Minime. 335



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 335 del 15 gennaio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Giulio Vittorangeli: Costituzione
2. Enrico Peyretti: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
3. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
4. Afif Sarhan: Ridotti a vendere i figli
5. Eleonora Martini intervista Stefano Rodota'
6. Ettore Masina: La Bengasi di "Spina"
7. L'Agenda dell'antimafia 2008
8. L'agenda "Giorni nonviolenti" 2008
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. GIULIO VITTORANGELI: COSTITUZIONE
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento.
Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo
notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre
nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

Il primo gennaio del 1948 entrava in vigore la Costituzione della Repubblica
italiana.
Sui giornali e in tv abbiamo letto e visto il seguente messaggio, da parte
della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento per i Rapporti con
il Parlamento e Riforme istituzionali): "Il 27 dicembre 1947 e' nata la
nostra Costituzione e, con lei, la nostra identita' di popolo. In 139
articoli la Costituzione racconta chi siamo, da dove vengono i nostri valori
e dove ci porteranno i nostri ideali. Nel sessantesimo anniversario,
facciamoci un regalo: leggiamola".
Anche il nostro Presidente della Repubblica, nel consueto messaggio di fine
anno, ha fatto esplicito riferimento alla Costituzione repubblicana: "Ecco,
vedete, ricorre da domani il sessantesimo anniversario della nostra Carta
fondamentale: proprio nel proporci di rivederne alcune regole, relative
all'ordinamento della Repubblica, dobbiamo risolutamente ancorarci ai suoi
principi, anche e non da ultimo ai suoi valori morali, e in special modo a
quei suoi indirizzi che non vediamo abbastanza perseguiti e tradotti in
atto".
Tutto bene, dunque? Non ci sembra. Resta qualcosa di non detto, di
estremamente grave.
*
Nel passaggio dalla prima Repubblica alla cosiddetta seconda Repubblica, la
destra italiana ha cercato pesantemente di attaccare la Costituzione, nata
dalla Resistenza contro la barbarie nazifascista.
Dove cio' non e' stato possibile, ha cercato di aggirare gli articoli; in
questo contando sulla complicita', piu' o meno esplicita, anche di una parte
consistente del centrosinistra.
Basta vedere oggi la tutela del lavoro; la pari opportunita', in primo luogo
tra uomo e donna; l'azione internazionale dell'Italia, il tema della pace e
della guerra; la laicita' dello Stato...
Il nostro e' l'unico paese dove i telegiornali riservano l'apertura ad ogni
giudizio papale e della gerarchia cattolica su qualsiasi argomento; e dove
uomini politici, dopo aver probabilmente perso ogni contatto con la realta'
quotidiana, si sono affidati alla realta' virtuale della tv, traendone
l'impressione che l'episcopato possa spostare chissa' quanti voti a loro
favore e, eventualita' decisamente assurda, a favore di tutti.
L'atteggiamento acquiescente sembra pervadere entrambi gli schieramenti e
lascia i pochi genuini laici in balia di una condizione di impotenza tale da
spingerli a porre in secondo piano la rivendicazione di diritti che, nel
resto d'Europa, sono in gran parte oramai acquisiti.
Sul versante del lavoro, devono bruciare sei operai perche' la denuncia
delle morti sul lavoro acquisti visibilita'. Pero' non basta piangere i
morti, si ha il dovere morale e politico di prevenire gli incidenti. La
risposta non puo' essere la sola "Pubblicita' progresso": "Usare la testa,
si deve. Evitare la croce, si puo'" (e' lo slogan dedicato alla piaga degli
infortuni sul lavoro). La realta' e' che il modo di lavorare e'
profondamente cambiato, in Italia e nel resto del mondo, dove tra
flessibilita' e precarizzazione (con il ritorno di forme vicine alla
schiavitu' e non solo nel cosiddetto terzo mondo) sono state smantellate le
garanzie che tutelano chi lavora. Se non si torna a mettere al centro il
come lavorare, il come produrre senza ferire e uccidere, si potra' fare ben
poco.
Altrettanto drammatico e' quanto e' avvenuto con l'articolo 11 della
Costituzione. E' iniziato nel 1991, quando per la prima volta dopo la
seconda guerra mondiale l'Italia partecipa attivamente ad una guerra; i
nostri aerei sono impegnati contro l'Iraq. Il governo di allora (Andreotti)
la defini' "operazione di polizia internazionale", per aggirare l'ostacolo
dell'art. 11 che recita "L'Italia ripudia la guerra".
Da allora la parola guerra e' scomparsa; e per la legge della costante
inversione dei significati, la morte e' spacciata come vita, la menzogna
viene creduta come verita', la guerra e' lo strumento principe di pace.
Infine, venendo alla questione elettorale che attualmente e' al centro del
dibattito politico italiano, concordiamo con l'acuta osservazione di Rossana
Rossanda quando afferma "che da oggi la Costituzione sia considerata uno
straccio conteso fra quattro poveracci e' un po' penoso".
*
Valgono per tutti le parole di Giuseppe Dossetti: "Vorrei dire soprattutto
ai giovani: non abbiate prevenzioni rispetto alla Costituzione del '48, solo
perche' opera di una generazione ormai trascorsa. La Costituzione americana
e' in vigore da duecento anni, e in questi due secoli nessuna generazione
l'ha rifiutata o ha proposto di riscriverla integralmente: ha soltanto
operato singoli emendamenti puntuali al testo originario dei Padri di
Philadelphia, nonostante che nel frattempo la societa' americana sia passata
da uno Stato di pionieri a uno Stato oggi leader del mondo. Non lasciatevi
influenzare da seduttori fin troppo interessati, non a cambiare la
Costituzione, ma a rifiutare ogni regola".

2. AMICIZIE. ENRICO PEYRETTI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento.
Un intervento la cui ambigua chiusa rende necessaria una chiarificazione su
un punto sostanziale: i ministri e i parlamentari che hanno ripetutamente
votato per la partecipazione italiana alla guerra terrorista e stragista in
Afghanistan (cosi' violando la Costituzione della Repubblica Italiana in
forza della quale esercitano il pubblico potere ed alla quale hanno
l'obbligo di esser fedeli) hanno commesso un delitto, sapendo di
commetterlo. Non si vede come si possa considerare taluni di questi
consapevoli criminali "parti piu' accettabili" della "politica". Non e'
questione di "rassegnazione", ma di rispetto o violazione della legge, e
della vita umana. Quelle parti del ceto politico che in Consiglio dei
ministri e in Parlamento votano per le stragi di cui la guerra consiste non
sono "accettabili", ma criminali. Non c'e' bisogno di avere "una concezione
positiva e nonviolenta della pace" per essere tenuti al rispetto della legge
che proibisce di uccidere le persone, della legge che "ripudia la guerra
come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali" (p. s.).
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di
pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato
con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il
foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel
Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro
Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo
comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione
col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento
Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora
a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di),
Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni,
Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi
1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?,
Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'.
Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e'
disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e
nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al
libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro
di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu'
volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli,
indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org,
www.ilfoglio.info e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia
degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n.
68]

Ho atteso alcuni giorni a rispondere alla domanda sui motivi per cui mi
abbono (non so piu' da quanti anni) ad "Azione Nonviolenta", perche',
sinceramente, la risposta che mi veniva era "Oh bella! Che domanda!".
A parte gli scherzi, se cerco di esprimere le motivazioni per cui anche
quest'anno ho gia' rinnovato l'abbonamento (tramite la sede torinese del
Movimento Nonviolento, insieme a "Qualevita" del Mir), trovo che sono
principalmente il bisogno di collegamento, nell'informazione e nella
riflessione, con le correnti storiche centrali del movimento profondo e
costante per la pace nonviolenta nella nostra cultura e societa'.
Ci sono altri strumenti e pubblicazioni, sia cartacee che elettroniche, sia
per la promozione di lavori e ricerche scientifiche e accademiche, sia per
l'informazione e il dibattito quotidiano. Ma "Azione Nonviolenta", con la
sua puntualita' mensile, col carattere mediano tra approfondimento culturale
e organizzazione operativa (come dice il suo nome), e' unica e
insostituibile.
Se e' sempre da desiderare una maggiore partecipazione dei lettori, un
grazie sincero e felice e' dovuto a chi vi lavora in continuazione,
assicurando questo servizio.
Io continuo ad auspicare che il mensile, come tutto il Movimento Nonviolento
che esso esprime, si facciano centro promotore in Italia, in collaborazione
paritaria con ogni altra associazione ispirata davvero alla nonviolenza, di
una Federazione politica nonviolenta italiana. Come un tempo una simile
ampia collaborazione ottenne il riconoscimento dell'obiezione di coscienza
alla leva militare obbligatoria, cosi' oggi e domani una tale azione
coordinata e comune potrebbe avere un'influenza in direzione della
trasformazione in senso pacifico attivo (art. 11 della Costituzione) e poi
specificamente nonviolento, della concezione e della pratica della politica,
la quale oggi, anche nelle sua parti piu' accettabili, si rassegna a
giustificare azioni di guerra, perche' non ha una concezione positiva e
nonviolenta della pace.

3. INDICAZIONI PRATICHE. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964; e' un mensile di formazione, informazione e
dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Redazione, direzione e amministrazione sono in via Spagna 8, 37123 Verona,
tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax 0458009212,
e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona. Oppure
bonifico bancario sullo stesso conto presso BancoPosta ABI 07601 - CAB
11700. Speificare nella causale "Abbonamento a 'Azione nonviolenta'".
E' possibile chiedere una copia omaggio della rivista, inviando una e-mail
all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione
nonviolenta'".

4. IRAQ. AFIF SARHAN: RIDOTTI A VENDERE I FIGLI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di
Afif Sarhan dal titolo "Gli iracheni ridotti a vendere i figli" del 4
gennaio 2008 per "Al Jazeera".
Afif Sarhan e' giornalista, corrispondente dell'agenzia d'informazioni
dell'Onu "Irin news"]

Abu Muhammad, di Baghdad, ha trovato difficile lasciar andare la figlioletta
che lo teneva per mano, ma si e' gia' convinto che l'averla venduta ad una
famiglia che vive fuori dall'Iraq le dara' un futuro migliore: "La guerra ha
distrutto la mia famiglia. Ho perso i miei parenti, inclusa mia moglie, fra
le migliaia di vittime della violenza settaria e sono stato costretto a dar
via mia figlia per dare agli altri bambini qualcosa da mangiare", ha detto
ad Al Jazeera.
Nel 2006 Abu Muhammad e la sua famiglia furono costretti a lasciare la loro
casa ad Adhamiya, un distretto di Baghdad, dopo che i combattimenti fra
milizie avevano occupato le strade di un quartiere solitamente tranquillo.
Cominciarono a vivere in un campo profughi fuori citta', ma presto Abu perse
il lavoro e i bambini, che non potevano piu' permettersi la scuola, smisero
di andarci.
"Non c'erano abbastanza soldi per i libri, i vestiti e i trasporti", dice
ancora Abu Muhammad. Sua figlia Fatima, la piu' piccola dei quattro bambini,
aveva cominciato a mostrare i segni della denutrizione ed un medico locale
aveva detto al padre che era diventata anemica.
A meta' del 2007 le condizioni della famiglia erano ormai disperate ed i
quattro bambini, che un tempo erano pieni di salute e di vita, divennero
macilenti e letargici. Fu allora che arrivo' un interprete assieme ad una
coppia svedese che affermava di far parte di una ong internazionale.
"Avevano sentito parlare della mia situazione e la donna, che disse di non
poter avere bambini, mi offri' del denaro per avere la mia figlia minore, di
due anni. All'inizio rifiutai, ma l'interprete iracheno continuava a venire
al campo e a insistere. Un giorno mi sono detto che tutti i miei figli
sarebbero morti senza cibo e senza un ambiente sano, e la volta successiva
in cui si presento' alla mia tenda gli dissi che accettavo".
Diede all'interprete tutti i suoi documenti personali e dopo una settimana
la coppia svedese si presento' con nuovi documenti da firmare, quelli che
autorizzavano l'adozione, e se ne ando' con la bambina. Abu Muhammad, che ha
ricevuto 10.000 dollari, crede ora che Dio lo abbia maledetto, ma dice che
il suo tormento interiore e' in qualche modo alleviato dal credere che
Fatima avra' una vita migliore di molti che restano in Iraq: "Nello sguardo
della donna ho visto l'amore, la prima volta che ha posato gli occhi sulla
bambina", dice della madre adottiva.
*
Funzionari locali e assistenti sociali hanno espresso preoccupazione per
l'allarmante crescita del numero di bambini che continuano a "scomparire" in
Iraq. Omar Khalif, vicepresidente dell'Associazione famiglie irachene (Afi),
una ong nata nel 2004 per contrastare la sparizione ed il traffico di
bambini, dice che almeno due bambini vengono venduti dai genitori ogni
settimana. Altri quattro ogni settimana scompaiono: "La cifra e' allarmante.
C'e' un aumento del 20% nei casi denunciati di sparizioni rispetto all'anno
scorso. Negli anni precedenti si denunciavano le sparizioni dicendo che i
bambini erano scomparsi mentre tornavano da scuola o giocavano in strada con
gli amici. Tuttavia le indagini della polizia hanno rivelato che molti erano
stati invece venduti dai genitori a coppie straniere o a gang specializzate
nel traffico". Secondo i rapporti della polizia e lo studio indipendente
dell'Afi, i bambini iracheni vengono venduti a famiglie europee (in special
modo in Olanda e Svezia) e in Giordania, Libano e Siria. "Approfittando
della situazione disperata di troppe famiglie irachene, gli stranieri
offrono buone somme di denaro in cambio di bambini la cui eta' va da un mese
a cinque anni", dice Khalif. Il suo timore e' che i piccoli vengano
trafficati per il commercio sessuale o il mercato nero degli organi da
trapianto.
Hassan Alaa, funzionario del Ministero degli Interni, dice che sebbene sia
difficile rintracciare con precisione i luoghi in cui vengono portati i
bambini scomparsi, le forze governative hanno arrestato quindici trafficanti
di vite umane negli ultimi nove mesi: "Parecchi avevano con loro documenti
falsi per poter portare i bambini fuori dal paese. Nelle dichiarazioni che
hanno reso dicono che molti bambini vengono venduti per 3.000 dollari, ma
quelli piccolissimi possono raggiungere i 30.000". Il Ministero ha inviato
le sue forze di sicurezza ai checkpoint ed ai confini iracheni. Alaa dice
che i trafficanti di bambini usano somministrare loro pesanti sedativi
durante il viaggio: "Ai posti di blocco, alla polizia dicono che i bambini
stanno semplicemente dormendo. Adesso facciamo svegliare tutti i bambini in
procinto di lasciare l'Iraq, a meno che non siano troppo piccoli per
parlare, e gli facciamo porre delle domande dalla polizia o dai funzionari
di confine".
Mahmoud Saeed, funzionario del Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali,
sostiene che l'estrema poverta' e la disoccupazione hanno spinto genitori
disperati a prendere decisioni un tempo inimmaginabili: "Vedendo le loro
famiglie senza cibo e senza igiene, preferiscono dare i bambini in adozione,
per salvare le loro vite". Saeed dice che il suo Ministero intende porre
come istanza di crisi la questione del lavoro nel 2008. Spera che le agenzie
umanitarie internazionali e le ong incrementeranno la loro partecipazione e
gli investimenti nei progetti mirati ad aiutare l'infanzia. Ma per molti
genitori, queste misure arriveranno troppo tardi.
*
Khalid Jabboury, trentottenne, padre di sette figli e rifugiato alla
periferia di Baghdad, dice che l'aver dato in adozione sua figlia ad una
famiglia giordana non gli ha portato altro che tormento: "Dopo un anno ho
saputo da alcuni parenti che l'avevano vista che la mia bambina di sette
anni lavorava come serva, per la sua supposta nuova famiglia, e che veniva
picchiata". Gli hanno dato 20.000 dollari, ma Khalid vuole restituirli, se
un'ong locale lo assistera' nel tentativo di far rimpatriare sua figlia.
Omar Khalif dell'Ifa sostiene pero' che non c'e' nulla che le ong possano
fare quando i bambini sono fuori dall'Iraq.
Ruwaida Saleh, trentunenne, madre di tre figli, sta incessantemente pregando
per la salvezza della sua bambina di otto anni, Hala. Ruwaida dice che la
piccola e' scomparsa nel luglio 2007, e che da allora lei non ne ha piu'
saputo nulla: "La polizia ci ha detto di arrenderci, ma io non posso. Ho
incubi in cui vedo che la stuprano. Mi terro' stretta alle mani di Dio e lo
implorero' di riportare Hala fra le mie braccia. E' un dolore che non ha
lenimento, e che mi portero' nella tomba se non riesco a trovarla".

5. RIFLESSIONE. ELEONORA MARTINI INTERVISTA STEFANO RODOTA'
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 gennaio 2008 riprendiamo la seguente
intervista, dal titolo "Politici, liberateci dalla vostra coscienza" e il
sommario "La polemica sull'aborto non e' solo una trappola tesa al governo,
ma e' sintomo della regressione culturale e politica che anche la sinistra
vive. Parla Stefano Rodota'. Il punto non e' rispettare l'intima convinzione
dei politici, ma avere leggi che rispettino la liberta' di agire di ciascuno
di noi davanti alle decisioni importanti della vita".
Eleonora Martini, giornalista, scrive sul quotidiano "Il manifesto".
Stefano Rodota' e' nato a Cosenza nel 1933, giurista, docente
all'Universita' degli Studi di Roma "La Sapienza" (ha inoltre tenuto corsi e
seminari nelle Universita' di Parigi, Francoforte, Strasburgo, Edimburgo,
Barcellona, Lima, Caracas, Rio de Janeiro, Citta' del Messico, ed e'
Visiting fellow, presso l'All Souls College dell'Universita' di Oxford e
Professor alla Stanford School of Law, California), direttore dele riviste
"Politica del diritto" e "Rivista critica del diritto privato", deputato al
Parlamento dal 1979 al 1994, autorevole membro di prestigiosi comitati
internazionali sulla bioetica e la societa' dell'informazione, dal 1997 al
2005 e' stato presidente dell'Autorita' garante per la protezione dei dati
personali. Tra le opere di Stefano Rodota': Il problema della
responsabilita' civile, Giuffre', Milano 1964; Il diritto privato nella
societa' moderna, Il Mulino, Bologna 1971; Elaboratori elettronici e
controllo sociale, Il Mulino, Bologna 1973; (a cura di), Il controllo
sociale delle attivita' private, Il Mulino, Bologna 1977; Il terribile
diritto. Studi sulla proprieta' privata, Il Mulino, Bologna 1981; Repertorio
di fine secolo, Laterza, Roma-Bari, 1992; (a cura di), Questioni di
Bioetica, Laterza, Roma-Bari, 1993, 1997; Quale Stato, Sisifo, Roma 1994;
Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna 1995; Tecnopolitica. La democrazia
e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari, 1997;
Liberta' e diritti in Italia, Donzelli, Roma 1997. Alle origini della
Costituzione, Il Mulino, Bologna, Il Mulino, 1998; Intervista su privacy e
liberta', Laterza, Roma-Bari 2005; La vita e le regole, Feltrinelli, Milano
2006]

Non la considera una provocazione, una trappola tesa alla maggioranza di
governo. Stefano Rodota', giurista ed ex garante della privacy, crede invece
che sia giusto valutare "con altro metro" la proposta di una "moratoria"
sull'aborto lanciata dal "Foglio" di Giuliano Ferrara: "E' il sintomo della
grave regressione culturale e politica che stiamo vivendo", afferma. "Questo
dibattito sta creando un clima che tende a rimettere in discussione, nel
modo peggiore, un'acquisizione culturale e legislativa molto importante.
Queste sono battaglie di lungo periodo che sarebbe un errore di
sottovalutazione leggere solo con l'attualita'. Non e' affatto vero che a
breve ci lasceremo alle spalle questa polemica: e' stato introdotto nella
discussione culturale italiana un tema che puo' avere effetti molto gravi".
*
- Eleonora Martini: Vale la pena parlare nel merito della proposta di una
"moratoria" sull'aborto da portare in sede Onu al pari di quella contro la
pena di morte?
- Stefano Rodota': Io parlerei piuttosto del clima che e' stato creato per
riproporre il tema della revisione della legge 194 e in genere per
affrontare la questione dell'aborto. Ecco, penso che corrisponda
perfettamente alla regressione culturale che stiamo vivendo. Lo dico per
diverse ragioni, prima fra tutte l'improponibilita' del paragone con la pena
di morte: l'associazione con la moratoria dell'Onu e' stato un colpo
mediatico ma certamente non un contributo alla discussione seria di un tema
che ha bisogno di grande consapevolezza culturale. L'aborto non e' il
risultato di politiche dissennate di chi non rispetta la vita ma e' qualcosa
che si puo' dire accompagna antropologicamente il genere umano.
*
- Eleonora Martini: La consapevolezza era il primo insegnamento del pensiero
delle donne...
- Stefano Rodota': Si', e in questo dibattito e' stato completamente
cancellato. La donna e' sparita da questa discussione, e' diventata
semplicemente l'oggetto di macchine di dissuasione spacciate per politiche
di di prevenzione. Quello che si cerca di sostenere - per esempio mettendo
su comitati medici composti anche da psichiatri che dovrebbero valutare le
richieste di aborto - e' il presupposto che la donna non abbia autonomia di
giudizio, capacita' di decisione responsabile. La prevenzione poi e' intesa
solo come politica di dissuasione, anziche' di informazione sulla
contraccezione, compresa la pillola del giorno dopo che invece viene
demonizzata, e sulla disponibilita' di servizi sociali adeguati per le donne
madri. Con questa politica di dissuasione, in altri tempi si arrivo' fino
all'aberrazione di proporre un premio per le donne che rinunciavano
all'interruzione della gravidanza. Una delle cose piu' orribili per una
societa': comprare un bambino non curandosi del dramma psicologico e sociale
che cio' produce.
*
- Eleonora Martini: E la sinistra si salva da questa regressione culturale?
- Stefano Rodota': Una parte della sinistra e del centrosinistra di fronte a
questa offensiva mostra tutta la sua debolezza, la sua incapacita' di
reazione culturale prima ancora che politica: un altro aspetto della
regressione che viviamo. Parlando della legge 194 bisognerebbe ricordare
alcuni dati di fatto: l'abbattimento del numero di aborti, l'emersione dalla
clandestinita' che mieteva molte vittime, la fine del turismo abortivo che
era un privilegio di classe, di chi poteva premettersi di prendere un
charter per l'Inghilterra. Sempre per essere consapevoli della realta', va
ricordato che le politiche proibizioniste nei paesi come l'India dove si
pratica l'aborto selettivo delle femmine sono state inefficaci perche'
aggirate con mille espedienti. E quando in quei paesi non era legalizzato
l'aborto, le bambine nascevano e venivano ammazzate. L'aborto selettivo
delle femmine e' una prassi cosi' antica che non si cancella da un giorno
all'altro.
*
- Eleonora Martini: E sicuramente non si cancella promuovendo la cultura
fondamentalista che vede la donna come un animale procreativo...
- Stefano Rodota': Assolutamente. L'idea della donna come contenitore, sul
cui corpo il legislatore puo' impunemente legiferare senza tenere conto
della sua volonta', e' di nuovo un frutto della regressione culturale.
Abbiamo letto in questi giorni un dato inquietante: in Lombardia due terzi
dei medici sono obiettori di coscienza. Questo e' un fatto grave e mi
ricorda che gia' dopo la legge c'era chi chiedeva l'obiezione perfino per i
portantini o per i cuochi dei reparti dove venivano praticati gli aborti.
Fin da allora si voleva costringere la donna ad una condizione umiliante,
invece di fornire un servizio adeguato. Allo stesso modo, l'accettazione
sociale dell'handicap non e' una predica da fare alla donna: e' la
disponibilita' di servizi, di sostegno, di investimenti sociali.
*
- Eleonora Martini: Di nuovo si parla di rischio di eugenetica, uno spettro
adombrato di tanto in tanto dalla destra e dalle gerarchie cattoliche...
- Stefano Rodota': Se non c'e' una componente terroristica nella campagna
anti-interruzione di gravidanza, le argomentazioni finiscono per incidere
assai poco... Si ricordi che i sostenitori della legge 40 difendevano il
divieto per la diagnosi preimpianto dicendo che in caso di malformazioni la
donna avrebbe potuto sempre ricorrere all'aborto terapeutico nel corso della
gravidanza. Insomma, questo discorso sull'eugenetica non e' posto con dati
probanti e rimanda invece a una cultura che vuole la donna prigioniera di
una sorta di pregiudizio negativo, non come un essere responsabile che
manifesta il suo diritto a una scelta libera e individuale.
*
- Eleonora Martini: Si antepone invece la liberta' di coscienza dei
politici, non le pare?
- Stefano Rodota': Per carita', la liberta' di coscienza va sempre presa in
considerazione. Ma in realta' in queste materie cosiddette eticamente
sensibili e che riguardano decisioni individuali, la liberta' di coscienza
che deve essere rispettata e' quella della persona che deve prendere la
decisione. Il punto chiave non e' la liberta' di coscienza del politico ma
il fatto che la legge non puo' espropriare la liberta' di coscienza di
ciascuno di noi. E questo e' un limite all'invasivita' della politica e
all'uso proibizionista della legge. Inoltre e' anche evidente che cosi' la
politica perde il suo senso di grande dibattito pubblico e si privatizza, e
anche questo e' sintomo della regressione culturale. Il confronto tra le
idee lascia il posto all'arroccamento sulla torre d'avorio della propria
coscienza, della quale non si risponde ne' alla politica ne' alla
collettivita'. Ma attenzione all'effetto cascata delle obiezioni di
coscienza: perche' allora un giudice non potrebbe rifiutarsi di applicare
una legge non conforme alla propria coscienza?

6. MAESTRI E COMPAGNI. ETTORE MASINA: LA BENGASI DI "SPINA"
[Dal sito di Ettore Masina (www.ettoremasina.it) riprendiamo il seguente
intervento del maggio 2007 dal titolo "Bengasi, la citta' coloniale di
"Spina", e' la mia".
Ettore Masina, nato a Breno (Bs) il 4 settembre 1928, giornalista,
scrittore, fondatore della Rete Radie' Resch, gia' parlamentare, e' una
delle figure piu' vive della cultura e della prassi di pace. Sulle sue
esperienze e riflessioni si vedano innanzitutto i suoi tre libri
autobiografici: Diario di un cattolico errante. Fra santi, burocrati e
guerriglieri (Gamberetti, 1997); Il prevalente passato. Un'autobiografia in
cammino (Rubbettino, 2000); L'airone di Orbetello. Storia e storie di un
cattocomunista (Rubbettino, 2005). Tra gli altri suoi libri: Il Vangelo
secondo gli anonimi (Cittadella, 1969, tradotto in Brasile), Un passo nella
storia (Cittadella, 1974), Il ferro e il miele (Rusconi, tradotto in
serbo-croato), El Nido de Oro. Viaggio all'interno del terzo Mondo: Brasile,
Corno d'Africa, Nicaragua (Marietti, 1989), Un inverno al Sud. Cile,
Vietnam, Sudafrica, Palestina (Marietti, 1992), L'arcivescovo deve morire.
Monsignor Oscar Romero e il suo popolo (Edizioni cultura della pace, 1993
col titolo Oscar Romero, poi in nuova edizione nelle Edizioni Gruppo Abele,
1995), Comprare un santo (Camunia, 1994; O. G. E., 2006), Il volo del
passero (San Paolo, tradotto in greco), I gabbiani di Fringen (San Paolo,
1999), Il Vincere (San Paolo, 2002). Un piu' ampio profilo di Ettore Masina,
scritto generosamente da lui stesso per il nostro foglio, e' nel n. 418 de
"La nonviolenza e' in cammino".
Alessandro Spina e' il nome d'arte di uno scrittore italiano nato in Libia
nel 1927, che ha vissuto fra la Libia e l'Italia; vari suoi racconti e
romanzi sono stati pubblicati da vari editori. Tra le opere di Alessandro
Spina (nelle ultime edizioni disponibili): Nuove storie di ufficiali, Ares,
1994; La riva della vita minore, Mondadori, 1997; Conversazione in piazza
Sant'Anselmo e altri scritti. Per un ritratto di Cristina Campo,
Morcelliana, 2002; L'oblio. Ventiquattro storie coloniali, Ares, 2004; I
confini dell'ombra, Morcelliana, 2006 (che raccoglie l'intero ciclo
narrativo che ccompagna la storia della Libia dall'invasione italiana alla
decolonizzazione); (con Campo Cristina), Carteggio, Morcelliana, 2007; Le
Notti del Cairo o L'arte di ereditare, Scheiwiller 2007; La Commedia
mentale, Scheiwiller, 2007]

Se in questo periodo vado segnalando cosi' poche novita' editoriali, e'
perche' sono concentrato nella lettura di un libro di 1240 pagine. Il titolo
e': I confini dell'ombra, l'editrice e' la Morcelliana e l'autore usa lo
pseudonimo di Alessandro Spina. Questo massiccio volume, che consiglio
vivamente ai lettori capaci di fedele costanza, mi colpisce per varie
ragioni, la prima delle quali e' la storia della sua pubblicazione. Benche',
infatti, i romanzi e i racconti qui riuniti siano gia' stati editi negli
anni passati, cio' e' avvenuto, per volonta' dell'autore, cosi'
discretamente da non essere notato da quella disordinata falange di lettori,
confusionari ma appassionati, alla quale appartengo. Una vicenda editoriale,
dunque, che sembra l'esatto contrario di ogni altra: l'"industriale" che
preme e lo scrittore che si ritrae quasi pudicamente, una pubblicazione, si
direbbe, contra publicum! Anche in questa occasione, del resto, l'Opera
Omnia di "Alessandro Spina" e' stata affidata non a un "grande" editore di
opere narrative ma a una casa tra le migliori in Italia per la sua
specializzazione in testi di teologia e spiritualita' cristiane. E' una
scelta dovuta ai rapporti d'amicizia fra il non piu' giovane autore (mio
coetaneo) e la famiglia animatrice dell'impresa - ma sottolinea anche la
passione etica che vibra nelle pagine de I confini dell'ombra.
*
La seconda ragione del mio coinvolgimento e' che i racconti e i romanzi di
"Spina" si svolgono tutti nella colonia italiana della Libia e piu'
specificatamente della Cirenaica e, quasi tutti, nella citta' di Bengasi.
Ora la mia famiglia ha avuto in quella regione avventure liete (vi nacque un
mio fratello) o dolorosissime (un giovane ufficiale ucciso, due assai meno
giovani caduti in prigionia) e a Bengasi (e a Derna) io stesso ho abitato
per tre anni. Ero un bambino ma quell'esperienza mi ha segnato al punto che
i miei ricordi sono impressionantemente vivi (ed esatti, come ho potuto
constatare in un viaggio di qualche anno fa). Ritrovo adesso, nelle pagine
di "Spina", il bambino che fui e lo vedo muoversi in luoghi amati: la nostra
casa di fronte al liceo, con gli ufficialetti in trepida attesa dell'uscita
delle studentesse; i capanni sulla immensa spiaggia della Giuliana (che oggi
non esiste piu'), roccoli di chiacchiere di signore interrotti dall'arrivo
dalla citta' dei mariti in divisa bianca di lino, desiderosi di mettersi in
costume da bagno; il Circolo Ufficiali dove imparai a "tirare" (goffamente)
di scherma e dove il barbiere mentre mi tagliava i capelli canticchiava
languidamente "Suona solo per me/ oh violino tzigano,/ forse pensi anche tu/
a un amore laggiu'/ sotto un cielo lontano".
E vi ritrovo le grotte alle foci di un fiume sotterraneo pomposamente
chiamato Lete; il Bosco  del Littorio, paludato in immensi mantelli di
ginestre: un giorno memorabile, lottando con centinaia di altri balilla li'
congregati, vi cercai, inutilmente, di avere una carezza dal Duce, venuto in
Libia a sfoderare una fasulla "spada dell'Islam". Rivedo l'Albergo Italia
con la sua orchestrina di signore che si proclamavano tutte,
orgogliosamente, viennesi; le sfilate militari, per la festa dello Statuto,
sul lungomare, con gli ascari eritrei a cavallo, i carabinieri col
pennacchio sul cappello da boy-scout, gli ufficiali dei meharisti col
turbante, inerpicati sui loro altissimi dromedari...
*
Una guida del Touring stampata in quegli anni '30 dice che gli abitanti di
Bengasi erano allora ventimila, ma non spiega se nel computo sono compresi i
libici. In Libia (e soprattutto in Cirenaica) l'apartheid era rigidissima;
la lunga, difficile riconquista italiana della regione, dopo che la prima
guerra mondiale vi aveva minato la nostra sovranita', era finita da tre o
quattro anni, quando io vi abitai; certamente non s'era ancora spenta l'eco
delle atrocita' compiute da Graziani e quindi i rapporti fra italiani e
indigeni erano inesistenti, o peggio: da un lato i "nostri", dall'altro i
"loro", in mezzo gli zaptie' (i carabinieri libici, con il loro giubbetto
ricamato e l'alta fascia rossa a stringere la vita), una piccola comunita'
israelitica, qualche indiano, armeno o levantino nel suk, qualche libanese
nel commercio o nelle industrie; credo che la famiglia di "Spina"
appartenesse a quest'ultima categoria, borghese, ricca, italianizzante o
addirittura italianizzata. (L'apartheid non riusciva a impedire, tuttavia,
che nascesse e si rinsaldasse qualche riluttante legame d'affetto fra
"servi" e "padroni", soprattutto quando essi fossero bambini: il fenomeno
delle mammies, del resto, e' diffuso in tutta la letteratura "coloniale"
anglosassone, francese e di altri paesi: vedi Karen Blixen).
*
I miei ricordi cozzano, invece, con i personaggi di "Alessandro Spina". Per
qualche sua fascinazione infantile, suppongo, egli affida dialoghi e
sentimenti raffinati e profondi (uno dei pregi piu' alti di quest'opera)
soprattutto agli ufficiali, la cui presenza era cosi' folta a Bengasi.
L'ambiente coloniale, le necessita' coloniali li rendevano, secondo lui, un
corpus a parte, guardato dai civili con deferente sospetto. Nelle pagine de
I confini dell'ombra alcuni di questi militari appaiono - un  po' come il
tenente Drogo del Deserto dei Tartari - quasi crociati "laici", membri di
una congregazione guerriera; altri ricordano, nelle loro inquietudini e
nelle loro pulsioni di morte, gli  eroi di certi film dell'epoca (Sotto due
bandiere, La bandera, Lo squadrone bianco), ed altri ancora i nobili
turbamenti e le dolenti rigidita' dei militari dell'Europa asburgica.
Bambino curiosissimo e indiscreto, e figlio e nipote di ufficiali, io ho
differenti ricordi. La vita di colonia, in una citta' che era un villaggio
di colonnelli e di subalterni, la noia greve che nasceva dal vivere in una
estrema periferia culturale, spingevano al gusto della maldicenza,
all'ossessione delle carriere, al proliferare del gioco d'azzardo e alle
avventure extraconiugali. Le voci si abbassavano e le teste si
riavvicinavano in continuo in veri e propri bollettini di guerra. Mia madre,
giovane e bella, era disgustata da certi baciamani che sembravano avances,
dalla sfrontatezza di alcune donne, indegne, secondo lei, di chiamarsi
"signore"... C'era, naturalmente, anche della gran brava gente; e alcuni di
quegli ufficiali andarono poi a battersi in guerra, con onore; e non pochi
con dignita' morirono; ma la maggior parte di loro fu descritta con
verosimiglianza da Tobino e da Monicelli.
*
Moltissimi sono i pregi de I confini dell'ombra. Vi ritrovo, fra l'altro, la
spiegazione di certe atmosfere, sospetti, paure che rendevano precaria e
provvisoria la vita "di colonia", e mi parvero allora incomprensibili.
Questa spiegazione la appresi soltanto da adulto e certamente molti nostri
compatrioti continuano a ignorarla. "Spina" inserisce con frequenza, nei
suoi racconti, i documenti, orribili per crudelta' o per vile ipocrisia, sui
quali la colonizzazione e la ri-colonizzazione infransero per sempre il mito
degli "italiani, brava gente": le spietate repressioni, con l'istituzione di
veri e propri lager, le impiccagioni, le deportazioni, le violazioni della
parola data, la concessione di autonomie subito dopo cancellate. La
inevitabile brutalita' del colonialismo e' presente nelle pagine dell'opera
"spiniana", anche da questo punto di vista preziosa.
*
Forse perche' il nostro "Impero" duro' poco piu' che l'espace d'un matin, la
narrativa "coloniale" italiana, a differenza di quella delle altre Potenze
ma anche della cinematografia fascista, e' scarsa per quantita' e qualita':
affidata a cantori del nazionalismo, implicitamente razzista, o del regime,
che razzista esplicitamente fu, non soltanto contro gli ebrei; o pervasa di
quell'orientalismo che Edward Said ha esemplarmente smascherato e che finiva
anch'esso nella trappola del razzismo. "Popoli meta' demoni e meta' bambini"
diceva Kipling dei sudditi dell'Uomo Bianco. "Alessandro Spina", che ha
molto a lungo abitato fra i libici, non ha ceduto alle perversioni piu' o
meno inconsapevoli del colonialismo. Il suo rapporto con la cultura
islamica, con la fierezza araba e con il dolore arabo e' fatto di rispettosa
attenzione. Due popoli separati dalla violenza rimangono, nella mente e nel
cuore dello scrittore, una umanita' sola in cerca di speranza. C'e' niente
di piu' attuale?

7. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2008
Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo: l'Agenda dell'antimafia
2008, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2007,
euro 10. A cura di Anna Puglisi e Umberto Santino, edita dal Centro
Impastato con Addiopizzo, Cesvop, Comune di Gela, Consorzio Ulisse.
L'agenda puo' essere richiesta al Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel.
0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito:
www.centroimpastato.it

8. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI" 2008
Dal 1994 ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine offre spunti giornalieri di
riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla
nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di
"antologia della nonviolenza" che ogni anno viene aggiornata e completamente
rinnovata. Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo.
Per richieste: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell. 3495843946, e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it
Il costo di una copia di "Giorni nonviolenti" 2008 e' di 10 euro, sconti
progressivi per l'acquisto di un numero di copie maggiore.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 335 del 15 gennaio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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