Minime. 541



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 541 dell'8 agosto 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Franca Ongaro Basaglia: Il punto cruciale
2. Gabriel Bertinetto presenta "Fantasmi" di Tiziano Terzani
3. Remo Bodei presenta "Vergogna e necessita'" di Bernard Williams
4. Maria Paola Guarducci presenta "Il complesso di Mandela" di Lewis Nkosi
5. Paola Sorge presenta "Das Buch der verbrannten Buecher" di Volker
Weidermann
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. MAESTRE. FRANCA ONGARO BASAGLIA: IL PUNTO CRUCIALE
[Da Franca Basaglia Ongaro, Una voce, Il Saggiatore, Milano 1982, pp. 60-61.
Franca Ongaro Basaglia, intellettuale italiana di straordinario impegno
civile, pensatrice di profondita', finezza e acutezza straordinarie, insieme
al marito Franco Basaglia e' stata tra i protagonisti del movimento di
psichiatria democratica; e' deceduta nel gennaio 2005. Tra i suoi libri
segnaliamo particolarmente: Salute/malattia, Einaudi, Torino 1982; Manicomio
perche'?, Emme Edizioni, Milano 1982; Una voce: riflessioni sulla donna, Il
Saggiatore, Milano 1982; Vita e carriera di Mario Tommasini burocrate
scomodo narrate da lui medesimo, Editori Riuniti, Roma 1987; in
collaborazione con Franco Basaglia ha scritto La maggioranza deviante,
Crimini di pace, Morire di classe, tutti presso Einaudi; ha collaborato
anche a L'istituzione negata, Che cos'e' la psichiatria, e a molti altri
volumi collettivi. Ha curato l'edizione degli Scritti di Franco Basaglia.
Dalla recente antologia di scritti di Franco Basaglia, L'utopia della
realta', Einaudi, Torino 2005, da Franca Ongaro Basaglia curata, riprendiamo
la seguente notizia biobibliografica, redatta da Maria Grazia Giannichedda,
che di entrambi fu collaboratrice: "Franca Ongaro e' nata nel 1928 a Venezia
dove ha fatto studi classici. Comincia a scrivere letteratura infantile e i
suoi racconti escono sul "Corriere dei Piccoli" tra il 1959 e il 1963
insieme con una riduzione dell'Odissea, Le avventure di Ulisse, illustrata
da Hugo Pratt, e del romanzo Piccole donne di Louise May Alcott. Ma sono gli
anni di lavoro nell'ospedale psichiatrico di Gorizia, con il gruppo che si
sta raccogliendo attorno a suo marito Franco Basaglia, a determinare la
direzione dei suoi interessi e del suo impegno. Nella seconda meta' degli
anni '60 scrive diversi saggi con Franco Basaglia e con altri componenti del
gruppo goriziano e due suoi testi - "Commento a E. Goffman. La carriera
morale del malato di mente" e "Rovesciamento istituzionale e finalita'
comune" - fanno parte dei primi libri che documentano e analizzano il lavoro
di apertura dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, Che cos'e' la psichiatria
(1967) e L'istituzione negata (1968). E' sua la traduzione italiana dei
testi di Erving Goffman Asylums e Il comportamento in pubblico, editi da
Einaudi rispettivamente nel 1969 e nel 1971 con saggi introduttivi di Franco
Basaglia e Franca Ongaro, che traduce e introduce anche il lavoro di
Gregorio Bermann La salute mentale in Cina (1972). Dagli anni '70 Franca
Ongaro e' coautrice di gran parte dei principali testi di Franco Basaglia,
da Morire di classe (1969) a La maggioranza deviante (1971), da Crimini di
pace (1975) fino alle Condotte perturbate. Nel 1981 e 1982 cura per Einaudi
la pubblicazione dei due volumi degli Scritti di Franco Basaglia. Franca
Ongaro e' anche autrice di volumi e saggi di carattere filosofico e
sociologico sulla medicina moderna e le istituzioni sanitarie, sulla
bioetica, la condizione della donna, le pratiche di trasformazione delle
istituzioni totali. Tra i suoi testi principali, i volumi Salute/malattia.
Le parole della medicina (Einaudi, Torino 1979), raccolta delle voci di
sociologia della medicina scritte per l'Enciclopedia Einaudi; Una voce.
Riflessioni sulla donna (Il Saggiatore, Milano 1982) che include la voce
"Donna" dell'Enciclopedia Einaudi; Manicomio perche'? (Emme Edizioni, Milano
1982); Vita e carriera di Mario Tommasini burocrate scomodo narrate da lui
medesimo (Editori Riuniti, Roma 1987). Tra i saggi, Eutanasia, in
"Democrazia e Diritto", nn. 4-5 (1988); Epidemiologia dell'istituzione
psichiatrica. Sul pensiero di Giulio Maccacaro, in Conoscenze scientifiche,
saperi popolari e societa' umana alle soglie del Duemila. Attualita' del
pensiero di Giulio Maccacaro, Cooperativa Medicina Democratica, Milano 1997;
Eutanasia. Liberta' di scelta e limiti del consenso, in Roberta Dameno e
Massimiliano Verga (a cura di), Finzioni e utopie. Diritto e diritti nella
societa' contemporanea, Angelo Guerrini, Milano 2001. Dal 1984 al 1991 e'
stata, per due legislature, senatrice della sinistra indipendente, e in
questa veste e' stata leader della battaglia parlamentare e culturale per
l'applicazione dei principi posti dalla riforma psichiatrica, tra l'altro
come autrice del disegno di legge di attuazione della "legge 180" che
diventera', negli anni successivi, testo base del primo Progetto obiettivo
salute mentale (1989) e di diverse disposizioni regionali. Nel luglio 2000
ha ricevuto il premio Ives Pelicier della International Academy of Law and
Mental Health, e nell'aprile 2001 l'Universita' di Sassari le ha conferito
la laurea honoris causa in Scienze politiche. E' morta nella sua casa di
Venezia il 13 gennaio 2005"]

Per anni il movimento di liberazione della donna non ha avuto credibilita'
agli occhi della sinistra, istituzionale o no, perche' non si riusciva a
farlo quadrare con la lotta di classe. Anche molte donne erano prese in
questo dilemma e io stessa ero incerta e perplessa sulla validita' di cio'
che pensavo e scrivevo, perche' pur sapendo che quanto dicevo partiva da una
base comune alla storia di tutte le donne, ero una donna borghese e i miei
privilegi rendevano ambiguo ai miei occhi anche cio' che vivevo.
E' comunque sintomatico il fatto che - pur nello spontaneismo del '68 - le
voci di donne che parlavano della loro realta' e della loro oppressione,
fossero tacciate di individualismo e accusate di esprimere problemi
essenzialmente "borghesi". Ma quello che queste voci incominciavano a dire -
nonostante i loro dubbi "ideologici" - era che la rivoluzione di cui si
parlava e che non trasformava anche i "rivoluzionari" sul piano personale,
privato, sarebbe stata solo un "discorso", che non avrebbe alterato la
natura della sopraffazione contro la quale si stava lottando.
Mi rifaccio a questo esempio perche' mi pare dia la misura di cio' che e'
mutato negli ultimi anni; anni che per quanto riguarda questo problema sono
stati esplosivi, pieni di fermenti e di angosciose speranze. Nel mondo
occidentale, la donna si e' andata imponendo con prepotenza come problema e
il privato - la dimensione in cui era stata relegata come l'unico spazio di
sua competenza - ha conquistato la dignita' del politico; le "confessioni
sbagliate", le storie di sopraffazioni e violenze quotidiane che tante donne
nel mondo avevano cominciato a denunciare e a rifiutare, contenevano, oltre
la rivendicazione alla propria esistenza, l'esigenza di una dialettica ma,
insieme, di una coerenza fra il personale e il sociale, facendo emergere la
contraddittorieta' di una dimensione politica che non sempre ha richiesto la
verifica di cio' che si enunciava con cio' che si era.
E' questo il punto cruciale della lotta di liberazione della donna. Perche'
nel momento in cui la donna comincia a esigere di esistere come soggetto
storico-sociale, nel suo rappresentare contemporaneamente uno dei poli di un
rapporto naturale (donna-uomo, donna-maternita'), si trova a scardinare
tutti i vecchi equilibri, mettendo in discussione ogni livello di
sopraffazione, privato e pubblico, individuale e sociale, che non puo' piu'
essere mistificato con la sua incapacita' naturale. Si tratta di una messa
in discussione radicale che costringe a confrontarsi con la pratica propria
e altrui, pratica quotidiana in cui elementi naturali e culturali,
individuali e sociali sono inscindibilmente confusi.

2. LIBRI. GABRIEL BERTINETTO PRESENTA "FANTASMI" DI TIZIANO TERZANI
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 22 febbraio 2008 col titolo "Cambogia,
l'inferno che cambio' Terzani" e il sommario "Memorie. L'incontro con la
tragedia dei khmer rossi nel libro postumo del grande corrispondente. In
Fantasmi, tra rigore e disillusione, un momento topico nella biografia del
giornalista che proprio allora conobbe una svolta decisiva"]

La svolta nel percorso umano e professionale di Tiziano Terzani e' datata 6
giugno 1976. Quel giorno il settimanale "L'Espresso" pubblica la
corrispondenza in cui si racconta il cambio di governo a Phnom Penh. I khmer
rossi hanno preso il potere gia' da un anno, ma sinora la "Repubblica
democratica di Kampuchea" ha avuto come capo di Stato nominale l'ex-re
Sihanouk. Sihanouk ora annuncia le dimissioni. Cade il simulacro di
un'alleanza fra tutte le forze nazionali ostili al governo fantoccio che gli
americani avevano messo in piedi nel 1970 per poter meglio combattere la
loro guerra d'Indocina. I khmer rossi non hanno piu' bisogno di coperture
formali. Pol Pot e' il nuovo primo ministro. Annota Terzani: "Nessuno fuori
dalla Cambogia ha sentito questo nome prima d'ora". Se ne sentira' parlare
tantissimo negli anni a seguire. Ancora oggi quel nome e' associato alla
memoria del rivolgimento politico piu' ferocemente radicale che l'umanita'
abbia conosciuto in epoca moderna. Tre anni e mezzo di annichilimento
fisico, culturale, sociale, nel nome di un progetto di palingenesi che
prevedeva di costruire l'utopia comunista del futuro sull'azzeramento
completo del passato.
Per la Cambogia la svolta e' gia' avvenuta il 17 aprile del 1975, quando
l'esercito di guerriglieri-contadini laceri e scalzi ha invaso le strade
della capitale Phnom Penh ed ha immediatamente avviato la gigantesca
deportazione dei suoi abitanti verso i campi di lavoro nelle campagne, nella
giungla.
Per il grande inviato di guerra, innamorato dell'Asia, del mestiere
giornalistico, degli ideali socialisti, la svolta inizia in quel giugno del
1976 in cui gli eventi lo costringono a rielaborare la sua visione della
vita e del mondo. O perlomeno, e' qui che ci sembra di coglierla nel suo
momento di maturazione drammatica, in cui la nostalgia di un magnifico sogno
infranto si fonde con l'obbligo di fare i conti con la realta'. Qui, in
questo articolo del giugno 1976, raccolto nel volume Fantasmi dall'editore
Longanesi assieme ad altre corrispondenze cambogiane uscite su vari giornali
italiani e stranieri in un arco di tempo che spazia dal 1973 al 1993.
Vediamo il professionista onesto mettere i lettori al corrente dei dubbi che
stanno inesorabilmente affiorando in lui. Saltano i vecchi schemi di
analisi, la realta' si presenta con piu' facce, ed emerge il timore che
quella meno bella e gloriosa corrisponda purtroppo maggiormente al vero.
"I racconti dei rifugiati cambogiani - scrive Terzani - descrivono i khmer
rossi come una banda di assassini assetati di sangue... I dettagli delle
esecuzioni sono raccapriccianti. Per risparmiare le pallottole i condannati
sarebbero stati finiti a colpi di bastone e di baionetta o soffocati con
sacchetti di plastica legati attorno al collo. I bambini sarebbero stati
semplicemente squartati o presi per le gambe e sbatacchiati contro gli
alberi. Quanti i morti? Mezzo milione, settecento, ottocentomila. Un vero
genocidio, dicono i rifugiati". Tiziano non puo' fare a meno di registrare
quelle testimonianze. Ed e' evidente che non sono solo raccapriccianti in
se', ma bruciano come altrettante coltellate al cuore per l'idealista che
vede sgretolarglisi davanti agli occhi l'amato castello di convinzioni e di
speranze. La prosa esprime obiettivita' narrativa e tormento interiore: "Le
prove? Decisive, inconfutabili, nessuna. Anzi, ogni documento che dovrebbe
avallare la storia dei massacri e' cosi' poco credibile da far pensare che
il tutto sia un'abile montatura". Il giornalista espone i fatti e cerca di
trovare un filo logico, una chiave esplicativa: "I massacri sono dunque una
montatura propagandistica dei nemici della Cambogia, come affermano le
autorita' rivoluzionarie di Phnom Penh? O qualcosa di terribile e' davvero
successo nel paese, che e' poi stato esagerato e distorto dalla propaganda
anticomunista?". "La seconda ipotesi - conclude Terzani, quasi rassegnato a
quella terribile ammissione - e' piu' verosimile".
Il giornalista cerca di spiegare, si aggrappa alle circostanze storiche per
giustificare avvenimenti che lo lasciano ora perplesso, ora disgustato.
L'evacuazione manu militari della capitale dipese dal fatto che la citta'
era senza riserve di cibo. "L'unico modo di sfamare la gente era mandarla
nelle campagne dove anche le radici di alcune piante potevano in un primo
momento tenere in vita la gente... Il lavoro piu' o meno forzato dell'intera
popolazione nei campi o alla costruzione di un intero nuovo sistema di
irrigazione fu una decisione ugualmente dura, ma obbligata".
Cinque anni dopo, il velo e' squarciato. Il 7 aprile 1980 Terzani narra
cosi' per il settimanale tedesco "Der Spiegel" il suo viaggio attraverso la
Cambogia: "Dovunque mi sono fermato, spesso per caso... sono incappato nelle
fosse comuni, negli ex-campi di sterminio di Pol Pot. A volte traversando
una risaia mi e' stato impossibile non camminare sui resti di gente
massacrata fra il 1975 ed il 1978 dai khmer rossi". La settimana seguente il
reportage prosegue con una serie angosciante di orrori meticolosamente
documentati, che sfociano in immagini di cupa amarezza: "La Cambogia e'
sempre stata un paese di leggende e fantasmi... Oggi ogni collina, ogni
fiume, ogni pianura, ogni pozzo, ogni stagno e' popolato di terrificanti
storie di fantasmi, tutte legate ai massacri e alle fosse comuni di Pol
Pot".
Aveva gia' usato quel termine, "fantasmi" - che da' il titolo al libro -,
varie altre volte nelle corrispondenze cambogiane. Ma era per designare
l'incertezza ed il dubbio. Fantasmi erano i leader del movimento
insurrezionale alla macchia, Khieu Samphan ed altri, che la propaganda di
Lon Nol dava per morti, e ricomparivano invece continuamente come
protagonisti di gesta che la fantasia popolare riportava amplificate e
circonfuse di aspetti talvolta leggendari. Erano quei fantasmi presunti ad
avere poi trasformato la vita dei connazionali in una concretissima
spettrale ossessione.
Spiega Angela Staude, la vedova, nella prefazione: "Con i khmer rossi il
sogno socialista con cui Tiziano era partito per l'Asia si trasforma in un
incubo. Siccome con la Cambogia si apre e venticinque anni dopo si chiude la
sua vita di corrispondente dall'Asia, sembra quasi che la sua storia
personale e quella recente cambogiana siano andate di pari passo, che l'una
abbia inseguito i meandri dell'altra".
Molto tempo dopo la caduta dei khmer rossi, negli anni Novanta, Terzani
torna ancora varie volte in Cambogia. L'Onu vuole mettere in moto un
processo di pace e organizzare elezioni. A Pattaya, in Thailandia, si svolge
una conferenza internazionale per coinvolgere nelle trattative gli stessi
khmer rossi che dopo essere stati rovesciati avevano continuato a resistere
nella giungla grazie all'aiuto americano e cinese. La realpolitik della
guerra fredda dava meno importanza alle atrocita' da loro commesse che alla
loro ostilita' verso il governo filovietnamita e filosovietico installatosi
a Phon Penh. A Pattaya Tiziano intravede Khieu Samphan, complice di Pol Pot
nel genocidio, e sente che i diplomatici lo chiamano "eccellenza". E
commenta: "Mi sento addosso la paura dei vecchi fantasmi della depressione,
sempre pronti a riprendermi alla gola". Oggi se fosse ancora in vita si
consolerebbe forse sapendo che, seppure con enorme ritardo, per quei crimini
Khieu Smaphan ed altri sono sotto processo.

3. LIBRI. REMO BODEI PRESENTA "VERGOGNA E NECESSITA'" DI BERNARD WILLIAMS
[Dal quotidiano "Il Sole 24 Ore" del 15 giugno 2008 col titolo "Il Bene in
balia della fortuna" e il sommario "Perche' l'idea di separare la giustizia
dagli accidenti della sorte si e' rivelata illusoria. Non basta liberarsi
dagli dei. Vergogna e necessita' di Bernard Williams e una penetrante
analisi della moralita' dei Greci. Conoscevano gia' colpe e responsabilita'.
Oggi sono di nuovo attuali per il loro senso della tragicita'
dell'esistenza, trascurato dai moderni"]

A introdurre la distinzione tra "civilta' della vergogna" e "civilta' della
colpa" e' stata l'antropologa americana Ruth Benedict nel preparare uno
studio per le forze armate degli Stati Uniti in vista di una possibile
invasione del Giappone (resa poi inutile dalle bombe atomiche di Hiroshima e
Nagasaki). Il rapporto, pubblicato in forma di libro nel 1946 e intitolato
Il crisantemo e la spada, contribui' a fissare questa divisione, ripresa e
amplificata da due eminenti studiosi dell'antichita': Eric Dodds, in I greci
e l'irrazionale, del 1951, e Arthur W. H. Adkins, in La morale dei Greci da
Omero ad Aristotele, del 1960.
Con diverse sfumature, le loro tesi coincidono nell'affermare che, nelle
societa' con forte impronta militare e aristocratica, la vergogna non ha
valore morale, in quanto dipende dal giudizio altrui. Gli eroi omerici,
nella fattispecie, agirebbero solo in funzione delle aspettative dei loro
pari nell'ambito dell'onore e del coraggio. Solo a partire dal V secolo
a.C., contando sull'allentamento dei vincoli etici della famiglia e della
tribu', la democrazia ateniese avrebbe messo gli individui di fronte alla
personale responsabilita' delle loro azioni. Con la sua dottrina del peccato
originale e con il sacramento della confessione, sarebbe stato, tuttavia, il
cristianesimo ad instillare nelle persone e nelle istituzioni la civilta'
della colpa, assurta a una superiore dignita' nel rendere la colpa stessa il
frutto marcio della liberta'.
Il passaggio dalla civilta' della vergogna alla civilta' della colpa
costituirebbe dunque un netto e definitivo progresso morale, il cui culmine
viene raggiunto, sul piano filosofico, dal soggetto kantiano - che,
assolutamente libero da qualsiasi condizionamento esterno, agisce sulla base
di "imperativi categorici" -, e, sul terreno politico, dal liberalismo, che
presuppone scelte coscienti da parte degli individui.
Bernard Williams sfida queste concezioni attraverso il suo caratteristico
metodo della "descrizione filosofica di una realta' storica", che si serve
di concetti thick, densi di concretezza, e non thin, sottili ed esangui come
spesso accade nelle generalizzazioni di certi filosofi. Mostra cosi' quanto
falsa sia l'immagine convenzionale degli eroi omerici come amorali, poiche'
privi, nell'agire, di intima motivazione e di autonoma volonta' e, pertanto,
di sensi di colpa: "A me sembra che, nel mondo omerico, ci sia quanto basta
delle concezioni essenziali dell'azione per la vita umana: la capacita' di
deliberare, di decidere, di agire, di fare degli sforzi, di sopportare".
Questo non significa negare che vi siano stati progressi nella morale e
proporre un anacronistico ritorno all'etica greca. Al contrario, lo sguardo
di Williams e' volto all'attualita': l'indagare i poemi omerici, la tragedia
classica o il ruolo delle teorie di Platone e Aristotele, ci aiuta a
comprendere meglio noi stessi e a sottoporre a esame critico la nostra
presunzione di essere liberi decisori, dotati di un'identita' tanto
granitica da prescindere dalla necessita' e dalla casualita' delle
situazioni. Tale confronto con gli albori della nostra cultura e' oggi tanto
piu' indispensabile, in quanto vacillano quelle certezze che avevano a lungo
sorretto l'etica dell'Occidente.
Sul piano storico-filologico Williams constata che la nozione di vergogna,
nel mondo greco, non dipende esclusivamente dalla paura di essere scoperti
dalle persone sbagliate nel momento sbagliato. Essa ha, inoltre,
un'estensione piu' ampia, inglobando aspetti di cio' che noi chiamiamo
"colpa". Il fatto che questo termine non abbia equivalenti nella lingua
greca, non esclude l'esperienza della colpa (sarebbe illuminante leggere il
testo di Williams in parallelo con il volume di Douglas Cairns, Aidos. The
Psychology and Ethics of Honour and Shame in Ancient Greek Literature,
Oxford, Clarendon Press, 1993).
Diversamente da Nietzsche, un pensatore ammirato da Williams, in Vergogna e
necessita' le obbligazioni morali non affondano le loro radici - al pari
della Genealogia della morale - in punizioni corporali ormai dimenticate e
interiorizzate, per cui sarebbe stato il ripetuto, ma rimosso, taglio della
mano ai ladri a trasformarsi in angoscia della coscienza morale dinanzi alla
possibile violazione del comandamento "non rubare". Se e' vero, per
Williams, che "le esperienze piu' primitive della vergogna hanno a che fare
con la vista e l'essere visto", mentre la colpa affonda "le sue radici
nell'ascolto", nel "risuonare In se stessi della voce del giudizio",
bisognerebbe pero' riconoscere che la voce della coscienza (almeno nella
forma del dissenso di Antigone o del demone di Socrate) risulta piu' potente
e cogente nella tragedia e nella filosofia del V secolo rispetto al periodo
arcaico.
Cio' che piu' sta a cuore a Williams e' far vedere come il concetto moderno
di individuo agente in sintonia con le proprie libere scelte omette un dato
di cui i greci erano ben consapevoli: che ciascuno di noi e' esposto al caso
e alla necessita', ai rovesci di fortuna e alla coercizione della natura o
della volonta' altrui, come il nascere uomo o donna o l'essere ridotto in
schiavitu'. Ne consegue che la nostra identita' e' fragile e non separabile
dalle circostanze esterne, dai condizionamenti naturali e storici (un tema
che Williams ha acutamente affrontato in Sorte morale).
Le filosofie di stampo kantiano e il liberalismo esigono che fortuna e
necessita' "non prendano il posto di considerazioni di giustizia". Credono
in tal modo di arginare tali elementi di disturbo o di cacciarli fuori della
cornice delle istituzioni, affidandosi alla speranza di mitigare il potere
del caso e della necessita' sugli individui o di "mostrare che cio' che non
puo' essere mitigato non e' ingiusto". La modernita' e' pero' in grado di
offrire solo una "liberta' metafisica", l'astratta convinzione che le nostre
decisioni non dipendono da imposizioni esterne. Essa spinge cosi' in secondo
piano quanto non solo Marx, ma anche Stuart Mill, aveva osservato: che "gli
ostacoli reali alla nostra liberta' non sono metafisici, ma psicologici,
sociali e politici". Rimuoverli non e' facile; anche dopo esserci liberati
dal timore che esistano poteri e necessita' sovrannaturali - come gli dei o
il destino - che c'impongono determinati corsi d'azione.
I poemi omerici e le tragedie greche ci ricordano quel che spesso
dimentichiamo: il nostro essere in gran parte ancora in balia dei capricci
del caso e sotto il giogo della necessita'.

4. LIBRI. MARIA PAOLA GUARDUCCI PRESENTA "IL COMPLESSO DI MANDELA" DI LEWIS
NKOSI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 luglio 2008 col titolo "Grottesco
sudafricano firmato Lewis Nkosi" e il sottotitolo "Il complesso di Mandela,
per Giunti Blu"]

Con un'accattivante illustrazione di Spider in copertina, esce in Italia
l'ultimo romanzo di Lewis Nkosi, Il complesso di Mandela, per la collana
Giunti Blu (pp. 208, euro 14,50). Di etnia zulu, nato nel 1936 a Durban,
Nkosi ha passato buona parte della sua vita fuori dal Sudafrica, che lascio'
nel 1961, grazie a una borsa di studio per Harvard. L'America gli costo' il
ritiro del passaporto e un esilio forzato terminato solo a fine apartheid,
nel 1994. Stati Uniti, Inghilterra, Zambia, Polonia, Svizzera, dove oggi
risiede, sono le patrie d'elezione, sebbene provvisorie, dello scrittore.
Nkosi non e' mai stato nelle grazie del governo. Gli articoli che scrisse
per "Drum", testata nata con una redazione prevalentemente bianca a Cape
Town, ma presto trasferita a Johannesburg dove si afferma come il punto di
riferimento della scrittura giornalistica, letteraria e politica dei neri,
vennero tacciati di comunismo, oscenita', blasfemia.
Malgrado gli ostacoli della censura, fu comunque a partire da quel giornale
che si andarono articolando le valenze estetico e politiche nere della
letteratura e piu' in generale della resistenza antiapartheid. Con
un'intelligenza che nelle pagine teoriche ricorda il pensiero di Frantz
Fanon, Nkosi rifiuta ogni tipo di compromesso intellettuale, si guadagna
detrattori per le sue posizioni contrarie all'adozione di stilemi europei da
parte degli scrittori neri, ma e' altrettanto ostile verso l'adesione ad un
presunto tradizionalismo locale che finisce per tradursi solo nella parodia
di se stesso. "Un paese di confini, interni ed esterni", cosi' egli
definisce il Sudafrica in un saggio del 1994. Il suo romanzo piu' celebre,
risalente al 1986, Mating Birds (trad. it. Sabbie nere, Edizioni Lavoro,
1988) e' tutto giocato sull'idea dei limiti e delle barriere e racconta la
seduzione di un nero da parte di una bianca ai tempi dell'Immorality Act (la
legge del 1950 che vietava i rapporti sessuali tra razze) su una spiaggia,
quando un recinto ne separava la parte riservata ai bianchi da quelle per le
altre etnie. Colti in fragrante, i due amanti si trasformano in nemici: la
donna accusa l'uomo di stupro facendolo condannare all'impiccagione.
All'epoca il romanzo sollevo' reazioni contrastanti: se l'intenzione di
Nkosi era mostrare come il governo sudafricano rendesse distruttivi i pochi
rapporti che pure riuscivano a instaurarsi tra razze diverse, l'obiettivo
veniva raggiunto - a detta di molti critici - sfruttando proprio alcuni
degli stereotipi contro cui lo scrittore si era scagliato nelle sue pagine
di saggistica. Anche Il complesso di Mandela presenta ambiguita' simili,
forse stemperate da un tono volutamente piu' ironico e grottesco che rende
il romanzo una tragicommedia di ampio respiro. Il romanzo, nell'impeccabile
traduzione di Maria Teresa Carbone, racconta con efficacia la vicenda di
Dumisa Gumede, un giovane del villaggio di Mondi (Natal) che negli anni
Sessanta studia alla missione locale, gestita da un pastore scozzese
mediamente illuminato e fermamente contrario all'apartheid. Dumisa fa la
guida turistica per i bianchi in visita nella zona e alterna a una indefessa
attivita' di seduttore l'ammirazione sconfinata per l'eroe di quei giorni e
degli anni a venire, il latitante Nelson Mandela.
E' un'ammirazione che prende forma concreta nella costituzione del Mandela
Football Club, attorno al quale egli raccoglie un vasto gruppo di
sostenitori della "Primula Nera", una forma di aggregazione politica in nuce
che non manca di allertare la polizia locale e preoccupare i genitori di
Dumisa. Alle gesta erotiche del protagonista, alle sue danze sensuali per
conquistare le prede, alla sua puntuale fuga davanti alle gravidanze delle
giovani che seduce, fanno da contraltare le imprese gia' mitiche del
ricercato numero uno dalla polizia sudafricana. Ma con l'arresto di Mandela,
e dunque con il tramonto di un'immediata riscossa del paese, termina anche
il furore erotico di Dumisa, che si ritrova a dover affrontare un'impotenza
di lunga durata.
Il complesso di Mandela esordisce come una sorta di romanzo di formazione,
ma finisce con l'attestare, in realta', un blocco della costruzione
dell'identita' di Dumisa: come uomo, come amante, come soggetto politico. Il
paragone provocatorio che allinea attivismo sessuale ad attivismo politico,
o quello che evoca la castrazione operata dai regimi coloniali sulle culture
dominate forniscono chiavi di lettura oggi forse storicamente superate.
Davvero toccanti sono le pagine che attraverso le gesta del protagonista e
dei personaggi che lo circondano (i suoi coetanei ma anche la generazione
dei loro genitori) descrivono una cultura messa a dura prova dal contatto
con l'occidente, non solo nelle forme violente ratificate dall'apartheid, ma
anche in quelle solo in apparenza piu' morbide dell'evangelizzazione. Dumisa
ha una madre convertita al cristianesimo ed e' istruito da un missionario
protestante; suo padre, i suoi parenti e gli amici, pero', insistono perche'
si sottoponga alla cerimonia dell'iniziazione, come la prassi locale
prescrive per i maschi della sua eta'. E' qui che Il complesso di Mandela si
inserisce in una tradizione di scrittura (non solo sudafricana) che richiama
alla memoria Il crollo (1958) e La freccia di Dio (1964) di Chinua Achebe,
romanzi che impietosamente fotografano l'inizio della degenerazione
dell'Africa a opera del cosiddetto "colonialismo buono".
Nkosi ritrae dunque un Sudafrica che negli anni Sessanta gia' scricchiola, e
che Mandela con tutta la sua potenza nulla potra' fare per tenere insieme.
Gli aguzzini sono descritti con grande maestria in tutto il loro cinismo:
consapevoli che presto o tardi la loro egemonia finira', ma determinati a
tenere il potere e i suoi vantaggi quanto piu' a lungo la storia glielo
consente, con conseguenze che, proprio in Sudafrica, oggi sono sotto gli
occhi di tutti.

5. LIBRI. PAOLA SORGE PRESENTA "DAS BUCH DER VERBRANNTEN BUECHER" DI VOLKER
WEIDERMANN
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 25 luglio 2008 col titolo "Quei libri
dati alle fiamme" e il sommario "Germania, un volume ricorda i 94 scrittori
ebrei cancellati nel '33. Tornano gli autori bruciati dai nazisti. Nei roghi
finirono firme come Mann, Joseph Roth, Remarque, Zweig ma anche nomi che
Hitler riusci' a far dimenticare. Ecco le loro storie. Degli intellettuali
perseguitati molti emigrarono ma non riuscirono piu' a scrivere. Tra loro
Armin T. Wegner: lo si credeva morto e invece visse fino al 1978 a
Positano"]

Tutto doveva esser fatto rapidamente, con la velocita' del vento. L'ordine
perentorio di bruciare gli scritti di autori ebrei "in occasione della
vergognosa campagna diffamatoria del mondo ebraico contro la Germania", non
proveniva da Goebbels o da Hitler, ma dal novello ufficio stampa e
propaganda dell'associazione studentesca tedesca che in meno di un mese, dal
12 aprile al 10 maggio del 1933, organizzo' alacremente e sistematicamente
il rogo dei libri proibiti non solo a Berlino ma in ogni citta'
universitaria della Germania. Gli studenti dovevano innanzitutto "ripulire"
i propri scaffali, quelli di parenti e conoscenti e poi quelli di tutte le
librerie possibili; il rogo sulle pubbliche piazze doveva essere
reclamizzato e promosso a dovere, possibilmente con testi di propaganda
"contro il distruttivo spirito ebraico" redatti da scrittori compiacenti.
Non mancava nemmeno una sorta di manifesto studentesco con dodici tesi
aberranti tra cui quella che recitava: "L'ebreo che scrive in tedesco,
mente".
Ed infine ecco le fiamme alte dieci, dodici metri che la notte di mercoledi'
10 maggio illuminarono l'Opernplatz a Berlino, gremita di folla che
assisteva allo spettacolo. E nessuno che protestava. C'era Goebbels
attorniato dalle SA in soprabito chiaro che contemplo' a lungo l'incendio e
poi annuncio' "la fine dell'epoca di un eccessivo intellettualismo ebraico".
Erich Kaestner vide i suoi libri gettati alle fiamme mentre qualcuno faceva
il suo nome e urlava "contro la decadenza e il degrado morale!" e che da
allora da beniamino del pubblico divenne "persona non gradita". Kaestner fu
uno dei pochi scrittori della lista nera che rimase in patria come
"cronista", forse perche' gli mancava il coraggio di emigrare. Altri si
tolsero la vita o vennero uccisi in un lager, oppure andarono all'estero, il
piu' delle volte senza mezzi e senza possibilita' di pubblicare le loro
opere. E quando dopo la fine della guerra tornarono in patria, non trovarono
la Germania di prima, non si sentirono piu' "a casa": il pubblico li aveva
irrimediabilmente dimenticati.
Eppure nella Repubblica di Weimar avevano tutti goduto di una notevole
notorieta'. Ernst Glaeser, ad esempio, con Classe 1902, un ritratto della
sua generazione ancor oggi piu' che godibile, aveva suscitato l'entusiasmo
di Hemingway; Edlef Koeppen era diventato notissimo nel '28 con il suo
romanzo Bollettino di guerra; un certo seguito lo avevano avuto anche gli
anarchici ribelli come Rudolf Geist che scrisse migliaia di pagine e alla
fine ando' di porta in porta a vendere cartoline con le sue poesie; c'erano
i comunisti "di cuore", senza la tessera di partito ma sempre dalla parte
dei deboli e degli oppressi come Oskar Maria Graf o come Egon Erwin Kisch,
straordinario reporter e corrispondente di guerra che ando' in esilio in
Messico e mori' nel '48; grande risonanza avevano avuto i cronisti della
cultura ebraica in Germania come Georg Hermann, ucciso a Auschwitz nel '43 e
biografi di talento come Franz Blei, re dei caffe' viennesi, autore di quel
Bestiarium Literaricum definito da Kafka "la letteratura mondiale in
mutande".
La loro storia e quella di tutti i 94 scrittori tedeschi i cui libri furono
dati alle fiamme settantacinque anni fa, assieme a quelli di 37 autori
stranieri, sono raccontate in un libro prezioso, per molti versi
stupefacente: Il libro dei libri bruciati (Volker Weidermann, Das Buch der
verbrannten Buecher, ed. Kiepenheuer & Witsch, pp. 255) Stupefacente perche'
l'appassionata e appassionante ricerca fatta dall'autore del volume su
internet e nelle librerie antiquarie ha portato alla scoperta di opere di
notevole valore da allora dimenticate a causa del rogo dei libri. Prezioso
perche' contiene le storie inedite, spesso tragiche e inquietanti di tutti
gli intellettuali perseguitati dal regime nazista e perche' rende giustizia
agli scrittori dimenticati o ignorati ai quali viene dato molto piu' spazio
che a quelli celebri. Senza questo libro l'obiettivo dei nazisti di
cancellare per sempre dalla memoria i nomi di tanti autori ebrei sarebbe
stato quasi raggiunto, osserva giustamente l'autore del libro nella sua
introduzione.
"Non si faccia illusioni. L'inferno e' al governo", scrisse Josef Roth gia'
nel febbraio del '33 all'amico Stefan Zweig che faticava a credere di essere
diventato uno degli scrittori piu' odiati in Germania. I suoi libri erano
stati dati alle fiamme assieme a quelli di Werfel, di Schnitzler, di
Wassermann, di Klaus Mann, ma lui, lo scrittore di lingua tedesca piu' letto
nel mondo, era convinto di essere stato scambiato con Arnold Zweig,
comunista militante odiato dal regime. Cerco' compromessi, spero' che la
follia collettiva avesse termine rapidamente. Roth al contrario aveva capito
immediatamente che la loro vita professionale e materiale era annientata.
Alla fine entrambi andarono in esilio e entrambi vi persero la vita: Roth
mori' in un ospedale di Parigi nel '39, Zweig tre anni dopo si tolse la vita
in Brasile.
Coinvolgenti e di estremo interesse sono le storie di tutti gli scrittori
sinora dimenticati a causa del rogo: sconcertante quella di Armin T. Wegner
che dopo la guerra era stato dato per morto e che invece visse sino al 1978
a Positano dove si era trasferito nel '36. Autore di un avventuroso e
fascinoso libro di viaggi, Al crocevia dei mondi del 1930, moralista e
nemico della guerra, scrisse nell'aprile del '33 una lettera aperta a Hitler
in cui con incredibile ingenuita' spiegava al Fuehrer perche' la Germania
avesse bisogno degli ebrei e perche' gli ebrei amassero tanto la Germania.
In realta' non aveva nessuna voglia di lasciare la sua patria: "Andar via e'
come morire", ripeteva. Ma la Gestapo lo mise in carcere, lo torturo', lo
mando' nel lager di Oranienburg da dove riusci' a fuggire. A Positano stava
ogni giorno alla scrivania davanti a una pila di fogli bianchi. Non riusci'
mai piu' a scrivere un rigo.
Con il grandioso romanzo satirico Solneman l'invisibile del 1914, tenuto in
gran conto da Thomas Mann, lo scrittore Alexander Moritz Frey riscosse il
suo primo grande successo; ebbe pero' per sua disgrazia, anche un altro
ammiratore, Adolf Hitler, suo compagno di reggimento nella prima guerra
mondiale. Il futuro Fuehrer mostrava molto interesse per le sue opere e
cerco' inutilmente di mettersi in contatto con lui, ma Frey lo evitava
accuratamente: lui era rigorosamente contro ogni odio di razza, contro ogni
fanatismo, contro i militari. "Voglio, voglio, voglio dire la verita',
voglio dire: i militari e la guerra sono la piu' ridicola, vergognosa,
stupida cattiveria del mondo", afferma alla fine del racconto delle sue
esperienze di guerra, uscito nel '29 e giudicato dai critici addirittura
superiore al celebre All'ovest niente di nuovo di Remarque. Nel '33 le SA
gli distrussero casa e Frey lascio' la Germania senza soldi, senza la
possibilita' di pubblicare i suoi lavori, senza piu' cittadinanza; in
Svizzera trovo' il sostegno e l'aiuto di Thomas Mann. Mori' a Basilea nel
1957, povero e dimenticato.
Certamente il piu' fortunato di tutti fu Erich Maria Remarque. La notte del
rogo lui, che si trovava al sicuro in Ticino, senti' per radio, con lo
scrittore Emil Ludwig, il crepitio delle fiamme e i discorsi esaltati dei
gerarchi nazisti. Era stato uno dei primi a emigrare: il 29 gennaio, alla
vigilia della presa di potere di Hitler, aveva fatto una corsa non stop, a
bordo della sua Lancia, da Berlino a Porto Ronco. Sapeva bene di essere il
nemico numero uno dei nazisti a causa del suo celeberrimo romanzo che
prometteva "la verita' sulla guerra". All'ovest niente di nuovo - il libro
tedesco di maggior successo del XX secolo, 20 milioni di copie vendute, da
cui trassero il film -, dopo aver dato adito a una serie di infiammati
dibattiti, era stato boicottato in tutti i modi dai nazisti: parlava di
miseria infinita, di noia, di mancanza di senso della prima guerra mondiale,
della morte ben poco eroica dei soldati. Un libro piu' che pericoloso per i
seguaci di Hitler che non riuscirono a impedirne lo strepitoso successo.
Remarque scelse il silenzio, si dichiaro' estraneo alla politica, ma intanto
continuava a scrivere sul destino degli emigranti e sui campi di
concentramento anche durante il suo leggendario soggiorno negli Stati Uniti
dove divenne uno degli scrittori e sceneggiatori piu' amati dagli americani.
Nonostante questo, chi legge i suoi diari scopre un uomo irrimediabilmente
depresso e pieno di paure. Paura della scrivania, del lavoro, della
solitudine.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 541 dell'8 agosto 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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