Minime. 666



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 666 dell'11 dicembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Il fallimento delle armi, l'urgenza della nonviolenza
2. "Peacereporter": I talebani controllano tre quarti dell'Afghanistan e
circondano Kabul
3. Terme vs mega-aeroporto
4. Gianfranco Capitta ricorda Warner Bentivegna
5. Marco Dotti ricorda Luigi Malerba
6. Giuseppe Galasso ricorda Michele Pantaleone
7. Stefano Guerriero ricorda Luigi Meneghello
8. Massimo Raffaeli ricorda Piero Camporesi
9. Benedetto Vecchi ricorda Michael Crichton
10. Gilda Zazzara ricorda Nicola Gallerano
11. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
12. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009"
13. L'Agenda dell'antimafia 2009
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. IL FALLIMENTO DELLE ARMI, L'URGENZA DELLA NONVIOLENZA

Lo sapevano gia' i sopravvissuti della seconda guerra mondiale. Lo sanno le
vittime di tutte le guerre. Lo sanno le vittime e i superstiti di tutte le
stragi. Le armi uccidono.
L'unica politica che possa salvare l'umanita' nella presente distretta e' la
politica della nonviolenza, che implica il ripudio integrale della guerra e
delle armi, che implica la scelta di lotta per la giustizia, la pace, la
solidarieta' usando mezzi di lotta coerenti con quei fini di giustizia, di
pace, di solidarieta'.

2. AFGHANISTAN. "PEACEREPORTER": I TALEBANI CONTROLLANO TRE QUARTI
DELL'AFGHANISTAN E CIRCONDANO KABUL
[Da "Peacereporter" (http://it.peacereporter.net) riprendiamo la seguente
notizia del 9 dicembre 2008 col titolo "Nel 2008 i talebani hanno
conquistato un altro quarto dell'Afghanistan" e il sommario "Tra le province
cadute in mano alla guerriglia anche quella 'italiana' di Herat"]

I talebani, che solo un anno fa controllavano il 54% del territorio afgano,
oggi ne controllano il 72% e circondano Kabul. Lo certifica il rapporto
annuale del think-tank di politica internazionale Icos (ex Senlis Council),
che fornisce analisi e statistiche a supporto delle operazioni Nato in
Afghanistan.
"In Afghanistan ormai i talebani guidano il gioco, sia politicamente che
militarmente", ha dichiarato Paul Burton, direttore dell'Icos. "C'e' il
reale pericolo che i talebani riconquistino l'intero Paese".
Il rapporto sottolinea anche come "tre delle quattro vie d'accesso alla
capitale Kabul siano gia' in mano alla guerriglia".
Solo nel 7% del territorio afgano i talebani hanno una "scarsa presenza"
(non nulla), e si tratta sostanzialmente del Panjshir (a nord di Kabul),
roccaforte dei mujaheddin tagichi, e delle province settentrionali attorno a
Mazar-e-Sharif, controllate dalle milizie uzbeche del signore della guerra
Rashif Dostum.
Tra le regioni che nell'ultimo anno sono di fatto finite in mano agli
insorti c'e' anche la provincia occidentale di Herat, dove si concentra il
grosso del contingente militare italiano.
Oggi il capo del Comando Centrale Usa, il generale David Petraeus, e' a Roma
per convincere il governo Berlusconi a fornire un maggior contributo
militare sul fronte di guerra afgano. Il Pentagono ha deciso di inviare
altri 20.000 soldati in Afghanistan nei prossimi mesi.

3. VITERBO. TERME VS MEGA-AEROPORTO
[Riportiamo il seguente comunicato del comitato che si oppone all'aeroporto
di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo]

Adesso anche il Comune e la Provincia di Viterbo, e con essi la Regione
Lazio, dichiarano di riconoscere che una delle poche reali prospettive di
valorizzazione - sociale, ed anche economica - delle risorse naturali del
viterbese e' nel termalismo.
Bene, meglio tardi che mai. Se fosse vero.
*
Ma allora perche' vogliono devastare irreversibilmente l'area termale di
Viterbo costruendovici sopra un nocivo e distruttivo mega-aeroporto?
Perche' mentre cantano le lodi del termalismo si ripromettono di distruggere
l'area del Bulicame realizzandovi un'opera insensata e illegale come il
mega-aeroporto?
Perche' mentre affermano le virtu' terapeutiche e la bonta' sociale delle
cure termali, della possibilita' del termalismo a Viterbo intendono fare
scempio?
*
E' evidente a tutti che la valorizzazione del termalismo a Viterbo e'
incompatibile con la realizzazione del disastroso mega-aeroporto.
Decidano dunque Comune, Provincia e Regione di farla finita con le
mistificazioni truffaldine, con l'irresponsabilita' speculatrice, con la
mega-truffa del mega-aeroporto.
Si difendano e si valorizzino le preziose ricchezze naturali e culturali,
terapeutiche e sociali, economiche e simboliche del viterbese, come l'area
termale del Bulicame.
Si respinga definitivamente il mega-aeroporto dei novelli attila.

4. MEMORIA. GIANFRANCO CAPITTA RICORDA WARNER BENTIVEGNA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 dicembre 2008 col titolo "Lutti. Warner
Bentivegna, il rigore dell'attore"]

Warner Bentivegna e' morto ieri in una clinica romana, dopo una rapida e
violenta malattia epatica. Era nato a Crotone 77 anni fa, nel 1931, ed e'
stato una presenza ed un volto importante del teatro e della tv in Italia.
Poco conosciuto forse tra gli spettatori piu' giovani di oggi, ma vera star
degli anni Sessanta. In teatro, dopo l'Accademia "Silvio D'Amico", aveva
lavorato con tutti i grandi attori: la sua eleganza e la sua volonta' di
entrare in un personaggio, gli hanno permesso di portare in palcoscenico
qualsiasi ruolo. Oltre che con molti registi importanti, aveva lavorato con
Strehler che l'aveva voluto al Piccolo per il cechoviano Platonov, e poi
Cobelli, e infine Ronconi che pochi anni fa gli ha permesso un ritorno
prestigioso: nella trilogia classica allestita a Siracusa nel 2003 (quella
"onorata" dalla censura berlusconiana), con classe e sprezzo del pericolo
recitava nel Prometeo da un'altezza di decine di metri, ieratico e
impeccabile. Ma la grande notorieta' era arrivata con gli sceneggiati tv.
Due i personaggi che restano incancellabili grazie alla sua faccia. Uno e'
il giovane opportunista della Tragedia americana tratta dal romanzo di
Theodor Dreiser: povero e arrampicatore, lascia la fidanzatina povera (anzi:
la fa proprio morire nel lago) insieme alla rigidita' religiosa del padre,
per impalmare la bella ereditiera (Virna Lisi, che tra i primi ieri ha
espresso il suo cordoglio). L'altro fu il temibile Saint-Just dei Giacobini
di Federico Zardi. A fianco all'infuocato Robespierre di Serge Reggiani,
Bentivegna era l'affilato e implacabile sostenitore dei diritti e dei
doveri, e della necessita' di applicarli, in quella circostanza
rivoluzionaria, col sangue, tanto spietato quanto "giusto". Recentemente,
rompendo la sua discrezione puntuta, era riapparso, con un brivido negli
spettatori piu' adulti, nella soap Incantesimo.

5. MEMORIA. MARCO DOTTI RICORDA LUIGI MALERBA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 maggio 2008, col titolo "La densita'
nomade di un ecologo della parola" e il sommario "La morte di Luigi Malerba.
Dall'esordio come sceneggiatore alla curiosita' per le neoavanguardie del
gruppo 63. L'opera di uno scrittore, dalla nutrita bibliografia, che
invitava a esercitare lo sguardo verso l'universo delle parole. Oggi i
funerali a Roma"]

I grandi monumenti, le rassegne importanti, le persone che contano e persino
le targhe nelle piazze sono sempre li', "imperiture e fedeli" a ricordarci
che il tempo passa per tutti, ma non per tutti - forse - passa allo stesso
modo. Ci sono poi altre cose, che in un attimo appaiono e subito se ne
vanno, come inghiottite nella nebbia o dal tempo. Un occhio allenato non
basta per coglierle e disvelarne il segreto, serve una certa predisposizione
a muoversi, sempre e comunque, sul ciglio della strada, bisogna sapere
percorrere a piedi percorsi polverosi, spesso segnati unicamente dai passi
di qualche sparuto o maldestro pellegrino. Era cosi' Berceto, nel parmense,
con la sua sagoma medievale e il duomo posti nel mezzo della via Francigena,
snodo montano tra la bassa e l'Appennino, sulla cosiddetta "Romea", la
strada che dal Nord portava i pellegrini verso Roma. Era cosi' -- o forse lo
e' ancora, dipende dai punti di vista - prima che il turismo reclamasse la
sua parte, e dei cartelli redatti con involontaria ironia, giocando sulla
relativa prossimita' con La Spezia, informassero che Berceto e' "la montagna
piu' vicina al mare".
Luigi Malerba era nato in questa zona di involontario confine, l'undici
novembre del 1927 registrato all'anagrafe col cognome Bonardi, e qui aveva
coltivato la passione per le piccole cose, per i movimenti sparuti e
leggeri, per le "malerbe" surreali e grottesche del linguaggio (quasi un
omaggio a Francis Ponge), come sembra suggerire, per l'appunto, il suo nom
de plume. A Roma, dove e' scomparso nella notte fra martedi' e mercoledi' (i
funerali si terranno oggi alle 12, nella chiesa di Santa Maria in piazza del
Popolo), Malerba si era trasferito all'eta' di ventitre' anni. La sua prima
passione era legata al cinema. Autore di Donne e soldati, un lungometraggio
ambientato nel '400 e interamente parlato in parmense, sceneggiatore di film
neorealisti, dal Cappotto alla Lupa, collaboratore al pari di Hugo Claus di
Alberto Lattuada e Monicelli, Malerba esordi' come scrittore anche a causa
di una sorta di censura, quando fu denunciato come "comunista" da un
delatore di Cinecitta', e le porte mai troppo aperte della settima arte per
lui improvvisamente si chiusero. Lo raccontava in una bella intervista
concessa ad Alberto Scarponi e pubblicata da "Lettera internazionale" nel
1998. "Nei primi anni Sessanta - ricorda - quando Giulio Andreotti era
sottosegretario allo spettacolo, io stavo scrivendo per il produttore
Goffredo Lombardo, patron della Titanus, la sceneggiatura della Colonna
infame di Manzoni; ma, a meta' del lavoro, gli fu 'suggerito' di
interromperla: ero stato denunciato come comunista per aver collaborato in
alcune sceneggiature con Cesare Zavattini".
Direttore di una agenzia pubblicitaria, per anni editore di una rivista di
musica, saggista prolifico e appassionato indagatore della classicita'
(greca, ma anche cinese), attratto dalle esperienze della neoavanguardia del
Gruppo 63, Malerba lascia dietro di se' una nutrita bibliografia composta da
reportage, racconti, saggi critici e romanzi che spesso hanno conosciuto
l'unanime consenso di pubblico e critica, dall'esordio del 1963 con Scoperta
dell'alfabeto, al Serpente, dal Fuoco greco a Itaca per sempre, dalle Pietre
volanti fino all'opera teatrale Non si spara ai poeti.
Nel Viaggiatore sedentario, uno dei suoi libri meno noti, Malerba accenna a
una necessita', quasi "ecologica", dello sguardo. Uno sguardo che ogni
viaggiatore - e ogni lettore, in quanto frequentatore di universi di
parole - dovrebbe tenere vivo, per evitare di macinare "chilometri ciechi".
Un tempo, scriveva Malerba, "si partiva per viaggiare, oggi nella
maggioranza dei casi si parte per arrivare". Fra la partenza e l'arrivo ci
sono i monumenti e le piazze, i grandi "eventi", ma nel mezzo "c'e' il
vuoto, un tratto di matita sulla carta geografica, senza tappe, senza
incontri, senza paesaggio, senza avventura". Vuoti di memoria e di avventura
che la sua scrittura e i suoi libri miracolosamente riescono ancora a
colmare.

6. MEMORIA. GIUSEPPE GALASSO RICORDA MICHELE PANTALEONE
[Dal "Corriere della sera" del 13 febbraio 2002 col titolo "Pantaleone, una
vita per spiegare la mafia" e il sommario "E' morto a 90 anni lo scrittore
che denuncio' i legami della malavita organizzata con la politica"]

Si e' spento lunedi' notte nella sua abitazione palermitana lo scrittore
Michele Pantaleone. Aveva 90 anni.
Pantaleone era nativo di Villalba, il paese - per intenderci - di don
Calogero Vizzini, il cui nome leggendario ha riempito e riempie, tra la
realta' e l'immaginario, tanti discorsi sulla mafia. Ricordiamo questo
particolare perche' in quella origine paesana puo' forse essere
simboleggiato meglio che in altri modi il destino, che fu anche la
vocazione, di Pantaleone, che resta fra coloro che nella lotta alla mafia
hanno detto e fatto qualcosa di importante. Alla mafia egli dedico',
infatti, la parte maggiore e senz'altro la piu' valida della sua lunga e
copiosa attivita' pubblicistica e una parte notevole del suo impegno
politico (milito', tra l'altro, nel partito socialista e fu deputato
all'Assemblea Regionale Siciliana). E come spesso accade per tutto cio' e
per tutti coloro che ruotano in funzione attiva intorno a questo problema,
anch'egli fu uomo discusso, e altrettanto i suoi scritti e la sua azione.
Nel momento del distacco supremo conviene, tuttavia, alla logica umana e
storica della circostanza astrarre da cio' che e' o pare discutibile, e
ricordare il contributo che anch'egli diede, e non piccolo, alla ricerca di
una piu' libera vita della sua isola.
E' il libro pubblicato da un editore come Einaudi nel 1962 con prefazione di
Carlo Levi - Mafia e politica. 1945-1962. Le radici sociali della mafia e i
suoi sviluppi piu' recenti - a dover essere a questo proposito soprattutto
ricordato. Il titolo stesso esprime in estrema sintesi la tesi di fondo: la
mafia non e' un comune fenomeno di criminalita', sia pure fortemente
organizzato; e' un cancro criminale con profondi addentellati nelle
strutture pubbliche a tutti i livelli e in tutti i settori; e' quel che e'
perche' un intreccio perverso la lega al mondo politico e lega questo mondo
ad essa.
In realta', il testo di Pantaleone e' molto piu' articolato e passa per
ricostruzioni e interpretazioni sulla falsariga del giudizio di fondo, qui
ridotto all'osso. Sostiene pure che un contributo decisivo alla ripresa
della mafia fu dato dall'uso che gli Americani fecero nel 1943 dei mafiosi
(a cominciare da Lucky Luciano) per sbarcare in Sicilia servendosi di una
preziosa quanto deprecabile quinta colonna. Questo luogo comune su una
grande impresa militare (che, tra l'altro, preluse e preparo'
nell'organizzazione e nella tattica quello in Normandia) continua a
circolare (ma su di esso si possono vedere le pagine illuminanti del bel
libro di Carlo d'Este, La campagna di Sicilia, Mondadori, con un excursus
sul problema in appendice).
A prescindere da cio', la tesi del libro di Pantaleone metteva a nudo un
problema fondamentale. Francesco Renda ricorda a ragione (nel III volume
della sua Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, edito da Sellerio) che
"nella storia della lotta alla mafia il 1962 fu, in particolare, un anno
memorabile". E cio' perche' sulla mafia nello stesso anno uscirono anche
altri libri: e perche' nell'Assemblea regionale siciliana si svolse allora
una discussione chiusa con la richiesta unanime che il Parlamento nazionale
istituisse una commissione di inchiesta sulla mafia, come infatti avvenne
nel dicembre ancora del 1962. Ne' si va lontani dal vero affermando che il
libro di Pantaleone ebbe in cio' indubbia efficacia.
L'operato della Commissione parlamentare antimafia fu poi giudicato
negativamente da lui nel libro del 1969, dal titolo anch'esso significativo:
Antimafia occasione mancata (Einaudi), in cui gli fece velo un errore di
prospettiva. Egli criticava il fatto che la Commissione non adottasse
provvedimenti concreti. Ma di essa questo non era il compito proprio, bensi'
quello dell'accertamento di una situazione, che essa mise in piena luce. La
collusione tra mafia e politica, la tesi di Pantaleone, passo' nel testo
della relazione di maggioranza a conclusione dei lavori della Commissione,
durati dal 1962 al 1976. Di li' vennero la legge Rognoni-La Torre e i
provvedimenti da cui e' scaturito tutto quel che poi si e' riusciti e si
riesce a fare contro la mafia, che dopo questa legge, dice a ragione Renda,
non fu piu' quella di prima. Ma anche cosi' una ragione Pantaleone finiva,
tuttavia, con l'averla. In Parlamento la relazione della Commissione non fu
mai discussa e i suoi buoni effetti procedettero per una via piu' diretta di
quella della discussione e del giudizio parlamentare.

7. MEMORIA. STEFANO GUERRIERO RICORDA LUIGI MENEGHELLO
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 27 giugno 2007 col titolo "Meneghello,
un'altra lingua un'altra Resistenza" e il sommario "E' morto ieri, a 85
anni, lo scrittore vicentino, autore negli anni '60 di Libera nos a malo e I
piccoli maestri. Lo scavo nel dialetto, la leggerezza calviniana e la
condizione di outsider caratterizzano la sua opera e la sua testimonianza
sul biennio '43-'45"]

Delle qualita' che Calvino proponeva per il millennio che ormai stiamo
vivendo, Luigi Meneghello aveva indubbiamente in modo cospicuo la
leggerezza. Una leggerezza acuta e divertita che tuttavia non presuppone
disimpegno o distacco dalla realta': tutt'altro.
Questa leggerezza in anticipo sui tempi e' uno dei due motivi per cui si e'
tardato forse fino alla meta' degli anni Ottanta a riconoscere il suo
valore, nonostante avesse esordito con due libri innovativi di grande
portata: Libera nos a malo (Feltrinelli 1963), romanzo, o non romanzo che
sia, linguistico e sociologico sulla propria infanzia e sul mutamento della
societa' contadina e del suo dialetto, e I piccoli maestri (Feltrinelli
1964), la piu' celebre narrazione resistenziale, anch'essa a sfondo
autobiografico. L'altro motivo della tardiva scoperta e' la sua qualita' di
outsider: Meneghello ha insegnato letteratura italiana in Inghilterra
all'Universita' di Reading dal 1947 e questo faceva di lui forse un
provinciale, un marginale agli occhi dell'establishment letterario italiano.
Ma la distanza certo non gli ha nuociuto: la sua scrittura muove da una
lontananza nello spazio e nel tempo; e' animata da un ripensamento (degli
anni della guerra e del ventennio fascista) che non diventa malinconica
letteratura del ricordo ma lucida volonta' di comprendere e anche di
denunciare i propri e altrui errori, sia pure evocati con affetto. Sta di
fatto che nel '63 a parte i recensori d'ufficio pochi leggono Libera nos a
malo, che pure era al passo con il clima neoavanguardistico, per il suo
essere tutto giocato sullo "sfasamento tra il mondo delle parole e quello
delle cose"; per il suo scavo nel dialetto che come le lingue specifiche
degli occhi e di altri sensi, "e' sempre incavicchiato alla realta', per la
ragione che e' la cosa stessa, appercepita prima che imparassimo a
ragionare". Anche I piccoli maestri, singolarmente scritto nell'anno della
morte di Fenoglio, l'altro grande cantore non ideologico della Resistenza,
si afferma a fatica, con una prima riedizione, drasticamente riveduta
dall'autore, nel '76 e via via altre edizioni tra cui una scolastica
nell'88.
I piccoli maestri inizia genialmente con l'atto di vilta' piu' grave per un
combattente: l'abbandono dell'arma, un parabellum lasciato in una crepa
nella roccia durante un rastrellamento. E perche' non ci siano dubbi
l'autore mette subito in chiaro che a quei tempi di armi ne perdevano di
continuo che in realta' "non eravamo mica buoni, a fare la guerra". E' un
libro tutto scritto in chiave antieroica, tutto contro la vulgata
resistenziale e insieme tutto a favore delle ragioni della Resistenza,
nonostante gli errori materiali e ideali che pure Meneghello vi riconosce.
Un libro anticonformista. Si svolge tra l'Altipiano di Asiago e il Veneto,
dove ha operato la singolare brigata del piccolo maestro Toni Giuriolo negli
anni della guerra civile (guerra civile e' un termine che ritorna di
continuo nella narrazione: Meneghello non ha paura delle parole). Nelle
vicende di questa pattuglia di "deviazionisti crociani di sinistra", come li
definisce ironicamente l'autore, c'e' la paura e il fascino della morte
violenta, l'eccitazione dei rastrellamenti, ma anche le azioni fallite, il
tragico spararsi addosso per errore: fatti dopo i quali "uno si sentiva
soldato, frate, fibra dell'universo, e mona". Il piglio antiretorico e'
sistematico e coinvolge tutti i miti giovanili, compresi i miti culturali.
All'eroismo viene preferito l'empirismo: "l'eroismo e' piu' bello, ma ha un
difetto, che non e' veramente una forma della vita. L'empirismo e' una serie
di sbagli, e piu' sbagli e piu' senti che stai crescendo, che vivi". Un
empirismo che e' una differenza sostanziale con l'eroismo mortuario delle
milizie di Salo'. Contemporaneamente c'e' la sincera e difficile
rievocazione dell'entusiasmo giovanile, della fascinazione dell'avventura
che si concretizza ad esempio nell'adorazione delle armi, odiate perche'
poche, brutte e vecchie, ma comunque sacre.
La compresenza dello sguardo del giovane di allora e dell'uomo maturo degli
anni Sessanta, entrambi rivolti sull'oggetto Resistenza, senza che l'uno
falsifichi l'altro, e' l'elemento piu' mirabile dei Piccoli maestri. Tutto
e' tenuto insieme con un'abilissima ironia, insieme lucida e affettuosa. La
stessa ironia che caratterizza tutti i libri di Meneghello, da Fiori
italiani (Rizzoli 1976) sull'educazione in tempo di fascismo e oltre, a
Bau-sete (Rizzoli 1988), gustosa rievocazione del dopoguerra e della sua
attivita' per il Partito d'Azione, il partito perfetto "per cui non votarono
neanche le nostre fidanzate", fino alle ricerche linguistiche di Jura
(Garzanti 1987) e oltre.
Meneghello e' ormai consacrato come un classico, un fatto testimoniato dai
volumi Rizzoli delle Opere e dal fiorire di edizioni, che certo come sempre
in questi casi aumentera' ancora. E' auspicabile che questo fiorire
favorisca una ricezione ampia e completa dell'autore. Attualmente si ha
l'impressione che sia un po' la primizia sulla quale il critico-linguista
sperimenta le proprie ricette. Certo i linguisti, da Giulio Lepschy a Cesare
Segre a Maria Corti, hanno il merito indiscusso di aver difeso questo autore
quando pochi lo conoscevano veramente. La sperimentazione linguistica, il
lavoro di ricerca sulla lingua e sul dialetto, le contaminazioni con
l'inglese sono dati imprescindibili per la comprensione del valore formale
della sua scrittura.
Tuttavia e' vero che in Meneghello c'e' un fondo di passione e di volonta'
di comprendere che lo rendono anche un testimone eccezionale e
sostanzialmente inedito dei decenni piu' difficili della storia italiana e
della Liberazione. Insieme a Fenoglio, al Calvino del Sentiero dei nidi di
ragno e, perche' no, a Tiro al piccione di Giose Rimanelli, Meneghello puo'
essere la via di accesso privilegiata alla comprensione di che cosa e' stata
veramente la Resistenza e la guerra civile. Sono argomenti che meritano
attenzione al di fuori della cerchia degli specialisti.

8. MEMORIA. MASSIMO RAFFAELI RICORDA PIERO CAMPORESI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 marzo 2008, col titolo "L'abbecedario
corporeo di Camporesi" e il sommario "Alla Pinacoteca civica di Forli' in
mostra autografi, estratti, prime stampe, traduzioni, lettere dello storico
e filologo romagnolo, al quale la rivista 'Riga' dedica un numero
monografico"]

Anche a dieci anni dalla sua scomparsa, qualificare Piero Camporesi e'
difficile tanto quanto definire le sue pagine di filologo, di teorico e di
storico della cultura popolare, infine di saggista e di scrittore tout
court. Riguardo ai quasi cinquanta titoli in volume della sua bibliografia
(dove trovano posto sia l'edizione del gran libro di Pellegrino Artusi, La
scienza in cucina, che davvero fece epoca, sia Il paese della fame in cui
per la prima volta in Italia non solo veniva recepita la lezione di Bachtin
sullo spirito del Carnevale ma la si metteva in discussione) forse la
definizione preferibile e' quella di Umberto Eco, che ne parlava come di un
antropologo culturale. Al dipartimento di studi interdisciplinari
dell'universita' di Bologna, dove Camporesi, allievo di Carlo Calcaterra,
insegno' dal '69 al '96, lo hanno ricordato in un recente convegno di studi
e alla Pinacoteca civica di Forli' hanno allestito (fino al 30 marzo) una
mostra intitolata L'odore dei libri. Scritti e fonti di Piero Camporesi (a
cura di E. Casali, A. Cristiani, G. Fenocchio, P. Rambelli, P. Tinti) in cui
si trovano esposti autografi, estratti, prime stampe, traduzioni,
documentazione epistolare, materiali accademici e rassegne stampa, ordinati
per cronologia e accompagnati da un sobrio ma preciso apparato di didascalie
pur in assenza - cosa abbastanza sorprendente - di un catalogo o comunque di
una minima brochure.
La prima delle tre sale documenta il lavoro filologico precedente l'edizione
dell'Artusi e l'accesso all'insegnamento universitario: qui trovano posto i
lavori formativi o comunque quelli segnati dal magistero di Calcaterra, vale
a dire edizioni di opere che scaturiscono direttamente dalla disputa
classicistico-romantica come gli Estratti d'Ossian e da Stazio dell'Alfieri
('69) e ben due titoli del pallido amico di Stendhal, Ludovico di Breme, con
Il romitorio di Sant'Ida ('61) e le Lettere (Einaudi 1966) la cui
annotazione, estesa e accuratissima, costituisce quasi un libro nel libro.
La seconda sala ospita quella che sembro', all'esterno, la rivoluzione
copernicana di Camporesi, cioe' il salto dalla evanescenza dei cieli
romantici alla densita' del basso corporeo, al dolore ovvero alla gioia
esplosiva della condizione subalterna, alla greve opacita' delle esperienze
psicofisiche, che solo per eccezione lasciano segni scritti: questa e' la
stagione che sentiamo piu' sua, dove compaiono le edizioni dei testi di
furfanteria (Il libro dei vagabondi, Einaudi 1973) e del piu' celebre
cantimbanco Giulio Cesare Croce, Bertoldo e Bertoldino insieme coi maggiori
contributi saggistici (dal Paese della fame a Il pane selvaggio e
Alimentazione, folklore, societa') che da un lato sono in dialogo coi lavori
degli storici e degli antropologi, ma dall'altro guardano agli autori
italiani che negli anni Settanta si misurano con i temi relativi al corpo,
da Pasolini e Volponi a Parise e Soldati, o - per restare nella sua
Bologna - dal Celati delle Avventure di Guizzardi a Giuseppe Guglielmi alle
prese con la partitura celiniana di Nord. In proposito lo stesso Camporesi
dichiaro': "ad un certo momento ho sentito i limiti fortissimi di una
preparazione e di una dimensione letteraria nel senso piu' stretto della
parola. E ho probabilmente cercato di salvarmi con un'operazione di rischio
personale, saltando dei ponti, e aprendomi delle strade nuove. Credo di
essere stato un uomo d'avventura, ho lavorato sul rischio e cosi' ho
inventato problematiche che in Italia non esistevano... E' stato un
passaggio improvviso, dalla letterarieta' piu' minuta ai fatti di vita. I
temi letterari erano troppo limitati per poter compiere cio' che mi
interessava: un viaggio intorno all'uomo". Proprio questo si propongono,
alla maniera di un abbecedario corporeo, i libri successivi (una decina,
tutti editi da Garzanti, da La carne impassibile, '83 a Camminare il mondo,
uscito postumo nel '97) propaggini di una straordinaria erudizione che si
traduce in una saggistica svagata e sempre godibile, incapace di raggiungere
il vertice delle opere precedenti ma in compenso adatta a iscrivere
Camporesi nell'attuale senso comune, rendendolo riconoscibile al lettore
profano.
Quanto alla traccia complessiva del percorso, all'assenza del catalogo della
mostra allestita a Forli' rimedia l'uscita del ricchissimo volume
monografico, Piero Camporesi, a cura di Marco Belpoliti, per le edizioni
della rivista "Riga" (n. 26, Marcos y Marcos, pp. 375, euro 24) scandito in
quattro sequenze: alcuni testi inediti e rari dello studioso dove spicca
almeno un contributo da fuoriclasse della storia patria (La porta chiusa:
Bologna, gli ebrei, il ghetto, del '93); le interviste rilasciate a giornali
e riviste; una scelta della bibliografia critica (e pagine, fra gli altri,
di Maria Corti, Giorgio Manganelli, Alfredo Giuliani, Antonio Porta, Alfonso
M. Di Nola, Giancarlo Mazzacurati, Oliviero Ponte di Pino); infine una serie
di nuovi contributi, fra cui vanno segnalati Odore di libri, recipe di
ricerca di Elide Casali e il saggio a firma di Marco A. Bazzocchi (Il sapore
dell'erudizione: Raimondi, Camporesi e il Barocco a Bologna) che ne
ricostruisce con puntualita' gli anni d'apprendistato e dimostra, testi alla
mano, come in realta' l'edizione artusiana del 1970 non rappresentasse per
lui un'inversione del percorso quanto una diversione a lungo preparata,
sottotraccia. Del resto Piero Camporesi non amava esibirsi e nemmeno parlava
volentieri: a Bologna, negli anni Settanta, era facile incontrarlo mentre da
casa sua, in via Broccaindosso, veniva verso san Vitale e la cittadella
universitaria, con un lungo pastrano, un borsone di libri e il cappello a
larghe tese. Camminava con studiata lentezza e se ne andava sempre solo,
inderogabilmente: a vederlo cosi', non somigliava affatto agli uomini di cui
scriveva.

9. MEMORIA. BENEDETTO VECCHI RICORDA MICHAEL CRICHTON
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 novembre 2008 col titolo "Michael
Crichton, un medico prestato alla letteratura"]

Autore di best-seller, sceneggiatore di serial come "E.R. Medici in prima
linea", dove tra un'azione truculenta di pronto intervento e una storia
d'amore condannata al fallimento c'era sempre il tempo per una critica
feroce del sistema sanitario statunitense, Michael Crichton e' da annoverare
tra gli scrittori che hanno calcato con successo la scena mediatica
statunitense degli ultimi trant'anni, trasformando la scienza in un plot per
romanzi di successo. La sua morte e' avvenuta nel giorno del successo di
Barack Obama, che certo a Crichton non piaceva per il millenarismo dei suoi
discorsi e per la propensione a volere la scienza sottoposta al potere
politico. Per uno scientista che ha sempre rivendicato la neutralita' della
scienza come un valore, il sogno di Obama era sicuramente insopportabile.
Nato sessantasei anni fa a Chicago e laureato in medicina, Crichton ha pero'
presto abbandonato il bisturi per la pagina scritta. Artigiano della parola,
attento sempre a fornire una documentazione accurata per le sue storie, e'
uscito dall'anonimato nel 1969 con il romanzo di successo Andromeda
(Garzanti), dove le biotecnologie e l'informatica sono lo spunto per
denunciare l'ingerenza delle imprese nella big science. Con la successiva
uscita di Terminale uomo, la visione del mondo di Crichton si impregna degli
elementi di critica che il Sessantotto aveva diffuso nella societa'
statunitense, ma crede ancora nel potere salvifico della scienza: come
testimonia il manuale sulla Vita elettronica del 1983 (Garzanti). Nel
frattempo Crichton scrisse romanzi di successo, come La grande rapina al
treno (Garzanti), dove tesse una fitta trama che vede come protagonisti un
gruppo di "esperti" del crimine. Il libro divenne anche la sceneggiatura di
un film che sbanco' il botteghino. Come poi sarebbe accaduto per Congo,
Sfera e Jurassic Park (tutti presso Garzanti).
Lo scrittore statunitense non indulge tuttavia mai in una critica
millenaristica della scienza. Jurassic Park o Rivelazioni o Punto critico
sono infatti romanzi in cui viene denunciata l'ingerenza illecita nella
ricerca scientifica, che invece potrebbe aiutare l'umanita' a risolvere i
suoi problemi se non ci fossero corporation o manager avidi e disposti a
tutto pur di arricchirsi. Per molti anni Crichton si e' presentato come uno
scrittore liberal. E significative sono state le sue denunce della
deregulation, come nel romanzo Punto critico, dove vengono messe sotto
accusa le politiche liberiste dell'amministrazione di Ronald Reagan per il
traffico aereo. Ha macinato libri e film di successo, fino a quando il suo
scientismo lo ha condotto su posizioni politiche conservatrici, come nei
romanzi Next e Stato di paura, dove punta l'indice verso gli ambientalisti.
Scrittore attento alla sua immagine, non si era pero' accorto che nel
frattempo era diventato un esponente dell'establishment e che della sua
abilita' artigianale di raccontare storie era ormai rimasta poco traccia,
mentre la sua critica alle elite economiche era ormai alimento per
un'opinione pubblica in ostaggio ai peggiori istinti.

10. MEMORIA. GILDA ZAZZARA RICORDA NICOLA GALLERANO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 settembre 2008, col titolo "Nicola
Gallerano, uno sguardo laico sulla Resistenza"]

Firma importante della pagina storica del "Manifesto" tra anni Ottanta e
Novanta, Nicola Gallerano e' stato uno dei contemporaneisti piu' irrequieti
e generosi della storiografia italiana. Apparteneva a una generazione
intellettuale che lui stesso aveva definito "saltata" - troppo giovane per
la Resistenza, gia' troppo disincantata per il Sessantotto - e che forse per
questo ha saputo portare negli studi storici cio' che Goffredo Fofi, nel
volume che oggi lo ricorda, ha chiamato un approccio piu' "laico" alla
storia della Resistenza.
E' una delle analisi che si possono leggere negli atti della Giornata
"Nicola Gallerano e la storia contemporanea" (l'editore e' Franco Angeli),
dedicatagli nel decennale della morte dall'Istituto romano per la storia
d'Italia dal fascismo alla Resistenza (Irsifar), il luogo in cui mise radici
a partire dalla seconda meta' degli anni Sessanta - dopo la laurea con Nino
Valeri e la giovanile esperienza di storico orale dell'8 settembre per
Ruggero Zangrandi, assieme a Danilo Montaldi - la sua attivita' di
ricercatore e divulgatore di storia contemporanea. Un luogo della vita che
e' anche elemento centrale della biografia scientifica: nella rete degli
istituti storici della Resistenza Gallerano ha sperimentato assieme a
un'intera generazione di storici, per usare le parole di Mariuccia Salvati,
la "inscindibilita' tra ricerca individuale e dedizione a un progetto
scientifico pubblico e condiviso". Una stagione emblematicamente racchiusa
nel suo arco esistenziale, e della quale fu protagonista con le ricerche di
gruppo sulla transizione dal fascismo alla repubblica, che segnarono una
fase intensa e feconda per la contemporaneistica italiana ben oltre le
polemiche ideologiche sulla "continuita' dello Stato". Per questo forse il
volume meritava una curatela piu' forte, non tanto per la qualita' dei
contributi - Giorgio Rochat, Gabriella Gribaudi, Guido Crainz sono solo
alcuni degli autori chiamati a confrontare i propri studi con i temi
centrali della riflessione di Gallerano -, quanto per l'assenza di un
profilo intellettuale introduttivo, capace di collocare questa figura nei
luoghi e i problemi di trent'anni di vita culturale italiana.
L'esperienza della guerra e il passaggio tra fascismo e democrazia nel
Mezzogiorno fu il grande tema delle sue ricerche di prima mano (la solida
conoscenza degli archivi di Stato e' un altro dato non solo personale della
traiettoria di Gallerano) e rappresento' lo stimolo per un continuo
arricchimento dei piani della sua riflessione. Osservata da Sud, l'epopea
della Resistenza si rifrangeva in molte e diverse memorie periferiche,
veicolate da vicende collettive e vissuti quotidiani in grado di decostruire
e desacralizzare la storia nazionale. Il contesto locale diventava cosi' la
via per una storia sociale di segno nuovo, sempre attenta alle strutture ma
pronta a confrontarsi con le soggettivita' e con i diversi produttori
sociali di storia e memoria. Come ben dimostra questo primo tentativo di
sintesi, uno dei maggiori contributi di Gallerano alla contemporaneistica
resta quello di aver incoraggiato gli storici a non rinchiudersi in una
inespugnabile "citta' degli studi" e ad affrontare con la forza dei propri
strumenti l'"uso pubblico della storia". Vedeva in questo una
responsabilita' professionale e civile nel momento in cui, con la guerra del
Golfo, aveva intuito l'aprirsi di una nuova era di guerre e violenze...

11. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito
sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e
15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

12. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009"

Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano
per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita',
per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla
forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione
tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno
dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della
nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata.
E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009".
- 1 copia: euro 10
- 3 copie: euro 9,30 cad.
- 5 copie: euro 8,60 cad.
- 10 copie: euro 8,10 cad.
- 25 copie: euro 7,50 cad.
- 50 copie: euro 7 cad.
- 100 copie: euro 5,75 cad.
Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946,  e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it

13. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009

E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne
nella lotta contro le mafie e per la democrazia.
E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di
Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani.
Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro
Impastato o all'editore.
*
Per richieste:
- Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa
Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail:
csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it
- Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax:
923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito:
www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 666 dell'11 dicembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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