrorista" denominata
Gaza. Come spiegava opportunamente Richard Falk, relatore speciale dell'Onu
per i diritti umani nei territori occupati, quando si definisce "entita'
terrorista" una zona popolata da un milione e mezzo di esseri umani si entra
in una logica genocida.
L'aggressione israeliana a Gaza, come l'attacco al Libano nel 2006,
s'inscrive nella guerra globale permanente e preventiva degli strateghi
neoconservatori in forza a Tel Aviv e, per qualche mese ancora, alla Casa
Bianca. Come l'espressione indica, questa strategia e' preventiva, non ha
bisogno di pretesti immediati e tangibili: l'occidente democratico sarebbe
minacciato da un nemico globale, che prima e' stato definito "terrorismo
internazionale", poi "terrorismo islamico" per diventare infine
semplicemente l'Islam. Lo "scontro di civilta'" di Huntington non e' una
descrizione della realta' politica internazionale, ma il quadro ideologico
della strategia offensiva dei neoconservatori americani e israeliani, per
com'e' stata elaborata di comune accordo dalla seconda meta' degli anni '80.
In questa strategia di guerra, la minaccia islamica ha sostituito quello che
e' stato il pericolo comunista durante la guerra fredda: un nemico globale
che giustifica una guerra globale.
Se il bombardamento criminale di Gaza gode in Israele di un sostegno
consensuale, se la sinistra istituzionale, e in particolare il partito
Meretz, si e' unita al coro di guerra diretto da Ehud Barak, e' appunto
perche' condivide questa visione del mondo che fa dell'Islam una minaccia
esistenziale che bisogna imperativamente neutralizzare prima che sia troppo
tardi.
All'orrore per questo crimine bisogna aggiungere quello per l'abiezione
delle sue motivazioni contingenti: tra meno di due mesi si svolgeranno in
Israele le elezioni, e le vittime palestinesi sono anche argomenti
elettorali. I martiri dell'attacco israeliano su Gaza sono oggetto di una
gara mediatica tra Ehud Barak, Tzipi Livni et Ehud Olmert, fra chi sara' il
piu' determinato nella brutalita'. Il criminale di guerra che dirige il
Partito laburista, o piuttosto quel che ne resta, si vantava ieri mattina di
aver guadagnato quattro punti nei sondaggi.
Oltre al cinismo senza limiti di barattare 350 vittime palestinesi innocenti
contro qualche decina di migliaia di voti, Barak mostra, una volta di piu',
la sua miopia politica: nel crescendo di bestialita', e malgrado tutti gli
sforzi, non riuscira' mai a superare Benjamin Netanyahu, gli elettori
preferiscono sempre l'originale alla copia. Tantopiu' che il guerrafondaio
si trova oggi di fronte allo stesso problema di colui che ha trasformato la
guerra del Libano nel fiasco israeliano, un problema ben noto a tutti quelli
che hanno iniziato le guerre coloniali: come porvi termine?
"Ci fermeremo solo dopo aver finito il lavoro", egli dichiara con
l'arroganza dei capetti. Ma quando sara' finito "il lavoro"? Quando la
popolazione di Gaza e di Cisgiordania accettera' di capitolare di fronte ai
sogni coloniali dei dirigenti israeliani e limitare le sue aspirazioni
nazionali a uno "Stato palestinese" ridotto a una decina di riserve isolate
le une dalle altre e circondate da un muro?
Se tale e' il "lavoro" che Barak spera di poter realizzare, il popolo
israeliano deve allora essere pronto a una guerra che non solo sara'
estremamente lunga ma anche interminabile. E se lo Stato ebraico e' ben
attrezzato per le guerre-lampo (blitzkrieg, in tedesco), soprattutto quando
queste sono condotte dall'aviazione, entra rapidamente in crisi quando si
tratta di una prova di resistenza in cui i palestinesi, come tutti gli altri
popoli vittime dell'oppressione coloniale, sono maestri.
Questo spiega perche' meno di una settimana dopo il suo inizio, e malgrado
le dichiarazioni trionfalistiche dei politici e dei militari, l'aria in
Israele sta gia' cominciando a cambiare. Sabato scorso, qualche ora dopo il
bombardamento di Gaza, eravamo poco piu' di mille persone a manifestare,
spontaneamente, la nostra rabbia e la nostra vergogna. Ma saremo molti di
piu' il prossimo sabato sera a esigere sanzioni internazionali contro
Israele, a esigere che Ehud Barak e soci siano tradotti davanti a una corte
di giustizia internazionale. Ne sono convinto.

5. LIBRI. ANTONIO LIVI PRESENTA LE "CONFESSIONI" DI AGOSTINO
[Dal mensile "Letture", n. 558, giugno-luglio 1999, col titolo "Confessioni
pubbliche e di successo" e il sommario "Nello scritto autobiografico di
sant'Agostino c'e' tutto: la sua fede, la sua genialita' letteraria, la sua
passione per la ricerca filosofica. Per questo e' sfuggito all'oblio, anzi
e' un testo ancora adottato nella scuola italiana ed e' ristampato di
continuo"]

Chiamiamo in italiano Confessioni di sant'Agostino un suo bellissimo scritto
autobiografico, composto tra il 397 e il 401. Il titolo originale e':
Confessionum libri XIII, che potrebbe essere tradotto cosi': "Racconto della
mia vita, in tredici libri, a gloria di Dio"; infatti, con il termine
confessio - che in latino significa "dichiarazione, proclamazione" - ci si
puo' riferire tanto al riconoscimento delle proprie colpe (la "confessione"
in senso moderno) quanto alla proclamazione dei meriti altrui, e
sant'Agostino volle narrare le vicende salienti della propria vita
(dall'infanzia fino all'eta' di 47 anni) non solo per riconoscersi peccatore
ma anche e soprattutto per ringraziare Dio della sua misericordia e lodarlo
per la sua provvidenza. Agostino infatti vede tutta la sua vita come una
vicenda di tanti errori suoi e di altrettanti interventi di Dio; con san
Paolo ripete: "Dove abbondo' il peccato, sovrabbondo' la grazia". E prorompe
in una commossa lode di Dio, che e' stato nei suoi confronti cosi'
pazientemente misericordioso (perche' gli ha perdonato i peccati, in vista
della conversione finale) e cosi' sapientemente provvidente (perche' lo ha
fatto nascere da una madre santa, Monica, sempre sollecita della salvezza
del figlio; gli ha fatto vivere esperienze dolorose ma sempre arricchenti;
gli ha fatto conoscere sant'Ambrogio, vescovo di Milano, la cui dottrina e
la cui vita sono state per lui l'ultimo e definitivo incoraggiamento verso
la conversione).
*
Professore di retorica
Ricordiamo allora qualche data della biografia del grande filosofo e dottore
della Chiesa. Aurelio Agostino era nato a Tagaste (oggi Souk-Ahras, in
Algeria) nell'anno 354; professore di retorica, prima nella provincia romana
dell'Africa e poi nella stessa Roma, era giunto al vertice della carriera
una volta stabilitosi a Milano. Con la conversione al cristianesimo, nel
386, Agostino abbandona la professione di retore, si ritira a Cassiciaco in
Brianza e si dedica alla filosofia, scrivendo il Contra academicos (una
critica dello scetticismo di Carneade), il De vita beata (dove stabilisce
l'identita' di filosofia e desiderio di Dio) e i Soliloquia (libro che parla
di Dio: incomprensibile eppure certissimo). Lasciata Milano, dove aveva
scritto il trattato De immortalitate animae (sulla natura e il destino
dell'uomo), Agostino si ferma di nuovo a Roma e scrive il De libero arbitrio
(sul problema del male) e il De vera religione (sulla concordanza tra
ragione e fede). Divenuto sacerdote (391) e poi vescovo (398), Agostino fa
ritorno in Africa, dove compone ancora opere filosofiche, come il De
magistro (sulla trasmissione della verita'), ma si dedica prevalentemente al
lavoro pastorale e alla produzione di opere teologiche, nelle quali illustra
il vero senso delle Scritture e combatte le eresie del suo tempo (il
manicheismo, che egli stesso aveva accettato, e poi il donatismo e il
pelagianesimo, dottrine contrarie alla verita' sulla grazia e sulla
salvezza); appartengono a quest'ultima parte della sua vita i celebri
trattati De Trinitate e De civitate Dei. La filosofia continua a essere
presente in ogni suo scritto, ma soprattutto in due opere a carattere
autobiografico: le Confessioni, appunto, nelle quali narra le sue vicende, e
le Retractationes, nelle quali illustra il motivo e il vero messaggio delle
sue opere.
Agostino muore nella citta' di Ippona, della quale e' vescovo, mentre
l'assediano i Vandali, i barbari che gia' avevano conquistato gran parte
dell'impero romano; e' l'anno 430. Il vescovo Agostino non potra'
partecipare al grande concilio di Efeso (431), ma la sua dottrina e' gia'
patrimonio fondamentale e perenne della Chiesa latina e greca.
Nel libro delle Confessioni, composto negli anni della maturita', c'e' tutto
sant'Agostino: la sua fede ardente di convertito, il suo zelo teologico per
la difesa del Vangelo contro le eresie, la sua responsabilita' pastorale
come vescovo della diocesi africana di Ippona, la sua passione per la
ricerca filosofica, la sua genialita' letteraria. Quest'ultimo aspetto e' il
piu' immediatamente evidente: le Confessioni (un discorso in prima persona,
con un io narrante che si rivolge a un Tu ineffabile ma amatissimo e sempre
presente, che e' Dio) rappresentano da sempre uno dei piu' conosciuti e
riconosciuti capolavori della letteratura mondiale.
*
Armonia di ragione e fede
Forse proprio per questo le Confessioni sono uno dei pochi testi della
"filosofia cristiana" (la filosofia dei cristiani che hanno saputo
armonizzare la ragione con la fede) sfuggito all'oblio o alla noncuranza ai
quali sembrano invece condannati i libri di Origene, di Cirillo
Alessandrino, dello Pseudo-Dionigi, di Scoto Eriugena, di sant'Anselmo, di
san Bonaventura, di san Tommaso e del beato Giovanni Duns Scoto, di Rosmini,
di Newman; i testi di tutti questi autori li si conosce a malapena per il
titolo (e infatti ne dovremo parlare in questa stessa rivista, tentandone un
recupero), mentre di Agostino possiamo parlare come di un classico, ben
conosciuto e molto amato da generazioni di studiosi, e anche da generazioni
di "lettori deboli". Tra l'altro, nella scuola italiana (specie nei licei)
le Confessioni sono un testo filosofico spesso adottato come "classico" per
il primo anno del triennio finale, a differenza degli altri testi della
filosofia cristiana antica, medievale e moderna, quasi mai adottati.
Dicevamo che nelle Confessioni c'e' tutto sant'Agostino: nella scrittura
stessa - in quel latino bellissimo e vivacissimo - c'e' anzitutto il
finissimo retore e professore di retorica (ebbe la cattedra a Milano nel
384), nutrito di cultura latina classica (soprattutto delle opere
filosofiche di Cicerone), capace ora di slanci lirici commoventi, ora di
convincenti riflessioni metafisiche.
C'e' poi l'appassionato filosofo, che da pagano si era sentito attratto
dalla visione dualistica dei manichei (che consideravano la materia come il
male assoluto, in eterno conflitto con il bene), per poi abbandonarla,
cadendo pero' nello scetticismo degli Accademici (la principale scuola
ellenistica di origine platonica), finendo per recuperare la fiducia nella
ragione a contatto con i neoplatonici (Plotino e Porfirio).
*
Supera i neoplatonici
Chiara e misteriosa allo stesso tempo la posizione che Agostino assume di
fronte ai neoplatonici: riconosce di dovere molto alla profondita' e alla
coerenza del loro pensiero, incentrato su Dio, dal quale tutto procede, ma
aggiunge che solo nel Vangelo ha potuto trovare la verita' definitiva e
salvifica, cioe' il Verbo incarnato; sa bene che i neoplatonici (fioriti nel
III secolo dopo Cristo) rappresentano l'ultimo tentativo dell'ellenismo di
opporre alla filosofia cristiana una filosofia totalmente pagana, eppure
tenta (con successo innegabile) di costruire una filosofia cristiana
coerente utilizzando proprio lo schema metafisico e antropologico del
neoplatonismo, lo schema dell'exitus e del reditus, che esprime la
derivazione di tutte le cose da Dio e il loro ritorno a lui.
Il famosissimo incipit delle Confessioni e' una sintesi quantomai efficace
di questo schema metafisico e antropologico: "Tu, Domine, fecisti nos ad te:
et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in Te" (Tu, Signore, ci hai
creati per te: e il nostro cuore e' senza pace, finche' non puo' riposare in
te). In questa preghiera del filosofo c'e' tutta la metafisica antropologica
del neoplatonismo cristiano: c'e' infatti il principio di causalita'
(fecisti nos) e il principio di finalita' (ad te), entrambi legati
all'interiorita' dell'uomo che riflette sulla sua esperienza (cor); c'e' la
persuasione che l'esperienza umana (cor nostrum) e' condivisa e
condivisibile, e' il "senso comune" che precede e fonda la ragione
filosofica; e c'e' infine la consapevolezza che il Dio della fede, il Padre
di Gesu' Cristo, e' lo stesso "Dio dei filosofi", reso visibile e vicino
dall'incarnazione del Figlio.
L'agostinismo filosofico perenne e' proprio questo: e' interiorita', e'
teocentrismo, e' sintesi vitale di ragione e fede, e' amore del bello; come
dice ancora Agostino in un'altra famosa sua frase delle Confessioni: "Tardi
ti ho amato, o Bellezza eterna!". Si capisce come nel XIII secolo lo spirito
francescano di amore per la natura ("l'estetica pia", diceva Teodorico
Moretti-Costanzi) abbia trovato nella filosofia agostiniana, con san
Bonaventura, la sua espressione piu' connaturale.
*
Di lui e' stato pubblicato tutto
L'opera fondamentale per affrontare il pensiero del vescovo di Ippona e' a
tutt'oggi, malgrado il molto tempo che e' passato dalla pubblicazione
dell'originale francese (1935), il celebre studio di Etienne Gilson,
Introduzione allo studio di sant'Agostino (Marietti, Casale Monferrato
1984). Sempre del filosofo francese e' stata pubblicata di recente la
traduzione italiana di un saggio del 1947 su Filosofia e cristianesimo in
sant'Agostino, a cura di Luigino Zarmati (Edizioni Romane di Cultura, Roma
1999). Altrettanto ricca di spunti interpretativi e' la monografia del
filosofo Michele Federico Sciacca, Sant'Agostino, pubblicata nel 1954 e
successivamente (1990) ripubblicata dall'editrice Epos di Palermo.
Si possono poi leggere altre opere (di carattere divulgativo, ma rigorose
nei contenuti) come quelle di Battista Mondin, Il pensiero di Agostino:
filosofia, teologia, cultura (Citta' Nuova, Roma 1988) e di Marco Vannini,
Invito al pensiero di sant'Agostino (Mursia, Milano 1989).
Per accostarsi invece direttamente alle opere di Agostino e' disponibile
l'edizione dell'opera omnia, in italiano e con testo latino a fronte, curata
da Agostino Trape' e Remo Piccolomini per Citta' Nuova Editrice (Roma); per
un commento e un'attualizzazione dei testi e' consigliabile servirsi delle
belle edizioni curate da Maria Bettetini per l'editore Rusconi (Milano), tra
le quali quella su Ordine, musica, bellezza (1992) e quella su Il maestro e
la parola (1993). Per quanto riguarda particolarmente Le confessioni,
l'edizione piu' recente e piu' accurata e' quella approntata da Giuliano
Vigini per l'Editrice Bibliografica di Milano (5 volumi, 1993-1996).

6. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito
sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e
15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

7. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009"

Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano
per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita',
per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla
forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione
tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno
dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della
nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata.
E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009".
- 1 copia: euro 10
- 3 copie: euro 9,30 cad.
- 5 copie: euro 8,60 cad.
- 10 copie: euro 8,10 cad.
- 25 copie: euro 7,50 cad.
- 50 copie: euro 7 cad.
- 100 copie: euro 5,75 cad.
Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946,  e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it

8. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009

E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne
nella lotta contro le mafie e per la democrazia.
E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di
Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani.
Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro
Impastato o all'editore.
*
Per richieste:
- Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa
Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail:
csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it
- Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax:
923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito:
www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 690 del 4 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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