Voci e volti della nonviolenza. 135



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 135 del 16 gennaio 2008

In questo numero:
1. Woody Allen ricorda Ingmar Bergman
2. Et coetera

1. WOODY ALLEN RICORDA INGMAR BERGMAN
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 23 agosto 2007, con l'occhiello "Woody
Allen ricorda le telefonate con il grande registra svedese scomparso. 'Se
gli comunicavano gli incassi, quei numeri entravano da un orecchio e
uscivano dall'altro'" e il titolo "Io e Bergman (quando ti telefona un
genio). 'Mi ha insegnato a non badare al botteghino"". Copyright The New
York Times Syndicate. Traduzione di Guiomar Parada]

La notizia della morte di Bergman l'ho ricevuta a Oviedo, una graziosa
cittadina nel nord della Spagna dove sto girando un film. Il messaggio
telefonico di un amico comune mi e' stato recapitato sul set. Bergman mi
disse una volta che non voleva morire in una giornata di sole e poiche' non
ero presente, posso solo sperare che abbia avuto quel tempo piatto nel quale
lavorano al meglio tutti i registi.
L'ho detto gia' in passato a persone che hanno un'idea romantica degli
artisti e che considerano la creazione artistica qualcosa di sacro: alla
fine, l'arte non ti salva. Non importa quanto sublimi siano le opere che
realizzi (e Bergman ci ha dato un menu' di sbalorditivi capolavori del
cinema), non ti proteggeranno dal fatale bussare alla porta che interrompe
il cavaliere e i suoi amici alla fine de Il settimo sigillo. E cosi', in una
giornata di luglio, Bergman non e' riuscito a rimandare il suo inevitabile
scacco matto e il miglior cineasta dei miei tempi se n'e' andato.
Qualche volta ho scherzato dicendo che l'arte era come il cattolicesimo
degli intellettuali, forniva il desiderio di intravedere una vita dopo la
morte. Ma per come la vedo io, e' meglio continuare a vivere nel proprio
appartamento che nei cuori e nelle menti del pubblico.
Ed e' certo che i film di Bergman continueranno a vivere e a essere visti
nei musei e in televisione e venduti in Dvd. Ma, conoscendolo, questa non
poteva che essere una magra consolazione e sono sicuro che avrebbe barattato
con piacere ognuno dei suoi film per un ulteriore anno di vita. Cio' gli
avrebbe dato altri sessanta compleanni per continuare a realizzare film. E
non ho dubbi che e' cosi' che avrebbe impiegato il tempo guadagnato: facendo
cio' che amava fare piu' di qualsiasi altra cosa, girare dei film.
A Bergman piaceva il processo della realizzazione. Gli importava molto meno
la risposta che i suoi film suscitavano. Gli faceva piacere che si
apprezzasse il suo lavoro, ma una volta mi disse: "Se il mio film non piace,
cio' mi crea problemi... per circa 30 secondi". Non gli interessavano i
risultati al botteghino, anche se i produttori e i distributori lo
chiamavano regolarmente comunicandogli gli incassi dei week-end: quei numeri
gli entravano da un orecchio e gli uscivano dall'altro. Diceva: "Verso la
meta' della settimana, i loro pronostici follemente ottimistici si saranno
ridotti a niente". Il plauso della critica gli faceva piacere, ma non ne
aveva bisogno nemmeno per un secondo e se e' vero che ci teneva che gli
spettatori si godessero il suo lavoro, e' altrettanto vero che non sempre li
aiutava.
Eppure, i suoi film piu' difficili da decifrare ben valevano lo sforzo. Per
esempio, quando si capiva che le due donne de Il silenzio sono soltanto due
aspetti in lotta di un'unica donna, questo enigmatico film si apriva in
tutto il suo fascino. Oppure, avere fresca in mente la filosofia danese
prima di vedere Il settimo sigillo o Il volto certamente avrebbe aiutato, ma
il talento di Bergman nel raccontare storie era talmente straordinario che
riusciva a incantare gli spettatori anche con un materiale difficile. Mi e'
capitato spesso di sentire dire dalle persone che avevano visto un suo film:
"Non ho capito esattamente quello che ho appena visto, ma ogni singolo
fotogramma mi ha tenuto aggrappato al bordo della poltrona".
Bergman restava devoto al teatro - era anche un grande regista di teatro -
ma il suo lavoro cinematografico non ha tratto idee soltanto da li'; lui ha
attinto alla pittura, alla musica, alla letteratura e alla filosofia. Il suo
lavoro ha indagato le ansie piu' profonde degli uomini, dando spesso un
inusitato spessore a queste poesie di celluloide. Morte, amore, arte, il
silenzio di Dio, la difficolta' dei rapporti umani, l'agonia del dubbio
religioso, i matrimoni falliti, l'incapacita' delle persone di comunicare
tra loro.
Ma era una persona calorosa, divertente, con un carattere scherzoso,
insicura di fronte ai suoi immensi talenti e che stava bene con le donne.
Incontrarlo non voleva dire entrare repentinamente nel tempio creativo di un
genio formidabile, oscuro, meditabondo e che incuteva soggezione con
profonde e complesse riflessioni, espresse con accento svedese, sullo
spaventoso destino dell'uomo in un desolato universo. Tutt'al piu' poteva
uscirsene cosi': "Woody, ho fatto ancora quello stupido sogno in cui mi
presento sul set per girare e non riesco a decidermi su dove collocare la
macchina da presa; il fatto e' che e' una cosa che ormai so fare abbastanza
bene e che faccio da anni. Ti capita mai di fare questi sogni ansiosi?".
Oppure: "Pensi che sarebbe interessante girare un film dove la cinepresa non
si muove neanche di un centimetro mentre gli attori entrano ed escono
dall'inquadratura? Oppure farebbe ridere la gente?".
Cosa si risponde al telefono a un genio? Non mi pareva che quella fosse una
buona idea, ma sono convinto che nelle sue mani sarebbe potuta diventare
qualcosa di speciale. Dopotutto, anche il vocabolario da lui inventato per
indagare la profondita' della psiche degli attori sarebbe apparso ridicolo a
chi studiava cinematografia. Nelle scuole di cinema (fui cacciato dalla New
York University abbastanza presto quando studiavo per la specializzazione
negli anni Cinquanta) l'enfasi era sempre sul movimento. Queste sono
immagini in movimento, si insegnava agli studenti, e la macchina da presa
dovrebbe muoversi. E i professori avevano ragione. Ma quando Bergman
collocava la macchina da presa fissa sul volto di Liv Ullmann o di Bibi
Andersson e li' la lasciava e non la spostava e il tempo passava, allora
accadeva qualcosa di strano e meraviglioso, dovuto solo alla sua genialita'.
Lo spettatore era preso dal personaggio e nessuno si annoiava. Al contrario,
si era entusiasti.
Bergman, con tutte le sue idiosincrasie e ossessioni filosofiche e
religiose, aveva un senso innato per raccontare le storie e quindi era
inevitabile che fosse in grado di intrattenerti anche quando nella sua mente
era intento a sceneggiare le idee di Nietzsche o di Kierkegaard. Ero solito
restare a lungo al telefono con lui. Erano telefonate dall'isola in cui
viveva. Non accettavo i suoi inviti per andare a trovarlo perche' viaggiare
in aereo non mi piaceva. Inoltre non avrei apprezzato un volo su un
minuscolo aeroplano con il quale avrei raggiunto un puntino vicino alla
Russia per quello che immaginavo sarebbe stato un pranzo a base di yogurt.
Parlavamo sempre di film e naturalmente lasciavo parlare lui la maggior
parte del tempo, perche' sentivo che era un privilegio ascoltare i suoi
pensieri e le sue idee. Lui proiettava per se' un film ogni giorno e i film
non si stancava mai di vederli. Di ogni tipo, muti e sonori. Per
addormentarsi guardava una cassetta di quel tipo di cinema che non lo
costringeva a pensare e che lo aiutava a rilassarsi dall'ansieta', qualche
volta un film di James Bond.
Come tutti i grandi maestri del cinema - Fellini, Antonioni o Bunuel, per
esempio - Bergman ha avuto i suoi critici. Ma se si escludono dei lapsus
occasionali, i film di questi artisti hanno colpito profondamente milioni di
persone in tutto il mondo. In effetti, sono coloro che meglio conoscono il
cinema, coloro che lo fanno - registi, sceneggiatori, attori, direttori
della fotografia, montatori - a provare il maggior rispetto per il lavoro di
Bergman.
Poiche' per decenni ho cantato le sue lodi tanto entusiasticamente, quando
e' scomparso mi sono arrivate richieste di commenti o interviste. Come se
avessi avuto qualcosa di efficace da aggiungere alla triste notizia, se non
proclamare semplicemente la sua grandezza. Mi e' stato chiesto quale era
stata per me la sua influenza. Come avrebbe potuto influenzarmi? Ho
risposto: lui era un genio e io non sono un genio, e la genialita' non puo'
essere insegnata.
Quando Bergman inizio' a essere conosciuto nelle cineteche di New York come
un grande autore cinematografico, io ero un giovane commediografo e un
comico di night-club. Si puo' subire l'influenza di Groucho Marx e di Ingmar
Bergman? Una cosa sono riuscito ad apprendere da lui, qualcosa che non
dipende dalla genialita' e nemmeno dal talento, qualcosa che puo' essere nei
fatti imparata e sviluppata. Parlo di cio' che spesso si chiama con poca
precisione etica del lavoro, ma che in realta' e' semplice disciplina.
Ho imparato dal suo esempio a cercare di fare il meglio possibile in un dato
momento, senza cedere all'assurdo mondo dei successi e dei flop, senza
rassegnarsi a entrare nello sfavillante ruolo del regista, realizzando
invece un film per poi passare a quello successivo. Bergman ha girato nella
sua vita circa 60 film, io ne ho girati 38. Se non posso raggiungere la sua
qualita', forse potro' avvicinarmi alla sua quantita'.

2. ET COETERA

Woody Allen, regista cinematografico americano. Nato a New York nel 1935,
all'anagrafe Allan Stewart Konigsberg, attore, commediografo, scrittore;
penetrante indagatore di nevrosi personali, relazioni interpersonali e
contesti sociali mistificati, fa dell'umorismo un efficace strumento
ermeneutico e catartico, e del cinema una sorta di generosa psicoterapia e
di esortazione alla mitezza. Opere di Woody Allen: Tra i suoi film
segnaliamo particolarmente Zelig (1983), amara e lucida analisi sulla
perdita dell'identita' nella societa' di massa e sulla formazione del
totalitarismo come "fuga dalla liberta'"; e Crimini e misfatti (1989), una
sensibile indagine morale; ma tanti altri suoi film occorrerebbe qui
ricordare che hanno reso una persona migliore chiunque li abbia visti.
Ricordiamo anche la sua interpretazione ne Il prestanome di Martin Ritt
(1976), film sul maccartismo. Allen ha anche pubblicato vari volumi.
Segnaliamo anche il libro-intervista curato da Stig Bjorkman, Woody su
Allen, Laterza. Opere su Woody Allen: tra le molte cfr. Elio Girlanda,
Annamaria Tella, Woody Allen, Il Castoro Cinema, e la citata intervista
curata da Stig Bjorkman.
*
Ingmar Bergman, nato ad Uppsala nel 1918, deceduto a Faro nel 2007,
drammaturgo e regista cinematografico tra i piu' grandi. Opere di Ingmar
Bergman: e' difficile isolare alcuni film piu' rappresentativi della
meditazione bergmaniana con riferimento alla morte, al dolore, alla
violenza, alla guerra, temi che tramano cosi' profondamente ed
angosciosamente l'opera del regista svedese. Ovviamente segnaliamo in
particolare Il settimo sigillo (1956), che insieme al Posto delle fragole
(1957) ed a Persona (1965) e' per noi il Bergman che forse piu' ci tocca, e
La vergogna (1967), che sulla guerra costituisce una meditazione ardua e che
convoca lo spettatore ad un piu' profondo indagarsi; ma a nostro parere
anche Il volto (1958), che chiama a riflettere non solo sullo sfaldarsi
dell'identita', ma anche sui meccanismi sociali dell'esclusione e sulla loro
devastante proiezione ed introiezione; Luci d'inverno (1961), e non solo per
il personaggio ossessionato dall'atomica cinese; e l'enigmatico e straziante
Il silenzio (1962); e ancora, lo straniato inquietante L'uovo del serpente
(1976); e ci fermiamo qui prima di citare la filmografia completa. Opere su
Ingmar Bergman: una buona introduzione e' quella di Sergio Trasatti, Ingmar
Bergman, Il Castoro Cinema.

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Numero 135 del 16 gennaio 2008

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