Voci e volti della nonviolenza. 199



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 199 del primo luglio 2008

In questo numero:
Alcuni estratti da "Lo spirito dell'illuminismo" di Tzvetan Todorov

LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "LO SPIRITO DELL'ILLUMINISMO" DI TZVETAN TODOROV
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di
Tzvetan Todorov, Lo spirito dell'illuminismo, Garzanti, Milano 2007 (ed.
orig.: L'esprit des Lumieres, 2006).
Tzvetan Todorov, nato a Sofia nel 1939, a Parigi dal 1963. Muovendo da studi
linguistici e letterari e' andato sempre piu' lavorando su temi
antropologici e di storia della cultura e su decisive questioni morali.
Riportiamo anche il seguente brano dalla scheda dedicata a Todorov
nell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche: "Dopo i primi
lavori di critica letteraria dedicati alla poetica dei formalisti russi,
l'interesse di Todorov si allarga alla filosofia del linguaggio, disciplina
che egli concepisce come parte della semiotica o scienza del segno in
generale. In questo contesto Todorov cerca di cogliere la peculiarita' del
'simbolo' che va interpretato facendo ricorso, accanto al senso materiale
dell'enunciazione, ad un secondo senso che si colloca nell'atto
interpretativo. Ne deriva l'inscindibile unita' di simbolismo ed
ermeneutica. Con La conquista dell'America, Todorov ha intrapreso una
ricerca sulla categoria dell'"alterita'" e sul rapporto tra individui
appartenenti a culture e gruppi sociali diversi. Questo tema, che ha la sua
lontana origine psicologica nella situazione di emigrato che Todorov si
trova a vivere in Francia, trova la sua compiuta espressione in un ideale
umanistico di razionalita', moderazione e tolleranza". Tra le opere di
Tzvetan Todorov: (a cura di), I formalisti russi. Teoria della letteratura e
del metodo critico, Einaudi, Torino 1968, 1977; (a cura di, con Oswald
Ducrot), Dizionario enciclopedico delle scienze del linguaggio, Isedi,
Milano 1972; La letteratura fantastica, Garzanti, Milano 1977, 1981; Teorie
del simbolo, Garzanti, Milano 1984; La conquista dell'America. Il problema
dell'"altro", Einaudi, Torino 1984, 1992; Critica della critica, Einaudi,
Torino 1986; Simbolismo e interpretazione, Guida, Napoli 1986; Una fragile
felicita'. Saggio su Rousseau, Il Mulino, Bologna 1987, Se, Milano 2002;
(con Georges Baudot), Racconti aztechi della conquista, Einaudi, Torino
1988; Poetica della prosa, Theoria, Roma-Napoli 1989, Bompiani, Milano 1995;
Michail Bachtin. Il principio dialogico, Einaudi, Torino 1990; La deviazione
dei lumi, Tempi moderni, Napoli 1990; Noi e gli altri. La riflessione
francese sulla diversita' umana, Einaudi, Torino 1991; Di fronte
all'estremo, Garzanti, Milano 1992 (ma cfr. la seconda edizione francese,
Seuil,  Paris 1994); I generi del discorso, La Nuova Italia, Scandicci
(Firenze) 1993; Una tragedia vissuta. Scene di guerra civile, Garzanti,
Milano 1995; Le morali della storia, Einaudi, Torino 1995; Gli abusi della
memoria, Ipermedium, Napoli 1996; L'uomo spaesato. I percorsi
dell'appartenenza, Donzelli, Roma 1997; La vita comune, Pratiche, Milano
1998; Le jardin imparfait, Grasset, 1998; Elogio del quotidiano. Saggio
sulla pittura olandese del Seicento, Apeiron, 2000; Elogio dell'individuo.
Saggio sulla pittura fiamminga del Rinascimento, Apeiron, 2001; Memoria del
male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001; Il nuovo disordine
mondiale, Garzanti, Milano 2003; Benjamin Constant. La passione democratica,
Donzelli, Roma 2003; Lo spirito dell'illuminismo, Garzanti, Milano 2007; La
letteratura in pericolo, Garzanti, Milano 2008 (tra esse segnaliamo
particolarmente Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano
2001: un'opera che ci sembra fondamentale)]

Indice del volume
1. Il progetto; 2. Rifiuti e deviazioni; 3. Autonomia; 4. Laicita'; 5.
Verita'; 6. Umanita'; 7. Universalita'; 8. L'illuminismo e l'Europa;
Ringraziamenti; Nota bibliografica; Note.
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Da pagina 9 e seguenti
Non e' semplice dire in che cosa consista esattamente il progetto
dell'illuminismo, per due motivi. Innanzitutto e' un periodo di conclusione,
di ricapitolazione, di sintesi e non d'innovazione radicale. Le sue idee
portanti non nascono nel XVIII secolo; quando non derivano dall'eta'
classica, portano i segni dell'alto medioevo, del rinascimento e del
classicismo. Gli illuministi fanno proprie e formulano opinioni che in
passato erano in contrasto. Pertanto, come piu' volte hanno sottolineato gli
storici, bisogna liberarsi di alcune immagini convenzionali. Essi sono al
tempo stesso razionalisti ed empiristi, eredi tanto di Cartesio quanto di
Locke, accolgono gli antichi e i moderni, gli universalisti e i
particolaristi, sono appassionati di storia e di eternita', di dettagli e di
astrazioni, di natura e di arte, di liberta' e di uguaglianza. Non si tratta
di elementi nuovi, ma vengono combinati in maniera differente: non soltanto
sono stati organizzati tra loro, ma, aspetto essenziale, all'epoca dei lumi
queste idee lasciano i libri per entrare a far parte del mondo reale.
Il secondo ostacolo consiste nel fatto che il pensiero dell'illuminismo e'
sviluppato da moltissimi individui che non condividono affatto le medesime
opinioni e sono costantemente impegnati in accese discussioni, da un paese
all'altro e all'interno del proprio. Il tempo trascorso ci aiuta a
effettuare una scelta, senza dubbio, ma solo fino a un certo punto: le
divergenze di allora hanno dato vita a scuole di pensiero che si scontrano
ancora oggi. L'illuminismo ha rappresentato un'epoca di dibattiti piuttosto
che di consensi. Molteplicita' temibile, dunque e tuttavia, anche questo e'
sicuro, identifichiamo senza troppa difficolta' l'esistenza di cio' che si
puo' definire come un progetto dell'illuminismo.
Tre sono le idee alla base del progetto, arricchito anche dalle loro
innumerevoli conseguenze: l'autonomia, la finalita' umana delle nostre
azioni e in ultimo l'universalita'. Cerchiamo di spiegarci meglio.
Il primo aspetto essenziale di questo movimento consiste nel privilegiare
cio' che ciascuno sceglie e decide in autonomia, a detrimento di quanto ci
viene imposto da un'autorita' esterna. Tale preferenza comporta due aspetti,
l'uno critico e l'altro costruttivo: bisogna sottrarsi a ogni forma di
tutela imposta agli uomini dall'esterno e lasciarsi guidare dalle leggi,
norme e regole volute dagli stessi individui ai quali esse si rivolgono.
Emancipazione e autonomia sono i termini che indicano le due fasi,
altrettanto indispensabili, di un medesimo processo. Per potervisi dedicare
bisogna disporre di una completa liberta' di analizzare, discutere,
criticare, dubitare: non esistono piu' dogmi o istituzioni intoccabili. Una
conseguenza indiretta, ma decisiva, di questa scelta e' il vincolo imposto
alle caratteristiche di ogni forma di autorita': deve essere della stessa
natura degli uomini, vale a dire naturale e non soprannaturale. E' in questo
senso che l'illuminismo da' vita a un mondo "disincantato", che obbedisce da
un capo all'altro alle stesse leggi fisiche o, per quanto riguarda le
societa' umane, rivela gli stessi meccanismi di comportamento.
La tutela sotto la quale vivevano gli uomini prima dell'illuminismo era
innanzitutto di natura religiosa; la sua origine, percio', era al tempo
stesso anteriore alla societa' di allora (in tal caso si parla di
"eteronomia") e soprannaturale. Le critiche piu' numerose saranno rivolte
alla religione, in modo che l'umanita' possa assumere le redini del proprio
destino. Si tratta comunque di una critica mirata: viene rifiutata la
sottomissione della societa' o dell'individuo a precetti la cui sola
legittimita' deriva dal fatto che la tradizione li attribuisce alle
divinita' o agli antenati; non deve essere piu' l'autorita' del passato a
orientare la vita degli uomini, ma il progetto che essi hanno sul loro
avvenire. In compenso, non si fa parola dell'esperienza religiosa in quanto
tale, ne' dell'idea di trascendenza, ne' dell'una o dell'altra dottrina
morale sviluppata da una specifica religione; la critica riguarda la
struttura della societa', non il contenuto delle confessioni. La religione
esce dallo stato senza per questo abbandonare l'individuo. La corrente
principale dell'illuminismo non s'ispira all'ateismo, ma alla religione
naturale, al deismo, o a una delle loro numerose varianti. L'osservazione e
la descrizione delle confessioni professate nel mondo intero, alle quali si
dedicano gli illuministi, hanno lo scopo non di rifiutare le religioni, ma
di condurre a un atteggiamento di tolleranza e alla difesa della liberta' di
coscienza.
Dopo essersi liberati dall'antico giogo, gli uomini stabiliranno leggi e
norme nuove con l'aiuto di mezzi semplicemente umani: non c'e' piu' spazio
qui per la magia, ne' per la rivelazione. Alla certezza della Luce discesa
dall'alto si sostituira' la pluralita' delle luci che si diffondono dall'uno
all'altro. La prima autonomia a essere conquistata e' quella della
conoscenza. Essa prende le mosse dal principio che nessuna autorita', a
prescindere dalla solidita' e dal prestigio di cui possa godere, e' al
riparo dalle critiche. La conoscenza ha solo due fonti, la ragione e
l'esperienza, entrambe alla portata di tutti. La ragione e' valorizzata come
strumento di conoscenza, non come motore dei comportamenti umani, si oppone
alla fede, non alle passioni. Esse, al contrario, sono a loro volta libere
dai vincoli che provengono dall'esterno.
*
Da pagina 52 e seguenti
La storia europea moderna, dal rinascimento fino all'illuminismo, da Erasmo
a Rousseau, si identifica con un consolidamento della separazione tra
istituzioni pubbliche e tradizioni religiose e un accrescimento della
liberta' individuale. In effetti, il potere temporale della chiesa e'
destabilizzato senza essere abolito, come provano i numerosi tentativi
compiuti a favore della tolleranza religiosa. Una testimonianza fra le
tante: "Sono indignato come voi", scrive Rousseau a Voltaire nel 1756, "che
la fede di ciascuno non sia nella piu' totale liberta' e che l'uomo abbia
l'ardire di controllare l'intimo delle coscienze, dove non puo' penetrare".
Uno dopo l'altro, interi segmenti della societa' reclamano il ritiro della
tutela religiosa e il diritto all'autonomia. Una delle rivendicazioni piu'
significative e' quella di Cesare Beccaria, autore del trattato Dei delitti
e delle pene (pubblicato all'eta' di ventisei anni), nel quale formula con
chiarezza la distinzione tra peccato e delitto, che consente di sottrarre
l'azione dei tribunali alla sfera d'influenza religiosa. Le leggi riguardano
soltanto le relazioni degli uomini nella citta'; le loro trasgressioni non
hanno nulla a che vedere con la dottrina religiosa. I peccati, poi, non
cadono sotto la scure della legge: diritto e teologia non sono piu'
considerati un'unica entita'.
Beccaria mette in risalto anche un'altra minaccia per la liberta'
dell'individuo, proveniente questa volta non dalla chiesa (che non deve
esercitare il potere temporale), ne' dallo stato (che non deve occuparsi di
questioni attinenti alla sfera spirituale), ma dalla famiglia. In essa il
capo puo' esercitare un'autorita' oppressiva sugli altri membri, privandoli
cosi' dell'indipendenza che hanno acquisito nei confronti delle strutture
sociali. Proprio come ogni individuo che abbia raggiunto l'eta' della
ragione ha il diritto di rivolgersi direttamente a Dio, cosi' puo' affidarsi
direttamente alla repubblica di cui e' membro, per beneficiare dei diritti
che essa garantisce. Allora, "lo spirito repubblicano non solo spirera'
nelle piazze e nelle adunanze della nazione, ma anche nelle domestiche mura,
dove sta gran parte della felicita' o della miseria degli uomini".
In una democrazia liberale moderna, il comportamento dell'individuo si
divide, dunque, non tanto tra ordine temporale e spirituale, ma in tre
sfere. A uno dei poli si colloca la sfera privata e personale che
l'individuo gestisce da solo, senza che nessuno abbia nulla da obiettare:
dopo la Riforma, la liberta' di coscienza si e' ampliata fino a diventare
liberta' di tutti i comportamenti privati. Al polo opposto si colloca la
sfera legale, in cui l'individuo si vede imporre norme rigide, garantite
dallo stato, che non puo' trasgredire senza divenire un criminale. Tra le
due si trova una terza vasta area, pubblica o sociale, fortemente
caratterizzata da norme e valori, che lasciano, comunque, una certa
liberta'. Mentre le leggi formulano ordini e infliggono pene, qui ci si
accontenta di fornire consigli o esprimere disapprovazioni, nel quadro di un
dibattito pubblico: per esempio regole morali, pressioni esercitate dalla
moda o dallo spirito dei tempi, o anche prescrizioni religiose (dunque
rappresenta il luogo in cui un tempo agiva il potere spirituale).
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Da pagina 58 e seguenti
Tutte le societa' occidentali contemporanee praticano diverse forme di
laicita', che a partire dagli anni Novanta del XX secolo e' stata messa in
discussione, in seguito all'ascesa dell'islamismo. La diffusione di una
versione fondamentalista della religione musulmana ha avuto sulla vita di
numerosi paesi due importanti conseguenze, strettamente connesse tra loro:
gli atti terroristici, che non hanno come obiettivo specifico la laicita', e
la sottomissione delle donne, che invece ha tale obiettivo. Quest'ultima
pratica non e' esclusivamente islamica, perche' si ritrova su un vasto
territorio che include il Mediterraneo e il Medio Oriente, in cui sono
professate diverse religioni. Rimane il fatto che nell'Europa contemporanea
l'ineguaglianza delle donne e' rivendicata principalmente da alcuni
rappresentanti dell'islam. Nel loro caso, un'interpretazione troppo
letterale dei testi sacri porta a giustificare la supremazia degli uomini -
padre, fratello o marito - su donne che hanno raggiunto la maggiore eta',
privandole delle liberta' individuali di cui godono tutte le altre donne,
cittadine dello stesso paese. La minaccia denunciata da Beccaria diventa
nuovamente realta'.
Una simile interpretazione ha l'effetto di erigere un culto della verginita'
e della fedelta', privando cosi' le giovani del controllo sul proprio corpo
e vietando alle donne sposate di lavorare all'esterno o anche soltanto di
uscire di casa e subire lo sguardo di sconosciuti. Fatto ancora piu' grave,
le donne vengono picchiate per ogni trasgressione di queste regole, in
accordo con le prescrizioni religiose, come rivendicano pubblicamente alcuni
rappresentanti di questo islam integralista. Non possiamo dimenticare le
dichiarazioni di Hani Ramadan, allora direttore del Centro islamico di
Ginevra, che spiegava come la legge religiosa fosse in realta' molto
clemente: "La lapidazione prevista in caso di adulterio e' possibile solo se
quattro persone sono state testimoni oculari del crimine". Quanti altri la
pensano allo stesso modo senza avere il coraggio di sostenerlo in pubblico?
Numerose voci di donne musulmane si sono levate per denunciare questa
situazione. In Francia, l'associazione "Ni putes ni soumises" si e'
impegnata in questa lotta; ha organizzato una marcia nazionale e nel 2002 ha
pubblicato un manifesto nel quale si puo' leggere: "Ni putes ni soumises,
semplicemente donne che vogliono vivere la propria liberta' per manifestare
il proprio desiderio di giustizia". Sono le famiglie, non gli imam, a voler
sottomettere le donne, ma e' proprio nei testi sacri che trovano la
legittimazione dei loro divieti. Come conseguenza la liberta' di queste
donne risulta limitata e finisce per esserla anche l'uguaglianza di tutti i
membri della stessa societa'. Ayaan Hirsi Ali, oggi deputata olandese e
atea, ma somala di origine e musulmana di educazione, si impegna da molti
anni per proteggere e aiutare le donne picchiate, violentate e mutilate in
nome dei principi tratti dall'islam. La trama del film che ha scritto,
Submission, nel 2004 ha portato all'assassinio del suo realizzatore, Theo
Van Gogh. A sua volta, Ayaan Hirsi Ali rifiuta la sottomissione
dell'individuo alle prescrizioni di un gruppo come quello dei musulmani
fondamentalisti e rivendica al contrario la sottomissione di tutti i
cittadini alle stesse leggi. Come ella afferma, "la liberta' individuale e
l'uguaglianza tra uomo e donna" non sono scelte facoltative, ma "valori
universali", che appartengono alle leggi del paese. In una democrazia
liberale, sottomettere con la forza agli uomini le donne e impedire loro di
agire di propria iniziativa non sono azioni tollerabili.
Accanto a questi rifiuti della laicita', se ne puo' anche osservare la
deviazione ottenuta attraverso semplificazione e sistematizzazione abusive.
Sarebbe cosi' se la societa' secolare divenisse sinonimo di una societa' da
cui e' bandito ogni elemento sacro. Nella societa' tradizionale il sacro e'
definito dal dogma religioso e puo' estendersi alle istituzioni come agli
oggetti. La rivoluzione francese ha tentato di sacralizzare la nazione; si
pensava che l'amore per la patria giocasse il ruolo attribuito in precedenza
all'amore per Dio. I regimi totalitari, a loro volta, hanno voluto
sacralizzare dei sostituti terreni del divino, come il popolo, il partito o
la classe operaia. Le democrazie liberali contemporanee non sopprimono tutti
i doveri dei cittadini, ma nemmeno li sacralizzano. Non impediscono agli
individui di trovare il sacro all'interno della loro sfera privata: per uno
e' il lavoro a essere sacro, per un altro le vacanze, per un terzo i bambini
e per altri ancora la religione... Tuttavia, nessuna istituzione, nessun
oggetto e' sacro: tutto puo' essere criticato. Perfino gli avvenimenti che
nella societa' francese suscitano un giudizio di valore unanime, come il
genocidio degli ebrei o la resistenza, non possiedono, nella sfera pubblica,
un carattere sacro: perche' la conoscenza possa compiere progressi, non deve
urtarsi con zone vietate e il sacro e' proprio una di quelle con cui non si
ha il diritto di interferire.
Comunque, non e' vero che nelle nostre societa' secolari non sia piu'
presente il sacro; e' solo che non si trova nei dogmi e tanto meno nelle
reliquie, ma nei diritti degli esseri umani. Per noi e' sacra una certa
liberta' dell'individuo: il suo diritto di praticare (o meno) la religione
di sua scelta, di criticare le istituzioni, di cercare da se' la verita'. E'
sacra la vita umana, per questo gli stati hanno rinunciato al diritto che
avevano di colpirla con la pena di morte. E' sacra l'integrita' del corpo
umano, per questo e' bandita la tortura, anche quando la ragion di stato ne
consiglia il ricorso, o e' vietata l'infibulazione, praticata su ragazzine
che non sono ancora in grado di decidere autonomamente.
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Da pagina 95 e seguenti
Oggi i diritti dell'uomo godono di un immenso prestigio e quasi tutti i
governi vorrebbero apparirne difensori. Cio' non impedisce a questi governi,
anche i piu' espliciti in tale rivendicazione, di rifiutarli all'atto
pratico, quando sembra che le circostanze lo richiedano.
E' il caso, per esempio, della pena di morte. Beccaria, nel suo trattato Dei
delitti e delle pene, esprime meglio di tutti il pensiero dell'illuminismo a
questo proposito. Ogni essere umano, in quanto membro della specie e non
perche' cittadino dell'uno o dell'altro paese, ha diritto alla vita e questo
diritto e' inalienabile: io rinuncio alla mia liberta' naturale per godere
di una liberta' (e di una protezione) civile, ma non ho mai accordato alla
comunita', ne' esplicitamente ne' tacitamente, un diritto di vita e di morte
su di me. Che cosa potrebbe giustificare questo annullamento totale della
volonta' individuale a opera della volonta' collettiva? Non e' la necessita'
di impedire al criminale di nuocere, perche', per ucciderlo, e' stato
necessario come minimo arrestarlo ed egli deve quindi trovarsi gia' in
prigione. Espiare la colpa? Una punizione simile avrebbe senso solo se si
credesse a una forma di vita dopo la morte: nell'aldila' il condannato a
morte potrebbe misurare la gravita' della sua colpa in base alla severita'
della punizione. Se la persona non si trova in tale condizione, la lezione
e' del tutto inutile per lei.
Rimane un'altra giustificazione frequentemente avanzata, il valore
dissuasivo della condanna suprema per quelli che rimangono: la punizione
esemplare. Tuttavia, nessuna analisi ha mai confermato che l'effetto sia
stato regolarmente ottenuto e il paese occidentale che continua a praticare
la pena di morte, gli Stati Uniti, e' anche quello che ha il tasso di
criminalita' piu' elevato. Beccaria, per parte sua, dubita che un tale
effetto sia possibile perche', invece di opporsi all'assassinio che si
presume essa punisca, la pena di morte lo imita. "Il medesimo spirito di
ferocia che guidava la mano del legislatore, reggeva quella del parricida e
del sicario". Egli pensa perfino che questa pena rischia di causare
imitazioni. "Non e' utile la pena di morte per l'esempio di atrocita' che
da' agli uomini". E' vero che in tempo di guerra ogni governo autorizza e
incoraggia anche i propri cittadini a uccidere il maggior numero di nemici.
Ma, giustamente, la guerra e' dichiarata perche' non e' stato possibile
raggiungere nessun accordo negoziato. In tempo di pace i cittadini di un
paese vivono secondo la legge e imitare in piena legalita' l'azione militare
corrisponde a compromettere l'idea stessa di legge. "Parmi un assurdo che le
leggi che sono l'espressione della pubblica volonta', che detestano e
puniscono l'omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i
cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio".
Un'altra trasgressione dei diritti dell'uomo, praticata sporadicamente dai
governi, e' costituita dalla tortura. Ogni essere umano ha diritto
all'integrita' del proprio corpo; egli solo puo' rinunciarvi, infliggendosi
mutilazioni o suicidandosi. Dunque, non diversamente dall'omicidio, la
tortura non puo' essere legalizzata. I governi vi ricorrono, non per
sadismo, ma per ottenere informazioni che giudicano indispensabili:
vorrebbero, scrive Beccaria, "che il dolore divenisse il crogiuolo della
verita'". E' un risultato pagato a caro prezzo perche', per estorcere queste
confessioni la cui validita' rimane dubbia (si confesserebbe qualunque cosa
pur di far cessare il dolore), non solo si infligge una sofferenza
intollerabile al torturato che ne rimarra' segnato per tutta la vita, ma si
distrugge interiormente chi tortura, che perde il senso della comunita'
umana universale, e si rivolge a tutta la popolazione un messaggio che
autorizza la trasgressione dei limiti posti dalla legge.
L'esercito francese ha praticato sistematicamente la tortura durante la
guerra d'Algeria, in special modo a partire dal 1957, quando si e' vista
affidare le funzioni di controllo, con la giustificazione che, in una guerra
civile come quella, il nemico era invisibile e ottenere informazioni era
necessario per identificarlo. A cio' si aggiungeva spesso l'argomento della
"bomba che esplodera' entro un'ora", circostanza in realta' eccezionale,
mentre la tortura riguardava migliaia di persone e continuava a lungo dopo
l'ora presunta dell'attentato. Germaine Tillion, che allora cercava di
impedire queste pratiche, scriveva all'arcivescovo di Parigi (il 7 dicembre
1957): "Nel corso degli ultimi sei mesi, numerose giovani donne musulmane e
cristiane sono state torturate per motivi futili o inesistenti: denudamento,
supplizio dell'affogamento, supplizio dell'elettricita' talvolta con
elettrodi applicati alle parti genitali, sospensione per i polsi con le mani
legate dietro la schiena, un supplizio analogo a quello della croce, perche'
provoca l'asfissia".
E' proprio cosi' che e' morto, nel novembre 2003, il prigioniero iracheno
Manadel al-Jamadi, torturato nella prigione di Abu Graib a Baghdad dagli
agenti della Cia. Dopo che gli erano state rotte sei costole e la testa
avviluppata in un sacco di plastica, e' stato sospeso per i polsi
ammanettati dietro la schiena; meno di un'ora dopo il suo ingresso nella
prigione e' morto per soffocamento. Alcuni sopravvivono alla sola
sospensione, come Jean Amery, prigioniero della Gestapo durante la seconda
guerra mondiale, in Belgio, che ha lasciato un minuzioso racconto della sua
esperienza in Intellettuale ad Auschwitz. Altri che erano detenuti da tempo,
usciti dal campo di Guantanamo, hanno raccontato di avervi subito percosse,
di essere stati messi nudi in gabbie, obbligati a ingoiare medicine e a
guardare film pornografici e minacciati da vicino da cani tenuti al
guinzaglio: lontana reminiscenza dei topi che sfiorano il viso dei
prigionieri in 1984.
I servizi segreti americani probabilmente non sono i soli a sottoporre i
loro prigionieri alla tortura; in compenso, il governo degli Stati Uniti ha
assunto una posizione eccezionale tentando di legalizzarla. All'indomani
degli attentati dell'11 settembre 2001 il vicepresidente Cheney ha promesso
di ricorrere a tutti i mezzi a sua disposizione per combattere il
terrorismo. Un memorandum del Dipartimento di Giustizia, datato primo agosto
2002, elenca alcuni di questi mezzi: far soffocare gli individui senza
provocare la morte, inondarli, non curare le loro ferite, impedire loro di
dormire, assordarli e accecarli. Sovente si tratta di una tortura
psicologica piu' che fisica, ma che porta i detenuti sull'orlo della pazzia
e lascia disturbi permanenti. Il governo americano rifiuta sistematicamente
di trattare questi terroristi secondo la convenzione di Ginevra che riguarda
i prigionieri di guerra. Un senatore americano, John McCain, che era stato
prigioniero in Vietnam e aveva subÏto la tortura, ha presentato un progetto
di legge che impone alle prigioni della Cia gli stessi regolamenti adottati
nelle altre prigioni americane, ovvero, detto in altre parole, che rende la
tortura illegale. Il progetto, alla fine votato dal senato il 30 dicembre
2005, e' stato aspramente osteggiato dalla Casa Bianca. Questi atti di
tortura continuano a verificarsi molti anni dopo gli attentati terroristici
e gli interventi militari. Cio' che colpisce, qui, e' che la tortura non
soltanto e' tollerata, ma rivendicata in nome di una lotta per la sicurezza
interna e per i diritti dell'uomo, gli stessi diritti di cui essa si fa
beffe.
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Da pagina 109 e seguenti
Bisogna dire che, rispetto ad altre parti del mondo, l'Europa effettivamente
si distingue per la molteplicita' di stati presenti sul suo territorio.
Confrontandola con la Cina, la cui superficie e' all'incirca equivalente,
non si puo' che restare colpiti dal contrasto: un solo stato, da un lato, si
contrappone oggi a una quarantina di stati indipendenti, dall'altro. E' in
questa molteplicita', che si sarebbe potuta credere un ostacolo, che gli
illuministi hanno visto il vantaggio dell'Europa; e' il confronto con la
Cina che sembra loro non lasciare alcun dubbio. Hume dichiara: "In Cina pare
vi sia un fondo di civilta' e di scienza discretamente rilevante, che, nel
corso di tanti secoli, ci si poteva naturalmente aspettare che maturasse in
qualche cosa di piu' perfetto e compiuto di quello che finora e' stato
prodotto da quel paese. Ma la Cina e' un grande impero, ove si parla una
sola lingua, governato da una sola legge e in cui i sentimenti e le opinioni
sono largamente condivisi". Un fondo originariamente ricco di inventiva e
creativita' e' stato messo a tacere dalla presenza di un immenso impero
unificato, in cui il regno incontrastato dell'autorita', delle tradizioni,
delle solide reputazioni ha provocato la stagnazione delle menti.
Contrariamente a cio' che afferma l'antico adagio, qui e' la divisione che
fa la forza! Hume forse e' il primo pensatore a vedere l'identita'
dell'Europa piu' che in una caratteristica condivisa da tutti (l'eredita'
dell'impero romano, la religione cristiana), nella sua stessa pluralita':
non quella degli individui, ma quella dei paesi che la formano. Rimane da
capire per quale alchimia si riesca a trasformare, non il fango in oro, ma
una caratteristica di per se' negativa (la differenza) in qualita' positiva;
e come la pluralita' possa dare origine all'unita'.
I pensatori del XVIII secolo hanno voluto sapere in che cosa potessero
consistere i vantaggi della diversita' e hanno formulato numerose ipotesi,
forse perche' si sono confrontati con questa domanda in vari ambiti. Per
cominciare, la pluralita' piu' problematica, quella delle religioni: in
viaggio a L'Aja, Voltaire si rallegra della tolleranza che regna in essa,
tutte le religioni sembrano buone e nessuna cerca di eliminare le altre.
Dieci anni piu' tardi, durante il suo soggiorno in Inghilterra, osserva gli
stessi vantaggi della pluralita' e conclude: "Se in Inghilterra ci fosse una
sola religione, ci sarebbe da temere il dispotismo; se ne ce fossero due, si
taglierebbero la gola; ma se ce ne sono trenta, vivono in pace e felici".
Possiamo immaginare le ragioni di questa preferenza: se una religione
occupasse una posizione egemonica, i suoi adepti sarebbero inevitabilmente
tentati di opprimere gli altri, fino a eliminarli. D'altro canto, la
presenza di due religioni soltanto, alimenterebbe eccessivamente la
rivalita': il ricordo delle guerre di religione, guerre civili che hanno
insanguinato la Francia, e' ancora vivo in tutti. La pluralita' comincia con
il numero tre e implica che un'autorita' esterna, dunque non religiosa,
assicuri la pace tra loro: e' meglio separare potere spirituale e potere
temporale. Montesquieu, per parte sua, non condanna le religioni, ma auspica
che siano numerose: ciascuna di esse cerca di inculcare nei suoi fedeli
regole di buona condotta "e che cosa puo' animare questo zelo piu' della
loro molteplicita'?". La pluralita' favorisce l'emulazione e nessuna
volonta' che mira al bene e' mai di troppo.
*
Da pagina 115 e seguenti
La lezione dell'illuminismo consiste, pertanto, nel sostenere che la
pluralita' puo' dare origine a una nuova unita' almeno in tre modi: incita
alla tolleranza attraverso l'emulazione, sviluppa e protegge il libero
spirito critico, facilita il distacco da se' portando a un'integrazione
superiore di se' e dell'altro. Come non cogliere che la costruzione
dell'Europa, oggi, puo' trarre vantaggio da questa lezione? Per un suo esito
positivo, tale costruzione non deve limitarsi ai soli accordi che riguardano
le tariffe doganali, ne' accontentarsi unicamente di migliorare le strutture
burocratiche, ma assumere anche un certo spirito europeo, di cui gli
abitanti del continente possono sentirsi fieri. Ora, a questo proposito c'e'
un problema: cio' che tutte le nazioni europee condividono - razionalita'
scientifica, difesa dello stato di diritto e dei diritti dell'uomo -
possiede una vocazione universale e non specificamente europea. Al tempo
stesso, questo sostrato comune non e' sufficiente a organizzare un'entita'
politica durevole, deve essere completato da scelte particolari, radicate
nella storia e nella cultura di ogni nazione. L'esempio della lingua e'
rivelatore: ogni gruppo umano parla la propria, invece di adottarne una
universale; l'esistenza di una lingua di comunicazione internazionale, come
oggi l'inglese, non sopprime affatto le lingue particolari.
Per di piu', nel corso della loro lunga storia, le nazioni europee hanno
visto confrontarsi le scelte ideologiche piu' diverse e ogni dottrina
dominante ne ha suscitate altre che l'hanno combattuta. La fede appartiene
alla tradizione europea, ma anche l'ateismo, la difesa della gerarchia e
quella dell'uguaglianza, la continuita' come il cambiamento, l'ampliamento
dell'impero come la lotta antimperialista, la rivoluzione come la riforma o
il conservatorismo. Le popolazioni europee sono veramente troppo diverse per
poter essere ridotte a una manciata di elementi comuni; inoltre, hanno
ricevuto l'apporto di altre popolazioni immigrate, che hanno portato con se'
la propria religione, i propri costumi, la propria memoria. La "volonta' di
tutti", per dirla con Rousseau, non potrebbe imporsi senza che una parte
degli europei subisca una pressione violenta da parte degli altri;
altrimenti si tratterebbe solo di una finzione, di un tentativo di
pavoneggiarsi con una maschera edificante.
In compenso, l'identita' dell'Europa, e dunque la sua "volonta' generale",
potra' affermarsi se si fa leva sulle analisi effettuate all'epoca dei lumi
e, invece di isolare una certa qualita' per imporla a tutti, si prendono a
fondamento dell'unita' lo statuto accordato alle nostre differenze e le
maniere di trarne profitto: favorendo la tolleranza e l'emulazione, il
libero esercizio dello spirito critico, il distacco da se' che permette di
proiettarsi nell'altro e giungere cosi' a un livello di generalita' che
include il punto di vista di entrambi. Volendo scrivere una storia identica
per tutti gli europei, saremmo obbligati a eliminarne ogni motivo di
disaccordo; il risultato sarebbe una storia edificante, che dissimula tutto
cio' che infastidisce, in accordo con le esigenze del "politicamente
corretto" del momento. Tentando, invece, di scrivere una storia "generale",
i francesi non si limiterebbero a studiare la storia che li riguarda
ponendosi esclusivamente dal proprio punto di vista, ma terrebbero conto
dello sguardo rivolto a questi stessi avvenimenti dai tedeschi, o dagli
inglesi, o dagli spagnoli, o dagli algerini o dai vietnamiti. Scoprirebbero
cosi' che il loro popolo non sempre ha giocato i ruoli positivi dell'eroe e
della vittima e sfuggirebbero in tal modo alla tentazione manichea di vedere
il bene e il male distribuiti al di qua e al di la' di una frontiera. E'
proprio questo l'atteggiamento che gli europei di domani potrebbero avere in
comune e vagheggiare come la loro eredita' piu' preziosa.
La capacita' di integrare le differenze senza annullarle distingue l'Europa
dagli altri grandi gruppi politici mondiali: dall'India o dalla Cina, dalla
Russia o dagli Stati Uniti, in cui gli individui sono estremamente diversi,
ma inseriti in seno a una nazione unica. L'Europa, invece, riconosce non
solo i diritti degli individui, ma anche quelli delle comunita' storiche,
culturali e politiche che gli stati membri dell'Unione rappresentano. Questa
lungimiranza non e' un dono del cielo, e' stata pagata a caro prezzo: prima
di essere il continente che incarna la tolleranza e il riconoscimento
reciproco, l'Europa e' stato quello delle lacerazioni dolorose, dei
conflitti mortali, delle guerre incessanti. Questa lunga esperienza di cui
serba memoria, tanto nei suoi racconti quanto nei suoi edifici, se non
addirittura nei suoi paesaggi, e' il tributo che ha dovuto pagare per poter
beneficiare, secoli piu' tardi, della pace.
L'illuminismo e' la creazione piu' importante dell'Europa e non avrebbe
potuto vedere la luce senza l'esistenza dell'area europea, al tempo stesso
una e molteplice. Ora, e' altrettanto vero anche l'inverso: e' l'illuminismo
all'origine dell'Europa, cosi' come la concepiamo oggi. E allora possiamo
dire senza timore di esagerare: senza Europa niente illuminismo; e anche:
senza illuminismo niente Europa.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 199 del primo luglio 2008

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