La domenica della nonviolenza. 132



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 132 del 7 ottobre 2007

In questo numero:
1. Raffaella Mendolia: Il pensiero di Aldo Capitini (parte terza e
conclusiva)
2. Raffaella Mendolia: Origini e contemporaneita' del Movimento Nonviolento

1. RIFLESSIONE. RAFFAELLA MENDOLIA: IL PENSIERO DI ALDO CAPITINI (PARTE
TERZA E CONCLUSIVA)
[Ringraziamo Raffaella Mendolia (per contatti: raffamendo at libero.it) per
averci messo a disposizione il seguente estratto dalla sua tesi di laurea su
"Aldo Capitini e il Movimento Nonviolento (1990-2002)" sostenuta presso la
Facolta' di Scienze politiche dell'Universita' degli studi di Padova
nell'anno accademico 2002-2003, relatore il professor Giampietro Berti. Le
precedenti parti prima e seconda di questo testo sono apparse in
"Nonviolenza. Femminile plurale" n. 129 e n. 130]
Raffaella Mendolia fa parte del comitato di coordinamento del Movimento
Nonviolento, ed ha a suo tempo condotto per la sua tesi di laurea una
rilevante ricerca sull'accostamento alla nonviolenza in Italia.
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale -
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca -
bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato
il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una
raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea
d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996;
segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri,
Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti (a
cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della
nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione
nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org)
sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di
Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di
un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90
e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui
apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un
volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione
ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo
Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il
messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno:
Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di),
Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988;
Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini.
Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi
Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova
Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini,
Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume
monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante,
La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini,
Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un
profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze
2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze
2005; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi,
Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una
bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito
citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito
dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it,
altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un
altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a
Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni:
l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803,
fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it o anche
redazione@nonviolenti:org, sito: www.nonviolenti.org]

5. La pedagogia: l'educazione aperta
L'approfondimento di Capitini del tema dell'educazione e' ancora una volta
legato alla sua esperienza di vita. La necessaria ricostruzione della
democrazia in Italia dopo il fascismo lo porta a riconoscere che nessuna
riforma poteva essere attuata senza un'adeguata preparazione dei cittadini.
Pur nell'impossibilita' di prevedere i tempi di realizzazione della
compresenza, il monito profetico di Capitini e' sempre di impegnarsi qui ed
ora per arrivare alla meta desiderata. L'educazione, come la propaganda e la
testimonianza esemplare, sono strumenti capaci di risvegliare le masse dalla
cieca obbedienza per farle divenire coscienti e attive protagoniste della
lotta al potere ingiusto.
Al fine di educare la popolazione egli avvia diverse iniziative, a partire
dai C.O.S. e dai corsi serali per lavoratori.
Capitini scrive diversi libri sull'argomento, anche se come sempre e'
difficile separare la sua trattazione pedagogica da quella filosofica e
religiosa. Due opere organiche di filosofia educativa possono essere
considerate L'atto di educare, pubblicato nel 1951, e Il fanciullo nella
liberazione dell'uomo, edito due anni dopo. Inoltre egli scrive Educazione
aperta, una antologia di temi educativi, pubblicata in due volumi nel 1967 e
1968.
Il suo interesse sull'argomento lo spinge anche a partecipare a convegni e a
scrivere numerosi articoli e saggi, su svariati temi.
*
E' possibile pero' distinguere alcune direttrici dell'azione di Capitini in
campo educativo: la scuola, l'educazione civica, l'educazione degli adulti.
All'interno della scuola opera al fine di stabilire la democrazia e
l'autonomia scolastica, base fondamentale dell'omnicrazia; promuove e
sostiene l'Adesspi (Associazione per la Difesa e lo Sviluppo della Scuola
Pubblica in Italia) per difendere la scuola pubblica dalle pretese della
scuola confessionale; difende la posizione degli insegnanti e sottolinea
l'importanza della loro formazione; propugna e, dopo il 1963, difende la
scuola media pubblica; insiste sulla riforma della scuola secondaria
superiore; si occupa della questione dei contenuti dell'insegnamento e dei
suoi metodi.
Grande interesse presta anche al settore dell'educazione civica che serve a
formare nei cittadini una coscienza della vita pubblica e della
partecipazione al potere di tutti.
Infine il costante impegno nell'educazione degli adulti. Capitini e' un
pioniere dell'educazione permanente, convinto che l'uomo, costantemente
soggetto al cambiamento, e' sempre aperto all'educazione. Traduzioni
pratiche di questo impegno sono stati i C.O.S. istituiti tra il 1944 e il
1948.
*
La pedagogia capitiniana e' strettamente legata alla sua filosofia e alla
prassi religioso-politica.
Educazione aperta ed apertura religiosa per Capitini sono la stessa cosa e
hanno una valenza politica e una valenza religiosa. Tra queste c'e' un
legame reciproco: "Per essere veramente religiosi bisogna passare per la vit
a pubblica. Si puo' anche essere stiliti o eremiti per riordinare la propria
vita interiore, ma poi bisogna fare vita pubblica, e solo su questa sorge la
vita religiosa che porta apertura ed aggiunta" (47).
Nella tensione alla realta' di tutti, la religiosita' diventa un valore da
perseguire anche in ambito politico: essa si sostanzia nell'obbligo di far
prevalere l'interesse di tutti sull'interesse privato.
Secondo il concetto capitiniano, l'educazione aperta si riferisce al
percorso graduale del soggetto che si rivolge al tu, agli altri, a tutti,
nella crescente tensione verso la compresenza dei morti e dei viventi.
Educazione aperta come religione aperta e' sinonimo di nonviolenza e
parimenti si prefigge il superamento della societa' egoistica e condizionata
dalla natura.
Egli allora progetta il passaggio dal vecchio al nuovo modo di concepire
l'atto educativo stesso.
Ne L'atto di educare, l'autore descrive il vecchio sistema educativo come
costruzione funzionale alla trasmissione alle giovani generazioni di tutte
le conoscenze accumulate nel tempo. In questa prospettiva il maestro e' come
un sacerdote che custodisce il sapere e dall'alto lo concede all'allievo,
stabilendo un rapporto di contrapposizione autoritaria.
Al contrario il nuovo educatore-profeta deve compiere il suo lavoro come una
missione, usando tutte le sue energie per indirizzare l'educando al
perseguimento della giustizia, del bene, della verita' e del bello, verso la
coralita' degli esseri dell'universo. Egli, in aperta polemica con la
realta' circostante, apre prospettive, proiettandosi verso il futuro (48).
Nella concezione educativo-religiosa capitiniana si stabilisce un nuovo
rapporto tra educatore ed educando in cui e' quest'ultimo ad essere al
centro in quanto inizio della realta' liberata.
Dalla dimostrazione che la ricerca della personale utilita' imprigiona nei
limiti terreni, il maestro insegnera' al giovane il rispetto della natura,
l'amore verso i deboli, la gioia della socialita', valori che docilmente
portano alla compresenza.
Se il fine dell'educazione religiosa e' la scoperta nel fanciullo della
realta' liberata dai limiti, anche il metodo deve essere adeguato ai fini.
Da qui parte la metodologia educativa proposta da Capitini, che riscopre la
maieutica.
"Mai il metodo maieutico pote' avere un'applicazione e raggiungere una
realizzazione suprema come nell'educazione religiosa della realta' di tutti
per la quale e' posta una differenza qualitativa tra l'educatore e
l'educando, e il primo comunica al secondo la propria tensione al valore con
la coscienza che il secondo appartiene a una realta' liberata che fa con il
valore sintesi proprie, nuove. L'educatore riassume in se' l'ansia del
momento profetico, e dinanzi all'educando sente che li' il suo dramma ha la
sua catarsi, proprio perche' l'educando fa parte di una realta' che porta
con se' la liberazione, e l'educatore basta che bussi alla porta della nuova
realta' con i colpi aurei del valore" (49).
Infine vediamo il problema dei premi e delle punizioni. La punizione
utilizzata dall'educazione autoritaria va sostituita con l'invito alla
collaborazione del fanciullo. Preferendo intendere la punizione come rimorso
interiore piuttosto che come sofferenza fisica, spiega Capitini: "Non
sgridate, sfuriate, non rimproveri al cospetto di tutti, ma sorpresa,
dispiacere, colloquio a tu per tu, trovando il modo che il fanciullo
collabori a rimediare, a far bene invece che male: sta qui l'accorgimento
educativo nel trovare quei modi che li' per li' possono stabilire una
collaborazione tra l'educatore e il fanciullo per cancellare l'evento
brutto. Il fondamento qui e' la realta' di tutti dove gli eventi passano e
le persone sono unite infinitamente" (50).
Per quanto riguarda i premi, per il pensatore umbro dovrebbero consistere
nella gioia dimostrata dall'educatore per il valore realizzato
dall'educando. Il fanciullo deve cogliere negli adulti un accresciuto ma
sobrio amore per i progressi che egli ha concretizzato, avvertendo
nell'approvazione del suo atto la celebrazione religiosa della compresenza
ai valori da lui espressi.
In fondo la concezione educativa di Capitini consiste nella volonta' di
riformare la scuola e la societa' in modo che non fabbrichino individui
egoisti o disposti ad obbedire a qualsiasi autorita', ma che formino
cittadini con una coscienza critica, capaci di distinguere il bene dal male
e di prendere posizione di fronte alle varie realta' sociali. Cittadini
informati, consapevoli, responsabili.
*
A conclusione della panoramica sul pensiero capitiniano sopra esposta si
puo' rilevare la complessita' del suo sistema teorico-pratico. Esso offre
infiniti spunti per ulteriori svolgimenti. Risulta ora evidente il motivo
che ha spinto il Movimento Nonviolento a farsi custode di tale patrimonio e
ad utilizzarlo continuamente nel confronto con le problematiche
contemporanee.
*
Note
47. A. Capitini, Il potere e' di tutti, La Nuova Italia, Firenze 1969, p.
385.
48. A. Capitini, L'atto di educare, La Nuova Italia, Firenze 1951, pp. 7-8.
49. A. Capitini, L'atto di educare, cit., p. 93.
50. A. Capitini, Il fanciullo nella liberazione dell'uomo, Nistri-Lischi,
Pisa 1953, p. 259.

2. RIFLESSIONE. RAFFAELLA MENDOLIA: ORIGINI E CONTEMPORANEITA' DEL MOVIMENTO
NONVIOLENTO
[Ringraziamo Raffaella Mendolia (per contatti: raffamendo at libero.it) per
averci messo a disposizione il seguente estratto dalla sua tesi di laurea su
"Aldo Capitini e il Movimento Nonviolento (1990-2002)" sostenuta presso la
Facolta' di Scienze politiche dell'Universita' degli studi di Padova
nell'anno accademico 2002-2003, relatore il professor Giampietro Berti]

Il Movimento Nonviolento viene fondato nel 1962 da Aldo Capitini, in seguito
al successo che aveva ottenuto la Marcia Perugia-Assisi del 1961 e alla
conseguente esigenza di organizzare le forze pacifiste che li' si erano
riunite. Venne a tal fine istituita la Consulta italiana per la pace,
presieduta dallo stesso Capitini che, per farvi parte come associazione,
costitui' con altri simpatizzanti il Movimento Nonviolento.
Secondo Pietro Pinna "Quell'occasione segno' un punto di crescita decisivo
per l'azione nonviolenta organizzata, col passaggio cioe' da un lavoro di
'centro' basato sostanzialmente sulla sola persona di Capitini, ad un lavoro
di gruppo con persone in piu' luoghi, svolto sotto l'egida del Movimento
Nonviolento" (1).
Questo fu un prezioso strumento, assieme alla rivista "Azione nonviolenta",
per l'organizzazione di campagne per l'obiezione di coscienza, di
manifestazioni di piazza e dibattiti, di seminari di studio e di lavoro
anche internazionali, utilizzato da Capitini fino al 1968, e dopo la sua
morte dai suoi successori, per sviluppare e diffondere l'ideale della
nonviolenza.
La nascita del Movimento Nonviolento fu annunciata pubblicamente da un
manifesto, che venne affisso a Perugia e nelle citta' della provincia. Il
manifesto, in data 10 gennaio 1962, presentava il seguente testo: "Dopo la
marcia per la fratellanza dei popoli che si e' svolta da Perugia ad Assisi
domenica 24 settembre, si e' costituito il Movimento Nonviolento per la
pace, al quale aderiscono pacifisti integrali, che rifiutano in ogni caso la
guerra, la distruzione degli avversari, l'impedimento del dialogo e della
liberta' dell'informazione e di critica. Il Movimento sostiene il disarmo
unilaterale (come primo passo verso quello generale) ed affida la difesa
unicamente al metodo nonviolento. Il Movimento prende iniziative per la
difesa e lo sviluppo della pace e promuove la formazione di centri in ogni
luogo" (2).
Queste prime indicazioni sono rimaste fondamentali per il movimento tanto da
costituire la base della sua Carta ideologico-programmatica, ancora oggi in
vigore.
Dopo alcuni anni, le parole "per la pace" vennero eliminate, per
sottolineare che il campo di azione del movimento non era riducibile al solo
antimilitarismo ma si stava allargando al campo sociale, politico e
culturale.
Nei primi due anni di vita il movimento si concentra esclusivamente
sull'attivita' della Consulta, ma con scarsa possibilita' di influenza: al
suo interno il Comitato Italiano della Pace (ex Partigiani della Pace)
impone il proprio volere, grazie al cospicuo contributo finanziario che e'
in grado di portare.
Cio' spinge il Movimento a cercare una identita' specifica e autonoma, cosi'
nelle esigue possibilita' materiali si individuano due impegni concreti da
realizzare nell'immediato: il periodico mensile "Azione nonviolenta", il cui
primo numero esce nel gennaio 1964, e un Gruppo di Azione Diretta
Nonviolenta, il Gan, che comincia ad operare gia' dagli ultimi mesi del 1963
(3).
Da quel momento il Movimento intraprende un percorso di approfondimento
teorico e realizzazione pratica che sara' lungo e difficile, ma che
sviluppera' notevolmente il concetto di nonviolenza, sulla base della
teorizzazione capitiniana.
La nozione generale di nonviolenza ha subito una significativa evoluzione
nel tempo che ne ha modificato il contenuto di riferimento. La nonviolenza
di Capitini e' molto diversa da quella degli anni Ottanta o Novanta, sia a
livello teorico che pratico. Tale cambiamento e' stato causato dal
differente contesto storico con cui il mondo della nonviolenza si e'
confrontato.
Capitini rappresenta una nonviolenza dei rapporti personali. Essendo stato
il primo a parlare di nonviolenza in Occidente, importando e sviluppando in
Italia il pensiero di Gandhi, si puo' capire la difficolta' che ha
incontrato per farla accettare nell'ambiente intellettuale, che pure avrebbe
dovuto essere piu' aperto al confronto. Parlare di un atteggiamento di
rifiuto integrale della guerra e della violenza di fronte all'affermazione
della violenza istituzionale generalizzata del periodo fascista non poteva
che generare se non disprezzo, almeno derisione.
La conseguente e perdurante emarginazione del pensatore umbro viene cosi'
sottolineata da Piergiorgio Giacche': "In molti scritti, in molte occasioni,
in modo chiaro o indiretto, risulta la sua consapevolezza e la denuncia
della solitudine (mai dell'isolamento, si badi): una solitudine nell'azione
e nelle idee, pur nell'alveo di una rete di amicizie care, nel tessuto
ininterrotto di conoscenze e di scambi fiduciosi" (4).
Con il suo lavoro incessante, allora, Capitini cerca di far uscire la
nonviolenza dalla passivita', attraverso la persuasione interiore, l'esempio
personale, la ricerca del dialogo.
Alla fine degli anni Sessanta, si riconosce un altro modo di vivere la
nonviolenza, nella persona di don Milani. Egli era un militante della
nonviolenza anche se rifiutava di dichiararsi tale, individuando come
avversario la violenza strutturale.
I movimenti del Sessantotto vedranno in entrambi un riferimento, iniziando
la stagione di lotte per l'obiezione collettiva di coscienza al militare,
contro la guerra, per una politica dal basso attraverso i comitati di base
nelle scuole, nelle fabbriche, nei quartieri.
La nonviolenza si lega a un lavoro di costruzione sociale, in un rapporto
che abbandona il livello personale, dialogante, e pone come prioritaria la
coesione di gruppo contro i giganti del potere.
*
1. La storia del movimento fino al 1989
Al momento della fondazione, i punti essenziali sostenuti sul piano
concettuale dal Movimento Nonviolento erano: antimilitarismo integrale,
opposizione allo sfruttamento e all'oppressione sul piano economico e
sociale, apertura a tutte le correnti che avessero fede in una
trasformazione della societa'.
Cio' doveva avvenire necessariamente mantenendosi distanti dal sistema dei
partiti tradizionali, costituendo piuttosto un'alternativa ad essi che
avesse come obiettivo non il potere, ma la valorizzazione del cittadino.
Dal punto di vista dell'attivita' pratica, nella fase originaria gli sforzi
si concentrano sull'allargamento dell'area di diffusione della rivista
"Azione nonviolenta", sulla prosecuzione dell'attivita' del Gruppo di Azione
Diretta Nonviolenta, sul sostegno e intervento in alcuni problemi di
carattere sociale (ad esempio, per i baraccati di Napoli), sulla
solidarizzazione nella lotta per l'applicazione dei diritti civili nei paesi
totalitari e razzisti, sulla sensibilizzazione al problema della fame nel mo
ndo, infine sull'attivita' di formazione alla nonviolenza (5).
Nel 1967 viene affrontato il tema della composizione sociale del Movimento
Nonviolento. I partecipanti al congresso lamentano l'assenza totale tra le
proprie fila degli strati popolari, cosa che si profila come un grave
ostacolo all'allargamento della sua base, e la difficolta' di introdurre
questioni pratiche che attirino l'interesse generale.
D'altra parte e' impossibile non riconoscere che la stabilita' materiale e
la formazione culturale superiore raggiunta grazie alla loro estrazione
borghese e' proprio cio' che ha permesso loro di dedicarsi, non solo
all'approfondimento teorico della nonviolenza, ma anche alla ricerca di
soluzioni concrete ai problemi sociali contingenti.
La sensazione della discrepanza tra i fini del progetto nonviolento
capitiniano, che consistono nella liberazione di tutti dalla violenza ma
anche dall'oppressione del potere ingiusto che e' anche economica, e i mezzi
che l'appartenenza alla classe media mette a disposizione degli aderenti,
causa un generale malessere, specialmente durante gli anni delle grandi
contestazioni.
Critiche su questa questione vengono mosse allo stesso Capitini, essendo lui
stesso appartenente alla classe borghese. Possiamo leggere nella sua
risposta e nel suo comportamento, ancora una volta esempio di massima
coerenza, la soluzione del problema.
Si legge infatti nella rievocazione di Pinna: "La risposta di Capitini era
che, pur guadagnando piu' di un 'povero', utilizzava per se' quanto
strettamente gli serviva per vivere e lavorare, e il resto rifluiva
nell'azione sociale tesa a promuoverne la causa" (6).
Superata questa questione di massima, il movimento si puo' concentrare sulle
sue attivita'.
A quella data il Movimento, privo di adesioni formali, non si componeva che
della segreteria di Perugia formata da Aldo Capitini e Pietro Pinna, con
l'aiuto di Luisa Schippa, e di un gruppetto di sostenitori sparsi in alcune
citta' (7).
La fervente attivita' di questo gruppo esiguo e il nuovo legame stretto con
l'Internazionale dei Resistenti alla Guerra, di cui il Movimento diviene
sezione italiana, rende il Movimento Nonviolento della prima fase il centro
piu' attivo ed autorevole d'Italia nel campo pacifista.
Negli ultimi anni di vita, nella difficolta' di trovare collaborazioni,
Capitini ripartisce il lavoro necessario alla prosecuzione delle attivita'
del movimento. La separazione organizzativa tra la sfera della riflessione
religiosa, che Capitini mantiene per se', e quella dell'azione nonviolenta,
affidata alle giovani energie di Pietro Pinna, condizionera' fortemente
l'orientamento del movimento negli anni a venire. Pinna, infatti, estraneo
alle tematiche capitiniane dell'aggiunta religiosa, opera per depurare
l'impegno del Movimento Nonviolento da quella che giudica una pesante
sovrastruttura metafisica in fondo inutile (8).
Data la sua esperienza di obiettore di coscienza, sceglie l'antimilitarismo
come elemento minimo unificante e cerca su questo terreno una possibilita'
di dialogo e di collaborazione con forze politiche affini.
Ma la nonviolenza ridotta ad antimilitarismo rischia di perdere la
complessita' e la globalita' del Satyagraha gandhiano che abbraccia tutti
gli aspetti della vita. Nel rifiutare l'aggiunta religiosa, avviene un
declassamento della nonviolenza a tecnica della politica, che secondo la
teoria di Galtung l'Occidente materialistico e' piu' propenso ad accettare,
scoprendone gli aspetti utilitaristici e strumentali nella promozione dei
diritti umani e nella dialettica democratica del potere (9).
Tra gli anni Sessanta e Settanta il Movimento ha la possibilit‡ di
acquistare una fisionomia specifica, distinguendosi per il suo progetto di
una societa' senza violenza dagli altri movimenti di trasformazione sociale,
e per l'elaborazione di un metodo pratico, quello nonviolento, dal pacifismo
generico. Grazie a cio' il Movimento Nonviolento comincia il lento processo
di visibilizzazione di fronte all'opinione pubblica.
Nella seconda parte degli anni Settanta, anche il Movimento Nonviolento
risente della crisi della sinistra extraparlamentare, della quale era
considerato componente a pieno titolo grazie alla lunga attivita'
antimilitarista e per i diritti civili. Partito Radicale, sinistra,
anarchici e cristiani di base ne erano stati gli alleati in particolare sul
fronte dell'obiezione di coscienza. L'approvazione della Legge 772/72
sull'obiezione aveva minato la coesione di questo gruppo eterogeneo, tanto
da ridurre le collaborazioni a pochi episodi sporadici (10).
In questo periodo il rapporto con i radicali e' spesso difficile, perche' la
loro nonviolenza e' snaturata. Essi la liberano da ogni morale diversa
dall'interesse politico personale, ammettendo l'uso distorto e parziale
della verita', la pressione psicologica ad arte, la finzione "a fin di bene
politico". A ben guardare. cio' che rimane della nonviolenza capitiniana e'
solo l'insieme di tecniche di lotta mentre si perdono le infinite
implicazioni filosofiche, morali, tendenti ad un cambiamento profondo della
societa'. Questo caso di distorsione del concetto di nonviolenza era
certamente causato anche da una differenza di obiettivi: i radicali
puntavano direttamente ad affrontare la violenza strutturale nelle strutture
sociali piu' potenti: la politica partitica e i mass media. Invece gli altri
nonviolenti si limitavano alla crescita graduale della loro nonviolenza
politica: dall'obiezione di coscienza e dal servizio civile al lavoro di
quartiere, alla lotta al nucleare (11).
In questi anni, entra nel dibattito congressuale anche il nuovo tema
dell'ecologia come campo di lotta sociale.
Nel congresso del 1976, Piercarlo Racca, interpretando il nuovo contesto
politico-sociale, e' tra i primi ad individuare la difesa dell'ambiente tra
le diverse linee di lavoro possibili per il Movimento.
"(...) quella tradizionale, dei diritti civili, dell'obiezione di coscienza,
dell'antimilitarismo: una linea che deve rimanere come elemento trainante
del nostro lavoro per la nonviolenza, sulla quale possiamo trovare una
identita' di vedute e una collaborazione gia' consolidate con il Partito
Radicale; una linea culturale, su cui pure abbiamo gia' un cospicuo
patrimonio: siamo un centro di elaborazione culturale e di sperimentazione
nonviolenta, che dobbiamo esportare, presso le forze di sinistra e chiunque
altro; una linea ecologica, che seppur nuova nelle nostre lotte puo'
coinvolgere altri e rappresentare un settore di crescita del Movimento"
(12).
Tali proposte concrete si perdono nell'emergere di posizioni politiche
interne discordanti che si ripercuotono sullo stesso modo di intendere
l'ambito concettuale del movimento e il conseguente approccio operativo da
adottare: si rende necessario chiarire preliminarmente il rapporto tra
antimilitarismo e servizio sociale per stabilire un programma di azione per
il futuro.
Anche per questa diversita' di obiettivi dal 1980 la nonviolenza prende
significati plurimi e i movimenti nonviolenti si trovano divisi di fatto su
molti dei punti qualificanti della loro politica (rapporto coi partiti,
politica dal basso, servizio civile, modello di sviluppo, difesa popolare
nonviolenta).
Sorgono le prime comunita' agricole e case-famiglia nonviolente, che di
fatto costituiscono piccole strutture alternative, ma che spesso si riducono
a esperienze nonviolente poco piu' che personali.
Nella storia della nonviolenza ha un ruolo determinante la Caritas che
mantiene in vita un concetto di nonviolenza come missione personale e di
servizio al prossimo, e regge per lungo tempo il Servizio Civile,
raccogliendo e organizzando la maggior parte degli obiettori al servizio
militare italiani e prendendo parte alle lotte contro il Ministero della
Difesa.
La nonviolenza strutturale e politica si rivitalizza con l'esperienza della
Marcia Catania-Comiso e la resistenza nonviolenta a Comiso nel 1983, contro
l'istallazione della base militare missilistica Nato.
La campagna per l'obiezione fiscale alle spese militari, promossa a partire
da quell'esperienza da Movimento Nonviolento e Mir, ha fin dall'inizio un
notevole successo al di fuori della cerchia dei nonviolenti "regolari": nel
giro di un anno le persone che aderiscono alla campagna passano da 228 a
1.583 e negli anni seguenti l'incremento e' continuo anche se di consistenza
variabile (13).
Certamente si deve considerare che non tutti i partecipanti assumono un
impegno nonviolento totale, ma il raggiungimento della soglia delle 10.000
adesioni nel 1991 permette di proporre un programma politico nazionale
costruttivo: una nuova difesa istituzionalizzata dallo Stato.
Oltre a cio' la campagna mette a disposizione dei movimenti nonviolenti
ingenti somme di denaro, tali da rendere possibile, sia pure dopo molta
ritrosia assemblearistica, una struttura burocratica, amministrativa e
decisionale.
La crescita sociale e politica che ne e' conseguita per i movimenti
nonviolenti ha tuttavia causato una svalutazione dell'importanza del
servizio, del volontariato, dell'aggregazione spontanea, della dimensione
del movimento, rispetto al quadro politico istituzionalizzato e
professionale.
Il dibattito si protrae per diversi anni anche all'interno del Movimento
Nonviolento e si ripercuote sulla struttura organizzativa, che nel 1981
trova espressione nel congresso nazionale di Torino, con la radicalizzazione
di due posizioni contrastanti: "l'una, come specifico Movimento, funzionante
da centro portante e strumento di servizio per una crescita sia personale
sia del livello qualitativo di una presenza pubblica collettiva; l'altra
posizione, volta a privilegiare tutte le iniziative e le fonti di 'area' su
quelle di 'Movimento'. A fronte della conseguente esigenza, per la prima
posizione, di una definita struttura e centralita' direzionale fornita di
un'identita' di base ideologico-politica, si contrapponeva per la seconda la
rivendicazione dello spontaneismo, del libertarismo, senza alcuna
preordinata forma istituzionalizzata e vincolo statutario, da rifiutare
quali fonti di burocratismo e di compressione della creativita'" (14).
Nel 1981 la questione si risolve in una tendenza involutiva con il prevalere
della posizione a favore del movimento istituzionalizzato.
La generale ingenua fiducia, se non addirittura il legame organico, con il
nascente partito Verde, dopo il congresso di Trento del 1982, nato fuori (o
dentro?) la tradizionale politica, fa sperare in una rapida promozione dei
nonviolenti a partito politico (15).
Molti degli aderenti al Movimento Nonviolento infatti si sentono attratti da
questa novita' politica, e decidono di promuoverla personalmente, sottraendo
di conseguenza cospicue energie indispensabili alla sopravvivenza del
Movimento (16).
La situazione peggiora negli anni successivi. Al congresso del 1988 il
Movimento, al fine di allargare la sua sfera d'azione attraverso nuove
collaborazioni con altre forze, finisce con l'esaurire tutte le sue energie
nella Campagna per l'obiezione di coscienza alle spese militari e nel vario
"arcipelago verde". La stanchezza e la mancanza di iniziative proprie
rischia di privare il Movimento di una propria identita'.
Per ritrovare la giusta dimensione non puo' che ripartire dai suoi punti di
forza: la rivista "Azione nonviolenta", le sezioni, le strutture di servizio
e alcune sedi locali funzionanti da centri per la nonviolenza, l'impegno
degli iscritti a versare una quota di partecipazione. Proprio il
riconoscimento del valore della responsabilita' individuale si rivela
indispensabile per recuperare la vera identita' del Movimento Nonviolento e
delineare una nuova strategia d'azione (17).
Nel corso di quasi quarant'anni il Movimento e' cresciuto ed ha subito molti
cambiamenti, ma e' rimasto fondamentalmente fedele all'impianto teorico
originario. Quello che e' cambiato e' il modo di concretare l'opposizione
alla guerra in forme sempre nuove e diverse. Cosi', accanto all'obiezione di
coscienza al servizio militare, lentamente si sono affiancate nuove forme di
noncollaborazione con la macchina bellica, come la restituzione dei congedi
e l'obiezione fiscale alle spese militari (proposte per la prima volta da
Pietro Pinna al congresso del 1968).
*
2. La nonviolenza in Italia dopo il 1989
In Italia la nonviolenza e' stata portata negli anni Trenta ed ha avuto un
gruppo di maestri come nessun altro paese europeo (Aldo Capitini, Giuseppe
Giovanni Lanza del Vasto, Danilo Dolci, don Lorenzo Milani, don Tonino
Bello, padre Ernesto Balducci). Essi hanno dato un'impronta ad una fase ben
precisa, quella dei maestri-profeti, che hanno presentato la nonviolenza
quasi sacralmente.
Il loro insegnamento ha raggruppato aderenti ai due piccoli gruppi di
nonviolenti (Movimento internazionale della riconcilazione e Movimento
Nonviolento), che assieme ad altri movimenti (Mcp, Sci, Assopace, Ldu, ecc.)
hanno trovato degli obiettivi fondamentali di iniziativa comune nella legge
sull'obiezione di coscienza (prima le lotte per la sua approvazione,
avvenuta nel 1972, poi per la qualificazione del servizio civile),
l'educazione scolastica nonviolenta (anni '70 e '80), le lotte sul problema
energetico (anni '70), contro le armi nucleari (anni '80), la fondazione di
Comunita' dell'Arca, il sostegno al partito dei Verdi, la Campagna di
obiezione alle spese militari per la difesa popolare nonviolenta, la
diffusione di training nonviolenti. In questi ultimi anni a queste
iniziative si affiancano quelle inerenti all'istituzione di corpi civili di
pace e sull'intermediazione nonviolenta.
Ma tutto questo non deve far pensare che la crescita della nonviolenza in
Italia sia stata costante: l'incremento di interesse a questo tema degli
anni '60 e '70 si e' rivelato poco stabile e dopo il 1989 ha subito una
decisa inversione di tendenza. La caduta del muro di Berlino aveva creato
nei nonviolenti un grande entusiasmo che li aveva spinti a credere che il
lavoro sociale svolto fino a quel momento per iniziativa spontanea e dal
basso venisse istituzionalizzato, cosi' come era stato chiesto gia' dall'82
dalla Campagna osm-dpn, e cosi' come era logico che avvenisse per una
proposta politica.
Invece gli anni '90 si sono aperti con una nuova e piu' cruenta fase di
violenza, con la guerra del Golfo e il conflitto etnico in ex-Jugoslavia.
Cio' ha messo a dura prova la fiducia che i nonviolenti riponevano nelle
loro capacita' di risolvere i conflitti in modo nonviolento e li ha
costretti a riflettere sulle concrete prospettive della loro azione.
Tuttavia si puo' riconoscere che dopo la fase di espansione verticale
attraverso l'insegnamento dei grandi maestri, si e' giunti, col 1989, al
culmine di una fase di diffusione orizzontale della nonviolenza presso la
popolazione. Gli sconvolgimenti violenti con cui la gente viene a contatto
periodicamente nella realta' quotidiana hanno sicuramente contribuito a
produrre una nuova sensibilita' verso questo tema.
Il settore della nonviolenza si e' potuto espandere e ha potuto affrontare,
sia in collaborazione con altre forze, sia promovendo iniziative proprie,
diverse questioni, partecipando attivamente alla risoluzione del problema
della violenza contemporanea. In questo contesto si muovono anche le varie
attivita' del movimento, che sviluppa contemporaneamente la riflessione
teorica sul rapporto tra nonviolenza e contemporaneita' e azioni concrete.
Alla fine degli anni Ottanta, il Movimento Nonviolento si trova a fare un
bilancio del proprio operato e dei risultati raggiunti dalle campagne
promosse. Questo viene presentato al congresso del 1988 a Foggia.
Le attivita' a cui ha collaborato riguardano svariati temi. La Campagna
Nord-Sud, sopravvivenza dei popoli e debito e la Campagna anti-Nato hanno
ricevuto il suo costante sostegno, anche se quest'ultima non e' approdata ad
alcun risultato concreto; al contrario la Campagna per l'obiezione alle
spese militari e' in costante crescita, nonostante i problemi organizzativi
interni, mentre l'azione diretta a Comiso si e' conclusa per decisione
unanime dei partecipanti.
Nel campo dell'obiezione di coscienza invece la partecipazione del movimento
negli ultimi anni Ottanta e' stata carente, forse assorbita dal rilancio
della campagna di restituzione dei congedi.
Sul piano dello sviluppo teorico e della diffusione della filosofia
nonviolenta emerge la mancanza di impegno nel settore della formazione e
pure l'organizzazione dei corsi estivi e' stata delegata ad altri gruppi.
A questi impegni gia' avviati si sono tuttavia aggiunte altre attivita',
riguardanti temi nuovi: la valutazione su una possibile collaborazione con
la liste verdi, il progetto della Casa per la nonviolenza di Verona che
diventera' sede nazionale, la partecipazione al meeting delle associazioni
di volontariato, il sostegno al convegno "Sviluppo? Basta!", l'attivita'
editoriale e quella contro la guerra del Golfo.
In generale si puo' riscontrare la sempre piu' netta distinzione tra
pacifismo generico, accusato di rincorrere gli eventi, di inseguire i mezzi
di comunicazione e di agire sempre a conflitto iniziato, secondo una
strategia difensiva, e movimenti nonviolenti che cercano di costruire una
strategia propria e investono sui tempi lunghi. Questa si e' tradotta anche
nella tendenza all'istituzionalizzazione delle iniziative che nascono come
esperienze spontanee, dal basso, l'esempio piu' evidente e' nella campagna
di obiezione alle spese militari, che da esigenza etica individuale si e'
trasformata in disegno di legge.
*
Note
1. AA. VV., Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977, p. 217.
2. Movimento Nonviolento, Nonviolenza in cammino. Storia del Movimento
Nonviolento dal 1962 al 1992, Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona
1998, p. 6; vedi anche C. Cardelli, Capitini allegro, in "Azione
Nonviolenta", anno XXXIII, gennaio-febbraio 1996, p. 21.
3. Movimento Nonviolento, Nonviolenza in cammino, cit., p. 7.
4. A. Capitini, Opposizione e liberazione. Scritti autobiografici, Linea
d'Ombra, Milano 1991, p. 13.
5. Movimento Nonviolento, Nonviolenza in cammino, cit., pp. 10-11.
6. Movimento Nonviolento, Nonviolenza in cammino, cit., pp. 21-22.
7. Movimento Nonviolento, Nonviolenza in cammino, cit., p. 9.
8. Movimento Nonviolento, Nonviolenza in cammino, cit., pp. 20-28.
9. R. Altieri, La rivoluzione nonviolenta, Biblioteca Franco Seratini, Pisa
2003, p. 142.
10. Movimento Nonviolento, Nonviolenza in cammino, cit., pp. 35-36.
11. A. Drago, Tra politica e burocrazia cresce la via italiana alla
nonviolenza, in "Azione Nonviolenta", anno XXX, maggio 1993, pp. 2-5.
12. Movimento Nonviolento, Nonviolenza in cammino, cit., p. 39.
13. A. Mori, Campagna Osm, un'analisi da aggiornare, in "Azione
Nonviolenta", anno XXX, novembre 1993, p. 29. Per i dati vedi la tabella su
cronologia e partecipazione numerica alla Campagna per l'Obiezione alle
Spese Militari, p. 31.
14. Movimento Nonviolento, Nonviolenza in cammino, cit., p. 49.
15. A. Drago, Tra politica e burocrazia cresce la via italiana alla
nonviolenza, in "Azione Nonviolenta", anno XXX, maggio 1993, pp. 2-5.
16. Movimento Nonviolento, Nonviolenza in cammino, cit., p. 51.
17. Movimento Nonviolento, Nonviolenza in cammino, cit., p. 52.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 132 del 7 ottobre 2007

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